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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 23 marzo 1977

 

La penitenza, sacramento della Risurrezione e della Pace

La prossimità della Pasqua ci invita ad un dovere caratteristico della partecipazione d’ogni singolo fedele alla celebrazione della grande festa della Redenzione, quello di «confessarsi», cioè di accostarsi al sacramento della Penitenza, personalmente e sinceramente, accusando i propri peccati con umile pentimento e con proposito di emendarsi. Questa è una legge grave della Chiesa, tuttora vigente; una legge difficile, ma quanto mai salutare, sapiente e liberatrice; una legge, la cui osservanza incontra oggi due ordini di difficoltà, uno pratico ed estrinseco, quello di trovare le circostanze concrete favorevoli all’adempimento di questo precetto; l’altro psicologico e intrinseco, quello di formulare nella propria coscienza il concetto del peccato, anzi dei propri peccati, e di avere il coraggio di accusarli, sia pure sotto la garanzia del più assoluto segreto, ad un sacerdote, cioè ad un ministro autorizzato dalla Chiesa per averne da lui l’assoluzione con le relative imposizioni penitenziali.

Dobbiamo perciò notare una certa progressiva inosservanza di questa prassi sacramentale, con molteplici e notevoli recessioni nella fedeltà e nella vivacità della vita cristiana e della consapevolezza della vita ecclesiale. E ciò con gravi apprensioni in chiunque, ministro o semplice fedele che sia, ami la realtà mistico-sociologica del mistero della nostra inserzione in Cristo, il mistero della grazia, il mistero della nostra salvezza. Che l’uomo sia tuttora e sempre bisognoso di questo sacramento lo dice non solo il diritto canonico (Cfr. Codex Iuris Canonici, can. 906), lo dice la diminuita coscienza di quella rigenerazione profonda prodotta in noi dal battesimo con il conseguente obbligo di derivarne un originale, coerente e superiore stile di virtù morali, e lo dice l’esperienza dei vantaggi spirituali che la confessione, specialmente se l’uso sapiente di essa accompagna lo sviluppo e lo svolgimento della vita vissuta, assicura all’anima che vuole essere forte e fedele nella professione della propria religione (Cfr. A. MANZONI, La Morale Cattolica, 1, cap. VIII).

Noi non entreremo con questo semplice accenno nell’apologia della Confessione sacramentale. Un’apologia, che può essere vastissima, se studiata storicamente; può essere fecondissima utilizzando gli sviluppi stessi degli studi, scientifici o letterari, della psicologia dell’uomo moderno; e può essere consolantissima per quanti si avvedono che un’onesta e obiettiva indagine sopra le radici interiori dell’umano operare conclude ad uno sconsolato e perfino disperato pessimismo circa l’inettitudine dell’uomo alla virtù autentica e stabile. Ci basti dire che questa apologia è possibile e facile a chi ricordi le parole di Cristo risorto, proclamate la sera stessa della sua risurrezione, quando Egli apparve nel cenacolo ai suoi discepoli: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro, e disse: ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, non rimessi resteranno» (Io. 20, 21-23). Il sacramento della Penitenza, così istituito, si definisce subito il sacramento della risurrezione delle anime morte, il sacramento delle anime redivive, il sacramento della vita, della pace, della gioia.

Ci basti esortare i nostri Fratelli sacerdoti, abilitati all’amministrazione del Sacramento della Penitenza, a dare all’esercizio pastorale ch’esso autorizza e conforta, l’importanza ch’esso reclama, la stima, il culto, lo spirito di sapienza e di sacrificio ch’esso si merita: è la Confessione il sacramento terapeutico per eccellenza, il sacramento pedagogico per la formazione cristiana a tutti i livelli (Cfr. Seminarium, 3, 1973).

Ed esorteremo poi tutti i Fedeli a sgombrare il proprio animo da ogni diffidenza che la vigente disciplina sacramentale può suscitare per il suo pratico esercizio. Se oggi la Chiesa autorizza in certi casi particolari, l’assoluzione collettiva, ricordino che questa autorizzazione ha carattere eccezionale, non dispensa dalla confessione personale, e non li vuole privare dell’esperienza, dei vantaggi, del merito di essa: scuola di sapienza morale, la confessione educa la mente a discernere il bene dal male; palestra di energia spirituale, essa allena la volontà alla coerenza, alla virtù positiva, al dovere difficile; dialogo sulla perfezione cristiana, essa aiuta a scoprire le vocazioni proprie delle singole anime e a corroborarne i propositi per la fedeltà e per il progresso verso la santificazione, propria ed altrui. Possa la prossima Pasqua apportare a ciascuno di voi la fortuna di celebrarla con una buona Confessione! È con la Comunione il grande dono pasquale (Cfr. Catechismus ex Decreto Concilii Tridentini ad Parochos, De Poenit. Sacramento; et SACRAE CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI Normae pastorales circa absolutionem sacramentalem generali modo impertiendam, 16 iunii 1972: AAS 64 (1972) 510 ss.).

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Ai fedeli della Parrocchia romana di Sant’Eligio

Rivolgiamo ora un saluto particolarmente sentito ai 250 fedeli della Parrocchia romana di Sant’Eligio a Ovile, venuti col loro Parroco, e con Monsignor Vittorio Terrinoni, Ausiliare del nostro Cardinale Vicario, per celebrare festosamente il decimo anniversario della costituzione della loro comunità.

Carissimi, sappiate che noi vi consideriamo e sentiamo come nostri figli particolari, in quanto membri della grande famiglia diocesana di Roma. Perciò vi esortiamo ad una schietta vita cristiana che da una parte sia fatta di totale fedeltà al Signore e alla Chiesa, e dall’altra di coerente testimonianza di fronte al mondo. Auguriamo all’intera vostra Parrocchia di crescere sempre più in armoniosa unità di intenti, partecipando responsabilmente e costruttivamente alle varie forme di vita associativa, così da edificare tra voi e in voi il tempio santo di Dio.

Di tali voti vuol essere pegno la nostra Benedizione Apostolica, che di gran cuore impartiamo a voi qui presenti, incaricandovi di estenderla ai vostri Cari e a tutta la vostra Parrocchia, in particolare ai malati e ai più bisognosi di cristiano conforto.

Alle Religiose di San Giuseppe di Chambéry

Il nostro saluto va ora al gruppo di Religiose della Provincia italiana della Congregazione di San Giuseppe di Chambéry, presenti all’udienza per testimoniare, in occasione del centenario di istituzione della Provincia stessa, la devozione profonda e la immutabile fedeltà, che lega la loro Famiglia religiosa a questa Sede Apostolica. Esse accompagnano una folta rappresentanza di alunne delle loro Scuole Superiori di Roma e di Albano Laziale e di genitori iscritti all’Associazione Genitori Scuole Cattoliche.

Cogliamo volentieri l’occasione per esprimere a queste benemerite Religiose il nostro vivo apprezzamento per l’opera solerte, che esse svolgono in mezzo alla gioventù studiosa ed a servizio di anziani e malati. Continuate, dilette figlie, con entusiasmo sempre rinnovato, a sforzarvi di orientare la vostra vita secondo lo spirito del motto programmatico, caro al vostro Fondatore: «Servire tutto il caro prossimo nella perfetta obbedienza alla Santa Chiesa». È una formula che, se applicata con coerenza fino alle ultime conseguenze, conduce diritto alla santità. Alle vostre alunne, poi, affidiamo una precisa consegna: che cioè sappiano unire agli studi superiori l’approfondimento consapevole e gioioso della religione e della morale cristiana, perché la loro vita abbia una ricchezza di contenuti e una pienezza di sintesi intellettuale e spirituale, quale la fede cristiana, amata e vissuta, permette di raggiungere.

Valga a confermare i buoni propositi la nostra Apostolica Benedizione.

                               



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