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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
AI VESCOVI DELL'UNGHERIA
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM
»

Giovedì, 7 ottobre 1982

 

Venerabili fratelli nell’Episcopato.

1. Desidero rivolgere un cordialissimo benvenuto a voi tutti, Arcivescovi e Vescovi di Ungheria, guidati dal Cardinale László Lékai, Arcivescovo di Esztergom e Presidente della vostra Conferenza Episcopale, venuti a Roma per pregare insieme sulla tomba del Principe degli Apostoli e per incontrarvi con il suo successore.

Attraverso voi, il mio affettuoso saluto è rivolto alla vostra Nazione, illustre e ricca di millenaria storia cristiana, ed alla diletta Chiesa ungherese che, nel corso dei secoli, ha sempre dimostrato verso il Romano Pontefice e la Cattedra di Pietro la profonda devozione e l’indefettibile attaccamento testimoniati fin dai primordi della vostra era nazionale dai re santo Stefano e san Ladislao, e dal santo Vescovo Martire Gerardo.

Il nostro odierno incontro, lungi dall’essere isolato ed occasionale, costituisce come un coronamento degli intensi contatti sviluppatisi fin dall’inizio del mio pontificato, sia attraverso le diverse lettere che vi ho indirizzate, sia tramite la visita in Ungheria del signor Cardinale Segretario di Stato in occasione del millenario della nascita di san Gerardo, Vescovo e Martire, e ancora mediante i viaggi nel vostro Paese dell’Arcivescovo Luigi Poggi, così come attraverso le vostre visite individuali o collettive a Roma, in particolare quella avvenuta in occasione della solenne inaugurazione della Cappella dedicata alla “Magna Domina Hungarorum” nelle Grotte Vaticane.

Non ignoro, venerabili fratelli, la cura particolare con cui avete preparato questa visita, e ve ne sono molto grato. Da parte mia, ho avuto la gioia di incontrare ciascuno di voi personalmente e ho letto con vivo interesse le relazioni sulla situazione della Chiesa nella vostra Patria e nelle singole diocesi. Come nei colloqui particolari, anche in questo comune e conclusivo incontro voi avete voluto aprirmi il vostro cuore ed espormi le gioie, le amarezze e le speranze del vostro ministero pastorale, e io desidero confermarvi che non solo pienamente le condivido, ma le faccio completamente mie.

2. Ho appreso con intima soddisfazione la costante vitalità dell’autentica tradizione cristiana, alimentata da una pratica religiosa - che auspico aumenti sempre più nel futuro -, e in particolare dal culto mariano, sempre radicato nell’animo degli ungheresi. Si assiste con speranza ai fermenti di risveglio religioso nelle nuove generazioni; l’impegno apostolico deve essere sempre più consapevole ed attivo; cresce tra i fedeli l’esigenza di approfondire la conoscenza della fede, come dimostra il numero degli iscritti ai corsi di Teologia per corrispondenza.

Inoltre, il fatto che tutte le diocesi ungheresi siano oggi guidate da Vescovi - e la vostra stessa numerosa presenza a questo incontro ne è testimonianza - fanno sperare che gli sforzi per migliorare la situazione della Chiesa nella vostra Patria, condotti con molta costanza e in reciproco rispetto, porteranno a risultati positivi. Di cuore auspico che essi possano condurre anche a risolvere i gravi problemi che ancora permangono.

3. Allo stesso tempo, venerabili fratelli, non posso non fare cenno anche alle preoccupazioni che vi accompagnano nel vostro ministero e che mi avete manifestato sia nelle relazioni quinquennali che nel corso delle nostre conversazioni.

Vi sono alcune priorità che sembrano necessitare del vostro particolare impegno.

In primo luogo, la catechesi della gioventù, in generale dei fedeli, richiede costante, sollecita e generosa cura da parte vostra. Voi sapete che questo problema è di vitale importanza. Nella lettera indirizzata a voi ed a tutta la Chiesa in Ungheria, il 6 aprile 1980, Festa di Pasqua di Risurrezione, ricordavo a questo proposito il grave obbligo che incombe tanto sui Pastori delle diocesi e sui sacerdoti nelle parrocchie, quanto su tutti i genitori che hanno ricevuto da Dio la grande responsabilità dell’educazione religiosa dei loro figli. Nonostante ogni difficoltà, voi siete chiamati, come buoni Pastori del gregge di Cristo, a sforzarvi incessantemente di far fronte, nel miglior modo possibile, al sacrosanto e gravissimo dovere di assicurare ai vostri fedeli, e soprattutto ai giovani, una solida educazione religiosa. A tale fine, siete tenuti a ricercare ed a mettere in atto tutti i mezzi che possono essere a disposizione. Vi esorto perciò a curare con sempre maggiore diligenza le scuole cattoliche - poche invero - esistenti nel vostro Paese, perché corrispondano adeguatamente alla loro specifica funzione.

In connessione con la questione della catechesi, già da qualche tempo voi affrontate, venerabili fratelli, alcune gravi difficoltà in relazione alle comunità ecclesiali di base. È un problema che giustamente vi assilla come Pastori responsabili della Chiesa e la cui positiva soluzione non può essere ulteriormente procrastinata, senza detrimento della comunione di tutti. Nella menzionata lettera del 6 aprile 1980, riferendomi ai criteri esposti dal mio predecessore, di venerata memoria, Paolo VI nella esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi, ho sottolineato che tali comunità, per dirsi veramente ecclesiali, devono soprattutto essere fermamente unite alle Chiese locali, nelle quali sono inserite, e, attraverso di queste, alla Chiesa universale, operando sempre in comunione e sotto la guida dei rispettivi Vescovi. Le comunità di base che osservano tali norme, e vorrei che tutte vi si adeguassero nel più breve tempo possibile, voi - ne sono sicuro - le sostenete e favorite apertamente.

Un pensiero di speciale sollecitudine richiede, poi, il problema delle famiglie. Purtroppo anche nella vostra Patria, come si ammette comunemente, la famiglia versa in grave crisi spirituale: si diffonde il divorzio, aumenta tristemente la piaga dell’aborto, mentre diminuiscono le nascite. Si tratta di un problema delle società moderne nel mondo industrializzato. La Chiesa ha tra i suoi obblighi più rilevanti quello di salvaguardare l’istituto familiare, ancorandolo ai principi della fede cristiana, con un’adeguata preparazione degli sposi, la costante assistenza sacramentale e l’appoggio morale e comunitario, educando e guidando i coniugi alla vita di amore, di fedeltà, di sacrificio e di comune preghiera. Nell’esortazione apostolica. Familiaris Consortio ho ricordato che “in un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia (cf. Gaudium et Spes, 47), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso Popolo di Dio” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 3).

E ancora, venerabili fratelli, come non rivolgere la nostra affettuosa attenzione alle comunità religiose, maschili e femminili, tanto benemerite nel corso dei secoli della cultura, della storia e del progresso della Nazione ungherese? Non posso che esprimere qui il vivissimo voto e la preghiera - da voi, certo, condivisi - che anche oggi quanti nella vostra Patria sentono la voce del Signore che li chiama a consacrarsi a lui nella vita religiosa, anche in quella di carattere contemplativo, possano seguire la loro vocazione per l’edificazione del Popolo di Dio ed il servizio della comunità civile.

Con sollecitudine tutta particolare ricordo, poi, i vostri sacerdoti, che sono i necessari e più immediati collaboratori del vostro ministero. Voi avete costatato con legittima soddisfazione che avete sacerdoti buoni, i quali - con grande dedizione - portano generosamente il “peso del giorno” nella vigna del Signore, benché siano in maggioranza avanzati in età, ed anche talvolta in non buone condizioni di salute. Siate sempre vicini, venerabili fratelli, ai vostri sacerdoti; abbiate per loro sentimenti di padre, rispetto per il loro lavoro, partecipazione ed assistenza fattiva ai loro problemi ed interessi. Soprattutto, mantenete con ciascuno di essi un rapporto di amicizia, di fiducia e di paterna preoccupazione. In tal modo, avrete attorno a voi un clero unito e solidale, e darete maggior efficacia alla vostra missione.

A questo punto desidero ricordare in modo speciale i sacerdoti anziani, sia diocesani che religiosi, come pure le suore che vivono nelle “case sociali”, che con grande dedizione hanno trascorso anni della loro vita nella direzione di scuole, nella formazione degli alunni e nell’assistenza agli ammalati nelle case di cura. Desidero inoltre porgere i miei vivi ringraziamenti a tutti coloro che ogni giorno elevano preghiere a Dio per il Vicario di Cristo e per la Chiesa, ed offrono le sofferenze ed i dolori inerenti alla loro stessa età per la salvezza di tutti. Prego di cuore Dio misericordioso perché questi suoi servi e queste sue ancelle, già anziani e forse vicini alla morte, siano da lui confortati con la sua grazia celeste.

Ovviamente, qui il discorso si allarga alla questione dei Seminari e delle vocazioni sacerdotali, la cui continua e sollecita promozione raccomando di cuore alle vostre apostoliche premure. Memori delle parole di Cristo: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe di mandare operai nella sua vigna” (Lc 10, 2), non manchino ferventi iniziative di preghiera nelle vostre diocesi per supplicare il Signore affinché chiami molti e generosi operai a svolgere il ministero nel campo sacro della salvezza delle anime. Ed adoperatevi con tutto lo zelo perché i Seminari siano case di solida e profonda formazione spirituale ed intellettuale per i giovani chiamati al servizio sacerdotale, seguendo con premura paterna le diverse fasi della loro vita, anche quando si trovano nel servizio militare.

E infine, a livello più generale ma non meno importante, vi invito a voler educare sempre di più i vostri fedeli alla collaborazione e alla corresponsabilità pastorale, alla quale essi sono chiamati in virtù del loro Battesimo e del sacerdozio comune (1 Pt 2, 9), in conformità con le norme del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Ho voluto, venerabili fratelli, svolgere insieme con voi queste riflessioni sulle vostre gioie, ansie e preoccupazioni. Nessuno più del Vicario di Cristo può apprezzare la vostra saggezza e fermezza nell’essere padri e maestri del gregge che il Signore ha affidato a ciascuno di voi. Nel momento di congedarmi da voi, desidero dunque esprimervi una parola di fraterno incoraggiamento. Alimentate nelle vostre diocesi un’autentica testimonianza cristiana, attraverso un clero unito e zelante ed un laicato ben formato e fedele. Procurate voi stessi di adottare, con opportune decisioni prese in seno alla Conferenza Episcopale, forme comuni di azione pastorale, una generosa reciproca collaborazione, una programmazione sistematica per far fronte ai problemi pastorali, ed una saggia distribuzione dei mezzi e delle energie disponibili. Ripeto a voi l’esortazione dell’apostolo Pietro: “Pascete il gregge di Dio a voi affidato, non costretti a forza, ma spontaneamente, secondo Dio . . . E quando apparirà il supremo Pastore, voi riceverete la corona incorruttibile della gloria” (1 Pt 5, 2.4).

Accompagno questi sentimenti con una speciale benedizione apostolica, che estendo volentieri ai vostri sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli di Ungheria, ai quali vi prego di portare l’espressione del mio affetto, particolarmente vivo e profondo. Uno speciale saluto ed augurio di bene anche a tutti i vostri concittadini, che non condividono con voi la vostra stessa fede.

 

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