[DE -
EN -
ES -
FR -
ID
-
IT -
PL -
PT -
SK -
VI]
DICASTERO PER LA COMUNICAZIONE
Verso una piena presenza
Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media
1) L’umanità ha fatto passi da gigante nell’era digitale, ma una
delle questioni urgenti ancora da affrontare riguarda il modo in cui
noi, come individui e come comunità ecclesiale, possiamo vivere nel
mondo digitale come “prossimo amorevole”, autenticamente presenti e
attenti l'uno all'altro nel nostro comune viaggio lungo le “strade
digitali”.
I progressi della tecnologia hanno reso possibili nuovi tipi di
interazioni umane. In effetti, la questione non è più se
confrontarsi o meno con il mondo digitale, ma come farlo. I social
media in particolare sono un luogo in cui le persone interagiscono,
condividono esperienze e coltivano relazioni come mai prima d’ora.
Allo stesso tempo, però, mentre la comunicazione è sempre più
influenzata dall’intelligenza artificiale, nasce l’esigenza di
riscoprire l’incontro umano alla sua base. Negli ultimi due decenni,
il nostro rapporto con queste piattaforme digitali ha subito una
trasformazione irreversibile. È emersa la consapevolezza che queste
piattaforme possono evolversi fino a diventare spazi co-creati e non
solo qualcosa che usiamo passivamente. I giovani - così come gli
anziani – chiedono che li si incontri lì dove sono, anche sui social
media, perché il mondo digitale è “una parte significativa
dell’identità e dello stile di vita dei giovani”[1].
2) Molti cristiani chiedono ispirazione e guida, poiché i social
media, che sono una delle espressioni della cultura digitale, hanno
avuto un impatto profondo sia sulle nostre comunità di fede sia sui
nostri percorsi spirituali individuali.
Gli esempi di coinvolgimento fedele e creativo sui social media
sono numerosi in tutto il mondo, da parte sia di comunità locali sia
di individui che portano una testimonianza di fede su queste
piattaforme, spesso in modo più pervasivo della Chiesa
istituzionale. Ci sono anche numerose iniziative pastorali ed
educative sviluppate da Chiese locali, movimenti, comunità,
congregazioni, università e individui.
3) Anche la Chiesa universale si è occupata della realtà digitale. Dal
1967, per esempio, i messaggi annuali per la Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali offrono una riflessione in continua evoluzione
sul tema. A partire dagli anni '90, questi messaggi hanno trattato
l'uso del computer e, dall’inizio degli anni 2000, hanno
continuamente riflettuto su alcuni aspetti della cultura digitale e
della comunicazione sociale. Sollevando questioni fondamentali per
la cultura digitale,
nel 2009 Papa Benedetto XVI ha affrontato i
cambiamenti nei modelli di comunicazione affermando che i media non
dovrebbero solo favorire la connessione tra le persone, ma anche
incoraggiarle a impegnarsi in relazioni che promuovano “una cultura
di rispetto, di dialogo, di amicizia”[2].
In seguito, la Chiesa ha consolidato l’immagine dei social media
come “spazi” e non solo come “strumenti”, e ha lanciato un appello
affinché la Buona Novella sia annunciata anche negli ambienti
digitali[3]. Da parte sua, Papa Francesco ha riconosciuto che il mondo
digitale è “indistinguibile dalla sfera della vita quotidiana” e che
sta cambiando il modo in cui l’umanità accumula conoscenze, diffonde
informazioni e sviluppa relazioni[4].
4) Oltre a queste riflessioni, anche l’impegno pratico della
Chiesa con i social media è stato efficace[5].Un
momento storico recente ha mostrato chiaramente che i media digitali
sono uno strumento molto efficace per il ministero della Chiesa. Il
27 marzo 2020, in una fase ancora iniziale della pandemia COVID-19,
Piazza San Pietro era vuota ma piena di presenza. Una trasmissione
televisiva e in live-streaming ha permesso a Papa Francesco di
guidare un’esperienza globale trasformativa: una preghiera e un
messaggio rivolti al mondo in lockdown. Nel bel mezzo di una crisi
sanitaria che ha tolto la vita a milioni di esseri umani, le persone
in tutto il mondo, in quarantena e in isolamento, si sono trovate
profondamente unite tra loro e con il successore di Pietro[6].
Attraverso i media tradizionali e la tecnologia digitale, la
preghiera del Papa ha raggiunto le case e toccato le vite delle
persone in tutto il mondo. Le braccia aperte del colonnato del
Bernini intorno alla piazza hanno potuto estendere un abbraccio a
milioni di persone. Sebbene fisicamente distanti gli uni dagli
altri, quanti si sono uniti al Papa in quel frangente erano presenti
gli uni agli altri e hanno potuto sperimentare un momento di unità e
comunione.
***
5) Le pagine che seguono sono il frutto
di una riflessione che ha coinvolto esperti, educatori, giovani
professionisti e leader, laici, religiosi e clero. L’obiettivo è di
affrontare alcune delle principali questioni che riguardano il modo
in cui i cristiani dovrebbero utilizzare i social media. Non
intendono essere delle “linee guida” puntuali per il ministero
pastorale in questo ambito. La speranza è invece quella di
promuovere una riflessione comune sulle nostre esperienze digitali,
incoraggiando sia gli individui sia le comunità ad adottare un
approccio creativo e costruttivo, che possa favorire una cultura
della prossimità.
La sfida di promuovere relazioni pacifiche, significative e
attente sui social media suscita un dibattito negli ambiti
accademico e professionale, così come in quelli ecclesiali. Che tipo
di umanità si riflette nella nostra presenza negli ambienti
digitali? Quanto delle nostre relazioni digitali è frutto di una
comunicazione profonda e sincera, e quanto invece è semplicemente
plasmato da opinioni insindacabili e reazioni appassionate? Quanto
della nostra fede trova espressioni digitali vive e rivitalizzanti?
E chi è il mio “prossimo” sui social media?
***
6) La parabola del buon Samaritano[7],
con cui Gesù ci fa rispondere alla domanda “Chi è il mio prossimo?”,
nasce dalla domanda di un esperto della legge: “Che cosa devo fare
per ereditare la vita eterna?”. Il verbo “ereditare” ci
ricorda l’eredità della terra promessa che, in realtà, non è
tanto un territorio geografico quanto un simbolo di qualcosa di più
profondo e duraturo, qualcosa che ogni generazione deve riscoprire e
che può aiutarci a ripensare il nostro ruolo all’interno del mondo
digitale.
I. Attenzione alle insidie sulle “strade digitali”
Imparare a guardare dalla prospettiva di colui che è caduto nelle mani dei
briganti (cfr. Lc 10,36)
Una terra promessa da riscoprire?
7) I social media sono solo una
componente del fenomeno molto più ampio e complesso della
digitalizzazione, che è il processo di trasferimento di molti
compiti e dimensioni della vita umana alle piattaforme digitali. Le
tecnologie digitali possono aumentare la nostra efficienza, dare
slancio alla nostra economia e aiutarci a risolvere problemi finora
insormontabili. La rivoluzione digitale ha esteso il nostro accesso
alle informazioni e la nostra capacità di connetterci gli uni con
gli altri oltre i limiti dello spazio fisico. Un processo che era
già in atto negli ultimi tre decenni è stato accelerato dalla
pandemia. Attività come l’apprendimento e il lavoro, che normalmente
venivano svolte di persona, possono ora essere eseguite a distanza.
I Paesi hanno anche apportato cambiamenti significativi nei loro
sistemi giuridici e legislativi, adottando riunioni e votazioni
online come alternativa agli incontri in presenza. La rapidità con
cui si diffondono le informazioni sta cambiando anche il modo in cui
opera la politica.
8) Con l’avvento del Web 5.0 e altri
progressi nelle comunicazioni, il ruolo dell’intelligenza
artificiale nei prossimi anni avrà un impatto sempre maggiore sulla
nostra esperienza della realtà. Stiamo assistendo allo sviluppo di
macchine che lavorano e prendono decisioni per noi; che possono
imparare e prevedere i nostri comportamenti; sensori sulla nostra
pelle in grado di misurare le nostre emozioni; macchine che
rispondono alle nostre domande e imparano dalle nostre risposte o
che usano i registri dell’ironia e parlano con la voce e le
espressioni di quanti non sono più con noi. In questa realtà in
continua evoluzione, molte domande richiedono ancora una risposta[8].
9) I notevoli cambiamenti che ha vissuto
il mondo dalla comparsa di Internet hanno anche provocato nuove
tensioni. Alcuni sono nati in questa cultura e sono quindi “nativi
digitali”, altri stanno ancora cercando di abituarsi come “immigrati
digitali”. In ogni caso, la nostra cultura è ormai una cultura
digitale. Per superare la vecchia dicotomia tra “digitale” e “faccia
a faccia”, alcuni non parlano più di “online” e “offline”, ma solo
di “onlife”, incorporando la vita umana e sociale nelle sue
varie espressioni, siano esse in spazi digitali o fisici.
10) Nel contesto della comunicazione integrata, che
consiste nella convergenza dei processi di comunicazione, i social
media svolgono un ruolo decisivo come un forum in cui si formano i
nostri valori, le nostre convinzioni, il nostro linguaggio e le
nostre ipotesi sulla vita quotidiana. Inoltre, per molti,
specialmente nei Paesi in via di sviluppo, l’unico contatto con la
comunicazione digitale avviene attraverso i social media. Ben oltre
l’atto di utilizzare i social media come strumento,
viviamo in un ecosistema plasmato nel suo nucleo dall’esperienza
della condivisione sociale. Mentre continuiamo a usare il web
per le informazioni o l’intrattenimento, ci rivolgiamo ai social
media in cerca di appartenenza e affermazione, trasformandoli in uno
spazio vitale dove avviene la comunicazione dei valori e delle
convinzioni fondamentali.
In questo ecosistema, si chiede alle persone di fidarsi
dell’autenticità delle dichiarazioni d’intenti delle aziende di
social media, che promettono, per esempio, di avvicinare il mondo,
di dare a tutti il potere di creare e condividere idee o di dare una
voce a tutti. Pur essendo consapevoli che questi slogan pubblicitari
non vengono quasi mai tradotti in pratica, dal momento che le
aziende si preoccupano molto più dei loro profitti, continuiamo
ancora a credere alle promesse.
11) In effetti, quando le persone hanno iniziato a
utilizzare Internet qualche decennio fa, già condividevano una
versione di tale sogno: la speranza che il mondo digitale sarebbe
stato uno spazio felice di conoscenza comune, informazione libera e
collaborazione. Internet sarebbe stata una “terra promessa” in cui
le persone avrebbero potuto fare affidamento su informazioni
condivise sulla base della trasparenza, della fiducia e della
competenza.
Insidie da evitare
12) Queste aspettative, tuttavia, non sono state
esattamente soddisfatte.
Innanzitutto, siamo ancora di fronte a un “divario digitale”.
Sebbene questa evoluzione si stia sviluppando più velocemente delle
nostre capacità di comprenderla adeguatamente, molte persone ancora
non hanno accesso non solo a cose essenziali come cibo, acqua,
vestiti e assistenza sanitaria, ma anche alle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. Questo lascia un gran
numero di persone ai margini della strada.
Inoltre, il “social media divide” sta diventando sempre più
acuto. Le piattaforme che promettono di costruire comunità e
connettere maggiormente le persone hanno invece reso più profonde
varie forme di divisione.
13) Sulle “strade digitali” ci sono alcune insidie di cui
essere consapevoli, che ci permettono di capire meglio come ciò sia
potuto accadere.
Oggi non è possibile parlare di “social media” senza considerarne
il valore commerciale, ovvero senza la consapevolezza che la vera
rivoluzione è avvenuta quando i marchi e le istituzioni hanno
riconosciuto il potenziale strategico delle piattaforme sociali,
contribuendo a un rapido consolidamento di linguaggi e pratiche che
negli anni hanno trasformato gli utenti in consumatori.
Inoltre, gli individui sono sia consumatori sia merci:
come consumatori, vengono proposte loro pubblicità personalizzate
e contenuti sponsorizzati su misura. Come merce, i loro profili
e i loro dati vengono venduti ad altre aziende con lo stesso scopo.
Aderendo alle dichiarazioni d’intenti delle aziende di social media,
gli utenti accettano anche “termini e condizioni” che di solito non
leggono o non capiscono. È diventato di uso comune comprendere
questi “termini e condizioni” secondo un vecchio adagio che dice “se
non paghi, sei tu il prodotto”. In altre parole, non è gratis:
stiamo pagando con minuti della nostra attenzione e byte dei nostri
dati.
14) La crescente enfasi sulla distribuzione e sul commercio
di conoscenze, dati e informazioni ha generato un paradosso: in una
società in cui l’informazione svolge un ruolo così essenziale, è
sempre più difficile verificare le fonti e l’accuratezza delle
informazioni che circolano in digitale. Il sovraccarico di contenuti
è risolto da algoritmi di intelligenza artificiale che decidono
costantemente cosa mostrarci, sulla base di fattori che a malapena
percepiamo o intuiamo: non solo le nostre scelte precedenti, i
nostri like, le nostre reazioni o preferenze, ma anche le nostre
assenze e distrazioni, le pause e i tempi di attenzione. L’ambiente
digitale che ognuno vede - e perfino i risultati di una ricerca
online - non è mai uguale a quello di un altro. Cercando
informazioni nei browser, o ricevendole nel nostro feed su diverse
piattaforme e applicazioni, di solito non siamo consapevoli dei
filtri che condizionano i risultati. La conseguenza di questa
personalizzazione sempre più sofisticata dei risultati è
un’esposizione forzata a informazioni parziali, che corroborano le
nostre idee, rafforzano le nostre convinzioni e ci conducono così a
isolarci in un “effetto bolla”.
15) Le comunità online sui social media sono “punti di
incontro”, solitamente modellati attorno agli interessi condivisi di
“individui interconnessi”. Le persone presenti sui social media sono
interpellate in base alle loro caratteristiche peculiari, alle loro
origini, ai loro gusti e alle loro preferenze, e gli algoritmi che
stanno dietro alle piattaforme online e ai motori di ricerca tendono
ad aggregare coloro che sono “simili”, raggruppandoli e attirando la
loro attenzione in modo da mantenerli online. Di conseguenza, le
piattaforme di social media possono correre il rischio di impedire
ai loro utenti di incontrare davvero l’“altro” che è diverso.
16) Tutti noi abbiamo visto sistemi automatizzati che
rischiano di creare questi “spazi” individualistici, talvolta
favorendo comportamenti estremi. I discorsi aggressivi e negativi si
diffondono con facilità e rapidità, offrendo un terreno fertile per
la violenza, l’abuso e la disinformazione. Sui social media, i
diversi attori, spesso resi audaci da un mantello di pseudonimia,
reagiscono costantemente gli uni agli altri. Tali interazioni di
solito sono marcatamente diverse da quelle che avvengono negli spazi
fisici, dove le nostre azioni sono influenzate dal feedback verbale
e non verbale degli altri.
17) Essere consapevoli di tutte queste insidie ci aiuta a
discernere e smascherare la logica che inquina l’ambiente dei social
media e a cercare una soluzione a questo malcontento digitale. È
importante apprezzare il mondo digitale e riconoscerlo come parte
della nostra vita. Tuttavia, è nella complementarietà tra
esperienze digitali e fisiche che si costruiscono una vita e un
percorso umani.
18) Lungo le “strade digitali” molte persone vengono ferite
dalla divisione e dall’odio. Non possiamo ignorarlo. Non possiamo
essere solo passanti silenziosi. Per umanizzare gli ambienti
digitali, non dobbiamo dimenticare quanti sono “lasciati indietro”.
Possiamo vedere cosa sta succedendo solo se guardiamo dalla
prospettiva dell’uomo ferito della parabola del Buon Samaritano.
Come nella parabola, dove ci viene raccontato ciò che il ferito ha
visto, la prospettiva degli emarginati e dei feriti digitali ci
aiuta a comprendere meglio il mondo sempre più complesso di oggi.
Tessere relazioni
19) In un’epoca in cui siamo sempre più divisi, in cui
ognuno si ritira nella propria bolla, i social media stanno
diventando un sentiero che conduce molti all’indifferenza, alla
polarizzazione e all’estremismo. Quando gli individui non si
trattano gli uni gli altri come esseri umani, ma come mere
espressioni di un certo punto di vista che non condividono, siamo di
fronte a un’altra espressione della “cultura dello scarto” che
diffonde la “globalizzazione – e la normalizzazione –
dell’indifferenza”. Isolarsi nei propri interessi non può essere la
via per ritrovare la speranza. La via da seguire è piuttosto
coltivare una “cultura dell’incontro”, che promuove l’amicizia
sociale e la pace tra persone diverse[9].
20) Pertanto, è sempre più urgente la necessità di
utilizzare le piattaforme social in modo da andare oltre i propri
silos, uscendo dal gruppo dei propri “simili” per incontrare gli
altri.
Accogliere l’“altro”, cioè qualcuno che assume posizioni opposte
alle mie o che sembra “diverso”, non è certo un compito semplice.
“Perché dovrebbe interessarmi?”, potrebbe essere la nostra prima
reazione. Possiamo ritrovare questo atteggiamento anche nella
Bibbia, a partire dal rifiuto di Caino di essere il custode di suo
fratello (cfr. Gn 4,9) e proseguendo con lo scriba che chiese
a Gesù: “E chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29). Lo
scriba intendeva stabilire un limite riguardo a chi è e chi
non è il mio prossimo. Sembra quasi che vogliamo trovare una
giustificazione per la nostra indifferenza; cerchiamo sempre di
tracciare una linea tra “noi” e “loro”, tra “qualcuno che devo
trattare con rispetto” e “qualcuno che posso ignorare”. In questo
modo, quasi impercettibilmente, diventiamo incapaci di provare
compassione per gli altri, come se le loro sofferenze fossero una
loro responsabilità e non ci riguardassero[10].
21) La parabola del buon Samaritano, invece, ci sfida a
confrontarci con la “cultura dello scarto” digitale e ad aiutarci
reciprocamente a uscire dalla nostra zona di comfort, facendo uno
sforzo volontario per andare incontro all’altro. Questo è possibile
solo se ci svuotiamo di noi stessi, comprendendo che ognuno di noi è
parte di quell’umanità ferita, e ricordando che qualcuno ci ha
guardati e ha avuto compassione di noi.
22) Solo così possiamo - e dobbiamo - essere noi a fare il
primo passo nel superare l’indifferenza, perché crediamo in un “Dio
che non è indifferente”[11].
Possiamo e dobbiamo essere noi a smettere di chiedere “quanto devo
preoccuparmi degli altri?” e iniziare invece ad agire come prossimo,
rifiutando la logica dell’esclusione e ricostruendo una logica di
comunità[12].
Possiamo e dobbiamo essere noi a passare da una concezione dei media
digitali come esperienza individuale a una fondata sull’incontro
reciproco che favorisce la costruzione della comunità.
23) Invece di agire come individui, produrre contenuti o
reagire a informazioni, idee e immagini condivise da altri, dovremmo
chiederci: come possiamo co-creare esperienze online più sane in cui
le persone possano partecipare a conversazioni e superare le
divergenze con spirito di ascolto reciproco?
Come possiamo mettere le comunità in condizione di trovare modi
per superare le divisioni e promuovere il dialogo e il rispetto
nelle piattaforme social?
Come possiamo riportare l’ambiente online a ciò che può e deve
essere: un luogo di condivisione, di collaborazione e di
appartenenza, fondato sulla fiducia reciproca?
24) Ognuno può contribuire a realizzare questo cambiamento
impegnandosi con gli altri e sfidando se stesso nell’incontro con
gli altri. Come credenti, siamo chiamati a essere comunicatori che
si orientano intenzionalmente verso l’incontro. In questo modo,
possiamo ricercare incontri che siano significativi e duraturi,
invece che superficiali ed effimeri. In effetti, orientando le
connessioni digitali all’incontro con persone vere, alla creazione
di rapporti veri e alla costruzione di comunità vere, di fatto
alimentiamo la nostra relazione con Dio. Detto questo, il nostro
rapporto con Dio deve essere alimentato anche attraverso la
preghiera e la vita sacramentale della Chiesa, che per la loro
essenza non possono mai essere ridotte semplicemente all’ambito
“digitale”.
II. Dalla consapevolezza al vero incontro
Imparare da colui che ha avuto compassione (cfr. Lc 10,33)
Ascoltatori intenzionali
25) La riflessione sulla nostra presenza sui social media è
iniziata con la consapevolezza del modo in cui funzionano queste
reti e delle opportunità e sfide che affrontiamo in esse. Se nelle
reti sociali online è insita la tentazione dell’individualismo e
dell’autoesaltazione, come descritto nel precedente capitolo, non
siamo condannati a cadere, volenti o nolenti, in questi
atteggiamenti. Il discepolo che ha incontrato lo sguardo
misericordioso di Cristo ha sperimentato qualcosa di diverso. Lui o
lei sa che la buona comunicazione inizia con l’ascolto e la
consapevolezza di trovarsi davanti un’altra persona. L’ascolto e la
consapevolezza mirano a favorire l’incontro e a superare gli
ostacoli esistenti, compreso quello dell’indifferenza. Ascoltare in
questo modo è un passo essenziale per coinvolgere gli altri, è un
primo ingrediente indispensabile per la comunicazione e un requisito
per un dialogo autentico[13].
26) Nella parabola del buon Samaritano, l’uomo picchiato e
lasciato morire fu aiutato dalla persona più inaspettata: al tempo
di Gesù, il popolo ebraico e quello samaritano erano spesso in
contrasto. Semmai, il comportamento atteso sarebbe stata l’ostilità.
Il Samaritano, invece, non vide quell’uomo malmenato come un
“altro”, ma semplicemente come qualcuno che aveva bisogno di aiuto.
Provò compassione, mettendosi nei panni dell’altro, e diede qualcosa
di sé, il suo tempo e le sue risorse per ascoltare e accompagnare
qualcuno che aveva incontrato[14].
27) La parabola può ispirare le relazioni sui social media
perché mostra la possibilità di un incontro profondamente
significativo tra due perfetti sconosciuti. Il Samaritano abbatte il
“divario sociale”: va oltre i confini dell’accordo e del disaccordo.
Mentre il sacerdote e il Levita passano accanto all’uomo ferito, il
viaggiatore Samaritano lo vede e ne ha compassione (cfr. Lc
10,33). Compassione significa sentire che l’altra persona è una
parte di me. Il Samaritano ascolta la storia di quell’uomo; si fa
vicino perché è mosso dal di dentro.
28) Il Vangelo di Luca non riporta alcun dialogo tra i due
uomini. Possiamo immaginare la scena del Samaritano che trova l’uomo
ferito e, forse, gli chiede: “Cosa ti è successo?”. Ma anche senza
parole, attraverso il suo atteggiamento di apertura e ospitalità,
inizia un incontro. Quel primo gesto è un’espressione di cura, e
questo è fondamentale. La capacità di ascoltare e di essere aperti
ad accogliere la storia di un altro senza preoccuparsi dei
pregiudizi culturali dell’epoca ha impedito che l’uomo ferito
venisse dato per morto.
29) L’interazione fra i due uomini ci suggerisce di
compiere il primo gesto nel mondo digitale. Siamo invitati a vedere
il valore e la dignità di chi è diverso da noi. Siamo anche invitati
a guardare oltre la nostra rete di sicurezza, i nostri silos e le
nostre bolle. Diventare prossimi nell’ambiente dei social media
richiede intenzionalità. E tutto inizia con la capacità di ascoltare
bene, di lasciare che la realtà dell’altro ci tocchi.
Ladri di attenzione
30) L’ascolto è un’abilità fondamentale che ci permette di
entrare in rapporto con gli altri e non solo di scambiare
informazioni. I nostri dispositivi, tuttavia, sono carichi di
informazioni. Ci troviamo inseriti in una rete di informazioni, in
contatto con altri attraverso post condivisi di testo, immagini e
suoni. Le piattaforme social ci permettono di scorrere all’infinito
mentre esploriamo tale contesto. Mentre video e suoni hanno
certamente aumentato la ricchezza mediatica della comunicazione
digitale, le nostre interazioni mediate rimangono ancora limitate.
Spesso troviamo informazioni in modo rapido e senza il contesto
completo e necessario. Possiamo reagire con la stessa facilità e
rapidità alle informazioni su uno schermo, senza andare alla ricerca
della storia completa.
31) Questa abbondanza di informazioni ha molti vantaggi:
quando facciamo parte della rete, le informazioni sono prontamente e
ampiamente accessibili e personalizzate in base ai nostri interessi.
Possiamo ottenere informazioni pratiche, mantenere contatti social,
esplorare risorse e approfondire e allargare le nostre conoscenze.
La facilità di accesso alle informazioni e alla comunicazione ha
anche il potenziale di creare spazi inclusivi che diano voce a
coloro che nelle nostre comunità sono emarginati dall’ingiustizia
sociale o economica.
32) Allo stesso tempo, la disponibilità infinita di
informazioni ha creato anche alcune sfide. Sperimentiamo il
sovraccarico di informazioni, quando la nostra capacità
cognitiva di elaborazione soffre a causa dell’eccesso di
informazioni a nostra disposizione. In modo analogo, sperimentiamo
un sovraccarico di interazioni social, quando siamo soggetti
a un alto livello di sollecitazioni social. Diversi siti web,
applicazioni e piattaforme sono programmati per sfruttare il nostro
desiderio umano di riconoscimento e lottano costantemente per
ottenere l’attenzione delle persone. L’attenzione stessa è diventata
il bene e la risorsa più preziosa.
33) In tale contesto, la nostra attenzione non è
concentrata, mentre cerchiamo di navigare in questa travolgente rete
di informazioni e interazioni social. Invece di concentrarci su una
questione alla volta, la nostra continua attenzione parziale
migra rapidamente da un argomento all’altro. Nella nostra condizione
di “sempre connessi”, siamo esposti alla tentazione di postare
all’istante, poiché siamo fisiologicamente assuefatti alla
sollecitazione digitale, desiderando sempre più contenuti in uno
scrolling infinito e frustrati da qualsiasi mancanza di
aggiornamenti. Una sfida cognitiva importante della cultura digitale
è la perdita della nostra capacità di pensare in modo profondo e
mirato. Scrutiamo la superficie e restiamo in acque poco profonde,
piuttosto che ponderare le cose in profondità.
34) Dobbiamo essere più attenti a questo aspetto. Senza il
silenzio e lo spazio per pensare lentamente, profondamente e in modo
mirato, rischiamo di perdere non solo le capacità cognitive ma anche
la profondità delle nostre interazioni, sia umane che divine. Lo
spazio per l’ascolto deliberato, per l’attenzione e per il
discernimento della verità sta diventando raro.
Il processo chiamato attenzione-interesse-desiderio-azione,
ben noto ai pubblicitari, è simile al processo attraverso il quale
ogni tentazione entra nel cuore umano e distoglie la nostra
attenzione dall’unica parola davvero significativa e donatrice di
vita, la Parola di Dio. In un modo o nell’altro, stiamo ancora
prestando attenzione all’antico serpente che ci mostra ogni giorno
nuovi frutti. Essi sembrano “buoni da mangiare e gradevoli alla
vista, e anche desiderabili per acquisire saggezza” (Gen
3,6). Come semi sul sentiero dove viene seminata la parola,
permettiamo al male di avvicinarsi e di portare via la parola che è
stata seminata in noi (cfr. Mc 4,14-15).
35) Con questo sovraccarico di stimoli e di dati che
riceviamo, il silenzio è un bene prezioso, perché assicura lo spazio
per la concentrazione e il discernimento[15].
La spinta a cercare il silenzio nella cultura digitale accresce
l’importanza della concentrazione e dell’ascolto. Negli ambienti
educativi o lavorativi, così come nelle famiglie e nelle comunità,
cresce l’esigenza di staccarsi dai dispositivi digitali. Il
“silenzio” in questo caso può essere paragonato a una
“disintossicazione digitale”, che non è semplicemente un’astinenza,
ma piuttosto un modo per entrare più profondamente in contatto con
Dio e con gli altri.
36) L’ascolto scaturisce dal silenzio ed è fondamentale per
prendersi cura degli altri. Ascoltando accogliamo una persona, le
offriamo ospitalità e le mostriamo rispetto. Ascoltare è anche un
atto di umiltà da parte nostra, poiché riconosciamo la verità, la
saggezza e il valore al di là della nostra prospettiva limitata.
Senza una disposizione all’ascolto, non siamo in grado di ricevere
il dono dell’altro.
Con l’orecchio del cuore
37) Con la velocità e l’immediatezza della cultura
digitale, che mettono alla prova la nostra attenzione e capacità di
concentrazione, l’ascolto diventa ancora più importante nella nostra
vita spirituale. Un approccio contemplativo alla vita è
controcorrente, addirittura profetico, e può essere formativo non
soltanto per le persone, ma anche per la cultura nel suo insieme.
Impegnarsi nell’ ascolto sui social media è un punto di partenza
fondamentale per progredire verso una rete fatta non tanto di byte,
avatar e “mi piace” quanto di persone[16].
In questo modo passiamo dalle reazioni rapide, dalle ipotesi
fuorvianti e dai commenti impulsivi al creare opportunità di
dialogo, sollevare domande per saperne di più, manifestare cura e
compassione, e riconoscere la dignità di coloro che incontriamo.
38) La cultura digitale ha aumentato a dismisura il nostro
accesso agli altri. Questo ci offre anche l’opportunità di ascoltare
molto di più. Spesso quando si parla di “ascolto” nei social media,
si fa riferimento a processi di monitoraggio dei dati, statistiche
sugli interessi e azioni finalizzate a un’analisi di marketing dei
comportamenti social presenti sulle reti. Ovviamente ciò non basta a
rendere i social media ambienti di ascolto e dialogo. L’ascolto
intenzionale nel contesto digitale richiede un ascolto con
“l’orecchio del cuore”. Ascoltare con “l’orecchio del cuore” va
oltre la capacità fisica di percepire suoni. Ci spinge invece ad
aprirci all’altro con tutto il nostro essere: un’apertura del
cuore che rende possibile la vicinanza[17].
È un atteggiamento di attenzione e ospitalità che è fondamentale per
stabilire una comunicazione. Questa saggezza si riferisce non solo
alla preghiera contemplativa, ma anche a chi cerca relazioni
autentiche e comunità genuine. Il desiderio di essere in relazione
con gli altri e con l’Altro – con Dio – rimane un’esigenza umana
fondamentale, che è evidente anche nel desiderio di connessione
tipico della cultura digitale[18].
39) Il dialogo interiore e la relazione con Dio, resi
possibili dal dono divino della fede, sono essenziali per farci
crescere nella capacità di ascoltare bene. Anche la Parola di Dio ha
un ruolo fondamentale in questo dialogo interiore. L’ascolto orante
della Parola nelle Scritture attraverso la pratica della lettura
spirituale di testi biblici, come nella lectio divina, può
essere molto formativo poiché consente un’esperienza lenta,
deliberata e contemplativa[19].
40) “Parola del Giorno” o “Vangelo del Giorno” sono tra i
termini più ricercati su Google dai cristiani, e si può dire che
l’ambiente digitale ci ha offerto anche molte nuove e più semplici
possibilità per un regolare “incontro” con la Parola divina. Il
nostro incontro con la Parola del Dio vivente, anche online, sposta
il nostro approccio dal vedere informazioni sullo schermo
all’incontrare un’altra persona che racconta una storia. Se teniamo
presente che ci stiamo connettendo con altre persone dietro lo
schermo, l’esercizio dell’ascolto può estendere l’ospitalità alle
storie degli altri e iniziare a stabilire relazioni.
Discernere la nostra presenza sui social media
41) Dal punto di vista della fede, cosa comunicare e come
comunicarlo non è solo una questione pratica, ma anche spirituale.
Essere presenti sulle piattaforme social invita al discernimento.
Comunicare bene in questi contesti è un esercizio di prudenza, che
richiede una riflessione orante su come coinvolgersi con gli altri.
Porsi di fronte a questo tema attraverso la lente della domanda
dello scriba: “Chi è il mio prossimo?” invita al discernimento
riguardo alla presenza di Dio nel modo e attraverso il modo in cui
ci relazioniamo gli uni con gli altri sulle piattaforme social.
42) Sui social media, la prossimità è un concetto
complesso. Il “prossimo” sui social media è più chiaramente la
persona con cui manteniamo dei contatti. Allo stesso tempo, il
nostro prossimo spesso è anche chi non possiamo vedere, o perché le
piattaforme ci impediscono di farlo o perché semplicemente non è
presente. Gli ambienti digitali sono condivisi anche da altri
partecipanti, come gli “internet bots” e i “deepfake”, programmi
informatici automatizzati che operano online con compiti assegnati,
spesso simulando azioni umane o raccogliendo dati.
Inoltre, le piattaforme social sono controllate da una “autorità”
esterna, di solito un’organizzazione a scopo di lucro che sviluppa,
gestisce e promuove le modifiche al funzionamento della piattaforma.
In senso più ampio, tutti questi soggetti abitano nella o
contribuiscono alla “prossimità” online.
43) Riconoscere il nostro prossimo digitale significa
riconoscere che la vita di ogni persona ci riguarda, anche quando la
sua presenza (o assenza) è mediata da strumenti digitali. “I mezzi
attuali permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamo
conoscenze e affetti”, afferma Papa Francesco in
Laudato si’.
“Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prendere contatto diretto
con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la
complessità della sua esperienza personale”[20].
Essere prossimi sui social media significa essere presenti alle
storie degli altri, soprattutto di quanti soffrono. In altre parole,
promuovere un ambiente digitale migliore non significa distogliere
l’attenzione dai problemi concreti che vivono molte persone, come ad
esempio la fame, la povertà, le migrazioni forzate, le guerre, le
malattie e la solitudine. Significa, invece, promuovere una visione
integrale della vita umana che, oggi, include il contesto digitale.
I social media, infatti, possono essere un modo per richiamare
l’attenzione su queste realtà e costruire solidarietà tra persone
vicine e lontane.
44) In una visione dei social media come spazio non solo
per le connessioni ma, in fondo, anche per le relazioni, un buon
“esame di coscienza” riguardo alla nostra presenza sui social media
dovrebbe includere le tre relazioni vitali: con Dio, con il nostro
prossimo e con l’ambiente che ci circonda[21].
Le nostre relazioni con gli altri e con l’ambiente dovrebbero
nutrire la nostra relazione con Dio, e la relazione con Dio, che è
la più importante, deve essere visibile nelle nostre relazioni con
gli altri e con l’ambiente.
III. Dall’incontro alla comunità
“Abbi cura di lui” (cfr. Lc 10,35) - estendere il processo di guarigione agli
altri
Faccia a faccia
45) La comunicazione inizia con la connessione e procede
verso la relazione, la comunità e la comunione[22].
Non c’è comunicazione senza la verità di un incontro. Comunicare è
stabilire relazioni, è “essere con”. Essere comunità significa
condividere con gli altri le verità fondamentali su ciò che si
possiede e ciò che si è. Ben oltre la semplice vicinanza
geografico-territoriale o etnico-culturale, ciò che costituisce una
comunità è una comune condivisione della verità unita a un senso di
appartenenza, reciprocità e solidarietà, nei diversi ambiti della
vita sociale. Nel considerare questi ultimi elementi, è importante
ricordare che la costruzione di una comune unità attraverso le
pratiche comunicative, che mantengono i legami sociali attraverso il
tempo e lo spazio, sarà sempre secondaria rispetto all’adesione alla
verità stessa.
46) Come costruire una comunità attraverso le pratiche
comunicative anche tra persone che non sono vicine fisicamente è in
realtà una questione molto antica. Possiamo riconoscere una tensione
tra la presenza mediata e il desiderio di incontro personale già
nelle lettere degli apostoli. L’evangelista Giovanni, ad esempio,
conclude la sua seconda e terza lettera dicendo: “Molte cose
avrei da scrivervi, ma non ho voluto farlo con carta e inchiostro;
spero tuttavia di venire da voi e di poter parlare a viva voce,
perché la nostra gioia sia piena” (2Gv 12). Lo stesso
vale per l’apostolo Paolo che, anche in assenza e nel “vivo
desiderio di rivedere” le persone dal vivo (1Ts 2,17), era
presente con le sue lettere nella vita di ogni comunità da lui
fondata (cfr. 1Cor 5,3). I suoi scritti servivano anche a
“interconnettere” le diverse comunità (cfr. Col 4,15-16). La
capacità di Paolo di costruire comunità è stata trasmessa ai nostri
giorni attraverso le sue numerose lettere, dove apprendiamo che per
lui non c’era dicotomia tra presenza fisica e presenza attraverso la
sua parola scritta letta dalla comunità (cfr. 2Cor 10,9-11).
47) Nella realtà sempre più onlife del mondo di
oggi, è necessario superare una logica “aut-aut”, che pensa
alle relazioni umane in una logica dicotomica (digitale vs.
reale-fisica-di persona), e assumere una logica “et-et”,
basata sulla complementarietà e sull’interezza della vita umana e
sociale. Le relazioni comunitarie nelle reti social dovrebbero
rafforzare le comunità locali e viceversa. “L’uso della rete sociale
è complementare all’incontro in carne e ossa, che prende vita
attraverso il corpo, il cuore, gli occhi, lo sguardo e il respiro
dell’altro. Se la rete viene utilizzata come estensione o
aspettativa di tale incontro, allora il concetto di rete non viene
tradito e rimane una risorsa per la comunione”[23].
“Il mondo digitale può essere un ambiente ricco di umanità; una rete
non di fili ma di persone”[24],
se ricordiamo che dall’altra parte dello schermo non ci sono
“numeri” o semplici “aggregati di individui”, ma persone che hanno
storie, sogni, aspettative, sofferenze. C’è un nome e un volto.
Sulla strada per Gerico
48) I media digitali permettono alle persone di incontrarsi
al di là dei confini dello spazio e delle culture. Sebbene questi
incontri digitali non portino necessariamente a una vicinanza
fisica, possono essere comunque significativi, d’impatto e reali. Al
di là delle semplici connessioni, possono essere una via per
coinvolgersi con gli altri in modo sincero, per intraprendere
conversazioni significative, per esprimere solidarietà e per
alleviare l’isolamento e il dolore di qualcuno.
49) I social media possono essere considerati come un’altra
“strada per Gerico”, ricca di opportunità di incontri imprevisti,
come lo fu per Gesù: con un mendicante cieco che gridava ad alta
voce sul ciglio della strada (cfr. Lc 18,35-43), con un
esattore delle tasse disonesto che si nascondeva tra i rami di un
fico (cfr. Lc 19,1-9), con un uomo ferito lasciato in fin di
vita dai ladri (cfr. Lc 10,30). Allo stesso tempo, la
parabola del Buon Samaritano ci ricorda che il solo fatto che
qualcuno sia “religioso” (un sacerdote o un Levita) o affermi di
essere un seguace di Gesù, non è garanzia che offrirà aiuto o che
cercherà guarigione e riconciliazione. Il cieco fu rimproverato dai
discepoli di Gesù e gli fu detto di stare zitto; l’interazione di
Zaccheo con Gesù fu accompagnata dai borbottii delle altre persone;
l’uomo ferito fu semplicemente ignorato dal sacerdote e dal Levita
che passavano di lì.
50) Nei crocevia digitali come negli incontri personali,
essere “cristiani” non è sufficiente. Sui social media è possibile
trovare molti profili o account che proclamano contenuti religiosi
ma non si lasciano coinvolgere nelle dinamiche relazionali in modo
autentico. Interazioni ostili e violente, parole denigranti,
soprattutto nel contesto della condivisione di contenuti cristiani,
gridano dallo schermo e sono in contraddizione con il Vangelo stesso[25].
Al contrario, il buon Samaritano, che è attento e aperto
all’incontro con l’uomo ferito, è mosso da compassione nell’agire e
prestargli assistenza. Si prende cura delle ferite della vittima e
la porta in una locanda per assicurarle che continui a essere
curata. Allo stesso modo, il nostro desiderio di rendere i social
media uno spazio più umano e relazionale deve tradursi in
atteggiamenti concreti e gesti creativi.
51) Promuovere un senso di comunità significa prestare
attenzione ai valori condivisi, alle esperienze, alle speranze, ai
dolori, alle gioie, all’umorismo e persino ai momenti di gioco che,
di per sé, possono diventare punti di aggregazione per le persone
negli spazi digitali. Come per l’ascolto, il discernimento e
l’incontro, anche formare una comunità con gli altri richiede un
impegno personale. Ciò che viene definito “amicizia” dalle
piattaforme social inizia semplicemente come una connessione o una
conoscenza. Tuttavia, anche lì è possibile evidenziare uno spirito
condiviso di sostegno e compagnia. Diventare una comunità richiede
un senso di partecipazione libera e reciproca, per diventare
un’associazione voluta che riunisce i membri in base alla
prossimità. La libertà e il sostegno reciproco non emergono
automaticamente. Per formare una comunità, il lavoro di guarigione e
riconciliazione è spesso il primo passo da compiere nel percorso.
52) Persino nei social media, “ci troviamo davanti alla
scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che
passano a distanza. E se estendiamo lo sguardo alla totalità della
nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati
come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito,
qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e
qualcosa del buon Samaritano”[26].
Tutti noi possiamo essere dei passanti sulle “strade digitali”,
semplicemente “connessi”[27];
oppure possiamo fare qualcosa come il Samaritano e permettere che le
connessioni si trasformino in veri incontri. Il passante casuale
diventa “prossimo” quando presta assistenza all’uomo ferito,
fasciando le sue ferite. Nel prendersi cura di lui, mira a guarire
non solo le ferite fisiche, ma anche l’ostilità e le divisioni che
esistono tra i loro gruppi sociali.
53) Cosa significa allora “curare” le ferite sui social
media? Come possiamo “ricucire” le divisioni? Come costruire
ambienti ecclesiali in grado di accogliere e integrare le “periferie
geografiche ed esistenziali” delle culture odierne? Domande come
queste sono essenziali per discernere la nostra presenza cristiana
sulle “strade digitali”.
“Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere
fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei
fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante
occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e
semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di
includere, di integrare, di risollevare chi è caduto”[28].
«Va’ e anche tu fa’ così»
54) La relazione genera relazione, la comunità costruisce
comunità. La grazia della relazione che si instaura tra due persone
supera la loro interazione. La persona umana è fatta per la
relazione e per la comunità. Allo stesso tempo, la solitudine e
l’isolamento affliggono la nostra realtà culturale, come abbiamo
sperimentato in modo acuto durante la pandemia da COVID-19. Chi
cerca compagnia, soprattutto gli emarginati, spesso si rivolge agli
spazi digitali per trovare comunità, inclusione e solidarietà con
gli altri. Mentre molti hanno trovato conforto nel connettersi con
gli altri nello spazio digitale, alcuni lo trovano inadeguato.
Potremmo non riuscire a creare uno spazio per coloro che cercano di
entrare in dialogo e trovare sostegno senza trovarsi di fronte ad
atteggiamenti giudicanti o diffidenti.
55) Il movimento dall’incontro alla relazione e quindi alla
comunità parla tanto ai doni quanto alle sfide della cultura
digitale. A volte le comunità online si formano quando le persone
trovano un terreno comune nel riunirsi contro un “altro” esterno, un
nemico ideologico comune. Questo tipo di polarizzazione produce un
“tribalismo digitale” in cui gruppi si oppongono ad altri in spirito
di contrapposizione. Non possiamo dimenticare la presenza di altri,
fratelli e sorelle, persone con dignità al di là di queste linee
tribali. “Non dobbiamo catalogare gli altri per decidere chi è il
mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere
prossimo - la decisione è mia – dipende da me essere o non essere
prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche
se estranea o magari ostile”[29].
Purtroppo i rapporti incrinati, i conflitti e le divisioni non sono
estranei alla Chiesa. Per esempio, quando gruppi che si presentano
come “Cattolici” usano la loro presenza sui social media per
alimentare la divisione, non si comportano come una comunità
cristiana dovrebbe fare[30].
Invece di sfruttare i conflitti e i clickbait polemici, gli
atteggiamenti ostili dovrebbero diventare occasioni di conversione,
un’opportunità per testimoniare l’incontro, il dialogo e la
riconciliazione su questioni che in apparenza dividono[31].
56) Il coinvolgimento nei social media deve andare oltre lo
scambio di opinioni personali o l’emulazione di comportamenti.
L’azione sociale mobilitata tramite i social media ha avuto un
impatto maggiore ed è spesso più efficace nel trasformare il mondo
rispetto a un superficiale confronto sulle idee. I dibattiti sono
solitamente limitati dal numero di caratteri consentito e dalla
velocità con cui le persone reagiscono ai commenti altrui, per non
parlare delle argomentazioni emotive ad hominem - attacchi
diretti alla persona che parla, indipendentemente dall’argomento
principale di cui si discute.
Condividere le idee è necessario, ma le idee da sole non funzionano; devono
diventare “carne”. Le azioni devono fertilizzare il terreno giorno dopo giorno[32].
Imparando dal Samaritano, siamo chiamati a diventare attenti a
questa dinamica. Egli non si limita a provare pietà; non si limita
nemmeno a fasciare le ferite di uno straniero. Si spinge oltre,
portando l’uomo ferito in una locanda e provvedendo affinché le sue
cure continuino lì[33].
Grazie a questo accorgimento, la relazione di cura e i semi di
comunità stabiliti tra il Samaritano e l’uomo ferito vengono estesi
al locandiere e alla sua famiglia.
Come il dottore della legge anche noi, nella nostra presenza sui
media digitali, siamo invitati ad “andare e fare lo stesso”,
promuovendo così il bene comune. Come possiamo contribuire a
risanare un ambiente digitale tossico? Come possiamo promuovere
l’ospitalità e le opportunità di guarigione e riconciliazione?
57) L’ospitalità si costruisce sulla nostra apertura
all’incontro con l’altro; attraverso di essa accogliamo Cristo nelle
sembianze dello straniero (cfr. Mt 25,40). Per questo, le
comunità digitali devono condividere contenuti e interessi, ma anche
agire insieme e diventare testimoni di comunione. Esistono già
espressioni significative di comunità di cura nel contesto digitale.
Ad esempio, ci sono comunità che si riuniscono per supportare gli
altri nelle esperienze di malattia, perdita e lutto, come pure
comunità che fanno crowdfunding per qualcuno in difficoltà e
quelle che assicurano sostegno sociale e psicologico ai membri.
Tutti questi tentativi possono essere considerati esempi di
“prossimità digitale”. Persone molto diverse tra loro possono
intraprendere un dialogo online finalizzato a un’azione sociale.
Possono essere o meno ispirate dalla fede. In ogni caso, le comunità
che si formano per agire per il bene degli altri sono fondamentali
per superare l’isolamento nei social media.
58) Possiamo pensare ancora più in grande: il social web
non è scolpito nella pietra. Possiamo cambiarlo. Possiamo diventare
protagonisti del cambiamento, immaginando nuovi modelli costruiti
sulla fiducia, la trasparenza, l’uguaglianza e l’inclusione. Insieme
possiamo sollecitare le aziende dei media a riconsiderare il loro
ruolo e lasciare che Internet diventi davvero uno spazio pubblico.
Gli spazi pubblici ben strutturati sono in grado di promuovere un
comportamento social migliore. Dobbiamo quindi ricostruire gli spazi
digitali in modo che diventino ambienti più umani e più sani.
Condividere un pasto
59) Come comunità di fede, la Chiesa è in pellegrinaggio
verso il Regno dei Cieli. Poiché i social media e, più in generale,
la realtà digitale, sono tra gli aspetti cruciali di questo cammino,
è importante riflettere sulle dinamiche di comunione e comunità
riguardo alla presenza della Chiesa nell’ambiente digitale.
Durante i momenti di lockdown più duri della pandemia, la
trasmissione di celebrazioni liturgiche attraverso i social media e
altri mezzi di comunicazione ha offerto un certo conforto a quanti
non potevano partecipare di persona. Tuttavia, c’è ancora molto su
cui riflettere nelle nostre comunità di fede rispetto a come
sfruttare l’ambiente digitale in un modo che integri la vita
sacramentale. Sono state sollevate questioni teologiche e pastorali
su vari aspetti: ad esempio, lo “sfruttamento commerciale” della
ritrasmissione della Santa Messa.
60) La comunità ecclesiale si forma dove due o tre si
riuniscono nel nome di Gesù (cfr. Mt 18,20),
indipendentemente dalla propria origine, residenza o appartenenza
geografica. Se da un lato possiamo riconoscere che con la
trasmissione della Messa la Chiesa è entrata nelle case delle
persone, dall’altro è necessario riflettere su che cosa significa
“partecipazione” all’Eucaristia[34].
La comparsa della cultura digitale e l’esperienza della pandemia
hanno rivelato quanto le nostre iniziative pastorali abbiano
prestato poca attenzione alla “Chiesa domestica”, quella che si
riunisce nelle case e intorno alla tavola. A questo proposito,
dobbiamo riscoprire il legame tra la liturgia che si celebra nelle
nostre chiese e la celebrazione del Signore con i gesti, le parole,
le preghiere nella propria casa. In altre parole, dobbiamo
ripristinare il ponte tra le nostre mense familiari e l’altare, dove
siamo nutriti spiritualmente attraverso la ricezione della Santa
Eucaristia e confermati nella nostra comunione di credenti.
61) Non si può condividere un pasto attraverso uno schermo[35].
Tutti i nostri sensi sono coinvolti quando condividiamo un pasto: il
gusto e l’olfatto, gli sguardi che contemplano i volti dei
commensali, mentre si ascolta la conversazione che si crea a tavola.
Condividere un pasto a tavola è la prima forma di attenzione verso
l’altro, che favorisce le relazioni tra membri della famiglia,
vicini, amici e colleghi. Allo stesso modo, all’altare partecipiamo
con tutta la persona: mente, spirito e corpo sono coinvolti. La
liturgia è un’esperienza sensoriale; entriamo nel mistero
eucaristico attraverso le porte dei sensi che vengono risvegliati e
nutriti nel loro bisogno di bellezza, significato, armonia, visione,
interazione ed emozione. Soprattutto, l’Eucaristia non è qualcosa
che possiamo semplicemente “guardare” ma è qualcosa che ci nutre
veramente.
62) L'incarnazione è importante per i cristiani. Il Verbo
di Dio si è incarnato in un corpo, ha sofferto ed è morto con il suo
corpo e nella Risurrezione è risorto con il suo corpo. Dopo essere
tornato al Padre, tutto ciò che ha vissuto con il suo corpo è
confluito nei sacramenti[36].
È entrato nel santuario celeste e ha lasciato aperta una via di
pellegrinaggio. Attraverso questa via, il cielo si riversa su di
noi.
63) Essere connessi oltre i confini dello spazio non è una
conquista di “meravigliose scoperte tecnologiche”. È qualcosa che
sperimentiamo, anche senza saperlo, ogni volta che ci “riuniamo nel
nome di Gesù”, ogni volta che partecipiamo alla comunione universale
del corpo di Cristo. Lì ci “connettiamo” con la Gerusalemme celeste
e incontriamo i santi di ogni tempo e ci riconosciamo reciprocamente
come parti dello stesso Corpo di Cristo.
Pertanto, come ci ricorda Papa Francesco nel suo
Messaggio per
la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2019, il
social web è complementare - ma non sostitutivo - di un incontro in
carne e ossa che prende vita attraverso il corpo, il cuore, gli
occhi, lo sguardo e il respiro dell’altro. “Se una famiglia usa la
rete per essere più collegata, per poi incontrarsi a tavola e
guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Se una comunità
ecclesiale coordina la propria attività attraverso la rete, per poi
celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. […] La Chiesa
stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione
non si fonda sui ‘like’, ma sulla verità, sull’‘amen’,
con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri” [37].
IV. Uno stile
distintivo
Amerai … e vivrai (cfr. Lc 10,27-28).
Il che cosa e il come: la creatività dell’amore
64) Molti creatori di contenuto cristiani si chiedono: Qual
è la strategia più efficace per raggiungere più
utenti-persone-anime? Quale strumento rende il mio contenuto più
attraente? Quale stile funziona meglio? Sebbene queste domande siano
utili, dobbiamo ricordare sempre che la comunicazione non è
semplicemente una “strategia”. È molto di più. Un vero comunicatore
dà tutto, dà tutto se stesso/se stessa. Comunichiamo con l’anima e
con il corpo, con la mente, con il cuore, con le mani, con tutto[38].
Condividendo il Pane della Vita, impariamo uno “stile di condivisione” da Colui
che ci ha amati e ha dato se stesso per noi (Cfr. Gal 2,20). Questo stile
si riflette in tre atteggiamenti – “vicinanza, compassione e tenerezza” - che
Papa Francesco definisce come tratti distintivi dello stile di Dio[39]. Gesù stesso, nella sua cena di commiato, ci ha assicurato che il segno
distintivo dei suoi discepoli sarebbe stato quello di amarsi gli uni gli altri
come Lui li ha amati. Da questo tutti sono in grado di riconoscere una comunità
cristiana (Cfr. Gv 13,34-35).
Come si potrebbe riflettere questo “stile” di Dio sui social
media?
65) Prima di tutto, dobbiamo ricordare che tutto ciò che
condividiamo nei nostri post, commenti e like, attraverso parole
pronunciate o scritte, con filmati o immagini animate, deve essere
in linea con lo stile che impariamo da Cristo, che ha trasmesso il
suo messaggio non solo con le parole, ma con tutto il suo stile di
vita, rivelando che la comunicazione, al suo livello più profondo, è
il dono di sé nell’amore[40].
Pertanto, il come diciamo qualcosa è importante esattamente
come il che cosa diciamo. La creatività consiste
nell’assicurarsi che il come corrisponda al che cosa.
In altre parole, possiamo comunicare bene solo se “amiamo bene”[41].
66) Per comunicare la verità, dobbiamo innanzitutto
accertarci di trasmettere informazioni veritiere; non solo nel
creare i contenuti, ma anche nel condividerli. Dobbiamo assicurarci
di essere davvero una fonte attendibile. Per comunicare bontà,
abbiamo bisogno di contenuti di qualità, di un messaggio orientato
ad aiutare, non a danneggiare, a promuovere un’azione positiva, non
a perdere tempo in discussioni inutili. Per comunicare la bellezza,
dobbiamo accertarci che stiamo comunicando un messaggio nella sua
interezza, il che richiede l’arte della contemplazione, arte che ci
permette di vedere una realtà o un evento in relazione con molte
altre realtà ed eventi.
Nel contesto della “post-verità” e delle “fake news”, Gesù Cristo
come “via, verità e vita” (Gv 14,6) rappresenta il principio della
nostra comunione con Dio e tra di noi[42].
Come ci ha ricordato Papa Francesco nel
Messaggio per la Giornata
Mondiale della Comunicazione del 2019, “il dovere di
custodire la verità nasce dalla necessità di non smentire il
rapporto reciproco di comunione. La verità si rivela nella
comunione. La menzogna, invece, è un rifiuto egoistico di
riconoscere che siamo membra di un unico corpo; è un rifiuto di
donarsi agli altri, perdendo così l’unico modo di trovare se stessi”[43].
67) Per questo motivo, la seconda cosa da ricordare è che
un messaggio è più facilmente credibile quando chi lo comunica
appartiene a una comunità. C’è un bisogno urgente di imparare ad
agire non solo come individui, ma come comunità. Il fatto che i
social media facilitino le iniziative individuali nella produzione
di contenuti può sembrare un’opportunità preziosa, ma può rivelarsi
problematico quando le attività individuali sono portate avanti
secondo il capriccio e non riflettono l’obiettivo e la prospettiva
generale della comunità ecclesiale. Mettere da parte la propria
agenda e l’affermazione delle proprie capacità e competenze, per
scoprire che ognuno di noi - con tutti i propri talenti e le proprie
debolezze - è parte di un gruppo, è un dono che ci abilita a
collaborare come “membra gli uni degli altri”. Siamo chiamati a
testimoniare uno stile di comunicazione che alimenti la nostra
appartenenza l’uno all’altro e che rianimi quelle che San Paolo ha
definito le “giunture” che permettono alle membra di un corpo di
agire in sinergia (Col 2,19).
68) La nostra creatività, pertanto, può essere solo il
risultato della comunione: non è tanto il risultato di un grande
genio individuale, quanto il frutto di una grande amicizia. In altre
parole, è il frutto dell’amore. Come comunicatori cristiani siamo
chiamati a testimoniare uno stile di comunicazione che non sia
fondato solo sull’individuo, ma su un modo di costruire la comunità
e l’appartenenza. Il modo migliore per trasmettere un contenuto è
mettere insieme le voci di coloro che amano quel contenuto. Lavorare
insieme come squadra, fare spazio a talenti, provenienze, capacità e
ritmi diversi, co-creare bellezza in una “creatività sinfonica” è in
realtà la più bella testimonianza che siamo davvero figli di Dio,
riscattati dall’essere preoccupati solo di noi stessi e aperti
all’incontro con gli altri.
Raccontarlo con una storia
69) Le buone storie catturano l’attenzione e coinvolgono
l’immaginazione. Rivelano e danno ospitalità alla verità. Le storie
ci offrono un quadro interpretativo per comprendere il mondo e per
rispondere alle nostre domande più profonde. Le storie creano
comunità perché la comunità si crea sempre attraverso la
comunicazione.
Lo storytelling ha acquisito una rinnovata importanza nella
cultura digitale grazie al potere unico delle storie di catturare la
nostra attenzione e parlarci direttamente; spesso offrono anche un
contesto più completo per la comunicazione rispetto a quello che
consentono post o tweet concisi. La cultura digitale è piena di
informazioni e le sue piattaforme sono ambienti per lo più caotici.
Le storie offrono una struttura, un modo di dare un senso
all’esperienza digitale. Più “incarnate” di una pura argomentazione
e più complesse delle reazioni superficiali ed emotive che spesso si
riscontrano nelle piattaforme digitali, aiutano a ripristinare le
relazioni umane offrendo alle persone l’opportunità di raccontare le
proprie storie o condividere quelle che le hanno trasformate.
70) Un buon motivo per raccontare una storia è rispondere a
chi mette in dubbio il nostro messaggio o la nostra missione. La
creazione di una contro-narrativa può essere più efficace per
rispondere a un commento ostile del rispondere con un’argomentazione[44].
In questo modo spostiamo l’attenzione dalla difesa alla promozione
attiva di un messaggio positivo e alla coltivazione della
solidarietà, come fece Gesù con la storia del buon Samaritano.
Invece di discutere con il dottore della legge su chi dobbiamo
considerare il nostro prossimo e chi possiamo ignorare o addirittura
odiare, Gesù ha semplicemente raccontato una storia. Da maestro
narratore, Gesù non mette il dottore della legge nei panni del
Samaritano, ma in quelli dell’uomo ferito. Per scoprire chi è il suo
prossimo, deve prima capire di essere nei panni dell’uomo ferito e
che un altro ha avuto compassione di lui. Solo quando il dottore
della legge lo scopre e sperimenta sulla propria pelle la cura del
Samaritano, può trarre conclusioni sulla propria vita e fare sua la
storia. Lo stesso dottore della legge è l’uomo caduto nelle mani dei
briganti e il Samaritano che gli si avvicina è Gesù.
Ognuno di noi ascoltatori di questa storia è l’uomo ferito che
giace lì. E per ognuno di noi il Samaritano è Gesù. Se ci chiediamo
ancora “chi è il mio prossimo?” è perché non abbiamo ancora
sperimentato che siamo amati e che la nostra vita è connessa a tutte
le altre vite.
71) Fin dai primordi della Chiesa, il racconto della
profonda esperienza vissuta dai seguaci di Gesù alla sua presenza ha
attirato altri al discepolato cristiano. Gli Atti degli Apostoli
sono pieni di questi esempi. Per esempio, Pietro fu abilitato dallo
Spirito Santo e predicò la Resurrezione di Cristo ai pellegrini
della Pentecoste. Questo portò alla conversione di tremila persone
(cfr. At 2,14-41), Qui riusciamo a farci un’idea di quanto la
nostra narrazione possa influenzare gli altri. Allo stesso tempo,
raccontare storie ed esperienze è solo uno degli elementi
dell’evangelizzazione. Sono importanti anche le spiegazioni
sistematiche della fede attraverso la formulazione dei Simboli della
Fede e di opere dottrinali.
Costruire la comunità in un mondo frammentato
72) Le persone cercano qualcuno che possa dare orientamento
e speranza; sono affamate di guida morale e spirituale, ma spesso
non la trovano nei luoghi tradizionali. È ormai comune rivolgersi
agli “influencer”, individui che ottengono e mantengono un ampio
seguito, acquisiscono maggiore visibilità e riescono a ispirare e
motivare gli altri con le loro idee o esperienze. Adottato dalla
teoria dell’opinione pubblica per l’approccio del social media
marketing, il successo di un social media influencer è legato alla
sua capacità di distinguersi nella vastità della rete, attirando un
gran numero di follower.
73) Di per sé, diventare “virali” è un'azione neutra; non
ha automaticamente un impatto positivo o negativo sulla vita degli
altri. A questo proposito, “le reti sociali sono capaci di favorire
le relazioni e di promuovere il bene della società, ma possono anche
condurre ad un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e
i gruppi. L’ambiente digitale è una piazza, un luogo di incontro,
dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o
un linciaggio morale”[45].
74) Micro e macro influencer
Tutti noi dovremmo prendere sul serio la nostra “influenza”. Non
ci sono solo macro-influencer con un grande pubblico, ma anche
micro-influencer. Ogni cristiano è un micro-influencer. Ogni
cristiano dovrebbe essere consapevole della propria potenziale
influenza, a prescindere dal numero di persone che lo/la seguono. Al
tempo stesso, deve essere consapevole che il valore del messaggio
trasmesso dall’“influencer” cristiano non dipende dalle qualità del
messaggero. Ogni seguace di Cristo ha il potenziale per stabilire un
legame, non con se stesso/se stessa, ma con il Regno di Dio, anche
per la più piccola cerchia delle sue relazioni. “Credi nel Signore
Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia” (At 16,31).
Tuttavia, dobbiamo riconoscere che la nostra responsabilità
aumenta con l’aumento del numero dei follower. Più è grande il
numero dei follower più deve essere grande la nostra
consapevolezza che non stiamo agendo a nome nostro. La
responsabilità di servire la propria comunità, soprattutto per
coloro che ricoprono ruoli di leadership pubblica, non può diventare
secondaria rispetto alla promozione delle proprie opinioni personali
dai pulpiti pubblici dei media digitali[46].
75) Essere riflessivi, non reattivi
Lo stile cristiano deve essere riflessivo, non reattivo, anche
sui social media. Pertanto, dobbiamo essere tutti attenti a non
cadere nelle trappole digitali nascoste in contenuti che sono
intenzionalmente progettati per seminare conflitti tra gli utenti,
provocando indignazione o reazioni emotive.
Dobbiamo essere cauti nel postare e condividere contenuti che
possono causare malintesi, esacerbare le divisioni, incitare al
conflitto e approfondire i pregiudizi. Purtroppo, la tendenza a
lasciarsi trasportare in discussioni accese e talvolta irrispettose
è comune negli scambi online. Tutti noi possiamo cadere nella
tentazione di cercare la “pagliuzza nell’occhio” dei nostri fratelli
e sorelle (Mt 7,3), lanciando accuse pubbliche sui social
media, fomentando divisioni all’interno della comunità ecclesiale o
discutendo su chi tra noi sia il più grande, come fecero i primi
discepoli (Lc 9,46). Il problema di una comunicazione
polemica e
superficiale, e quindi divisiva, è particolarmente preoccupante
quando proviene dalla leadership della Chiesa: vescovi, pastori e
leader laici di spicco. Questi non solo causano divisione nella
comunità, ma autorizzano e legittimano anche altri a promuovere un
tipo di comunicazione simile.
Di fronte a questa tentazione, spesso la migliore linea d’azione
è non reagire o reagire con il silenzio per non dare dignità a
questa falsa dinamica. Si può dire che questo tipo di dinamica non
aiuta; al contrario, provoca grandi danni. Quindi i cristiani sono
chiamati a mostrare un’altra via.
76) Essere attivi, essere sinodali
I social media possono diventare un’opportunità per condividere
storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza che sono
fisicamente lontane da noi. Così facendo, potremo pregare insieme e
cercare insieme il bene, riscoprendo ciò che ci unisce[47].
Essere attivi significa impegnarsi in progetti che riguardano la
vita quotidiana delle persone: progetti che promuovono la dignità
umana e lo sviluppo, che mirano a ridurre le disuguaglianze
digitali, che promuovono l’accesso digitale all’informazione e
all’alfabetizzazione, che promuovono iniziative di stewardship
e crowdfunding a favore di chi è povero ed emarginato e che
danno voce a chi non ha voce nella società.
Le sfide che dobbiamo affrontare sono globali e richiedono quindi
uno sforzo di collaborazione globale. Pertanto, è urgente imparare
ad agire insieme, come comunità e non come individui. Non tanto come
“singoli influencer”, ma come “tessitori di comunione”: mettendo in
comune i nostri talenti e le nostre capacità, condividendo
conoscenze e suggerimenti[48].
Per questo Gesù ha inviato i discepoli “a due a due” (cfr. Mc
6,7), perché camminando insieme[49]
possiamo rivelare, anche sui social media, il volto sinodale della
Chiesa. È questo il significato profondo della comunione che unisce
tutti i battezzati nel mondo. Come cristiani, la comunione è parte
del nostro “DNA”. In questo modo, lo Spirito Santo ci rende capaci
di aprire i nostri cuori agli altri e di abbracciare la nostra
appartenenza a una fratellanza universale.
Il segno della testimonianza
77) La nostra presenza nei social media di solito si
concentra sulla diffusione delle informazioni. In questa ottica, la
presentazione di idee, insegnamenti, pensieri, riflessioni
spirituali e altro ancora sui social media deve essere fedele alla
tradizione cristiana. Ma questo non basta. Oltre alla nostra
capacità di raggiungere gli altri con contenuti religiosi
interessanti, noi cristiani dovremmo essere conosciuti per la nostra
disponibilità ad ascoltare, a discernere prima di agire, a trattare
tutte le persone con rispetto, a rispondere con una domanda
piuttosto che con un giudizio, a rimanere in silenzio piuttosto che
scatenare una controversia e a essere “pronti ad ascoltare, lenti a
parlare e lenti all’ira” (Gc 1,19). In altre parole, tutto
ciò che facciamo, nelle parole e nei fatti, deve recare il segno
della testimonianza. Non siamo presenti nei social media per
“vendere un prodotto”. Non si tratta di fare pubblicità, ma di
comunicare la vita, quella che ci è stata donata in Cristo. Per
questo ogni cristiano deve stare attento a non fare proselitismo, ma
a dare testimonianza.
78) Che cosa significa essere un testimone? La parola greca
per testimone è “martire” e si può dire che alcuni dei più
autorevoli “influencer cristiani” sono stati martiri. Il fascino dei
martiri è che manifestano la loro unione con Dio attraverso il
sacrificio della loro stessa vita[50].
“Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è
in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi”
(1Cor 6,19). I corpi dei martiri sono strumenti esemplari per
la rivelazione dell’amore di Dio.
Se il martirio è il segno ultimo della testimonianza cristiana,
ogni cristiano è chiamato a sacrificarsi: la vita cristiana è una
vocazione che consuma la nostra stessa esistenza offrendo noi
stessi, anima e corpo, per diventare uno spazio di comunicazione
dell’amore di Dio, un segno che indica il Figlio di Dio.
È in questo senso che comprendiamo meglio le parole del grande
Giovanni Battista, il primo testimone di Cristo, ci sarà d’aiuto:
“Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30). Come il
Precursore, che esortò i suoi discepoli a seguire Cristo, anche noi
non cerchiamo “follower” per noi stessi, ma per Cristo. Possiamo
trasmettere il Vangelo solo creando una comunione che ci unisce in
Cristo. Possiamo farlo seguendo l'esempio di Gesù che interagisce
con gli altri.
79) Il fascino della fede raggiunge le persone esattamente
dove sono e così come sono, nel qui e ora. Da sconosciuto falegname
di Nazareth quale era, Gesù acquisì rapidamente popolarità in tutta
la regione della Galilea. Guardando con compassione la gente, che
era come un gregge senza pastore, Gesù annunciò il Regno di Dio
guarendo i malati e insegnando alle folle. Per ottenere la massima
“diffusione”, spesso parlava alle moltitudini da un monte o da una
barca. Per stimolare il “coinvolgimento” di alcuni dei suoi, ne
scelse dodici e a loro spiegò tutto. Ma poi, improvvisamente, al
culmine del suo “successo”, si ritirava nella solitudine con il
Padre. E chiedeva ai suoi discepoli di fare lo stesso: quando gli
raccontavano del successo delle loro missioni, diceva loro di
ritirarsi per riposare e pregare. E mentre discutevano su chi fosse
il più grande tra loro, annunciò loro la sua prossima sofferenza
sulla croce. Il suo obiettivo - lo avrebbero capito solo più tardi -
non era di accrescere il suo pubblico, ma di rivelare l’amore del
Padre affinché le persone, tutte le persone, avessero la vita e
l’avessero in abbondanza (cfr. Gv 10,10).
Seguendo le orme di Gesù, dobbiamo considerare prioritario
riservare uno spazio sufficiente per il dialogo personale con il
Padre e per restare in sintonia con lo Spirito Santo, che ci
ricorderà sempre che tutto è stato ribaltato sulla Croce. Non
c’erano “like” e quasi nessun “follower” nel momento della più
grande manifestazione della gloria di Dio! Ogni parametro umano del
“successo” viene relativizzato dalla logica del Vangelo.
80) Questa è la nostra testimonianza: attestare con le
nostre parole e la nostra vita ciò che un altro ha fatto[51].
In questo senso, e solo in questo, possiamo essere testimoni – e
perfino missionari – di Cristo e del suo Spirito. Questo include
anche la nostra presenza sui social media. Fede significa
innanzitutto testimoniare la gioia che il Signore ci dona. E questa
gioia risplende sempre sullo sfondo di una memoria grata. Raccontare
agli altri il motivo della nostra speranza, e farlo con dolcezza e
rispetto (1Pt 3,15), è un segno di gratitudine. È la risposta
di chi, attraverso la gratitudine, è reso docile allo Spirito e
quindi libero. È stato così per Maria, che senza volerlo né
provarci, è diventata la donna più influente della storia[52].
È la risposta di chi, per la grazia dell’umiltà, non pone se stesso
o se stessa in primo piano e facilita così l’incontro con Cristo che
ha detto: “imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt
11,29).
Seguendo la logica del Vangelo, tutto ciò che dobbiamo fare è
suscitare una domanda, risvegliare la ricerca. Il resto è l’opera
misteriosa di Dio.
***
81) Come abbiamo visto, percorriamo le “strade digitali” al fianco di amici e di
perfetti estranei, cercando di evitare le molte insidie lungo la via, e ci
scopriamo consapevoli dei feriti sul ciglio della strada. A volte questi feriti possono essere gli altri. Altre
volte questi feriti possiamo essere noi. Quando ciò accade, ci fermiamo, e
attraverso la vita che abbiamo ricevuto nei sacramenti, che è all’opera in noi,
questa consapevolezza diventa incontro: da personaggi o immagini su uno schermo,
l’uomo ferito assume i contorni di chi ci è prossimo, un fratello o una sorella,
e, di fatto, del Signore, che ha detto “tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi […] più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). E se a volte a
essere feriti siamo anche noi, il Samaritano che si china su di noi con
compassione ha il volto del Signore, che si è fatto nostro prossimo, chinandosi
sull’umanità sofferente per curare le nostre ferite. In entrambi i casi, ciò che
forse è iniziato come un incontro casuale o una presenza distratta sulle
piattaforme social si trasforma in persone presenti le une alle altre, in un
incontro ricolmo di misericordia. Questa misericordia ci consente di avere un
assaggio, già adesso, del Regno di Dio e della comunione che ha le sue origini
nella Santissima Trinità: la vera “terra promessa”.
82) Allora è possibile che, dalla nostra amorevole, genuina presenza in queste sfere
digitali della vita umana si possa aprire un cammino verso quello a cui i santi
Giovanni e Paolo anelavano nelle loro lettere: l’incontro faccia a faccia di
ogni persona ferita con il Corpo del Signore, la Chiesa, affinché in un incontro
personale, cuore a cuore, le loro e le nostre ferite possano essere guarite e
“la nostra gioia sia piena” (2Gv 12).
***
L’icona del buon Samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi
sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato
per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da
trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo
ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza[53].
Città del Vaticano, 28 maggio 2023, Solennità di Pentecoste.
Paolo Ruffini
Prefetto
Lucio A. Ruiz
Segretario
[traduzione dall'originale inglese]
[1] Sinodo dei Vescovi, Documento finale della Riunione presinodale in
preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria, “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Roma, 19-24 marzo 2018, n.
4.
[2]
Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLIII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, "Nuove tecnologie, nuove relazioni.Promuovere
una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia" (24 maggio 2009).
Aetatis novae già in 1992 fa riferimento alla tecnologia digitale, e i documenti
fratelli del 2002
Etica in Internet e
La Chiesa e Internet si
concentrano in modo più approfondito sull’impatto culturale di Internet. Infine, la Lettera apostolica di San Giovanni Paolo II del 2005
Il rapido
sviluppo, indirizzata ai responsabili della comunicazione, offre riflessioni
sulle questioni suscitate dalla comunicazione sociale. Oltre ai documenti che
riguardano specificamente la comunicazione sociale, negli ultimi decenni anche
altri documenti magisteriali hanno dedicato alcune parti a questo argomento. (Si veda ad esempio
Verbum
Domini, n. 113;
Evangelii gaudium nn.
62, 70, 87; Laudato
si’ nn. 47, 102-114;
Gaudete et exsultate, n.
115; Christus vivit, nn. 86-90, 104-106;
Fratelli tutti, nn.
42-50).
[3]
Messaggio del
Santo Padre Benedetto XVI per la XLVII Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali, “Reti Sociali: porte di verità
e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione” (24 gennaio
2013).
[4] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli uni degli altri’ (Ef
4,25).
Dalle social network communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[5] ll Vaticano
ha aperto il suo primo canale YouTube nel 2008. Dal 2012 il
Santo Padre è attivo su Twitter, e dal 2016 su Instagram.
Parallelamente, la presenza digitalmente mediata del Papa è
diventata uno dei metodi del suo impegno pastorale, a
partire dai videomessaggi a metà degli anni 2000, per
arrivare alle videoconferenze in diretta come l’incontro del
2017 con gli astronauti della Stazione Spaziale
Internazionale. Il videomessaggio del 2017 del Papa al Super Bowl
negli Stati Uniti e i suoi TED Talks
nel 2017 e nel 2020 sono solo due esempi della presenza
pastorale mediata digitalmente del Papa.
[6] La
trasmissione in diretta della
Statio Orbis del 27
marzo 2020 ha attirato circa 6 milioni di spettatori sul
canale YouTube di Vatican News e 10 milioni su Facebook.
Questi numeri non comprendono le visualizzazioni successive
della registrazione dell'evento o le visualizzazioni
attraverso altri canali mediatici. La sera stessa
dell’evento, 200.000 nuovi follower si sono aggiunti
a @Franciscus su Instagram, e i post sul 27 marzo 2020
rimangono tra i contenuti con il maggior coinvolgimento
nella storia dell’account.
[7] Tra tante
immagini evangeliche che si potevano scegliere come
ispirazione a questo testo, è stata scelta la parabola del
Buon Samaritano, che per Papa Francesco rappresenta “una
parabola del comunicatore”. Cf. Messaggio del Santo
Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio
di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio
2014).
[8] Per esempio:
chi stabilirà le fonti di apprendimento delle intelligenze
artificiali? Chi finanzia questi nuovi produttori di
opinione pubblica? Come possiamo assicurare che quanti
elaborano gli algoritmi siano guidati da principi etici e
aiutino a diffondere a livello globale una nuova
consapevolezza e un nuovo pensiero critico al fine di
ridurre al minimo le falle delle nuove piattaforme
informative? La nuova alfabetizzazione mediatica deve
comprendere competenze che consentano alle persone non solo
di gestire le informazioni in modo critico ed efficace, ma
anche di discernere l’uso di tecnologie che assottigliano
sempre più il divario tra umano e non umano.
[9] Cfr.
Fratelli tutti n. 30;
Evangelii gaudium, n. 220; vedere
anche il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la
convivenza comune” (4 febbraio 2019): “Ci rivolgiamo (…) agli operatori dei
media (…) in ogni parte del mondo, affinché riscoprano i valori della pace,
della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della
convivenza comune, per confermare l’importanza di tali valori come àncora di
salvezza per tutti e cercare di diffonderli ovunque”.
[10] “Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro
benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente.
Quasi senza accorgercene, siamo diventati incapaci di provare compassione per
gli altri, per i loro drammi, non ci interessa curarci di loro, come se ciò che
accade ad essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete”.
Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della XLIX Giornata
Mondiale della Pace, “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” (1° gennaio
2016); Evangelii gaudium, n. 54.
[11] Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLIX Giornata Mondiale della
Pace, “Vinci l’indifferenza e conquista la pace” (1° gennaio
2016).
[12] Cfr.
Fratelli tutti n. 67.
[13] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVI Giornata Mondiale della
Comunicazioni Sociali, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (24 gennaio
2022).
[14]
Fratelli tutti, n. 63.
[15] “Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti
stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare
le domande veramente importanti”.
Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XLVI Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione” (24 gennaio 2012).
[16] Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica
cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).
[17] Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVI Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (24 gennaio
2022); Evangelii gaudium, n. 171.
[18] “Il primo ascolto da riscoprire quando si cerca una comunicazione vera è
l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle iscritte nell’intimo di
ogni persona. E non si può che ripartire ascoltando ciò che ci rende unici nel
creato: il desiderio di essere in relazione con gli altri e con l’Altro”.
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVI Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, “Ascoltare con l’orecchio del cuore” (24 gennaio
2022).
[19]
Verbum
Domini, nn. 86-87.
[20] Laudato
si’, n. 47.
[21] Cfr.
Laudato
si’, n.
66.
[22] Communio et Progressio, n.12.
[23]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni, “‘Siamo membra gli uni
degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network
communities alla comunità umana” (24 gennaio
2019).
[24]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al
servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio
2014).
[25] Cfr.
Fratelli tutti, n. 49.
[26]
Fratelli tutti, n. 69.
[27] Cfr.
Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di
un’autentica cultura dell’incontro” (24 gennaio 2014).
[28] Fratelli tutti, n.77.
[29] Papa Francesco,
Angelus, 10 luglio 2016.
[30] Cfr.
Gaudete et
exsultate, n. 115.
[31] Sul tema
della polarizzazione e del suo rapporto con la costruzione
del consenso, si veda in particolare
Fratelli tutti,
206-214.
[32] Cfr.
Discorso in occasione dell’evento “Economy of Francesco” (24
settembre 2022).
[33] “Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore,
dicendo: ‘Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio
ritorno’” (Lc 10,35).
[34] Un sondaggio condotto negli Stati Uniti dal Barna Research Centre nel 2020 ha
rivelato che sebbene quasi la metà delle persone che “vanno regolarmente in
chiesa” hanno dichiarato di non aver “partecipato a servizi di culto in chiesa,
né di persona né in forma digitale” per un periodo di sei mesi, esse affermano
però di aver “guardato un servizio di culto online” in quello stesso periodo. È
dunque possibile riconoscere di aver assistito a un servizio religioso senza
considerarsi un partecipante.
[35] Nella realtà virtuale sembrano esserci sostituti artificiali per quasi
tutto; possiamo condividere ogni tipo di informazione attraverso il digitale, ma
condividere un pasto non sembra possibile nemmeno nel metaverso.
[36] Cfr.
Desiderio desideravi, n. 9, citando Leone Magno, Sermo LXXIV:
De ascensione Domini II, 1: “quod … Redemptoris nostri conspicuum fuit, in
sacramenta transivit”.
[37]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli uni
degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network
communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019). Può
essere utile considerare altre forme di pratica spirituale,
come la Liturgia delle Ore e la lectio divina, che
potrebbero essere più adatte alla condivisione online,
rispetto alla Santa Messa.
[38] Cfr.
Discorso del Santo Padre Francesco all’Assemblea Plenaria
del Dicastero per la Comunicazione, 23 settembre 2019.
[39] Papa
Francesco ha parlato in diverse occasioni dello stile di Dio
come “vicinanza, compassione e tenerezza (Udienze Generali,
Angelus, Omelie, Conferenze Stampa, etc.).
[40]
Communio
et Progressio, n.11.
[41] “Basta
amare bene per dire bene” (San Francesco di Sales). Cfr.
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LVII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Parlare col cuore.
‘Secondo verità nella carità (Ef 4,15)” (24 gennaio
2023).
[42]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “La verità vi farà
liberi (Gv 8,32). Fake News e giornalismo di pace” (24
gennaio 2018).
[43]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli
uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network
communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[44] È
importante, tuttavia, che quando emerge una falsa narrativa,
questa venga corretta in modo rispettoso e tempestivo. “Le fake
news vanno contrastate, ma sempre vanno rispettate le
persone, che spesso senza piena avvertenza e responsabilità
vi aderiscono”.
Discorso del Santo Padre Francesco ai
partecipanti all'incontro promosso dal Consorzio Nazionale
dei Media Cattolici “Catholic Fact-Checking”, 28 gennaio
2022.
[45]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la L Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione e
misericordia: un incontro fecondo” (24 gennaio 2016).
[46] Questo
riguarda anche la formazione dei sacerdoti. Come si legge
nella
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis
(n. 97), “i futuri pastori non possono restare esclusi, sia
per il loro iter formativo, che per il loro futuro
ministero, dalla piazza pubblica dei social media” (n. 97).
Dovrebbero anche essere consapevoli degli inevitabili rischi
che derivano dalla frequentazione del mondo digitale, tra
cui varie forme di dipendenza (cfr. n. 99). Su questo
aspetto si veda anche il “Discorso del Santo Padre Francesco
a seminaristi e sacerdoti che studiano a Roma” (24 ottobre
2022).
[47] Cfr.
Messaggio del Santo Padre Francesco per la LIII Giornata
Mondiale delle Comunicazioni Sociali, “‘Siamo membra gli
uni degli altri’ (Ef 4,25). Dalle social network
communities alla comunità umana” (24 gennaio 2019).
[48] Potrebbe
essere utile, quindi, che le iniziative individuali sui
social media, soprattutto quelle che provengono dai
religiosi e dal clero, trovino un modo per accrescere la
comunione nella Chiesa. Come comunità cristiana, potrebbe
essere utile anche raggiungere gli “influencer” che sono ai
margini dei nostri ambienti ecclesiali.
[49] Essere
sinodali (da syn odòs) significa camminare
sulla stessa strada, camminare insieme, andare avanti
insieme.
[50] Questo è
stato descritto già dai Padri dell’antichità. Tertulliano,
ad esempio, parlava del martirio come attrattiva. Nella sua
Apologia spiega che le persecuzioni non sono solo
ingiuste, ma anche inutili: "Nessuna delle vostre crudeltà,
per quanto squisite, vi giova; anzi, rende più attraente la
nostra religione. Quanto più spesso siamo falciati da voi,
tanto più cresciamo di numero; il sangue dei cristiani è
seme di vita nuova. (...) La stessa ostinazione contro cui
inveite è una lezione. Infatti, chi la contempla non è
spinto a chiedersi quale sia il suo fondo? Chi, dopo essersi
informato, non abbraccia le nostre dottrine?". Tertulliano,
Apologia, n. 50 (traduzione adattata).
[51] Questo
paragrafo è stato in parte ispirato dal
Messaggio alle
Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2020.
[52] Viaggio
Apostolico a Panama:
Veglia con i giovani (Campo San
Juan Pablo II – Metro Park, 26 gennaio 2019).
[53]
Messaggio del Santo Padre Francesco per la XLVIII Giornata Mondiale
delle Comunicazioni Sociali, “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro” (24
gennaio 2014).
|