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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PRESULI DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE DEL BANGLADESH IN VISITA
AD LIMINA APOSTOLORUM»

Venerdì, 11 marzo 1994

 

Cari fratelli Vescovi,

1. Ringrazio sempre Dio per voi - Vescovi del Bangladesh - e per il Popolo di Dio affidato alla vostra cura pastorale memore “davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1 Ts 1, 2-3). Ricordo ancora con profonda gratitudine la mia Visita Pastorale di otto anni fa, quando venni come “un pellegrino nell’”anima” del popolo del Bangladesh” (Giovanni Paolo II, Discorso a Dacca, 19 novembre 1986, n. 2: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 2 (1986) 1476). Siete un “piccolo gregge”, ma siete forti nel Signore (cf. Sal 46, 1), e da voi traggo grande conforto. Prego affinché questa visita “ad limina” rafforzi ulteriormente i vincoli di unità, carità e pace, che uniscono la Chiesa in Bangladesh a questa Sede Apostolica. Attraverso il Ministero Petrino, che è essenzialmente legato a ogni Chiesa particolare, il Vescovo di Roma vi offre il suo sostegno, confermandovi nel compimento del vostro dovere pastorale di edificare l’unico Corpo di Cristo (cf. Ef 4, 12).

2. Poiché i Pastori partecipano alla pienezza del Sacerdozio di Cristo, lo Sposo della Chiesa, anch’essi devono “dare se” stessi “per lei” (Ef 5, 25). Noi siamo servitori della koinonia: sia nella nostra comune sollecitudine per l’intera Chiesa come membri del Collegio episcopale (cf. Lumen gentium, 23) sia nella cura della Chiesa particolare dove Cristo ha posto ognuno di noi come segno visibile di unità. Il Vescovo vive un rapporto sponsale con la sua comunità, rappresentando Cristo, lo Sposo divino. Come il suo Signore, il Vescovo deve amare il suo popolo con cuore totalmente generoso, nutrirlo con la parola rivitalizzante della verità e la grazia dei Sacramenti, e deve spingerlo a compiere tutto “nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col 3, 17).

I nostri primi pensieri in occasione della vostra visita “ad limina” devono essere quindi rivolti al nostro ministero di Successori degli Apostoli al servizio del Vangelo. Il Concilio Vaticano II ricorda a tutti i pastori la loro responsabilità di essere “araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli” (Lumen gentium, 25). Questo appello può essere fecondo soltanto attraverso una vita interiore resa più intensa dall’amore di Cristo. Per mietere un abbondante raccolto nella vigna del Signore bisogna ascoltare la Parola di Dio con riverenza (cf. Dei Verbum, 1) e meditare su di essa con amore nei nostri cuori (Lc 2, 19). Ciò richiede tempo per la preghiera e quella serenità interiore che produce apostoli autentici che possano essere “contemplativi nell’azione”. Come testimoni credibili dovremo trasmettere ad altri ciò che abbiamo udito con le nostre orecchie, visto con i nostri occhi, osservato e toccato con le nostre mani: la Parola di Vita! (cf. 1 Gv 1, 1).

3. Nell’adempimento delle vostre responsabilità pastorali guardate opportunamente ai vostri fratelli sacerdoti, i vostri primari collaboratori nel sacro ministero. A essi va il mio incoraggiamento e l’assicurazione delle mie preghiere poiché sono a conoscenza delle difficili circostanze del loro ministero. Proprio come Cristo chiamò i suoi discepoli “amici” (Gv 15, 15), così un Vescovo deve considerare i suoi sacerdoti “come figli e amici” e essere disposto “ad ascoltarli e a trattarli con fiducia e benevolenza; promuovendo l’intera attività pastorale in tutta la diocesi” (Christus Dominus, 16). Sulle spalle del Vescovo ricade il fardello della promozione della santificazione e della formazione permanente del suo presbiterio.

Il “dono di Dio” conferito attraverso l’Ordinazione deve essere incessantemente “ravvivato” (cf. 2 Tm 1, 6). Lo “stoppino” non deve essere spento (Is 42, 3). Attraverso il dinamismo della sua grazia, lo Spirito Santo chiama continuamente i sacerdoti alla conversione di vita, alla preghiera devota e alla carità pastorale. Il Vescovo “è responsabile della formazione permanente, che è destinata a far sì che tutti i suoi presbiteri siano generosamente fedeli al dono e al ministero ricevuto, così come il Popolo di Dio li vuole e ha “diritto” di averli” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 79). Vi incoraggio a lavorare insieme per stabilire un programma sistematico e completo di formazione sacerdotale, sia nei vostri seminari sia per i sacerdoti che hanno già vissuto alcuni anni di ministero attivo.

Allo stesso modo, la vita consacrata ha bisogno del vostro sostegno, in particolare quando gli istituti religiosi cercano di migliorare la formazione spirituale e intellettuale dei loro membri. I religiosi rappresentano una grande parte della vita della Chiesa in Bangladesh: la loro consacrazione è un segno potente del Regno di Dio che opera nella vita del vostro popolo e il loro apostolato è la ricca fonte di così tanto bene. Sono certo che continuerete ad incoraggiare i religiosi a riflettere sui metodi per incrementare il numero dei possibili candidati. L’intera comunità cattolica è chiamata a una crescente consapevolezza della motivazione cristologica ed ecclesiale che sta dietro a ogni forma di vocazione (cf. Giovanni Paolo II, Redemptionis donum, 3).

4. Soltanto con un impegno di studio serio e devoto è possibile che “l’unica fede” penetri nel profondo delle varie culture, in particolare in Asia, dove le antiche tradizioni religiose hanno plasmato profondamente il carattere e lo stile di vita delle persone. Vegliare sull’autentica inculturazione della fede nei vostri greggi è per voi una grande sfida (cf. Ivi, 55). La cristianità non è estranea a nessuna cultura e a nessun popolo. La proclamazione del Vangelo arricchisce “ciò che ogni uomo, popolo e nazione, ogni cultura durante la storia riconoscono ed attuano come bene, verità e bellezza” (Giovanni Paolo II, Slavorum apostoli, 18). L’Incarnazione Redentrice del Salvatore arricchisce i valori autentici di ogni popolo permettendogli di produrre nuovi e abbondanti frutti.

Il vigore e la creatività dovrebbero ispirare la vostra opera di evangelizzazione, in particolare in quelle regioni che sono più aperte a ricevere il Vangelo. Nel vostro Piano Pastorale della Chiesa in Bangladesh, riconoscete giustamente che la pianificazione e la consultazione a tutti i livelli favoriscono la comunione e il servizio “con” e “per” gli altri. Come un piccolo gregge della “moltitudine di coloro che eran venuti alla fede” è particolarmente importante che rimaniate “un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32) e che siate mossi da un grande senso d’unità e di solidarietà reciproca. L’apparente successo delle sette in alcune parti del vostro Paese è per voi già motivo di preoccupazione. Questa sfida dovrebbe spingervi a non risparmiare alcuno sforzo nel proclamare la verità nel Vangelo, che è “l’unica risposta pienamente valida...” ai “problemi” e alle “speranze che la vita pone a ogni uomo e a ogni società” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 34).

La particolare situazione della vostra nazione rende necessario che coloro che predicano “la verità del Vangelo” (Gal 2, 14) conoscano le tradizioni religiose dei loro connazionali. Ammettendo umilmente ma fermamente che “uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1 Tm 2, 5), coloro che evangelizzano devono sempre rispettare “i semi della Parola” sparsi fra i popoli e le religioni dallo Spirito che “soffia dove vuole” (Gv 3, 8). Discernere la sua presenza e la sua attività, non solo negli individui, ma nelle società, nei popoli e nelle culture, è essenziale se la proclamazione della Chiesa deve produrre un ricco raccolto (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 28). Il futuro dell’evangelizzazione e dell’armonia interreligiosa passa attraverso il rispetto, il dialogo e la cooperazione per il bene comune.

Il credo religioso è una fonte di pace sociale e soltanto la perversione del sentimento religioso conduce alla discriminazione e al conflitto. Le esigenze della verità bandiscono l’uso del proselitismo coercitivo e qualsiasi limitazione del diritto di professare convinzioni personali (cf. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1991, n. 4, 8 dic. 1990: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIII, 2 (1990) 1562ss.). La repressione del diritto alla libertà religiosa deve essere deplorata come un affronto alla dignità delle persone coinvolte.

5. Cari fratelli, condivido profondamente la vostra preoccupazione, in realtà il vostro profondo dolore, per la povertà che affligge così tanti vostri connazionali. Il disordine morale rappresentato dal divario sempre maggiore tra le nazioni ricche e quelle povere ma anche tra il ricco e il povero all’interno dello stesso Paese, richiede una risposta decisa da parte della Chiesa. “Insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano” (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 5). Come testimoniano i vostri sforzi in questo ambito, la Chiesa nutre un amore particolare per le persone povere, abbandonate, emarginate e sofferenti e ha un particolare compito verso di esse. Sono lieto di sapere che, con l’aiuto della Santa Sede, è stato recentemente inaugurato a Mugaipar il Centro Papa Giovanni Paolo II. Prego affinché questo Centro - e tutta l’opera educativa, l’assistenza sanitaria e i servizi sociali che vedono impegnati così generosamente religiosi e laici - siano segni visibili e duraturi dell’amore universale di Dio per ogni persona, indipendentemente dal credo, dalla classe e dall’origine etnica.

6. Questo Anno Internazionale della Famiglia è un passo significativo nel nostro cammino verso la prossima “ora” del Terzo Millennio. Il Signore ci invita ad accrescere la nostra attenzione pastorale verso il “Vangelo della famiglia” (cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 23) e a riconoscere che la difesa e la promozione della dignità della famiglia sono la principale responsabilità del nostro ministero. Per la Chiesa in Bangladesh, voi siete maestri e custodi della verità sulla famiglia. So che state già prendendo delle iniziative in questo “settore, senza dubbio prioritario, della pastorale” (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 73), e desidero incoraggiare l’intera Chiesa in Bangladesh - Vescovi, sacerdoti, religiosi, catechisti e tutti i fedeli laici - affinché si chiedano in quali modi specifici essi possono tutelare e promuovere la santità del matrimonio e della famiglia. Spero che la mia Lettera alle Famiglie, pubblicata recentemente, letta unitamente agli importanti capitoli della Gaudium et spes (Gaudium et spes, nn. 47-52), della Humanae vitae e della Familiaris consortio, servirà a guidare ogni stadio del piano pastorale concernente le famiglie.

Tra le vostre preoccupazioni, rivolgerete indubbiamente un’attenzione particolare alla preparazione matrimoniale per i fidanzati, alle associazioni familiari per le famiglie, all’apostolato giovanile e agli sforzi volti a porre fine al “costume che discrimina la donna” che è “eredità del peccato” (Giovanni Poalo II, Mulieris dignitatem, 14). Con particolare soddisfazione lodo il contributo che avete dato all’educazione alla paternità e alla maternità responsabili attraverso la pianificazione familiare naturale. Questi metodi implicano un modo di vivere il dono della fecondità coniugale che accresce la libertà e la responsabilità degli sposi e assicura un rispetto incondizionato per la dignità della persona e per l’autentica natura del matrimonio.

7. Miei cari fratelli: una delle consolazioni del mio ministero nella Chiesa universale è il costante ed entusiastico amore per Cristo che anima le “giovani” Chiese nel mondo. Sono sostenuto dalla forza della loro testimonianza e dal fervore delle loro preghiere (cf. At 12, 5). Con la ferma fiducia che la Chiesa in Bangladesh sperimenterà una “grande primavera per la Cristianità”, affido tutti i vostri sacerdoti, religiosi e laici alla materna intercessione della Santa Vergine Maria. Come “Madre del più puro Amore”, essa è il “segno” che l’Onnipotente continua a fare grandi cose per noi; e santo è il suo nome (cf. Lc 1, 49). Con la mia benedizione apostolica.

 

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