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PRIMA ALLOCUZIONE CONCISTORIALE
DI SUA SANTITÀ PIO XI 

«VEHEMENTER GRATUM» 

11 dicembre 1922

 

Venerabili Fratelli,

è per Noi un grande piacere — dopo che per arcana decisione di Dio, a seguito dei vostri voti, siamo stati elevati a questa Sede Apostolica — vedervi oggi qui riuniti e rivolgervi la parola. Innanzi tutto vogliamo che risuoni in questo consesso l’elogio del Nostro assai rimpianto Predecessore Benedetto XV, il quale, in un periodo quanto mai burrascoso, governò la Chiesa in modo tale da riscuotere non solo il plauso dei cattolici, ma anche l’ammirazione degli avversari. Infatti, mentre gli uomini si accanivano fra loro nell’odio, egli, perseverando nel predicare la pace, riempì il mondo dei benefici della sua carità. La sua memoria certamente rimarrà benedetta, e Noi la conserveremo religiosamente, ricordando specialmente quanta fiducia egli riponesse in Noi anche in affari di grande importanza.

Prendendo la sua successione, abbiamo senz’altro assunto un gravissimo onere, tuttavia nelle molte Nostre sollecitudini di questo breve tempo ci sono state di grande conforto la vostra solerte collaborazione, la vostra saggezza e la vostra concorde devozione, unitamente alla pietà ed alle molteplici filiali testimonianze dei Vescovi, del clero e del popolo cristiano. Il che, se per Noi è motivo di vivo compiacimento per il passato, Ci fa anche sperare per l’avvenire, perché, rivolgendo lo sguardo al mondo intero da questo alto soglio Apostolico, troviamo purtroppo che persistono ovunque le antiche fonti di dolore, aggravate da un nuovo cumulo di mali e di pericoli.

E per accennare a qualcuno dei più gravi, Ci tengono tuttora in vivissima angustia le cose della Palestina, di quella terra che fu culla della nostra fede e che fu bagnata dai sudori e dal sangue del Redentore Divino. E voi stessi ben sapete, Venerabili Fratelli, quale opera abbia spiegato nel difendere i diritti dei Luoghi Santi il Nostro Predecessore di cui resta, testimonianza solenne, la memoranda allocuzione pronunciata nel Concistoro del 13 giugno dello scorso anno. Ora, poiché — come sembra — la Società delle Nazioni dovrebbe prossimamente occuparsi nuovamente in seduta plenaria della questione palestinese, Noi facciamo Nostre la rivendicazione e la richiesta del Nostro Predecessore, cioè « che quando sarà giunta l’ora di decidere sulla sorte della Palestina, i diritti della Chiesa Cattolica e di tutta la cristianità siano rispettati e salvaguardati in quei paesi ». Anzi, considerando quanto siano manifestamente prevalenti i diritti della Chiesa Cattolica, in conformità del dovere che discende dal Nostro apostolico ministero, Noi dobbiamo volere che quei diritti siano salvi non solo di fronte agli israeliti ed agli infedeli, ma anche agli acattolici a qualsiasi setta o nazione appartengano.

Siamo pure preoccupati vivamente per le altre popolazioni orientali, la cui condizione, turbata recentemente da gravissimi moti, con gli incendi, con le stragi e le devastazioni, si è andata di giorno in giorno talmente aggravando che è pressoché impossibile provvedere in misura adeguata ad una condizione di cose tanto disperata.

Allo scopo di alleviare una mole di miserie tanto rilevante, abbiamo tentato tutto quanto era in Nostro potere, disponendo pure che il Nostro Nunzio Apostolico in Romania si recasse a Costantinopoli per sovvenire, per quanto gli fosse possibile, alle nuove calamità. Piaccia al Signore che al più presto tutto ritorni sotto l’impero della giustizia e della carità, e che quelle regioni possano ritrovare la pace e la tranquillità di quando avevano abbondante benessere e potevano contare su numerosi uomini illustri per santità e sapienza. Ciò non potrà avverarsi compiutamente se non torneranno nel seno della Madre Chiesa, dalla cui comunione derivò loro tanto vigoroso alimento di fratellanza e di civiltà.

Ma non Ci sentiamo meno preoccupati allorché rivolgiamo lo sguardo alle regioni della Russia, dove non soltanto sono represse le libertà religiose e civili, ma dove la fame e le epidemie mietono vittime fra quelle infelici popolazioni, infierendo specialmente fra i più deboli e gli innocenti, come le donne, i vecchi e i bambini. Se chiunque abbia un po’ d’umanità non può non dolersi davanti ad uno spettacolo tanto triste, a maggior ragione non poteva rimanere indifferente l’animo del Padre comune dei popoli. E così facemmo di tutto per continuare l’opera iniziata e lasciataCi quasi in retaggio dalla carità inesauribile del Nostro Predecessore. Né solamente la continuammo, ma l’ampliammo, per quanto possibile, come volevano le accresciute necessità. Perciò, non bastando la povertà Nostra all’immenso bisogno, invocammo ripetutamente il soccorso di tutti i cattolici, anzi di tutto il mondo civile, e con sì felice risultato che l’universale generosità Ci diede modo d’intervenire continuamente fino ad oggi con ampi soccorsi. E voi sapete che un gruppo di uomini egregi, da Noi inviati in quelle sterminate regioni, va distribuendo alimenti, indumenti e medicinali ai bisognosi — e ciò senza distinzione alcuna, tenendo conto soltanto della necessità — pur non dimenticando i doveri speciali che, come insegna Paolo, abbiamo verso « i fratelli nella fede ».

In tale missione di caritatevole soccorso, Ci siamo attenuti, Venerabili Fratelli, alla pura tradizione della Chiesa Romana, la quale, anche in questo senso, poté essere definita dal martire Ignazio « la presidente della carità »; lode ripetuta poi da Dionigi, vescovo di Corinto, nella sua lettera al Papa Sotero: lettera piena di ammirazione e di riconoscenza verso la Chiesa Romana per i benefici da essa apportati al suo gregge e specialmente ai Confessori della fede nei momenti di maggiore angustia. Questo primato di carità, che è conseguenza del primato di dignità e di governo, deriva al Pontefice dalla consapevolezza della sua stessa universale paternità, la quale emana da Dio, « da cui prende nome ogni paternità in cielo e in terra », e che da Gesù Cristo fu esplicitamente conferita al Pontefice nella persona di Pietro con le parole: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle »; parole che si estendono non solo a coloro che già appartengono al gregge di Cristo, ma anche a quelli che sono chiamati ad entrarvi fino a « che si faccia un solo ovile ed un solo Pastore ».

In verità, come Ci siamo adoperati per procurare i soccorsi materiali ai figli più bisognosi, così con ogni sforzo abbiamo cercato di assicurare a tutti i vantaggi della pace: di quella pace che è stata il sospiro ardente del Nostro Predecessore, e che purtroppo non è ancora venuta a consolare con la sua luce il genere umano. Pertanto, quando i Rappresentanti delle Potenze civili erano riuniti a Genova, li esortammo a considerare le tristi condizioni nelle quali i popoli si dibattono e quali fossero i rimedi efficaci da portare a così grande calamità; e contemporaneamente invitammo tutti i fedeli ad unire le loro preghiere alle Nostre per impetrare da Cristo, Principe della pace, il felice esito della Conferenza. Ma poiché sembra prossima un’altra riunione a Bruxelles dei delegati delle Potenze per esaminare la situazione economica dell’Europa, che negli ultimi mesi si è aggravata, Noi ripetiamo lo stesso appello e le stesse esortazioni. D’altra parte, queste riunioni ufficiali, che si ripetono l’una dietro l’altra, non saranno di alcuna utilità e si risolveranno in un’amara e pericolosa delusione per i popoli, fino a che i Governi non si decideranno a contemperare le ragioni della giustizia con quelle della carità; il che, alla fine, ridonderà a vantaggio e dei vincitori e dei vinti.

Nutriamo fiducia, Venerabili Fratelli, che questa missione di carità e di pace della Chiesa e del Romano Pontefice contribuirà molto alla pacificazione e alla restaurazione della società. E tale auspichiamo sia l’opera Nostra, quale fu, per il mondo cattolico, quella svolta dai due Nostri immediati Predecessori: dei quali, uno si propose di restaurare tutto in Cristo, e l’altro non cessò di raccomandare agli uomini la pace cristiana. Ora Noi vogliamo fondere i loro programmi in uno solo nel Pontificato, in modo che il Nostro motto possa essere questo: « La pace di Cristo nel regno di Cristo ». Ma di questo diremo più ampiamente nella Lettera Enciclica che Ci apprestiamo ad indirizzare a tutti i Vescovi, quasi come strenna per il Natale del Signore e del nuovo anno.



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