PAKISTAN, FILIPPINE I, GUAM (STATI UNITI II), GIAPPONE, ANCHORAGE
((STATI UNITI II)16-27 febbraio 1981
DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AL CORPO DIPLOMATICO*
Nunziatura Apostolica, 24 febbraio 1981
Eccellenze, Signore e Signori,
1. Nel corso della mia visita pastorale nell’Est asiatico e alle comunità cattoliche delle Filippine, Guam e Giappone, sono lieto ed onorato di avere l’occasione di incontrarmi con il Corpo Diplomatico accreditato presso il Governo del Giappone in questa città di Tokyo. Le mie prime parole sono di sincero ringraziamento al vostro Decano che mi ha così gentilmente accolto. Ho molto gradito i cortesi sentimenti da lui espressi nei miei riguardi.
La mia visita, come ho già avuto occasione di sottolineare nel corso di questo viaggio, è di natura religiosa. Vengo a portare alle comunità cattoliche l’appoggio fraterno della Chiesa che è in Roma ed in tutto il mondo. Vengo anche ad incontrare la gente di una terra che ha la peculiarità di essere la culla di antiche culture e religioni. Oltre ad essere il successore dell’apostolo Pietro nella Sede di Roma, sono anche erede della tradizione di un altro apostolo, Paolo, che avendo ricevuto la fede in Gesù Cristo si reco in diverse parti del mondo allora conosciuto per rendere la testimonianza di ciò in cui egli credeva e diffondere una parola di fraternità, amore e speranza per tutti.
2. La vostra presenza qui oggi indica che comprendete la mia missione e anche l’attività della Chiesa Cattolica e della Santa Sede nelle diverse parti del mondo. In forza della sua missione, che ha natura religiosa e dimensione universale, la Santa Sede si adopera costantemente per promuovere e mantenere un clima di fiducia reciproca e di dialogo con tutte le forze vive della società e, quindi, con le autorità che hanno ricevuto dal popolo il mandato di promuovere il bene comune. La Chiesa Cattolica, nel rispetto della sua missione evangelica, desidera porsi al servizio di tutta l’umanità, della società odierna, così spesso minacciata o attaccata. Per questo motivo essa si adopera per mantenere rapporti amichevoli con tutte le autorità civili ed anche, se lo vogliono, relazioni a livello diplomatico. Quindi, si stabilisce, sulla base del rispetto e dell’intesa reciproca una collaborazione di servizio per il progresso dell’umanità.
La Chiesa e lo Stato – ciascuno nella propria sfera, spirituale o temporale, ciascuno con i suoi mezzi specifici, senza rinunciare alla sua missione caratteristica distintiva, senza alterare il proprio compito specifico – compiono i loro sforzi per rendere questo servizio all’umanità al fine di promuovere quella giustizia e quella pace a cui tutta l’umanità aspira.
Desidero qui rendere omaggio alle cordiali relazioni che il Governo del Giappone mantiene con la Santa Sede e che si concretano nella presenza di un ambasciatore presso la Santa Sede e di un rappresentante del Papa a Tokyo. Quest’ultimo ha una missione speciale tra gli esponenti della comunità cattolica di questo Paese ma, come voi tutti anch’egli ha il compito di promuovere uno spirito di comprensione e collaborazione in campo internazionale.
3. Signore e Signori, nella capitale di questa nazione vi è stata affidata una missione che trae il proprio significato e la propria ispirazione dagli ideali di pace e fraterna collaborazione. Siete tutti pienamente consapevoli del vostro compito. Esso è indubbiamente importante; in molte circostanze è difficile; ma ricompensa sempre, perché è nel contempo una scuola per la reciproca comprensione ed un banco di prova per i problemi mondiali.
La base per ogni fruttuosa attività intesa a promuovere i rapporti di pace tra le nazioni è certamente la capacità di valutare correttamente e con comprensione le qualità specifiche gli uni degli altri. Il Giappone offre senza dubbio una autentica scuola di comprensione, perché è unico nella sua storia, nella sua cultura e nei suoi valori spirituali. Nel corso di molti secoli, la società giapponese ha costantemente onorato le proprie tradizioni mantenendo un reale apprezzamento per le cose spirituali. Essa ha espresso quelle tradizioni nei suoi torii e templi, nelle arti, nella letteratura, nel teatro e nella musica, preservando nel contempo, anche in fase di crescente sviluppo economico ed industriale, le sue peculiari caratteristiche. Come diplomatici, assistete e talvolta partecipate agli eventi che segnano la storia e la vita del popolo del Giappone ed in particolare della sua cultura, per cui siete in grado di comprendere in modo più approfondito le differenze che formano il carattere e lo spirito di ciascuna nazione e popolo. In realtà, come dissi il mese passato nel mio discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “La cultura è la vita dello spirito; è la chiave che apre la porta ai segreti più intimi e più gelosamente custoditi della vita dei popoli; è l’espressione fondamentale ed unificante della loro esistenza” (Giovanni Paolo II, Discorso del 12 gennaio 1981, 6). Così come è necessario essere profondamente radicati nella propria cultura al fine di comprendere i valori e lo spirito della propria nazione, è necessario anche guardare con imparzialità alle manifestazioni della vita culturale degli altri popoli, allo scopo di capire le aspirazioni, le esigenze e le realizzazioni di coloro con i quali si dialoga e si collabora.
4. Vi è un secondo aspetto della funzione del diplomatico. Voi siete chiamati a fungere da strumenti – anzi ad essere addirittura in prima linea – per costruire un nuovo ordine di rapporti nel mondo. E ciò in quanto ciascun popolo, che si distingue dagli altri per le proprie tradizioni culturali e realizzazioni, può offrire un unico ed insostituibile contributo a tutti gli altri. Senza abbandonare i propri valori, le nazioni possono operare congiuntamente ed edificare un’autentica comunità internazionale caratterizzata da responsabilità comuni per il bene universale. Oggi più che mai la situazione mondiale richiede che questa responsabilità comune venga assunta in un vero spirito universale. Ogni comunità diplomatica diviene quindi un banco di prova per i problemi mondiali. Nei contatti personali che avete quotidianamente con i vostri colleghi, nei vostri incontri ufficiali con i governi e le agenzie presso cui siete accreditati, nell’opera intesa a conoscere e comprendere la cultura locale, nel prendere parte attiva alla vita della comunità che vi ospita, manifesterete quegli atteggiamenti di rispetto e di apprezzamento che sono così necessari per instaurare rapporti fraterni tra le nazioni del mondo.
5. Molti di voi hanno già raccolto una notevole esperienza nei rapporti e scambi interculturali, esperienza acquisita negli anni al servizio del proprio Paese in diversi parti del mondo. È mia speranza che la vostra missione qui in Giappone vi aiuti a scoprire ed a comprendere più a fondo, al di là del contesto giapponese, la ricca realtà di tutta l’Asia e di tutti i popoli asiatici. L’Asia ha un ruolo speciale da sostenere nella costituzione e nel rafforzamento della comunità delle nazioni. Molti problemi di portata mondiale restano ancora da risolvere e l’Asia deve partecipare a tutte le iniziative avviate a tal fine. Desidero trasmettervi la mia convinzione che i problemi mondiali non saranno risolti a meno che ciascun continente e ciascuna nazione assuma il suo giusto ruolo ed apporti il suo specifico contributo. Le nazioni dell’Asia devono assumere il ruolo che spetta loro proprio in ragione delle loro culture secolari, della loro esperienza religiosa, del loro dinamismo e della loro paziente industriosità. Il continente e gli arcipelaghi dell’Asia non sono certamente privi di problemi (e quale nazione nel mondo può sostenere di aver risolto tutti i problemi del suo popolo?), ma non esiste impresa più grande per un popolo di dividere i propri beni con gli altri, mentre nel contempo tenta di trovare le soluzioni definitive ai propri problemi.
6. Oggi, siamo giunti ad un punto della storia in cui è divenuto economicamente e tecnicamente possibile alleviare gli aspetti peggiori dell’estrema povertà che affligge tanti dei nostri simili. I tipi di povertà sono molti: denutrizione e fame, analfabetismo e mancanza di istruzione di base, malattie croniche ad elevata mortalità infantile, mancanza di occupazione adeguata e di abitazioni idonee. Gli ostacoli al superamento di questi problemi non sono più soprattutto economici e tecnici, come per il passato, ma sono da ricercare nelle sfere delle convinzioni e delle istituzioni.
Non è forse di fatto una mancanza di volontà politica – a livello sia nazionale che internazionale – l’ostacolo principale all’eliminazione totale delle più gravi forme di sofferenza e di bisogno? Non è forse una mancanza di forti convinzioni individuali e collettive che impediscono ai poveri di partecipare in modo più completo ed equo al proprio sviluppo? Le attuali difficoltà economiche che in vari modi e gradi stanno affliggendo tutte le nazioni non devono diventare un pretesto per cedere alla tentazione di far pagare ai poveri la soluzione dei problemi dei ricchi tollerando un livello di vita inadeguato alle esigenze minime dell’uomo. Per quanto sussistano motivi impellenti per eliminare questa avvilente povertà, soprattutto nel mondo in via di sviluppo, non esito ad affermare che l’arma fondamentale in grado di sconfiggere la povertà è di ordine morale. È sintomo di una comunità sana – sia essa la famiglia, la nazione o la stessa comunità internazionale – riconoscere l’imperativo morale di reciproca solidarietà giustizia ed amore. La generosità e il senso di lealtà già in atto in molte iniziative e programmi internazionali devono essere ulteriormente rafforzati da una maggiore consapevolezza della dimensione etica. Il pubblico e i governi dovranno convincersi sempre più del fatto che nessuno può restare in ozio fino a quando c’è chi soffre e ha bisogno. La Santa Sede non cesserà mai di levare la sua voce e di impegnare tutto il peso della sua autorità morale al fine di accrescere la pubblica consapevolezza a tale riguardo.
7. In seguito, nel corso di questo mio breve soggiorno in Giappone, avrò occasione di parlare del preponderante problema della pace internazionale e di incoraggiare la comunità internazionale ad intensificare i propri sforzi a favore di rapporti di pace tra le nazioni. Nell’occasione presente mi sia consentito sottolineare che gli impegni per la pace non possono essere separati dalla ricerca di una società giusta e di un reale sviluppo di tutte le nazioni e di tutti i popoli. Giustizia e sviluppo vanno per mano con la pace. Sono parti essenziali di un nuovo ordine mondiale ancora da edificare. Sono una strada che conduce verso un futuro di felicità e di dignità umana.
Signore e Signori, la vostra è una splendida missione; essere i messaggeri dell’universalità, gli edificatori di pace tra le nazioni, i promotori di un mondo nuovo e giusto. Possa ciascuno di voi, con i rispettivi governi, come pure negli incontri e nelle istituzioni internazionali, operare in qualità di avvocato dei popoli e delle nazioni meno privilegiate. L’ideale di fratellanza umana in cui noi tutti crediamo fermamente richiede proprio questo. E operando in tal modo riuscirete a servire realmente il vostro Paese e tutto il bene dell’umanità.
Possano la pace e la giustizia di Dio Onnipotente dimorare sempre nei vostri cuori. Possa la sua benedizione giungere su di voi, sulle vostre famiglie, sulle vostre nazioni e su tutti i vostri assidui sforzi al servizio dell’umanità.
*Insegnamenti IV, 1 pp. 526-529.
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