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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 22 ottobre 1975

 

Fratelli, Fratelli miei!

Noi abbiamo intrapreso una grande fatica, quando abbiamo iniziato questo Anno Santo come un’opera di rinnovamento. Di quale rinnovamento, in fondo, si tratta? Si tratta d’un tale rinnovamento che ci faccia ritrovare Dio nella nostra vita moderna. Si tratta d’un ritrovamento, un ritrovamento religioso.

È mai possibile? cominciamo col renderci conto che questo ritrovamento costituisce il primo problema del nostro tempo, il primo problema della mentalità contemporanea e, per molti di noi, il nostro primo problema, quello che riguarda più a fondo la nostra anima, il nostro modo di pensare, il nostro modo di agire.

Noi che siamo qui riuniti per ridare alle nostre anime il senso di Dio, per convertirci alla religione, cioè al rapporto autentico e vitale con Dio, per imprimere nella nostra vita la direzione giusta, quella che dà senso e salvezza alla nostra esistenza, per riaprire le labbra e il cuore al colloquio con Dio, cioè per pregare, noi non dobbiamo avere paura a mettere davanti alla nostra coscienza questo capitale e inevitabile problema: esiste Dio, esiste davvero? e come pensarlo? come trovarlo? come comportarci alla sua penetrante e sovrastante presenza?

La domanda incalzante e molteplice ci intimidisce e talora ci scoraggia. Noi sentiamo d’intorno a noi la pressione d’un mondo che vive senza Dio. Un mare di gente, ch’è pure a noi tanto vicina, è, e spesso si professa a-religiosa, irreligiosa. Indifferente davanti a questo problema, che noi invece, giustamente, stimiamo fondamentale; anzi essa si vanta d’essere laica, nel senso radicale della parola, apatica, estranea, quasi affrancata da ogni preoccupazione religiosa; e se ne vanta, come se l’incuranza religiosa fosse segno di libertà e di modernità. Costoro pretendono di vivere senza Dio. Anzi, oggi, pur troppo non sono pochi che vogliono vivere contro Dio, falsamente convinti di due fatali errori: che la religione sia inutile, e che la religione sia errata.

Tutti sappiamo quale diffusione e quale complessità di opinioni, di teorie, di movimenti si concentri su questi pseudo-principii, e quale irradiazione di idee, di letteratura, di propaganda, di costumi scaturisca da essi. Povera nostra civiltà religiosa e cristiana, quale mole negatrice ti opprime e ti schiaccia! povere nostre chiese, dove sono le comunità che nelle vostre mura, nei vostri riti, nei vostri canti celebravano inneggiando a Dio la loro fratellanza? Poveri nostri campanili, fino a quando eretti verso il cielo ci obbligherete a sollevare lo sguardo dalla terra nella fiducia di orizzonti celesti?

Noi non dobbiamo essere insensibili e rassegnati a questa sorte, che, negando Dio ed il suo regno fra noi, distende una notte senza stelle sui destini umani. Il mondo comincia ad accorgersi che la velleitaria negazione di Dio si ritorce in una reale negazione dell’uomo. In ogni modo sia chiaro per noi che quanto più si attesta e si diffonde l’ateismo, teorico o pratico che sia, tanto più noi dovremo, in umiltà ed in fortezza di spirito, essere gli assertori della gloria di Dio, della nostra fede, della nostra sicurezza, della nostra fortuna, della nostra felicità di cristiani, che sanno recitare, cantare anzi, fidenti ed impavidi il loro: Credo in Dio, Padre onnipotente.

Impossibile qui discorrere di un tema vasto come un oceano. Un accenno, un accenno soltanto alla causa, forse principale, della irreligiosità moderna (a prescindere ora da quella sociale e politica). La causa? la causa, strano a dirsi, è il progresso tecnico e scientifico che ha scoperto nelle cose conosciute dai nostri sensi e dalla nostra intelligenza una straordinaria ricchezza di leggi e di energie, e di diversità di enti e di combinazioni fra loro; ha scoperto il mondo, e si è lasciato invaghire, incantare, entusiasmare, legittimamente; e poi si è provato, ed è riuscito a fare strumenti per dominare questo mondo finalmente scoperto, e a farne mezzi meravigliosi per moltiplicare la potenza dell’uomo, la sua ricchezza, e la sua immediata felicità. Che cos’è successo? è successo che l’uomo s’è fermato al quadro delle sue scoperte e del suo studio scientifico, gridando trionfante: questo è tutto! ovvero, sudando dalla fatica d’un implacabile lavoro: questa è la mia catena, non posso pensare -ad altro. Il progresso tecnico e scientifico, che caratterizza il nostro tempo, è diventato un arresto speculativo e spirituale.

L’uomo non si è accorto che quanto più complesso, più interessante, più bello gli appariva il regno conoscibile, tanto più evidente egli incontrava l’impronta d’una Mano operante, di una Causa trascendente; e che perciò la sua conquista, lungi dall’allontanarlo dal Dio creatore, a Lui doveva avvicinarlo. Egli non ha saputo accorgersi che le sue scoperte si presentavano come segni e riflessi d’un Pensiero operante e superiore. Scriveva la Simone Weil: « Se questi oggetti (del nostro studio e del nostro lavoro) non si trasformano in specchi di luce, è impossibile che durante il lavoro l’attenzione sia orientata verso la sorgente di quella luce. Una simile trasformazione è la necessità più urgente ».

Ora questo, Fratelli, è il nostro dovere, la nostra stupenda missione : insegnare all’uomo moderno, lavoratore, impresario o scienziato che sia, che l’accresciuto possesso del mondo è un accresciuto contatto con una rivelazione naturale di Dio, con una sua prima teofania, del Dio onnipotente, alla quale segue poi la rivelazione soprannaturale del Dio-Amore, del Dio del cristianesimo. La religione, invece d’essere inadatta per il mondo moderno, lo è più di prima, quando il mondo era privo di cultura scientifica; e per convincere gli uomini del nostro tempo di questa splendida verità deve affermarsi il rinnovamento del nostro giubileo, ricordando le parole di San Paolo all’areopago di Atene: in Dio, egli disse, « in Lui noi viviamo, noi ci moviamo, noi siamo! » (Act. 17, 28).

Delle mille cose che ancora su questo tema sarebbero da dire questa adesso ci basti! e sia programma di vita nuova e moderna; con la nostra Benedizione Apostolica.

 



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