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DISCORSO DI PAOLO VI
AL PELLEGRINAGGIO NAZIONALE UNGHERESE

Mercoledì, 24 maggio 1972

 

Sono passati ormai tanti anni da quando, in occasione del XXXIV Congresso Eucaristico del 1938 a Budapest e del nono centenario della morte di Santo Stefano d’Ungheria, abbiamo potuto conoscere ed ammirare di persona la religiosità profonda e commovente del popolo ungherese. I ricordi della adorazione eucaristica notturna di uomini nell’immensa Piazza degli Eroi, la manifestazione della gioventù, la meravigliosa processione eucaristica sul Danubio nell’incantevole cornice della vostra Capitale, l’unità di sentimenti religiosi e patriottici nella celebrazione dell’anniversario di Santo Stefano si fanno vivi in questo momento solenne, in cui per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiamo la gioia di ricevere un pellegrinaggio che a noi viene dalla diletta Ungheria.

Questo pellegrinaggio si ricollega al ricordo di un’altra analoga storica data: la nascita ed il battesimo di Santo Stefano che coincide con il primo millennio della Chiesa d’Ungheria, la quale venera in Santo Stefano il suo fondatore e che ha da lui ereditato anche l’amore e la fedeltà al Papa. Il vostro Santo Re, infatti, tramite il suo legato chiese l’approvazione e la benevolenza di questa Sede Apostolica per le sue opere ecclesiastiche ed espresse il desiderio di aver presso la Tomba di San Pietro una chiesa nazionale ed un ospizio per i pellegrini della sua gente.

Nel nome di Santo Stefano noi vi rivolgiamo dunque il nostro caloroso, paterno benvenuto!

La ricorrenza storica, alle cui celebrazioni il vostro pellegrinaggio pone quasi coronamento e suggello, vi ha dato occasione di ricordare ed ammirare le ricchezze spirituali del vostro passato, il contributo incommensurabile apportato dalla Chiesa alla cultura del vostro Paese, il sostegno morale che la fede ha rappresentato per la vostra nazione nei periodi di tante prove. E voi avete ringraziato la Provvidenza che vi ha conservati nell’eredità di Santo Stefano. Questa eredità, che è fatta di inconcussa fedeltà alla religione cristiana e di generoso amore alla patria ungherese, voi dovete tramandare intatta, anzi arricchita, alle generazioni future. È quanto abbiamo detto già all’intera vostra Nazione nella Lettera Apostolica che abbiamo ad essa indirizzato all’inizio dell’anno millenario di Santo Stefano e nella quale abbiamo manifestato, insieme, l’affetto particolare che ad essa portiamo.

L’odierno incontro ci dà modo di ripetere tale esortazione e tali sentimenti in una forma che, se è più familiare, non è meno pubblica e solenne, e vorrebbe poter trovare la via del cuore di tutti i nostri figli di Ungheria.

Sappiano essi che il Papa li ama; che apprezza e stima i loro valori nazionali, tanto vari e ricchi; che egli segue con l’attenzione più cordiale le vicende della loro vita religiosa e civile; che augura un sicuro e completo avvenire alla loro Patria, ed a ciascuno dei suoi figli la felicità che è possibile a un padre auspicare.

Questo messaggio portate ai vostri connazionali, tornando dal pellegrinaggio romano.

Esso giunge a voi mentre ancora perdura l’eco della solennità liturgica della Pentecoste, la quale ha rinnovato il ricordo di quella luce e di quel fuoco che dal giorno della discesa dello Spirito Santo hanno inondato e vivificato la terra.

Preannunziandone la venuta, al momento della sua Ascensione, il Signore aveva detto agli Apostoli: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (Act. 1, 8).

Anche voi avete ricevuto il dono dello Spirito. Anche voi dovete essere testimoni di Cristo, della sua dottrina, del suo amore, nella vostra patria.

Eritis mihi testes - innanzitutto voi, Vescovi e Sacerdoti, chiamati dal Signore ad ammaestrare le genti, insegnando loro ad osservare tutto ciò che Egli ha comandato (Matth. 28, 19-20). Missione difficile in un mondo in cui, come ai tempi di San Paolo, la croce continua ad essere scandalo per gli uni e stoltezza per altri. Vi auguriamo di cuore che Cristo resti invece sempre per voi e per i fedeli affidati alle vostre cure la potenza e la sapienza di Dio (1 Cor. 1, 23), il fondamento della salvezza e della vostra speranza.

Siate, poi, testimoni del Signore con la vostra condotta quotidiana e con la vostra sollecitudine pastorale, offrendovi «come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile» sicché nessuno abbia «nulla di male da dire» sul conto vostro (Tit. 2, 7-8).

Ringraziamo in voi tutti i fratelli, per i quali, nello spirito di San Paolo, «il vivere è il Cristo» (Phil. 1, 21) ed hanno reso e rendono una testimonianza luminosa per la Chiesa nella vostra patria.

Eritis mihi testes - anche voi, Figli e Figlie dilettissimi chiamati dal Signore a riconoscerlo davanti agli uomini, per essere riconosciuti da Lui davanti agli angeli di Dio (Luc. 12, 8). Il Concilio Ecumenico Vaticano II vi invita ad alimentare il mondo con frutti spirituali e ad essere in esso «ciò che l’anima è nel corpo» (Lumen Gentium, 38). Una missione stupenda: non estraniarsi da questo mondo, ma cambiarlo, trasformarlo, perfezionarlo, lealmente cooperando con quanti onestamente intendono lavorare allo stesso scopo.

La fede non è impedimento allo sviluppo umano, ma anzi, come della Chiesa dice il Concilio, «risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida le compagini della umana società ed immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato» (Gaudium et Spes, 40).

Siano i cristiani, tutti, operatori di bene e di verità, esempio di amore fraterno e di civica solidarietà, difensori dei diritti della persona umana, sin dai primi istanti della sua esistenza, banditori di speranza anche nel momento delle tribolazioni e delle sofferenze. Un particolare ricordo desideriamo avere per le famiglie, cellule vive della società, dalla cui sanità in tanta parte dipende l’avvenire della Chiesa e della Patria. Da esse, infatti, le generazioni che sorgono ricevono la loro prima formazione, l’impronta destinata a rimanere od almeno a lasciare una traccia profonda in tutta la loro vita, nel loro pensare e nel loro operare.

Che ai vostri fanciulli ed ai vostri giovani non manchi, insieme con un’adeguata preparazione culturale, professionale e civica, l’inestimabile beneficio di una genuina istruzione ed educazione religiosa. Da per tutto, oggi, si lamentano difficoltà in questo campo delicato e importantissimo; in qualche parte le difficoltà sono ancora maggiori. Ma noi confidiamo, per superarle, nell’opera zelante dei sacerdoti e nella collaborazione della famiglia cristiana «che si potrebbe chiamare Chiesa domestica», nella quale «i genitori devono essere per i loro figli i primi annunciatori della fede» (Lumen Gentium, 11).

Fioriscano e si moltiplichino fra di voi queste «chiese domestiche», santuari di virtù umane e cristiane, di preghiera, di rettitudine, di generosità. Da esse continueranno a sorgere, altresì, le vocazioni sacerdotali delle quali il vostro popolo abbisogna e che noi chiediamo al Signore di non lasciarvi mancare.

Un nuovo millennio della vostra storia è ormai iniziato. La fiaccola della fede tramandatavi da Santo Stefano lo illumini tutto: per indicare ai figli della Nazione ungherese le vie della felicità futura, ma anche per sostenerli e aiutarli nella costruzione della città terrena, nella pace, nella libertà, nello sforzo di continuo progresso in ogni campo dell’attività umana.

Il nostro augurio, che la preghiera accompagna e che noi affidiamo alla intercessione onnipotente della Madonna «Patrona Hungariae», va dunque alla Chiesa in Ungheria e alle sue sorti, ma vuole rivolgersi anche allo Stato, che come essa ha conchiuso il primo millennio dalla propria costituzione e con essa prosegue il suo cammino; noi lo auspichiamo contrassegnato sempre da rapporti di correttezza e vicendevole cordialità, nel riconoscimento dei rispettivi diritti e nella leale cooperazione al servizio del bene del popolo ungherese.

Con questo auspicio concludiamo questo incontro, che noi speriamo seguito da altri, con i vostri connazionali, invocando su di voi, sui vostri cari, sull’intera Ungheria, la benedizione di Dio. Di essa è pegno quella che ora noi di tutto cuore vi impartiamo.

                                            



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