VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA
DEI SANTI PIETRO E PAOLO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Roma, 22 marzo 1981
1. “In ginocchio davanti al Signore che ci ha creati, / Egli è il nostro Dio, / e noi il popolo del suo pascolo / il gregge che Egli conduce” (Sal 95,6-7).
Con queste parole della liturgia d’oggi, mi rivolgo a voi, cari fratelli e sorelle, parrocchiani della comunità all’Eur, che è dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo.
Questo è l’invito ad adorare Dio che ci ha creati. È l’invito ad una particolare adorazione di Dio in questo periodo di redenzione e di grazia che è la Quaresima.
Essa infatti, e il “tempo propizio” (2Cor 6,2), in cui il Signore si rivela a chi si sforza di conoscerlo e di amarlo. È il tempo del “memento”, del ricordarci di lui in modo fattivo. È metànoia: rivolgersi a lui con tutta l’anima per servirlo e ringraziarlo. Questo significa adorare il Signore, e per questo motivo la Chiesa non si stanca di ripetere col Salmista:
“Accostiamoci a lui per rendergli grazie, / a lui acclamiamo con canti di gioia” (Sal 95,2) e ancora: “Venite, prostrati adoriamolo” (Sal 95,6). L’adorazione di Dio forma la ragion d’essere della Chiesa e di ogni uomo, il quale non può dare compiuta espressione alla sua esistenza, senza manifestare questo atto amorevole, spontaneo e cosciente a Dio, suo Creatore. E questo atto di adorazione si compie soprattutto nella comunità raccolta per la celebrazione del banchetto del Signore, nella “fractio panis”, che anche noi fra poco rinnoveremo.
2. In questo spirito saluto la vostra Comunità parrocchiale intitolata ai santi Pietro e Paolo. Essa, come è noto, è abbastanza giovane, essendo stata aperta al culto la chiesa nel 1955, eretta a parrocchia nel dicembre del 1958 ed elevata alla dignità di Basilica nel 1965. Saluto il Cardinale Vicario, che anche qui si sente in famiglia come in ogni altra parrocchia della diocesi, il Vescovo Ausiliare del Settore Sud, Mons. Clemente Riva, che ha appena terminato di svolgere la settimana preparatoria a questo incontro dei fedeli dell’Eur col Papa; saluto in modo speciale il parroco, padre Fausto Casa, unitamente al gruppo dei Francescani Conventuali che lo coadiuvano nell’animazione cristiana di questa zona. So che non cessano di profondere le ricchezze della loro preparazione culturale e della loro esperienza umana e religiosa. Grazie alla loro dedizione ed alla collaborazione di altri sacerdoti, associati a vario titolo all’attività pastorale, la vita della parrocchia è andata progressivamente rafforzandosi e ha maturato frutti spirituali, che consentono di ben sperare per il futuro, pur in presenza di tanti problemi posti dalla tendenza, piuttosto diffusa in tante famiglie, ad isolarsi e a privilegiare forse un certo tipo di individualismo.
Nel dare atto del cammino percorso, rivolgo il mio pensiero ai membri delle diverse Associazioni, in particolare a quelli dell’Azione Cattolica, dell’Ordine Francescano Secolare, dell’Apostolato della Preghiera, dell’Associazione di san Vincenzo e degli Scouts. Mediante tali sodalizi il laicato è presente nella pastorale della parrocchia. Una parola di saluto, ancora, ai religiosi ed alle religiose che hanno i propri Istituti nella zona ed attendono alla formazione dei giovani o ad altre iniziative benefiche, apportando in questo modo un valido contributo al comune sforzo di promozione cristiana e sociale dei fedeli.
A tutti, infine, ma specialmente a quanti soffrono a causa della malattia, della solitudine e della povertà, l’assicurazione del mio affetto e del mio costante ricordo nella preghiera. Ed ora torniamo al commento delle letture bibliche, che abbiamo ora ascoltate.
3. “Tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua” (Es 17,6).
Il lungo viaggio degli Ebrei nel deserto fa da immediato contesto al brano dell’Esodo. Una delle maggiori difficoltà presentate da un viaggio nel deserto per un popolo così numeroso, che conduce con sé greggi e bestiame, fu certamente la mancanza d’acqua. È comprensibile perciò che, nei giorni in cui la fame e la sete si facevano sentire in modo più acuto, gli israeliti abbiano rimpianto l’Egitto e mormorato contro Mosè. Dio, che aveva manifestato in tanti modi la sua particolare benevolenza verso quel popolo, esige ora la fede, l’abbandono assoluto in Lui, il superamento delle proprie sicurezze umane. E proprio nel momento in cui esso non può più contare sulle proprie risorse, è sfinito ed abbattuto, e intorno non c’è altro che nuda roccia sterile ed arida e senza vita, Dio interviene, si fa presente e fa sgorgare da quella roccia un’acqua abbondante che da la vita. È proprio da quella roccia compatta, che gli Ebrei potranno attingere acqua nel loro viaggio verso la terra promessa, come dal Cuore di Cristo, sitibondo sulla croce, sgorgherà l’acqua che salva coloro che hanno intrapreso il loro cammino di fede. Per questa somiglianza, Paolo identifica la roccia con Cristo stesso, nuovo Tempio e Sorgente che disseta nella vita eterna (cf. 1Cor 10,4).
Ecco come la potenza di Dio si manifesta nel mistero dell’acqua viva, che zampilla per l’eternità, perché è l’acqua rigeneratrice della grazia e rivelatrice della verità.
Come al tempo dell’Esodo, anche oggi gli uomini avvertono la sete di quest’acqua salvante e liberante che proviene dal Cristo, e la Chiesa, in risposta, non si stanca di annunciarlo a tutti i popoli di tutti i tempi. Essa è presente nel mondo essenzialmente “per aiutare gli uomini a credere che Gesù è il Figlio di Dio, affinché, mediante la fede, essi abbiano la vita nel suo nome, per educarli ed istruirli in questa vita e costruire così il Corpo di Cristo. La Chiesa non ha cessato di consacrare a questo scopo le sue energie” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 1).
4. Dell’acqua che zampilla per la vita eterna parla il Cristo alla samaritana presso il pozzo di Sicar.
Egli, stanco del viaggio, si siede sull’orlo del pozzo. I discepoli erano andati soli in città per le compere. Gesù prega una samaritana, venuta ad attingere acqua, di dargli da bere. Essa se ne meraviglia. Come può lui, un Giudeo, chiedere qualcosa ad una samaritana? Da secoli giudei e samaritani vivevano in una inimicizia implacabile. Gesù però si mostra superiore a questo pregiudizio, come anche all’opinione giudaica che considerava come indecoroso per un maestro parlare pubblicamente con una donna. Per lui non conta la distinzione di nazione e di razza e neppure quella tra uomo e donna. Dall’acqua naturale, elemento materiale, che Gesù dapprima chiede alla donna, egli porta il discorso sul piano della rivelazione, sull’acqua veramente viva.
L’espressione “acqua viva” nella lingua dei profeti indica i beni della salvezza del tempo messianico (cf. Is 12,3; 49,10; Ger 2,13; 17,13). Ma la donna, non potendo comprendere quel linguaggio, pensa ad una miracolosa acqua che spenga la sete del corpo, per cui non sarà più necessario attingere. In questo modo Gesù ha risvegliato in lei il desiderio del suo dono: “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui ad attingere acqua” (Gv 4,14). Gesù rivela allora alla donna d’essere lui in persona la sorgente stessa dell’acqua viva. E dimostra come la via della fede in lui passa attraverso il riconoscimento della sua missione divina, manifestando la sua conoscenza profetica, proprio di un inviato di Dio. Essa ha avuto cinque mariti e con un sesto vive illegalmente. La donna comincia a riflettere: una tale conoscenza dei cuori non è quella di un uomo comune e propone in un commosso atto di fede: “Signore, vedo che tu sei un Profeta” (Gv 4,19). E poi andrà ad annunziare agli abitanti della sua città di aver incontrato il Messia e li invita a “venire a vedere Gesù” (Gv 4,29). In questo stupendo brano evangelico, che raggiunge un vertice sublime per bellezza formale e per profondità dottrinale, vi sono tratti pedagogici interessanti per ogni educatore della fede. La rivelazione personale avviene da parte di Gesù, partendo dalla situazione concreta per arrivare ad una revisione ideale della vita: quella vista alla luce della verità, perché soltanto nella verità, si può effettuare l’incontro con Cristo che impersona la stessa verità.
5. È appunto quando la samaritana si rivolge a Gesù con le parole: “Dammi di quest’acqua” (Gv 4,15) allora egli non tarda ad indicare la strada che conduce ad essa. È la via della verità interiore, la via della conversione e delle opere buone. “Va’ a chiamare tuo marito” (Gv 4,16), dice il Signore alla donna: è un invito ad esaminare la propria coscienza, a scrutare nell’intimo del cuore, a risvegliare in esso le attese più profonde, quelle che si finge di nascondere sotto la replica evasiva.
Fa scoprire a questa donna il bisogno di essere salvata e di interrogarsi sul cammino che può condurla alla salvezza, svolgendo con lei un vero e proprio “esame di coscienza” e aiutandola a chiamare per nome i peccati della sua vita. Per questo il Signore incalza: “Hai detto bene “non ho marito”, infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” (Gv 4,17-18). Così la donna non solo riconosce il suo stato di peccato, ma viene aiutata a chiamare per nome i peccati della sua vita. San Agostino in un suo mirabile sermone così esprime il travaglio interiore di questa donna: “Dapprima sei stata guidata dai sensi della carne; poi sei giunta all’età in cui si deve usare la ragione, e non hai raggiunto la sapienza; anzi sei caduta nell’errore; perciò, dopo quei cinque mariti, quello che adesso hai non è tuo marito. E se non era un marito, che cosa era se non un adultero?
Dunque, chiama, ma non l’adultero, chiama tuo marito, affinché con l’intelletto tu possa comprendermi, e l’errore non debba procurati una falsa opinione di me... Via dunque l’adulterio che ti corrompe, e va’ a chiamare tuo marito. Chiamalo, e torna qui con lui, e mi comprenderai” (Sant’Agostino, In Io. Evang. Tr. 15, 22).
In questa situazione, Gesù di colpo si eleva al di là dell’immediata risposta per annunciare il superamento del culto ritenuto vero e una nuova forma di adorazione, che punta sul cuore anziché sui sacrifici, un’adorazione provocata dallo Spirito, appunto l’adorazione “in spirito e verità” (Gv 4,24). Adorare in spirito significa porsi sotto l’influsso dell’azione di Dio, cioè del dono di vita operato dallo Spirito e richiama l’attenzione sulla vita soprannaturale di cui godono i cristiani e che è condizione indispensabile per essere “veri” adoratori. Adorare in verità significa porsi nell’ordine della rivelazione del Verbo: quella rivelazione per cui è impegnata l’azione dello Spirito di verità. Il nuovo luogo dell’adorazione è il tempio spirituale, cioè Cristo-verità, sotto l’illuminazione dello Spirito di verità. La condizione richiesta da Gesù per un culto valido, è quella di uniformarsi alla sua persona, rivelatrice di una fede operata dallo Spirito. Coloro che sapranno accogliere il mirabile “dono di Dio” (Gv 4,10) che è l’acqua viva dello Spirito Santo, saranno trasformati, come la samaritana, diverranno i veri adoratori, trovando il centro del culto nel corpo del Cristo risuscitato e trasformato dalla forza dello Spirito.
6. Che cosa ha prodotto nella samaritana l’acqua viva che zampilla per la vita eterna? Valutando l’ulteriore sviluppo della situazione spirituale della donna, si può rispondere che il frutto è stato grande. Si riscontra infatti in essa una vera metànoia che la conduce fino a riconoscere in Gesù il Messia: “Venite a vedere – dice ai suoi concittadini – un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Gv 4,29). E l’interrogativo suppone nel suo pensiero una risposta affermativa, perché collega questa confessione con la chiamata per nome dei suoi peccati: mi ha detto tutto quello che ho fatto. Avverte in sé una nuova forza, un nuovo entusiasmo che la porta ad annunziare agli altri la verità e la grazia che ha ricevuto: venite a vedere. Diventa in un certo senso messaggera del Cristo e del suo Vangelo di salvezza, come la Maddalena il mattino di Pasqua.
Anche a noi oggi è rivolto l’invito a bere di quest’acqua viva della verità, a purificare la nostra vita, a cambiare mentalità e a metterci alla scuola del Vangelo, dove il Signore, come fece con la samaritana, ci interpella, facendoci scoprire le più alte esigenze della verità e dello spirito.
7. Cari fratelli e sorelle!
Nella terza domenica di Quaresima la Chiesa ci invita alla particolare adorazione di Dio, a rendere una particolare adorazione al Padre “in spirito e verità”.
Questa adorazione non può essere soltanto esterna. L’adorazione “in spirito di verità” deve toccare le nostre coscienze. E perciò ascoltiamo ancora una volta il Salmo responsoriale, quando dice:
“Ascoltate oggi la sua voce: Non indurite il cuore...!” (Sal 95,8).
Pensiamo a chi di noi si riferiscono queste parole. Pensiamo a quei nostri fratelli e sorelle, che sono assenti, ma ai quali queste parole si riferiscono, e imploriamo per noi e per loro l’incontro con Cristo simile a quell’incontro della samaritana presso il pozzo di Sicar.
E ascoltiamo ancora le parole dell’apostolo Paolo dalla lettera ai Romani: “Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale gloria di Dio” (Rm 5,1-2).
Se a qualcuno di noi si riferiscono queste parole – e penso che si riferiscano a molti – allora preghiamo di perseverare nella speranza e nell’osservanza della pace con Dio, così come insegna l’apostolo.
E infine ascoltiamo le parole del nostro Signore Gesù Cristo che dice: “Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete” (Gv 4,35-36).
E chiediamo – chiediamo a Lui con tutta l’anima questa mietitura, così come ha chiesto la samaritana di aver acqua viva, l’acqua per la vita eterna. E guardando “i campi che già biondeggiano per la mietitura” (Gv 4,35) pensiamo che c’è bisogno dei mietitori così come prima sono stati necessari i seminatori. E diciamo a Cristo che ci ha redenti con il suo Sangue: Signore, eccomi! Accoglimi come seminatore e come mietitore del tuo Regno. Signore, eccomi! Manda operai nella messe. “Manda operai nella tua messe” (cf. Mt 9,37).
Che mediante la Quaresima si rinnovino le nostre coscienze e riviva lo zelo dei veri discepoli di Cristo.
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