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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 17 dicembre 1975

 

L’Anno Santo, si può dire, è terminato. Non ci resta oramai che l’attesa della chiusura della Porta Santa per sigillare in questo simbolo la memoria della misericordia divina ricevuta, e del programma di vita nuova, che si è formulato nelle nostre coscienze.

Nell’imminenza di questa conclusione noi ci domandiamo qual è il risultato, qual è il senso di questa celebrazione, a cui la Chiesa, per sé e per il mondo, ha attribuito tanta importanza. Non è facile fare la sintesi di questo avvenimento. Ma lasciando al tempo, e confidando agli studiosi di decantare l’esperienza spirituale dell’Anno Santo, noi possiamo, ancora una volta soffermarci, a guisa di riassunto empirico, ma sostanziale del grande fenomeno spettacolare, di cui noi tutti siamo stati partecipi, rilevando che esso è stato un momento eminentemente, anzi esclusivamente religioso. L’Anno Santo non si può definire né sotto l’aspetto esteriore, turistico, o sociale, o folcloristico, né tanto meno economico, trionfalistico, né sotto l’aspetto interiore, umanistico o ideologico; si definisce semplicemente e globalmente sotto l’aspetto religioso. Le singole persone, le famiglie,, le comitive, i pellegrinaggi che vi hanno preso parte e che lo hanno caratterizzato hanno voluto compiere, com’era prescritto, un atto, uno sforzo, un programma di rinnovamento e di riconciliazione. Queste due parole rimarranno scolpite, noi speriamo, nella coscienza, nella storia di questa generazione. La Chiesa ha pianto, segretamente, ha pregato collettivamente, ha celebrato i suoi riti ed i suoi santi misteri pubblicamente. Ha dato a se stessa, ha manifestato alla società atteggiamenti di spontanea, sincera, profonda religiosità. Questo è saliente, questo è importante. Nell’immenso trambusto della vita contemporanea una lampada, cioè l’affermazione religiosa dell’Anno Santo, si è accesa, ed ha illuminato il panorama della terra; solo le grandi aree dei Paesi refrattari alla luce religiosa, a causa del loro cieco ateismo, sono rimasti (ma forse non del tutto), nella oscurità, nella penombra, pur troppo.

Ora facciamo un passo avanti nella nostra osservazione. Quale senso, quale nome noi daremo al fatto religioso, che stiamo qualificando? Noi l’abbiamo, altra volta, già detto. Il senso generale dell’Anno Santo è quello d’un atto di fede; anzi d’un atto che integra la fede in un atto di speranza, cioè di attesa di futuri destini, quelli così detti escatologici, cioè ultimi, che fin d’ora noi pregustiamo, ed ora, nella vita quotidiana, che passa e che corre, noi prepariamo in combinazione con misteriosi, ma non ‘del tutto ignoti, disegni divini, sovrastanti la fluida storia umana, corrente alla foce d’una apocalittica eternità. La religione ancora s’impone; e più che mai si dimostra come il complemento necessario e felice, che riempie il vuoto, cioè il bisogno spirituale dell’umanità, crescente proprio in funzione del suo progresso nella cultura e nella conquista del mondo.

Oh! per rifarci ad una campana fessa, ch’è falsamente risuonata nel nostro tempo, noi diremo, terminando gaudiosamente il nostro Anno Santo: « Dio non è morto »! Dio è più sfolgorante che mai sul cielo nuvoloso del nostro tempo. La nostra religione svela la verità, il senso della vita; la nostra religione le conferisce, con le sue speranze, il suo vero valore, la sua provvida ragione di viverla coraggiosamente in onestà, ed in pienezza . . . E poi la suprema parola! Ditela voi, se l’avete scoperta compiendo le umili osservanze dell’Anno Santo. La parola più esaltata e più profonda; la parola, che riferita al suo supremo ed autentico significato tutto comprende e tutto spiega; la parola « Amore »: Dio è Amore! Questa è la rivelazione ineffabile, di cui il Giubileo, con la sua pedagogia, con la sua indulgenza, col suo perdono e finalmente con la sua pace, piena di lacrime e di gioia, ci ha voluto riempire lo spirito oggi, e sempre la vita domani: Dio è Amore! Dio mi ama! Dio mi aspettava ed io l’ho ritrovato! Dio è misericordia! Dio è perdono! Dio è salvezza! Dio, sì, Dio è la vita! (Cfr. 1 Io. 4, 16)

E poiché Dio è per se stesso oggetto infinito di Amore ed è Amore verso di noi, e Lui ci ha amati per primo (Cfr. Ger. 31, 3; 1 Io. 4, 10; S. Francesco di Sales, Teotimo, II, 9), noi abbiamo inesauribile motivo per comprendere e per adempiere il precetto fondamentale del Vangelo, quello di amare noi pure Iddio, e « di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente » (Matth. 22, 37).

Noi sappiamo che questo vertice inesprimibile ci dovrebbe mettere in estasi, come lo furono tanti Santi, e come lo sono silenziosamente tante anime pure e pie; ma è per noi, figli della terra e del tempo, appena possibile sapere che così è: Sì, Dio è Amore! Ma godere di questa a noi regalata verità è tuttora difficile; ricadiamo subito nel cerchio immediato della nostra umana, sensibile e logica esperienza; come potremo rimanere sospesi nella contemplazione di questa abbagliante Realtà?

O Fratelli e Figli! noi qui sospendiamo il discorso, e concludiamo le meditazioni dell’Anno Santo, non senza una duplice, solenne raccomandazione. Questa è la prima: rifatevi una conoscenza più piena, più amorosa di Gesù Cristo, nel suo Vangelo, nella teologia della Chiesa, nella spiritualità dei Santi, sempre ricordando quella sua parola-chiave, che ci consente l’ascensione dalla conoscenza di Cristo alla iniziazione verso la conoscenza di Dio, il Padre nostro, che sta nel mistero dei cieli. Disse infatti Gesù: « chi vede me, vede anche il Padre »( Io. 14, 9). Questa è la scala teologica per i sapienti e per i mistici; questo è il sentiero accessibile anche ai piccoli e agli umili (Matth. 11, 25); questa è la via, che conduce alla verità e alla vita (Io. 14, 6).

E l’altra raccomandazione complementare è ancora più accessibile alla nostra comune professione religiosa, concreta ed umana: amate i Fratelli! amate gli uomini, che hanno bisogno del vostro amore e del vostro servizio! (Cfr. 2 Io. 4, 19-21) Sarà la carità fraterna e sociale, ravvivata, moltiplicata nelle opere di bene, che non solo documenterà il nostro fedele impegno all’Anno Santo, ma ne dimostrerà la fecondità e l’attualità anche negli anni avvenire (Cfr. messaggio della C.E.I., 15 dicembre 1975).

Con la nostra Benedizione Apostolica.

 


Saluti

Ai pellegrini del Lesotho

Our special welcome to the distinguished group from Lesotho. We are deeply pleased that your country is represented here today. Take our greetings back to your families and te11 everyone of our love and esteem in the Lord. And may the blessings of the Holy Year be on Lesotho for ever.

Ai Vigili Urbani d’Italia

L’Anno Santo, ormai al suo termine, ci riserba davvero continue occasioni di incontri a tu per tu con i gruppi più straordinari, che ci dicono una volta di più come il richiamo del Giubileo, secondo quanto era nelle nostre intenzioni, operi a fondo nel cuore degli uomini di buona volontà. E così oggi abbiamo la grande gioia di incontrarci con voi, Vigili Urbani d’Italia, per i quali abbiam voluto destinare quest’Aula delle Udienze anche per sottolineare l’importanza e il significato che attribuiamo alla vostra venuta.

Benvenuti! Vi salutiamo tutti di gran cuore, pensando al contributo che voi portate, col vostro impegno e col vostro sacrificio, all’ordinato svolgimento della vita civile. Salutiamo con voi le famiglie carissime, che vi hanno accompagnati, in questo viaggio di fede, di letizia, di penitenza e di rinnovamento. E siamo assai grati all’Associazione Nazionale Comandanti e Ufficiali dei Corpi di Polizia Municipale, all’Associazione Sportiva Polizie Municipali d’Italia, nonché all’« International Police Association » - Sezione Italia – per aver avuto l’idea e collaborato alla realizzazione di questo magnifico pellegrinaggio.

Noi siamo certi che avete compiuto con serietà di uomini e di cristiani un atto così importante, a cui avete partecipato - e pensiamo alle città da cui venite, specie alle più lontane – certamente con qualche sacrificio gravoso, con qualche disagio particolare che ne renderà più meritorio il frutto. Effettivamente è una grande occasione, quella che la Chiesa ha offerto con la celebrazione dell’Anno Santo e col dono di una più grande grazia. Come scrivevamo nella Bolla di indizione del Giubileo, questo dono dell’Indulgenza è dato da essa « a tutti i fedeli che, per profonda conversione dell’anima a Dio, mediante le opere di penitenza, di pietà e di fraterna solidarietà, sinceramente, fervorosamente attestano la loro volontà di rimanere, anzi di progredire nella carità verso Dio e i fratelli » (Apostolorum Limina, 11: AAS 66, 1974, p. 294). Come ben vedete, non è solo un atto esteriore, sia pur scomodo e inconsueto; è qualcosa di ben profondo, che investe tutto l’essere, la persona, la coscienza: si tratta di mettere ordine nella propria vita, ristabilendo i giusti rapporti con Dio nell’osservanza fedele della sua legge, e i giusti rapporti con i fratelli, nella carità e nello spirito costruttivo e comunitario. Mettere ordine: e chi meglio di voi può comprendere questa parola, se il vostro quotidiano dovere, talora tanto arduo, è proprio quello di garantire l’ordine civico nelle sue varie forme di convivenza ordinata, di rispetto delle leggi, di regolamentazione del traffico, della sorveglianza, eccetera? Si tratta di cose molto importanti: voi sapete quanto lo siano, e quanto grande l’impegno che richiedono, l’assillo che procurano. Così, per similitudine, e su scala tanto più alta e significativa, è l’ordine che dobbiamo mettere e mantenere nella nostra vita: nei suoi segreti più riposti, nei suoi riferimenti a Dio, nelle sue norme morali, affinché aspirazioni e desideri verso tutto ciò che è grande, bello, buono, vero - cioè verso Dio - siano un vero patrimonio da custodire e da trasmettere.

Vi auguriamo che tale sia il frutto del vostro Giubileo romano, da tramandare con un’esperienza unica ai vostri figli, e poi ai nipoti, e a quanti incontrerete nella vita. Cosi preghiamo per voi, per il vostro lavoro, per i vostri Colleghi che, rimanendo al loro posto, vi hanno permesso di venire a Roma. Tutti abbracciamo col nostro saluto e col nostro cuore, e tutti benediciamo, nel nome del Signore.

Al Coro dell’Accademia di Santa Cecilia

Accogliamo anche con paterna benevolenza i membri del Coro romano dell’Accademia di Santa Cecilia. Avete voluto compiere il gesto penitenziale del Giubileo, e questo ci procura viva soddisfazione. Auspichiamo che tale sosta di spirituale rinnovamento e riconciliazione sia per voi un vero ritorno alle sorgenti, un’occasione per purificare costantemente la vita, per elevarla, per nobilitarla con i valori più alti della fedeltà alla Legge di Dio e della sua Chiesa. L’arte musicale, della quale siete interpreti ammirati, vi può essere di valido aiuto in questo sforzo ascensionale, perché, più che ogni altra espressione artistica, è nobile e spirituale, e, più di ogni altra, strumento di raffinamento della mente e del cuore, e perciò di elevazione verso Colui che è l’armonia perfetta perché è bontà, verità e bellezza suprema. Coltivate in voi alti sentimenti umani e cristiani, siate di esempio e di edificazione, trafficate bene i talenti che il Signore vi ha dati!

Noi preghiamo per voi, affinché questo sia il frutto del vostro Giubileo; e tutti vi benediciamo, unitamente ai vostri familiari.

 



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