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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 3 maggio 1972

 

Nel Signore Risorto la sorgente del vero cristiano

L'udienza settimanale, durante questo periodo successivo alla Pasqua, trova ancora nella riflessione di questo unico e grande avvenimento, la risurrezione di Cristo, fatto e mistero centrale di tutta l’economia della salvezza, il suo tema preferito. La Pasqua ci insegue, e ci obbliga a domandare a noi stessi se abbiamo dato il debito rilievo al rapporto che la risurrezione del Signore ha con il nostro destino personale, cioè con la nostra risurrezione personale «nell’ultimo giorno» (Cfr. Io. 6, 39-40, etc.).

NUOVO DESTINO

Il Signore ha vinto la morte per Se stesso; ma l’ha vinta potenzialmente anche per noi. E questa vittoria riguarda, non già la nostra anima, la quale è di natura sua immortale (verità questa importantissima, alla quale troppo poco si pensa, e della quale ci è difficile farci un concetto adeguato), riguarda anche il nostro corpo, questo nostro corpo animale e mortale, che ora fa tutt’uno con la nostra anima, ne è lo strumento vitale, e funziona da orologio della nostra presenza nel tempo, destinato poi alla dissoluzione totale (ricordate lo spietato realismo della cerimonia delle «Ceneri»: «ricordati, uomo, che sei polvere, ed in polvere devi ritornare»? - Gen. 3, 19 -).

La Pasqua dice no a questa dissoluzione. Un nuovo destino ci è assicurato. Le nostre ceneri si ricomporranno, rivivranno. La risurrezione di Cristo sarà la nostra. Ascoltiamo S. Paolo: «Non vogliamo poi, o fratelli, che siate nell’ignoranza per ciò che riguarda quelli che dormono (il sonno della morte), affinché non vi rattristiate, come gli altri che non hanno speranza. Se crediamo che Gesù è morto ed è risuscitato, parimente Iddio coloro che sono morti per via di Gesù li ricondurrà con sé» (1 Thess. 4, 13-14).

È veramente un annuncio sbalorditivo, per il suo aspetto consolantissimo, e per il suo aspetto straordinario. La nostra esperienza lo direbbe inconcepibile, impossibile. La nostra fede - siamo nel pieno suo campo - lo dice invece sicuro, certissimo. Così è la Parola di Dio, autenticata in questo caso dal fatto della risurrezione di Cristo.

E come mai la risurrezione di Cristo comporta la nostra?

UN’OPERA DELL’ONNIPOTENZA DIVINA

Qui si entra nelle profondità d’un’altra realtà, d’un altro mistero; ed è l’unione che associa il capo del corpo mistico, capo che è Cristo, alle sue membra, che siamo noi: se è risorto il capo, risorgeranno le membra. E San Paolo argomenta: chi sostenesse che le membra non risorgono, concluderebbe che anche il capo non è risorto; il che, per tutta la concezione del piano della salvezza cristiana, è inconcepibile. L’affermazione e l’argomentazione dell’Apostolo non potrebbero essere più esplicite e categoriche; si veda il famoso passo della I lettera ai Corinti, al capo XV (1 Cor. 15, 12-19). È così forte l’annuncio e così estraneo alla terribilità della morte disgregatrice del nostro essere corporeo, che noi restiamo con una disorientata domanda nella mente: «come possono risorgere i morti? Con quale corpo?» (1 Cor. 15, 35). E qui S. Paolo a spiegarci che la nostra risurrezione è un’opera dell’onnipotenza divina, trionfatrice della ‘morte fuori ogni prevedibilità, solo riferibile alla analogia del seme, che nel processo vegetativo, pur conservando una sua identità essenziale, subisce radicali metamorfosi: «si semina un corpo corruttibile, risorge incorruttibile; si semina ignobile, risorge glorioso; si semina debole, risorge in forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale» (1 Cor. 15, 42-44; cfr. ALLO, I Lett. ai Cor., h. 1). E se queste similitudini placano in certo modo la nostra cieca e barcollante curiosità con la rivelazione d’una palingenesi, vittoriosa d’ogni difficoltà proveniente dall’ordine fisico, fisiologico e biologico, o comunque sperimentale, non le danno alla fine altra soddisfazione che quella della fede: non si tratta di fantasia, di sogno, di mito; si tratta d’una verità, d’una realtà, che sfugge alla nostra presente capacità conoscitiva, salvo che per riferimento a Cristo, causa esemplare, in quanto uomo, nuovo Adamo, capostipite d’una nuova umanità (1 Cor. 1 5 , 20-23), e causa efficiente, in quanto Verbo di Dio, fonte e datore della vita (Matth. 22, 31-32; Io. 5, 21; cfr. S. TH. III, 56).

Ed è così che ciascuno di noi, seguace e credente di Cristo, osa dire, e tutti insieme lo osiamo, al termine della nostra professione di fede: io aspetto la risurrezione della carne e la vita del secolo dell’al di là.

È l’affermazione dell’esistenza oltre tomba, ultima ed eterna, escatologica, personale, piena, perfetta e felice, mediante Cristo vincitore della morte (Cfr. Rom. 4, 25).

LA RIGENERAZIONE DELLA VITA ETERNA

Ed è tale affermazione che deve proiettarsi su tutta la vita presente, alla quale dà un senso, un valore, una speranza, che le dà carattere di vita nuova e che solo Cristo per noi morto e risorto può conferirle. La nostra fede, il nostro culto, la nostra adesione a Cristo morto e risorto non saranno mai abbastanza grandi e coscienti quanto dovrebbero esserlo.

Dà una sorte nuova, un conforto, una dignità anche al nostro corpo, che possiamo chiamare «carne», senza timore che la sua sostanza animale e che la sua imputabilità tentatrice e peccaminosa, come vittima del peccato originale, e fomite di tanti peccati attuali, possa turbarci, perché anch’essa, la carne, la nostra umanità corporea, è stata assunta dalla Persona del Verbo e in lui associata alla natura divina: «il Verbo si è fatto carne» (Io. 1, 14); ed è destinata oggi alla disciplina della purità e della vera bellezza, domani alla rigenerazione angelica della vita eterna (Cfr. Matth. 22, 30). È assai importante per tutto il costume umano e cristiano. Oggi specialmente.

E per noi, figli della Chiesa cattolica, ciò è la scuola e fonte d’uno stile squisitamente cristiano, specialmente in questo mese di maggio, invitati come siamo umili e devoti a particolare venerazione a Maria Santissima, in cui il mistero pasquale ha avuto il suo pieno e anticipato trionfo. Con la nostra Benedizione Apostolica.


Studenti universitari americani

We extend a special greeting to the American University Students who are here in Rome to complete their studies at the Center sponsored by Loyola University of Chicago. We express the hope that their stay in this City, which is so rich in evidence of human and Christian civilization, will effectively assist in their training and prepare them for a life profoundly inspired by truth, justice and love, for their own good and that of today’s society.

We know that these young students, sharing the same ideals as many of their fellow-students in the United States and in the rest of the world, are now suffering because of the aggravation of the war in Vietnam in which their country is involved.

As the Representative of Christ, Teacher and King of Peace, we are obliged to deplore every war: in its causes, in its inhuman violence and in its murderous and senseless destruction.

We wish to consider ourselves close to all those, whether civilians or military, who have been suffering from this conflict for such a long time, in that distant and dear Country, a Nation which we esteem and love so much.

And we express the hope that on both sides the operations of war will come to an end, and that noble and generous proposals for rapid, sincere and effective negotiations for a ceasefire and for peace will prevail over every other interest, and that in this way an honorable and peaceful solution will be made possible.

May the Lord grant his consolation and assistance to all those suffering because of this painful conflict, and give light and courage to those who are responsible for the destiny of peoples that they may reach a long-desired and happy conclusion to this ruinous controversy. For this intention we raise to the Lord our special prayers. And we invite you in particular, young American Students, to pray humbly and fervently for this same end and to place your hopes in the goodness of God and your confidence in men of good will.

                                          



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