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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII
AI MEMBRI DELLA CURIA ROMANA

Mercoledì, 5 aprile 1939

 

Con intima gioia, Venerabili Fratelli e diletti Figli, vediamo in quest'ora riuniti e raccolti intorno a Noi gli Eminentissimi Cardinali, gli Officiali maggiori e minori, i Consultori della Curia Romana, l'insieme di quelle Congregazioni, Tribunali ed Offici vari, onde il Romano Pontefice dalle rive del Tevere, da questa Città del Vaticano e dalla diocesi di Roma, ai confini del mondo stende e agevola a se stesso il governo della Chiesa universale. In mezzo a voi Ci pare di cingere quella corona, che al secondo Principe degli Apostoli esaltava lo spirito nel chiamare i Filippesi fratelli suoi carissimi e desideratissimi, suo gaudio e sua corona (1). Questa corona che con la vostra amata presenza intrecciate intorno a Noi, non è corona di ori e di gemme o di fiori scavati o spuntati dalla fredda terra: è corona viva, vivissima di ori del vostro eletto grado, di gemme delle vostre virtù, di fiori della vostra scienza e prudenza, del vostro operoso servigio, del vostro dignitoso sacrificio.

Fin dalle prime aurore del Nostro Pontificato avete voluto porgerCi il dono, con amore offerto e con amore accettato, del vostro omaggio, della vostra fedeltà, della vostra collaborazione. Fin dai primi passi del cammino noto solo a Dio, che chiama le cose che non sono come quelle che sono e le indirizza all'alto fine, per il quale qui in Roma, sul colle Vaticano, collocava, segnale di salute ai popoli, la Pietra fondamentale della sua Chiesa, voi avete voluto farCi sentire che al fianco di Pietro, da tanti secoli avvezzo non meno al trionfo che al dolore, alla lotta e alla preghiera, sta una schiera bene ordinata di consiglieri e di cooperatori, al cui nobile zelo, alla cui provata scienza, alla cui matura esperienza, ai cui elevati intenti Iddio Ci concede la consolante fiducia di affidare quelle importanti incombenze e gravi cure per l'onore e l'incremento della Santa Sede, per il bene delle anime, che le disposizioni del diritto canonico designano quale sacro arringo del molteplice lavoro della Curia Romana. A questo vivido sentimento, che la salda fiducia in voi desta nell'animo Nostro, il Nostro cuore, che prova la stretta del peso dell'ammanto papale, si rafforza e si riposa; e la parola Nostra si effonde innanzi a voi, e in questa adunanza di tutti i Dicasteri della Curia Romana, degli Uffici e delle Amministrazioni Palatine, della Commissione Pontificia per la interpretazione del Codice di Diritto Canonico, del Vicariato di Roma e della Città del Vaticano, coi Parroci e i Predicatori quaresimali dell'Urbe, della Commissione per le Opere di Religione, paternamente manifesta la stima e l'amore che ad ognuno di essi Noi portiamo. Ma per eguale contraccambio parliamo come a fratelli e a figli con l'Apostolo: «Dilatamini et vos» (2), affinché il Nostro amore verso la Santa Chiesa sia pieno. Dilatatevi anche voi al pensiero che servite questa Sposa di Cristo, per la quale egli diede se stesso a farla vestita di gloria, senza macchia e senza ruga, ma santa e immacolata; questa divina Sposa, che dilata e pianta le sue tende per l'universo, grida il Vangelo in ogni regione del globo, discende coi suoi suffragi nel carcere di quei che attendono di volare un giorno alle beate genti, sale al cielo a invocare e chiamare quaggiù gli eroi della santità e del bene, perchè nella gloria che loro tributa sugli altari si facciano salute e conforto degli esuli figli di Eva.

Di qui voi comprendete la nobiltà e la grandezza del servire questa Sposa di Cristo nella Curia Romana: è quel servire che non umilia, ma esalta; perchè servire Deo regnare est. La Sacra Romana Curia, se ha un nome e un simbolo nella Curia dei Quiriti, dei Consoli e dei Cesari un dì palestra dei destini dei popoli, ora taciturno monumento fra le rovine del Foro, ha una vita e un suggello proprio, che l'innalza sopra la caducità degli imperi e dei regni, come s'innalza lo spirito sopra il corpo, la grazia sopra la natura, l'opera di Dio sopra l'opera dell'uomo. Coeva dell'assemblea del presbyterium pontificio in Roma, crebbe e vigoreggiò al fianco dei Pontefici quale senato che si incorona di molta perizia (3), operoso e saggio, più che per maestà di anni, per doti di sapienza e prudenza. Erede di un passato spesso agitato, rimaneggiato, riordinato, aggrandito dal grandeggiare dei bisogni, delle cure apostoliche nella difesa e nella diffusione della fede e della disciplina fra i pastori e il gregge, la Curia Romana nella sua forma presente, nella sua intima struttura o procedura regolata fin nei particolari, mentre nella sua essenziale costituzione conserva la pratica e l'esperienza dei secoli, vi aggiunge il vanto e la lode di non aver esitato a tempo opportuno a saggiamente conformare se stessa alle nuove necessità e ai mutati doveri. Alla poderosa tempra di un Sisto V, al santo zelo riformatore di un Pio X, alla sapienza legislativa di un Benedetto XV deve questo nobilissimo istrumento del governo centrale della Chiesa quella distinzione e coesione delle parti, quell'ordinamento delle cariche, quel ponderato aggiustamento e assestamento nell'azione, che condizionano l'intelletto e la volontà a un ben regolato e fecondo lavoro, la cui dote indispensabile e più alta gloria vuol essere il soffio apostolico che le anima. Pare a Noi che la Curia Romana con tutti i suoi Dicasteri, nonostante la loro esteriore molteplicità, per quella unità di compagine e di organamento, per quella unica idea centrale che la domina, per quel comune dovere e officio che avvince i singoli membri, i quali bensì «non eundem actum habent» (4), ma, nella concorde tendenza al medesimo augusto fine dì essere preziosi cooperatori nel servigio per le anime e per il Regno di Cristo ampliato e custodito sulla terra, s'adunano intorno a Colui che, al conscio animo di Gregorio Magno, è il servus servorum Dei; pare a Noi, diciamo, che la Curia Romana si assomigli a un diamante, fulgidissimo se altro mai, nel multiforme splendore delle sue facce, bello dei vividi riflessi lampeggianti da tutti i sacri Dicasteri, il quale sia incastonato fra le gemme della tiara pontificia, come simbolo della luce e dell'amore vostro.

Ma a questo splendore di dignità e privilegio di circondare, più davvicino che ogni altra istituzione ecclesiastica, l'apostolica potestà del Successore di Pietro, — attualmente la Nostra, per quanto povera e indegna persona —, voi ben vedete quanto convenga che in tutta la Curia Romana risponda lo splendore della vita, affinché il Pontefice, secondo scriveva il Dottore mellifluo, San Bernardo, più pronti vi abbia, come a lui dappresso assistete: «Propiores assistitis, ut habeat paratiores» (5). Questa maggiore preparazione che è mai se non il maggior spirito che vivifica, mentre la lettera uccide? quello spirito che vivifica il lavoro, che tramuta la penna in ala di volo celeste, che penetra, dirige, sorregge, sublima la mente e il volere; quello spirito che vuol essere il primo e il più santo orgoglio di tutti coloro che sono chiamati e preparati a collaborare alla missione dal Divino Maestro impostaCi di. Pastore delle pecorelle del suo ovile e dell'altre, pure sue, ancora randagie, che Egli intende condurre a sé.

Di tale spirito, ch'è sommamente spirito di sacrificio di se stesso, di dedizione al dovere, di amore alla Chiesa conviene che vada ripieno chiunque, qui nel centro del Cristianesimo, meta e visione di quanti nella fede di Roma contemplano la fede della Chiesa, è mosso a entrare col consiglio e con l'opera in partem sollicitudinis omnium ecclesiarum. Allorché questo spirito di Cristo informa una anima sacerdotale, voi la vedete sollevarsi in più alta sfera, invalorire la sua attività nella Curia Romana col suggello dell'amore soprannaturale, instancabile, apostolico di quell'apostolato, che s'immedesima nel lavoro nascosto di ufficio e che, qualora lo nobiliti e santifichi la sete della salvezza delle anime, non è meno gradito e altamente ponderato nella bilancia dell'Eterno Giudice che scruta le reni e i cuori (6), che non sia l'immediato ministero sacerdotale, a cui pure non pochi di voi dedicano le loro cure, il diretto e operoso apostolato di chi varca i mari e gli oceani, e per terre inospitali e selve selvagge, oltre cime nevose e lande ghiacciate, attraverso deserti e rifugi di fiere, muove alla conquista di nuove pecorelle all'ovile di Pietro e di nuovi confini al Regno di Cristo. E voi ben sapete che il Divino Re della gloria premia di una medesima corona, pur proporzionandola ai meriti, tanto i combattenti nella mischia della battaglia quanto i figli che intorno a lui custodiscono il sacro deposito delle armi e con la tromba della fede proclamano i suoi ordini ai capitani che guidano le schiere.

Di tanta dignità investiti, Venerabili Fratelli e diletti Figli, vi salutiamo qui uniti intorno a Noi; ed è per Noi santa e paterna gioia il sentir confermato, dalle parole del vostro Eminentissimo ed eloquente interprete, il venerando e a Noi carissimo Cardinale Decano del Sacro Collegio, che voi tutti, animati dallo spirito di Cristo e pienamente consci della responsabilità e dell'altezza del vostro ufficio, null'altro più ardentemente bramate e studiate che di rendervi sempre più degni della vostra privilegiata vocazione. Nessun dono di questo più gradito, nessuna promessa più preziosa, nessun più soave conforto voi avreste saputo o potuto darCi in questi giorni, in cui Noi, per inscrutabile consiglio divino, abbiamo assunto il grave peso del lavoro pontificale là ove al Nostro indimenticabile Predecessore l'angelo di una santa morte fermò inerte la sapiente operosa mano e, chiudendogli il gran volume del suo lungo e glorioso pontificato, gli schiuse le porte della città celeste, invitandolo e introducendolo al riposo della beata eternità.

Eredi del suo nome, siamo anche eredi del suo tempo, che diventa Nostro con le fortune propizie e avverse che seco nella sua fuga travolge. Tempo difficile e pur così grande, quando nel volgere di un anno si susseguono e maturano avvenimenti che prima avrebbero richiesto decenni e forse secoli; quando il vertiginoso e portentoso progresso moderno sembra aver resa questa « aiuola che ci fa tanto feroci » troppo angusta alle insaziate brame dei figli di Adamo; quando per tutti i lidi e verso tutti i venti ormai risuona la divina voce del Vangelo, e i doveri e la azione della Chiesa, e con essi quelli dei suoi uffici centrali, si vengono ampliando ed estendendo oltre misura, mentre gli occhi del mondo sempre più ansiosi si volgono al Magistero di lei, fisi guardando pur se dal suo labbro erompa quella verità che libera e sublima l'uomo nell'opera della carità. Che resta a Noi se non levare il Nostro sguardo umile e implorante al cielo, donde scende la sapienza pura, pacifica, modesta, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti? donde scende il frutto della giustizia che si semina nella pace da coloro che praticano la pace? (7). Fra i dati buoni e i doni perfetti che discelidono dal Padre dei lumi Noi non potremmo impetrare e ricevere grazia più segnalata che di sapere e vedere presso di Noi uomini, quali San Bernardo descriveva e raccomandava al suo diletto discepolo e venerato Pontefice Eugenio III: « In talibus — così scriveva il santo abate di Chiaravalle — ut opinor, requiescat spiritus tuus...: qui praeter Deum tantum timeant nihil, nihil sperent nisi a Deo... Qui stent viriliter pro aflictis et iudicent in aequitate pro mansuetis terrae. Qui sint compositi ad mores, probati ad sanctimoniam, parati ad oboedientiam, mansueti ad patientiam, subiecti ad disciplinam, rigidi ad censuram, catholici ad fidem, fideles ad dispensationem, concordes ad pacem, conformes ad unitatem. Qui sint in iudicio recti, ín consilio providi, in iubendo discreti, in disponendo industrii, in agendo strenui, in loquendo modesti, in adversitate securi, in prosperitate devoti, in zelo sobrii... Qui legatione pro Christo fungi, quotiens opus erit, nec iussi renuant, nec non iussi affectent... Qui orandi studium gerant et usum habeant, ac de omni re orationi plus fidant, quam suae industriae vel labori» (8).

Specchiatevi in questa immagine, delineata dall'arte sapiente del grande asceta e infaticabile campione dei diritti della Chiesa nell'Europa dei suoi tempi. In tale immagine voi riconoscerete la grandezza del vostro ufficio: riconoscerete voi stessi, non con la misera compiacenza dell'orgoglio, ma per quell'impulso di virtù e di bene che francheggia la vostra sperimentata opera in faccia a Noi e alla Chiesa, e più e più anima il vostro spirito, affinché quanti vedono le opere vostre glorifichino il Padre che sta nei Cieli.

Circondati come siamo, al pari di cara e amata famiglia, da tutta la Nostra Curia Romana qui adunata in solenne testimonianza del vostro amore e della vostra devozione, altra parola non troviamo, per manifestarvi la profonda Nostra compiacenza, che quella dell'Apostolo delle genti: « Os nostrum patet ad vos; cor nostrum dilatatum est» (9). Il Nostro labbro si apre a voi; il Nostro cuore si è dilatato, trova conforto in così devoti ed eletti ingegni stretti in nostro aiuto; onde il peso della tiara pontificia Ci si fa più leggero nel vedere in così nobile assemblea la più fida e sacra coorte che al Nostro fianco stia a guardia della fede e della disciplina della Chiesa. Ne rendiamo grazie a Dio ed a voi; mentre innalziamo suppliche al Cielo, affinché ciò che lo spirito illuminato e l'ardente amore per la Santa Chiesa del Dottore mellifluo desiderava con tanto fervore in un'ora grave del passato ad un Nostro predecessore, sia a Noi concesso dalla soave disposizione di Colui, nella cui mano sapiente è il passato, il presente e l'avvenire, e largamente sia raffermato ed accresciuto in voi, Venerabili Fratelli e diletti Figli. Con questa fiducia rivolgiamo il Nostro sguardo a Dio, che opera in noi e il volere e il fare secondo la buona volontà (10), invochiamo a voi e a Noi lume e forza e impartiamo a tutti voi, come pegno dei più abbondanti favori celesti per le vostre persone e per un adempimento grato al Signore degl'importanti doveri del vostro ufficio, l'Apostolica Benedizione.


(1) Phil, IV, 1.

(2) II Cor., VI, 13.

(3) Eccli., XXV, 8.

(4) Rom., XII, 4.

(5) De Consideratione, 1. IV, c. 5.

(6) Ier., II, 20.

(7) Iac., III, 17-18.

(8) De considerat., I. IV, c. 4.

(9) II Cor., VI, 11.

(10) Phil., II, 13.

  



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