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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO DI SACERDOTI, RELIGIOSE,
RELIGIOSI E SEMINARISTI LATINOAMERICANI CHE STUDIANO A ROMA

[Aula nuova del Sinodo, 9 dicembre 2025]

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Cari fratelli e sorelle,

Quando Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli, quasi invariabilmente utilizzò la parola «seguimi». In questa breve parola possiamo trovare lo scopo più profondo della nostra vita, come seminaristi, come sacerdoti e come membri della vita consacrata.

Se rileggiamo i testi evangelici della chiamata, la prima cosa che constatiamo è l’assoluta iniziativa del Signore. Li chiama, senza alcun merito previo da parte dei suoi interlocutori (cfr. Mt 9, 9; Gv 1, 43) e guardando piuttosto al fatto che la vocazione a cui li chiama sia un’opportunità per portare il messaggio evangelico ai peccatori e ai deboli (cfr. Mt 9, 12-13). In tal modo i suoi discepoli diventano strumenti del disegno di salvezza che Dio ha per tutti gli uomini (cfr. Gv 1, 48).

Al tempo stesso, il Vangelo ci esorta a prendere coscienza dell’impegno che comporta rispondere a questa vocazione. Ci parla di alcune esigenze che possiamo individuare nella chiamata frustrata del giovane ricco (Mt 19, 21): l’esigenza del primato assoluto di Dio, l’unico buono (v. 17); l’esigenza dell’impellente necessità della conoscenza teorica e pratica della legge divina (vv. 18-19) e l’esigenza del distacco da ogni sicurezza umana, con la conseguente offerta di tutto ciò che siamo e di tutto ciò che abbiamo (v. 21).

Sant’Ambrogio, nella sua esegesi del sorprendente brano del giovane a cui Gesù non consente di seppellire il padre (Lc 9, 59), afferma che con quell’esigenza di lasciare tutto — anche cose di per sé giuste — il Signore non intende eludere i doveri naturali, sanciti dalla legge di Dio, ma aprire i nostri occhi a una nuova vita. In essa nulla può essere anteposto a Dio, neppure ciò che fino ad allora avevamo conosciuto come buono, ed essa comporta la morte al peccato e al vecchio uomo mondano. Tutto ciò «con il fine che siamo una sola cosa al lato di Dio Onnipotente e possiamo vedere il suo Figlio unigenito» (cfr. Esposizione del Vangelo secondo Luca, n. 40).

Per Ambrogio, questa unione indispensabile con Gesù, lungi dall’allontanarci dal fratello, si traduce in comunione con gli altri. Non camminiamo in solitudine, siamo parte di una comunità. Non ci uniscono legami di simpatia, interessi condivisi o mutua convenienza, ma l’appartenenza al popolo che il Signore ha acquisito al prezzo del suo Sangue (cfr. 1 Pt 1, 18-19). La nostra unione tende verso un valore escatologico che si realizzerà quando imiteremo «l’unità della pace eterna con una concordia indistruttibile di anime e in un’alleanza senza fine», e compiremo «ciò che ci ha promesso il Figlio di Dio quando ha levato al Padre questa preghiera: “Che tutti siano una sola cosa, come noi lo siamo” (Gv 17, 21)» (cfr. Esposizione del Vangelo secondo Luca, n. 40).

Infine, nel Vangelo di san Giovanni, Gesù ripete all’apostolo Pietro due volte la frase “Seguimi”. Lo fa in un contesto molto diverso, la Resurrezione, subito dopo la triplice confessione di amore che Pietro compie in riparazione del suo peccato. Pur confessando il suo amore, l’apostolo non comprendeva pienamente il mistero della croce, ma il Signore già aveva in mente il sacrificio con cui Pietro avrebbe reso gloria a Dio e gli ripete: «Seguimi» (Gv 21, 19). Quando, nel corso della vita, il nostro sguardo si annebbierà, come accadde a Pietro, in mezzo alla notte e attraverso le tempeste (cfr. Mt 14, 25.31), sarà la voce di Gesù a sostenerci con amorevole pazienza.

La seconda volta che Gesù dice a Pietro «Seguimi», ci assicura che il Signore conosce la nostra fragilità, e che, molto spesso, non è la croce a imporsi su di noi, ma il nostro stesso egoismo, che diviene motivo di inciampo nel nostro desiderio di seguirlo. Il dialogo con l’apostolo ci mostra con quanta facilità giudichiamo il fratello e persino Dio, senza accogliere con docilità la sua volontà nella nostra vita. Anche qui il Signore ci ripete, con costanza: «Che t’importa? Tu seguimi» (Gv 21, 22).

Fratelli e sorelle, visto che siamo nella società del rumore che confonde, oggi più che mai occorrono servitori e discepoli che annuncino il primato assoluto di Cristo e che abbiano l’accento della sua voce molto chiaro nelle orecchie e nel cuore. Questa conoscenza teorica e pratica della Legge divina si raggiunge innanzitutto grazie alla lettura delle Sacre Scritture, meditata nel silenzio della preghiera profonda, alla riverente accoglienza della voce dei legittimi pastori e allo studio attento dei molti tesori di saggezza che ci offre la Chiesa.

In mezzo alle gioie e in mezzo alle difficoltà, il nostro motto deve essere: se Cristo è passato da lì, anche a noi tocca vivere ciò che Lui ha vissuto. Non dobbiamo aggrapparci agli applausi perché la loro eco dura poco; e non è neppure sano soffermarci solo sul ricordo del giorno di crisi o dei tempi di amara delusione. Piuttosto consideriamo tutto ciò come parte della nostra formazione e diciamo: se Dio lo ha voluto per me, anche io lo voglio (cfr. Sal 40, 8). Il vincolo profondo che ci unisce a Cristo, come sacerdoti, consacrati o seminaristi, è simile a ciò che si dice agli sposi cristiani il giorno delle loro nozze: «nella salute e nella malattia», nella povertà e nella ricchezza (Rito del matrimonio, 66).

Che la Beata Vergine Maria di Guadalupe, Madre del vero Dio per il quale si vive, ci insegni a rispondere con coraggio e serbando nel cuore le meraviglie che Cristo ha compiuto in noi, affinché possiamo, senza indugio, andare ad annunciare la gioia di averlo incontrato, di essere una cosa sola nell’Uno e pietre vive di un tempio per la sua gloria. Che Maria Santissima custodisca il vostro passaggio per Roma e interceda per voi affinché tutto ciò che assimilate a Roma, sia fecondo nella vostra missione. Dio vi benedica.

Vaticano, 9 dicembre 2025.
Memoria di san Juan Diego

Leone PP. XIV

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n. 285, venerdì 12 dicembre 2025, p. 3.