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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
ALLA CURIA ROMANA PER GLI AUGURI NATALIZI

Aula della Benedizione
Giovedì, 21 dicembre 2023

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Prima di tutto vorrei ringraziare il Cardinale Re per le sue parole; e anche per l’energia: un novantenne con questa energia! Avanti, coraggio! Grazie.

Il Mistero del Natale ridesta il nostro cuore allo stupore – parola chiave – di un annuncio inatteso: Dio viene, Dio è qui in mezzo a noi e la Sua luce ha squarciato per sempre le tenebre del mondo. Abbiamo bisogno di ascoltare e ricevere sempre questo annuncio, soprattutto in un tempo ancora tristemente segnato dalle violenze della guerra, dai rischi epocali a cui siamo esposti a causa dei cambiamenti climatici, dalla povertà, dalla sofferenza, dalla fame – c’è fame nel mondo! – e da altre ferite che abitano la nostra storia. È confortante scoprire che anche in questi “luoghi” di dolore come in tutti gli spazi della nostra fragile umanità, Dio si fa presente in questa culla, la mangiatoia che oggi Egli sceglie per nascere e per portare a tutti l’amore del Padre; e lo fa con lo stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Carissimi, abbiamo bisogno di ascoltare l’annuncio del Dio che viene, di discernere i segni della Sua presenza e di deciderci per la Sua Parola camminando dietro a Lui. Ascoltare, discernere, camminare: tre verbi per il nostro itinerario di fede e per il servizio che svolgiamo qui nella Curia. Vorrei consegnarveli attraverso alcuni dei personaggi principali del Santo Natale.

Anzitutto Maria, che ci ricorda l’ascoltare. La fanciulla di Nazaret, che stringe fra le braccia Colui che è venuto ad abbracciare il mondo, è la Vergine dell’ascolto perché ha prestato l’orecchio all’annuncio dell’Angelo e ha aperto il cuore al progetto di Dio. Ella ci ricorda che il primo grande comandamento è «Ascolta Israele» (Dt 6,4), perché prima di ogni precetto è importante entrare in relazione con Dio, accogliendo il dono del suo amore che ci viene incontro. Ascoltare, infatti, è un verbo biblico che non si riferisce soltanto all’udito, ma implica il coinvolgimento del cuore e quindi della vita stessa. San Benedetto inizia così la sua Regola: «Ascolta attentamente, o figlio» (Regola, Prologo, 1). Ascoltare con il cuore è molto più che udire un messaggio o scambiarsi delle informazioni; si tratta di un ascolto interiore capace di intercettare i desideri e i bisogni dell’altro, di una relazione che ci invita a superare gli schemi e a vincere i pregiudizi in cui a volte incaselliamo la vita di chi ci sta accanto. Ascoltare è sempre l’inizio di un cammino. Il Signore chiede al suo popolo questo ascolto del cuore, una relazione con Lui, che è il Dio vivente.

E questo è l’ascolto della Vergine Maria, che riceve l’annuncio dell’Angelo con apertura, totale apertura, e proprio per questo non nasconde il turbamento e le domande che esso suscita in lei; ma si coinvolge con disponibilità nella relazione con Dio che l’ha scelta, accogliendo il suo progetto. C’è un dialogo e c’è un’obbedienza. Maria capisce di essere destinataria di un dono inestimabile e, “in ginocchio”, cioè con umiltà e stupore, si mette in ascolto. Ascoltare “in ginocchio” è il modo migliore per ascoltare davvero, perché significa che non stiamo davanti all’altro nella posizione di chi pensa di sapere già tutto, di chi ha già interpretato le cose prima ancora di ascoltare, di chi guarda dall’alto in basso ma, al contrario, ci si apre al mistero dell’altro, pronti a ricevere con umiltà quanto vorrà consegnarci. Non dimentichiamo che soltanto in una occasione è lecito guardare una persona dall’alto in basso: soltanto per aiutarla a sollevarsi. È l’unica occasione in cui è lecito guardare una persona dall’alto in basso.

A volte, anche nella comunicazione tra di noi, rischiamo di essere come dei lupi rapaci: cerchiamo subito di divorare le parole dell’altro, senza ascoltarle davvero, e immediatamente gli rovesciamo addosso le nostre impressioni e i nostri giudizi. Invece, per ascoltarsi c’è bisogno di silenzio interiore, ma anche di uno spazio di silenzio tra l’ascolto e la risposta. Non è un “ping pong”. Prima si ascolta, poi nel silenzio si accoglie, si riflette, si interpreta e, soltanto dopo, possiamo dare una risposta. Tutto questo lo si impara nella preghiera, perché essa allarga il cuore, fa scendere dal piedistallo il nostro egocentrismo, ci educa all’ascolto dell’altro e genera in noi il silenzio della contemplazione. Impariamo la contemplazione nella preghiera, stando in ginocchio davanti al Signore, ma non solo con le gambe, stando in ginocchio con il cuore! Anche nel nostro lavoro di Curia, «abbiamo bisogno di implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. […] È urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» (Evangelii gaudium, 264).

Fratelli e sorelle, anche nella Curia c’è bisogno di imparare l’arte dell’ascolto. Prima dei nostri doveri quotidiani e delle nostre attività, soprattutto prima dei ruoli che rivestiamo, occorre riscoprire il valore delle relazioni, e cercare di spogliarle dai formalismi, di animarle di spirito evangelico, anzitutto ascoltandoci a vicenda. Con il cuore e in ginocchio. Ascoltiamoci di più, senza pregiudizi, con apertura e sincerità; con il cuore in ginocchio. Ascoltiamoci, cercando di capire bene cosa dice il fratello, di cogliere i suoi bisogni e in qualche modo la sua stessa vita, che si nasconde dietro quelle parole, senza giudicare. Come saggiamente consiglia Sant’Ignazio: «È da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi» (Esercizi Spirituali, 22). È tutto un lavoro per capire bene l’altro. E lo ripeto: ascoltare è diverso da udire. Camminando per le strade delle nostre città possiamo udire molte voci e molti rumori, eppure generalmente non li ascoltiamo, non li interiorizziamo e non ci restano dentro. Una cosa è semplicemente udire, un’altra cosa è mettersi in ascolto, che significa anche “accogliere dentro”.

L’ascolto reciproco ci aiuta a vivere il discernimento come metodo del nostro agire. E qui possiamo fare riferimento a Giovanni il Battista. Prima la Madonna che ascolta, adesso Giovanni che discerne. Noi conosciamo la grandezza di questo profeta, l’austerità e la veemenza della sua predicazione. Eppure, quando Gesù arriva e inizia il suo ministero, Giovanni attraversa una drammatica crisi di fede; egli aveva annunciato l’imminente venuta del Signore come quella di un Dio potente, che finalmente avrebbe giudicato i peccatori gettando nel fuoco ogni albero che non porta frutto e bruciando la paglia con un fuoco inestinguibile (cfr Mt 3,10-12). Ma questa immagine del Messia si frantuma dinanzi ai gesti, alle parole e allo stile di Gesù, dinanzi alla compassione e alla misericordia che Egli usa verso tutti. Allora il Battista sente di dover fare discernimento per ricevere occhi nuovi. Il Vangelo ci dice infatti: «Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,2-3). Insomma, Gesù non era come se lo aspettava e, perciò anche il Precursore deve convertirsi alla novità del Regno, deve avere l’umiltà e il coraggio di fare discernimento.

Ecco, per tutti noi è importante il discernimento, questa arte della vita spirituale che ci spoglia della pretesa di sapere già tutto, dal rischio di pensare che basta applicare le regole, dalla tentazione di procedere, anche nella vita della Curia, semplicemente ripetendo degli schemi, senza considerare che il Mistero di Dio ci supera sempre e che la vita delle persone e la realtà che ci circonda sono e restano sempre superiori alle idee e alle teorie. La vita è superiore alle idee, sempre. Abbiamo bisogno di praticare il discernimento spirituale, di scrutare la volontà di Dio, di interrogare le mozioni interiori del nostro cuore, per poi valutare le decisioni da prendere e le scelte da compiere. Scriveva il Cardinal Martini: «Il discernimento è ben altro dalla puntigliosità meticolosa di chi vive nell’appiattimento legalistico o con la pretesa di perfezionismo. È uno slancio d’amore che pone la distinzione tra buono e migliore, tra utile in sé e utile adesso, tra ciò che in generale può andar bene e ciò che invece ora bisogna promuovere». E aggiungeva: «La mancata tensione per discernere il meglio rende spesso la vita pastorale monotona, ripetitiva: si moltiplicano azioni religiose, si ripetono gesti tradizionali senza vederne bene il senso» (Il Vangelo di Maria, Milano 2008, 21). Il discernimento deve aiutarci, anche nel lavoro della Curia, ad essere docili allo Spirito Santo, per poter scegliere gli orientamenti e prendere le decisioni non in base a criteri mondani, o semplicemente applicando dei regolamenti, ma secondo il Vangelo.

Ascoltare: Maria. Discernere: il Battista. E adesso la terza parola: camminare. E il pensiero va naturalmente ai Magi. Essi ci ricordano l’importanza del camminare. La gioia del Vangelo, quando la accogliamo davvero, innesca in noi il movimento della sequela, provocando un vero e proprio esodo da noi stessi e mettendoci in cammino verso l’incontro con il Signore e verso la pienezza della vita. L’esodo da noi stessi: un atteggiamento della nostra vita spirituale che dobbiamo sempre esaminare. La fede cristiana – ricordiamocelo – non vuole confermare le nostre sicurezze, farci accomodare in facili certezze religiose, regalarci risposte veloci ai complessi problemi della vita. Al contrario, quando Dio chiama suscita sempre un cammino, come è stato per Abramo, per Mosè, per i profeti e per tutti i discepoli del Signore. Egli ci mette in viaggio, ci trae fuori dalle nostre zone di sicurezza, mette in discussione le nostre acquisizioni e, proprio così, ci libera, ci trasforma, illumina gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati (cfr Ef 1,18). Come afferma Michel de Certeau, «è mistico colui o colei che non può fermare il cammino. […] Il desiderio crea un eccesso. Eccede, passa e perde i luoghi. Fa andare più lontano, altrove» (Fabula Mistica. XVI-XVII secolo, Milano 2008, 353).

Anche nel servizio qui in Curia è importante restare in cammino, non smettere di cercare e di approfondire la verità, vincendo la tentazione di restare fermi e di “labirintare” dentro i nostri recinti e nelle nostre paure. Le paure, le rigidità, la ripetizione degli schemi generano staticità, che ha l’apparente vantaggio di non creare problemi – quieta non movere –, ci portano a girare a vuoto nei nostri labirinti, penalizzando il servizio che siamo chiamati a offrire alla Chiesa e al mondo intero. E restiamo vigilanti contro il fissismo dell’ideologia, che spesso, sotto la veste delle buone intenzioni, ci separa dalla realtà e ci impedisce di camminare. Invece siamo chiamati a metterci in viaggio e camminare, come fecero i Magi, seguendo la Luce che vuole sempre condurci oltre e che talvolta ci fa cercare sentieri inesplorati e ci fa percorrere strade nuove. E non dimentichiamo che il viaggio dei Magi – come ogni cammino che la Bibbia ci racconta – inizia sempre “dall’alto”, per una chiamata del Signore, per un segno che viene dal cielo o perché Dio stesso si fa guida che illumina i passi dei suoi figli. Perciò, quando il servizio che svolgiamo rischia di appiattirsi, di “labirintare” nella rigidità o nella mediocrità, quando ci troviamo ingarbugliati nelle reti della burocrazia e del “tirare a campare”, ricordiamoci di guardare in alto, di ripartire da Dio, di lasciarci rischiarare dalla sua Parola, per trovare sempre il coraggio di ripartire. E non dimentichiamo che dai labirinti si esce solo “da sopra”.

Ci vuole coraggio per camminare, per andare oltre. È questione di amore. Ci vuole coraggio per amare. Mi piace ricordare la riflessione di uno zelante sacerdote sull’argomento, che può aiutare anche noi nel nostro lavoro di Curia. Egli dice che si fa fatica a riaccendere le braci sotto la cenere della Chiesa. La fatica, oggi, è quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. A sessant’anni dal Concilio, ancora si dibatte sulla divisione tra “progressisti” e “conservatori”, ma questa non è la differenza: la vera differenza centrale è tra “innamorati” e “abituati”. Questa è la differenza. Solo chi ama può camminare.

Fratelli, sorelle, grazie per il vostro lavoro e per la vostra dedizione. Nel nostro lavoro, coltiviamo l’ascolto del cuore, mettendoci così a servizio del Signore imparando ad accoglierci, ad ascoltarci tra di noi; esercitiamoci nel discernimento, per essere una Chiesa, che cerca di interpretare i segni della storia con la luce del Vangelo, cercando soluzioni che trasmettono l’amore del Padre; e restiamo sempre in cammino, con umiltà e stupore, per non cadere nella presunzione di sentirci arrivati e perché non si spenga in noi il desiderio di Dio. E grazie tante a voi, soprattutto per il vostro lavoro svolto nel silenzio. Non dimentichiamoci: ascoltare, discernere, camminare. Maria, il Battista e i Magi.

Il Signore Gesù, Verbo Incarnato, ci doni la grazia della gioia nel servizio umile e generoso. E per favore, mi raccomando, non perdiamo il senso dell’umorismo, che è salute!  

Auguri di un Santo Natale, anche per i vostri cari! E, davanti al presepe, fate una preghiera per me. Grazie tante.



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