VIAGGIO APOSTOLICO A SANTO DOMINGO
APERTURA DEI LAVORI DELLA IV CONFERENZA GENERALE
DELL’EPISCOPATO LATINOAMERICANO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
Santo Domingo (Repubblica Dominicana) - Lunedì, 12 ottobre 1992
Cari fratelli nell’episcopato,
Amati sacerdoti, religiosi, religiose e laici,
1. Sotto la guida dello Spirito che abbiamo invocato con fervore affinché illumini i lavori di questa importante assemblea ecclesiale, inauguriamo la IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, riponendo il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù Cristo, “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8). Egli è il Principio e la Fine, l’Alfa e l’Omega (cf. Ap 21, 6), la pienezza dell’evangelizzazione, “il primo e il più grande evangelizzatore. Lo è stato fino alla fine: fino alla perfezione e fino al sacrificio della sua vita terrena” (Evangelii nuntiandi, 7). In questo incontro ecclesiale sentiamo la presenza di Gesù Cristo, Signore della storia. In suo nome si sono riuniti i Vescovi dell’America Latina nelle precedenti Assemblee – Rio de Janeiro nel 1955, Medellín nel 1968, Puebla nel 1979 – e sempre nel suo nome siamo riuniti ora a Santo Domingo, per discutere il tema della “Nuova Evangelizzazione, Promozione umana, Cultura cristiana”, che racchiude i grandi problemi che, guardando al futuro, la Chiesa deve affrontare davanti alle nuove situazioni emergenti in America Latina e nel mondo. Questo è, cari fratelli, un momento di grazia per tutti noi e per la Chiesa in America. E, in realtà, lo è per la Chiesa universale, che ci accompagna con la sua preghiera, con questa comunione profonda dei cuori che lo Spirito Santo genera in tutti i membri dell’unico Corpo di Cristo. Momento di grazia e anche di grande responsabilità. Davanti ai nostri occhi si profila il terzo millennio. E se la Provvidenza ci ha convocati per ringraziare Dio per i cinquecento anni di fede e di vita cristiana nel Continente americano, a maggior ragione possiamo dire che ci ha chiamati anche a un rinnovamento interiore e per “scrutare i segni dei tempi” (cf. Mt 16, 3). In realtà, il richiamo alla nuova evangelizzazione è prima di tutto un richiamo alla conversione. Infatti, attraverso la testimonianza di una Chiesa sempre più fedele alla sua identità e più viva in tutte le sue manifestazioni, gli uomini e i popoli dell’America Latina, e di tutto il mondo, potranno continuare a incontrare Gesù Cristo, e in Lui la verità della loro vocazione e della loro speranza, il cammino verso un’umanità migliore. Guardando a Cristo, “tenendo fisso lo sguardo su Gesù autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2), seguiamo il sentiero tracciato dal Concilio Vaticano II, della cui solenne inaugurazione proprio ieri ricorreva il XXX anniversario. Perciò, inaugurando questa grande Assemblea, voglio ricordare le commoventi parole pronunciate dal mio venerato predecessore, il Papa Paolo VI, all’apertura della II sessione conciliare: “Cristo! Cristo, nostro principio, Cristo, nostra vita e nostra guida. Cristo, nostra speranza e nostro termine... Nessuna altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; nessun’altra verità interessi gli animi nostri, che non siano le parole del Signore, unico nostro Maestro; nessuna altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d’esser a Lui assolutamente fedeli; nessuna altra fiducia ci sostenga, se non quella che francheggia, mediante la parola di Lui, la nostra desolata debolezza...”.
I.
Gesù Cristo ieri, oggi e sempre
2. Questa Conferenza si tiene per celebrare Gesù Cristo, per ringraziare Dio della sua presenza su queste terre dell’America, dove cinquecento anni fa incominciò a diffondersi il messaggio della salvezza. Si tiene per celebrare il radicamento della Chiesa, che durante questi cinque secoli, nel Nuovo Mondo, ha dato frutti così abbondanti di santità e di amore.
Gesù Cristo è la Verità eterna che si è manifestata nella pienezza dei tempi. E proprio per trasmettere a tutti i popoli la Buona Novella, ha fondato la sua Chiesa con la specifica missione di evangelizzare: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). Si può dire che in queste parole è contenuto il solenne proclama dell’evangelizzazione. Così, dopo quel giorno in cui gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo, la Chiesa incominciò il grande compito dell’evangelizzazione. San Paolo lo esprime con una frase lapidaria ed emblematica: “Evangelizare Iesum Christum”, “annunciare Gesù Cristo” (cf. Gal 1, 16). Questo è quanto hanno fatto i discepoli del Signore in tutte le epoche e in tutto il mondo.
3. In questo singolare progresso, l’anno 1492 segna una data chiave. Infatti, il 12 ottobre – oggi ricorrono esattamente cinque secoli – l’Ammiraglio Cristoforo Colombo, con le tre caravelle provenienti dalla Spagna, giunse in queste terre e su di esse piantò la croce di Cristo. L’evangelizzazione propriamente detta, senza dubbio, ebbe inizio con il secondo viaggio degli scopritori, accompagnati dai primi missionari. Incominciava così la semina del dono prezioso della fede. Come, quindi, non ringraziare Dio per questo, insieme a voi, cari fratelli Vescovi, che oggi rendete presenti a Santo Domingo tutte le Chiese particolari dell’America Latina? Come non rendere grazie per i frutti copiosi nati dai semi piantati durante questi cinque secoli da tanti e tanto coraggiosi missionari!
Con l’arrivo del Vangelo in America, si amplia la storia della salvezza, cresce la famiglia di Dio, si moltiplica “a gloria di Dio il numero di coloro che rendono grazie” (2 Cor 4, 15). I popoli del nuovo Mondo erano “popoli nuovi... completamente sconosciuti al Vecchio Mondo fino all’anno 1492”, “conosciuti da Dio dall’inizio dei tempi e da Lui abbracciati per sempre con quella Paternità rivelata dal Figlio nella pienezza dei tempi (cf. Gal 4, 4)” (Omelia, 1 gennaio 1992). Nei popoli dell’America, Dio ha scelto un nuovo popolo, lo ha inserito nel suo disegno di redenzione, lo ha reso partecipe del suo Spirito. Mediante l’evangelizzazione e la fede in Cristo, Dio ha rinnovato la sua alleanza con l’America Latina. Rendiamo grazie a Dio, inoltre, per il gran numero di evangelizzatori che hanno lasciato la loro patria e hanno dato la loro vita per seminare nel Nuovo Mondo la vita nuova della fede, la speranza e l’amore. Non erano spinti dalla leggenda dell’“El Dorado”, né da interessi personali, ma dal sollecito richiamo ad evangelizzare quei fratelli che ancora non conoscevano Gesù Cristo. Essi annunciarono “la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini” (Tt 3, 4) a popolazioni che sacrificavano agli dei perfino vittime umane. Essi testimoniarono, con la vita e le parole, l’umanità che scaturisce dall’incontro con Cristo. Grazie alla loro testimonianza e alla loro predicazione, il numero di uomini e donne che si aprivano alla grazia di Cristo si moltiplicò: “Come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova sulla spiaggia del mare” (Eb 11, 12).
4. Fin dai primordi dell’evangelizzazione, la Chiesa cattolica, animata dalla fedeltà allo Spirito di Cristo, ha difeso strenuamente gli indios, proteggendo i valori contenuti nella loro cultura, facendosi promotrice di umanità di fronte agli abusi di colonizzatori spesso senza scrupoli. La denuncia delle ingiustizie e dei maltrattamenti a opera dì Montesinos, di Las Casas, di Córdoba, di Fra Juan del Valle e di tanti altri, è stato come un grido prolungato da cui è scaturita una legislazione ispirata al riconoscimento del valore sacro della persona. La coscienza cristiana affiorava con profetico coraggio in quella cattedra di dignità e di libertà che fu, all’Università di Salamanca, la Scuola di Vittoria (cf. Discorso, 14 maggio 1992), e in tanti illustri difensori degli indigeni, sia in Spagna che in America Latina. Nomi ben conosciuti e ricordati con ammirazione e gratitudine in occasione del V Centenario. Per quel che mi riguarda, e per definire i contorni della verità storica ponendo in rilievo le radici cristiane e l’identità cattolica del Continente, ho suggerito di realizzare un Simposio Internazionale sulla Storia dell’Evangelizzazione dell’America, organizzato dalla Pontificia Commissione per l’America Latina. I dati storici indicano che fu compiuta una valida, feconda e ammirevole opera evangelizzatrice e che, tramite questa, la verità su Dio e sull’uomo giunse in America a un punto tale che, di fatto, l’evangelizzazione stessa divenne una sorta di banco d’accusa per i responsabili di simili abusi.
Della fecondità del seme del Vangelo depositato su queste terre benedette, ho potuto essere testimone durante i viaggi apostolici che il Signore mi ha concesso di effettuare presso le vostre Chiese particolari. Come non manifestare apertamente a Dio la mia calorosa gratitudine, per aver potuto conoscere da vicino la realtà viva della Chiesa in America Latina! Nei miei viaggi sul Continente, come pure durante le vostre visite “ad limina” e altri incontri – che hanno rafforzato i legami della collegialità episcopale e la corresponsabilità nella sollecitudine pastorale per tutta la Chiesa – ho potuto verificare ripetutamente il rigoglio della fede delle vostre comunità ecclesiali e contemporaneamente misurare la mole delle sfide che si pongono alla Chiesa, indissolubilmente legata alla sorte dei popoli del Continente.
5. L’attuale Conferenza Generale si svolge per tracciare le linee maestre di un’azione evangelizzatrice che ponga Cristo nel cuore e sulle labbra di tutti i latinoamericani. Questo è il nostro compito: Far sì che la verità su Cristo e sull’uomo penetri sempre più profondamente in tutti gli strati della società e la trasformino (cf. Discorso alla Pontificia Commissione per l’America Latina, 14 giugno 1991).
Nelle sue deliberazioni e conclusioni, questa Conferenza deve saper coniugare i tre elementi dottrinali e pastorali che costituiscono le tre coordinate della nuova evangelizzazione: Cristologia, Ecclesiologia e Antropologia. Sostenuti da una profonda e solida cristologia, basati su una sana antropologia e in possesso di una chiara e corretta visione ecclesiologica, si devono affrontare le sfide che oggi si pongono di fronte all’azione evangelizzatrice della Chiesa in America.
Proseguendo, desidero fare insieme a voi alcune riflessioni che, secondo l’indicazione del tema della Conferenza e come segno di profonda comunione e corresponsabilità ecclesiale, vi aiutino nel vostro ministero di Pastori generosamente consacrati al gregge che il Signore vi ha affidato. Si tratta di indicare alcune priorità dottrinali e pastorali partendo dalla prospettiva della nuova evangelizzazione.
II.
Nuova evangelizzazione
6. La nuova evangelizzazione è l’idea centrale di tutta la tematica di questa Conferenza. Fin dal mio incontro ad Haiti con i Vescovi del Celam nel 1983, ho dato particolare rilievo a questa espressione, per risvegliare in questo modo un nuovo fervore e nuove aspirazioni evangelizzatrici in America e nel mondo intero. Tutto questo per dare all’azione pastorale “uno slancio nuovo capace di creare, in una Chiesa ancor più radicata nella forza e nella potenza perenne della Pentecoste, nuovi tempi d’evangelizzazione” (Evangelii nuntiandi, 2). La nuova evangelizzazione non consiste in un “nuovo vangelo”, che deriverebbe sempre da noi stessi, dalla nostra cultura, dalla nostra analisi delle necessità dell’uomo. Perché questo non sarebbe “vangelo”, ma pura invenzione umana e non vi sarebbe in esso salvezza. Né si tratta di tagliare fuori dal Vangelo tutto ciò che sembra difficilmente assimilabile alla mentalità odierna. Non è la cultura la misura del Vangelo, ma è Gesù Cristo la misura di ogni cultura e di ogni azione umana. No, la nuova evangelizzazione non nasce dal desiderio di “piacere agli uomini” o di “guadagnare il loro favore” (cf. Gal 1, 10), ma dalla responsabilità verso il dono che Dio ci ha fatto in Cristo, nel quale abbiamo accesso alla verità su Dio e sull’uomo, e alla possibilità della vita autentica. La nuova evangelizzazione ha, come punto di partenza, la certezza che in Cristo c’è una “imperscrutabile ricchezza” (cf. Ef 3, 8), che nessuna cultura né epoca alcuna possono esaurire e alla quale possiamo sempre ricorrere noi uomini per arricchirci (cf. Assemblea Speciale Sinodo dei Vescovi per l’Europa, Dichiarazione conclusiva, 3). Questa ricchezza è, innanzitutto, Cristo stesso, la sua persona, perché Egli è la nostra salvezza. Noi uomini, di qualsiasi epoca e cultura, possiamo, avvicinandoci a Lui attraverso la fede e l’incorporazione al suo Corpo che è la Chiesa, trovare risposte a queste domande, sempre antiche e sempre nuove, con le quali affrontiamo il mistero della nostra esistenza, e che portiamo indelebilmente impresse nel nostro cuore fin dalla creazione e dalla ferita del peccato.
7. La novità non intacca il contenuto del messaggio evangelico che è immutabile, poiché Cristo è “lo stesso ieri, oggi e sempre”. Per questo, il Vangelo deve essere predicato in piena fedeltà e purezza, così come è stato custodito e trasmesso dalla Tradizione della Chiesa. Evangelizzare significa annunciare una persona, che è Cristo. Infatti, “non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, non siano proclamati” (Evangelii nuntiandi, 22). Per questo, le cristologie riduttive, delle quali ho, in diverse occasioni, segnalato le devianze (cf. Discorso Inaugurale della Conferenza di Puebla, 28 gennaio 1979, I, 4), non possono essere accettate come strumenti della nuova evangelizzazione. Nell’evangelizzazione, l’unità della fede della Chiesa deve risplendere non solo nel magistero autentico dei Vescovi, ma anche nel servizio alla verità da parte dei pastori di anime, dei teologi, dei catechisti e di tutti coloro che sono impegnati nella proclamazione e nella predicazione della fede. A questo proposito, la Chiesa sollecita, ammira e rispetta la vocazione del teologo, la cui “funzione consiste nel giungere a una comprensione sempre più approfondita della parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e tramandata dalla Tradizione viva della Chiesa” (cf. Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo, 24 maggio 1990, n. 6). Questa vocazione, nobile e necessaria, sorge dentro la Chiesa e presuppone la condizione di credente nel teologo stesso, con un atteggiamento di fede che egli stesso deve testimoniare all’interno della comunità. “La retta coscienza del teologo cattolico presuppone di conseguenza la fede nella Parola di Dio... l’amore alla Chiesa dalla quale ha ricevuto la sua missione e il rispetto al Magistero assistito da Dio” (cf. Ivi, 38). La teologia è chiamata, quindi, a prestare un grande servizio all’evangelizzazione.
8. Certamente la verità ci rende liberi (cf. Gv 8, 32). Ma non possiamo fare a meno di constatare che esistono posizioni inaccettabili su che cosa è la verità, la libertà, la coscienza. Si giunge persino a giustificare il dissenso facendo ricorso “al pluralismo teologico, portato a volte fino a un relativismo che mette in pericolo l’integrità della fede”. Non mancano coloro che pensano che “i documenti del Magistero non sarebbero altro che il riflesso di una teologia opinabile” (cf. Ivi, 34) e “sorge così una specie di “magistero parallelo” dei teologi, in opposizione e rivalità con il Magistero autentico” (cf. Ivi). D’altra parte, non possiamo tacere il fatto che “gli atteggiamenti di sistematica opposizione alla Chiesa, che arrivano perfino a costituirsi in gruppi organizzati”, la contestazione e la discordia, così come “causano gravi inconvenienti alla comunione della Chiesa”, costituiscono anche un ostacolo all’evangelizzazione (cf. Ivi, 32). La professione di fede “Gesù Cristo ieri, oggi e sempre” della Lettera agli Ebrei – che è come lo scenario del tema di questa IV Conferenza – ci porta a ricordare le parole del versetto successivo: “Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine” (Eb 13, 9). Voi, amati Pastori, dovete vegliare soprattutto sulla fede della gente semplice che, altrimenti, si vedrà disorientata e confusa.
9. Tutti gli evangelizzatori devono prestare un’attenzione speciale alla catechesi. All’inizio del mio Pontificato ho voluto dare un nuovo impulso a quest’opera pastorale attraverso l’Esortazione apostolica Catechesi tradendae, e recentemente ho approvato il Catechismo della Chiesa Cattolica, che presento come il migliore dono che la Chiesa può elargire ai suoi Vescovi e a tutto il Popolo di Dio. Si tratta di un prezioso strumento per la nuova evangelizzazione in cui si riassume tutta la dottrina che la Chiesa deve insegnare. Confido allo stesso modo nel fatto che il movimento biblico continui ad espletare la sua benefica opera in America Latina e che le Sacre Scritture arricchiscano sempre più la vita dei fedeli, per cui si rende indispensabile che gli agenti di pastorale approfondiscano instancabilmente la Parola di Dio, vivendola e trasmettendola agli altri con fedeltà, vale a dire: “tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede” (Dei Verbum, 12). Allo stesso modo, il movimento liturgico deve dare un rinnovato impulso al vivere intimamente i misteri della nostra fede portando all’incontro con Cristo Risorto nella liturgia della Chiesa. È nella celebrazione della Parola e dei Sacramenti, ma soprattutto nell’Eucaristia, culmine e fonte della vita della Chiesa e di tutta l’evangelizzazione, che si realizza il nostro incontro salvifico con Cristo, al quale ci uniamo misticamente per formare la sua Chiesa (cf. Lumen gentium, 7). Per questo motivo vi esorto a dare un nuovo impulso alla celebrazione degna, viva e partecipata delle assemblee liturgiche, con quel profondo senso della fede e della contemplazione dei misteri della salvezza tanto radicato nei vostri popoli.
10. La novità dell’azione evangelizzatrice che abbiamo citato riguarda l’atteggiamento, lo stile, lo sforzo e la programmazione o, come ho proposto a Haiti, l’ardore, i metodi e l’espressione (cf. Discorso ai Vescovi del Celam, 9 marzo 1983). Un’evangelizzazione nuova nel suo ardore presuppone una solida fede, un’intensa carità pastorale e una grande fedeltà, che, sotto l’azione dello Spirito, generino una mistica, un incontenibile entusiasmo nel compito di annunciare il Vangelo. Nel linguaggio neotestamentario è la “parresìa” che infiamma il cuore dell’apostolo (cf. At 5, 28-29); (cf. Redemptoris missio, 45). Questa “parresìa” deve essere anche il segno del vostro apostolato in America. Niente può farvi tacere, perché siete araldi della verità. La verità di Cristo deve illuminare le menti e i cuori con l’attiva, instancabile e pubblica proclamazione dei valori cristiani. D’altro canto, i nuovi tempi esigono che il messaggio cristiano arrivi all’uomo di oggi attraverso nuovi metodi di apostolato, e che sia espresso in un linguaggio e in forme accessibili all’uomo latinoamericano, bisognoso di Cristo e assetato di Vangelo: come rendere accessibile, penetrante, valida e profonda la risposta all’uomo di oggi, senza per nulla alterare o modificare il contenuto del messaggio evangelico? Come arrivare al cuore della cultura che vogliamo evangelizzare? Come parlare di Dio in un mondo nel quale è presente un crescente processo di secolarizzazione?
11. Come avete manifestato durante gli incontri e le conversazioni che abbiamo avuto in questi anni, sia a Roma sia durante le mie visite alle vostre Chiese particolari, oggi la fede semplice dei vostri popoli subisce l’affronto della secolarizzazione, con il conseguente indebolimento dei valori religiosi e morali. Negli ambienti urbani cresce una modalità culturale, che facendo affidamento soltanto sulla scienza e sui progressi della tecnica, si presenta ostile alla fede. Si trasmettono alcuni “modelli” di vita in contrasto con i valori del Vangelo. Sotto la pressione del secolarismo, si arriva a presentare la fede come se fosse una minaccia alla libertà e all’autonomia dell’uomo. Inoltre, non possiamo dimenticare quello che la storia recente ha dimostrato, cioè che quando, al riparo di certe ideologie, si negano la verità su Dio e la verità sull’uomo, diventa impossibile costruire una società dal volto umano. Con la caduta dei regimi del cosiddetto “socialismo reale” nell’Europa orientale c’è da sperare che anche in questo continente si traggano le deduzioni pertinenti in relazione all’effimero valore di tali ideologie. La crisi del collettivismo marxista non ha avuto solo radici economiche, come ho sottolineato nell’Enciclica Centesimus annus (n. 41), perché la verità sull’uomo è intima e necessariamente legata alla verità su Dio.
La nuova evangelizzazione deve fornire, dunque, una risposta integrale, pronta, agile, che renda più forte la fede cattolica, sulle sue verità fondamentali, sulle sue dimensioni individuali, famigliari e sociali.
12. Seguendo l’esempio del Buon Pastore dovete pascere il gregge che vi è stato affidato e difenderlo dai lupi voraci. Causa di divisione e discordia nelle vostre comunità ecclesiali sono – lo sapete bene – le sette e i movimenti “pseudo-spirituali” di cui parla il Documento di Puebla (n. 628) e la cui diffusione e aggressività urge affrontare. Come molti di voi hanno segnalato, la crescita delle sette pone in rilievo un vuoto pastorale, la cui causa, il più delle volte, è l’assenza di formazione, cosa che mina l’identità cristiana e fa sì che grandi masse di cattolici privi di un’adeguata attenzione religiosa – tra le altre ragioni, per mancanza di sacerdoti –, siano lasciati in balìa di campagne di proselitismo settario molto attive. Tuttavia può anche succedere che i fedeli non trovino negli operatori della pastorale quel forte senso di Dio che essi invece dovrebbero trasmettere attraverso la loro vita. “Tali situazioni possono essere causa del fatto che molte persone povere e semplici, – come purtroppo sta accadendo – siano facile preda delle sette, nelle quali ricercano un senso religioso della vita che forse non trovano in coloro che invece dovrebbero offrirlo a piene mani” (Lettera apostolica Los Caminos del Evangelio, 20). Inoltre, non si può dar credito a una certa strategia, il cui obiettivo è quello di indebolire i vincoli che uniscono i Paesi dell’America Latina e di minare così le forze che nascono dall’unità. Con questo obiettivo importanti risorse economiche vengono impegnate per sovvenzionare campagne di proselitismo, che cercano di sgretolare l’unità dei cattolici.
Al preoccupante fenomeno delle sette bisogna reagire con un’azione pastorale che ponga al centro di tutto la persona, la sua dimensione comunitaria e il suo anelito a un rapporto personale con Dio. È un fatto che là dove la presenza della Chiesa è dinamica, come nel caso delle parrocchie in cui si impartisce un’assidua catechesi sulla Parola di Dio, là dove esistono una liturgia attiva e partecipata, una solida pietà mariana, un’effettiva solidarietà nel campo sociale, una forte sollecitudine pastorale per la famiglia, per i giovani e per i malati, vediamo che le sette o i movimenti para-religiosi non riescono ad attecchire o a svilupparsi.
La radicata religiosità popolare dei vostri fedeli con i suoi straordinari valori della fede e della pietà, del sacrificio e della solidarietà, adeguatamente evangelizzata e gioiosamente celebrata, orientata intorno ai misteri di Cristo e della Vergine Maria, può essere, per le sue radici essenzialmente cattoliche, un antidoto contro le sette e una garanzia di fedeltà al messaggio della salvezza.
III.
Promozione umana
13. Dal momento che la Chiesa è consapevole del fatto che l’uomo – non l’uomo astratto, ma l’uomo concreto e storico – “è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compito della sua missione” (Redemptor hominis, 14), la promozione umana deve essere la conseguenza logica dell’evangelizzazione, che tende alla liberazione integrale della persona (cf. Evangelii nuntiandi, 29-39).
Guardando a quest’uomo concreto, voi Pastori della Chiesa osservate la difficile e delicata realtà sociale che attraversa oggi l’America Latina, ove grandi settori della popolazione vivono nella povertà e nell’emarginazione. Per questo, solidali con il grido dei poveri, vi sentite chiamati ad assumere il ruolo del Buon Samaritano (cf. Lc 10, 25-37), poiché l’amore di Dio si dimostra attraverso l’amore per la persona umana. Così ce lo ricorda l’Apostolo Giacomo con quelle severe parole: “Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e non hanno il pane quotidiano, e qualcuno di voi dice loro: “Andate in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non dà loro il necessario per il corpo, a cosa serve?” (Gc 2, 15-16).
La sollecitudine per il sociale “fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” (Sollicitudo rei socialis, 41) ed è anche “parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società e inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore” (Centesimus annus, 5).
Come afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, il problema della promozione umana non può essere considerato al di fuori del rapporto dell’uomo con Dio (cf. nn. 43-45). Infatti, contrapporre la promozione autenticamente umana e il progetto di Dio sull’umanità è una grave distorsione, frutto di una certa mentalità di ispirazione secolarista. La genuina promozione umana deve rispettare sempre la verità su Dio e la verità sull’uomo, i diritti di Dio e i diritti dell’uomo.
14. Voi, amati Pastori, conoscete da vicino la triste situazione di tanti fratelli a cui manca il necessario per condurre una vita autenticamente umana. Nonostante i progressi constatati in alcuni campi, il fenomeno della povertà continua ad esistere ed è addirittura in aumento. I problemi si aggravano con la perdita del potere di acquisto del denaro, a causa dell’inflazione, a volte incontrollabile, e del peggioramento dei termini di scambio con la conseguente diminuzione dei prezzi di alcune materie prime e con il peso insopportabile del debito internazionale da cui derivano gravissime conseguenze sociali. La situazione si fa sempre più dolorosa con il grave problema della crescente disoccupazione, che non permette di portare a casa il pane e impedisce di possedere altri beni fondamentali (cf. Laborem exercens, 18).
Avvertendo profondamente la gravità di questa situazione, non ho smesso di rivolgere pressanti appelli per un’attiva, giusta ed urgente solidarietà internazionale. Questo è un dovere di giustizia che riguarda tutta l’umanità, ma soprattutto i paesi ricchi che non possono eludere la propria responsabilità nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Questa solidarietà è un’esigenza del bene comune universale che deve essere rispettato da tutti i componenti della famiglia umana (cf. Gaudium et spes, 26).
15. Il mondo non può sentirsi tranquillo e soddisfatto dinanzi alla situazione caotica e sconcertante che si presenta ai nostri occhi: nazioni, settori della popolazione, famiglie e singole persone sempre più ricche in confronto a popoli, famiglie e moltitudini di persone sprofondate nella povertà, vittime della fame e delle malattie, bisognose di una degna dimora, di servizi sanitari, di accesso alla cultura. Tutto ciò è la testimonianza eloquente di un disordine reale e di un’ingiustizia istituzionalizzata, a cui si aggiungono a volte il ritardo nel prendere le misure necessarie, la passività e l’imprudenza, se non addirittura la trasgressione dei principi etici nell’esercizio delle funzioni amministrative, come nel caso della corruzione. Dinanzi a tutto questo, si impone un “cambiamento di mentalità, di comportamento e di strutture” (Centesimus annus, 60), per superare il divario esistente fra paesi ricchi e paesi poveri (cf. Laborem exercens, 16; Centesimus annus, 14), così come pure le profonde differenze esistenti fra i cittadini di uno stesso paese. In breve: occorre far valere il nuovo ideale di solidarietà di fronte all’effimera sete di potere.
D’altra parte, è fallace e inaccettabile la soluzione che propugna la riduzione dell’incremento demografico senza preoccuparsi dei mezzi impiegati per ottenerlo. Non si tratta di ridurre a ogni costo il numero degli invitati alla mensa della vita; ciò che occorre è potenziare le possibilità e distribuire con maggior giustizia la ricchezza affinché tutti possano partecipare equamente ai beni del creato.
Occorre cercare soluzioni a livello mondiale, instaurando un’autentica economia di comunione e condivisione dei beni, sia sul piano internazionale che su quello nazionale. A questo proposito un fattore determinante che può notevolmente contribuire a superare i gravi problemi che oggi affliggono questo continente è l’integrazione latinoamericana.
Costituisce una grande responsabilità dei governanti il favorire il già intrapreso processo di integrazione di alcuni popoli che la geografia stessa, la fede cristiana, la lingua e la cultura hanno unito definitivamente nel cammino della storia.
16. In continuità con le Conferenze di Medellín e di Puebla, la Chiesa ribadisce l’opzione preferenziale per i poveri. Un’opzione che non è esclusiva né escludente, poiché il messaggio della salvezza è destinato a tutti. “Un’opzione, inoltre, basata essenzialmente sulla Parola di Dio e non su criteri apportati da scienze umane o ideologie contrapposte, che frequentemente riducono i poveri a categorie sociopolitiche economiche astratte. Un’opzione però decisa e irrevocabile” (Discorso ai Cardinali e ai Prelati della Curia Romana, 21 dicembre 1984, n. 9).
Come afferma il Documento di Puebla, “avvicinandoci al povero per assimilarci a lui e per servirlo, facciamo quello che Cristo ci insegnò facendosi nostro fratello, povero come noi. Perciò il servizio ai poveri è la misura privilegiata, anche se non esclusiva, della nostra sequela di Cristo. Il miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente” (Puebla, 1145). Questi criteri evangelici di servizio ai bisognosi eviteranno qualsiasi tentazione di connivenza con i responsabili delle cause della povertà, o pericolose deviazioni ideologiche, incompatibili con la dottrina e la missione della Chiesa.
La genuina prassi della liberazione deve essere sempre ispirata alla dottrina della Chiesa secondo quanto esposto nelle Istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede (Libertatis nuntius, 1984; Libertatis conscientia, 1986), che devono essere tenute in considerazione quando si affronta il tema delle teologie della liberazione. D’altra parte, la Chiesa non può in alcun modo lasciarsi strappare da nessuna ideologia o corrente politica la bandiera della giustizia, che è una delle prime esigenze del Vangelo e, allo stesso tempo, frutto della venuta del Regno di Dio.
17. Come già segnalato dalla Conferenza di Puebla, vi sono gruppi umani particolarmente sommersi dalla povertà, è il caso degli indios (cf. n. 1265). Ad essi, e anche agli afroamericani, ho voluto rivolgere uno speciale messaggio di solidarietà e vicinanza, che consegnerò domani a un gruppo di rappresentanti delle loro rispettive comunità. Come gesto di solidarietà, la Santa Sede ha recentemente istituito la Fondazione “Populorum Progressio”, che dispone di un fondo di aiuti a favore dei contadini, degli indios e degli altri gruppi umani del settore rurale, particolarmente bisognosi in America Latina.
Su questa stessa linea di sollecitudine pastorale per le categorie sociali più bisognose, questa Conferenza Generale potrebbe esaminare la possibilità che, in un futuro non lontano, si possa celebrare un Incontro di rappresentanti degli Episcopati di tutto il Continente americano, – che possa anche avere un carattere sinodale – al fine di promuovere la cooperazione fra le diverse Chiese particolari nei diversi campi dell’azione pastorale e in cui, nell’ambito della nuova evangelizzazione e quale espressione di comunione, vengano affrontati anche i problemi relativi alla giustizia e alla solidarietà fra tutte le Nazioni dell’America. La Chiesa, ormai alle porte del terzo millennio cristiano e in un’epoca in cui sono cadute molte barriere e frontiere ideologiche, avverte come un dovere ineludibile l’unire spiritualmente in modo ancora maggiore tutti i popoli che formano questo grande continente e, allo stesso tempo, partendo dalla missione religiosa che le è propria, il promuovere uno spirito di solidarietà fra di essi, che permetta, in modo particolare, di trovare le vie per la soluzione delle drammatiche situazioni di ampi settori di popolazione che aspirano a un legittimo progresso integrale e a condizioni di vita più giuste e degne.
18. Non vi è autentica promozione umana, vera liberazione, né opzione preferenziale per i poveri, se non si parte dai fondamenti stessi della dignità della persona e dell’ambiente in cui essa deve svilupparsi, secondo il disegno del Creatore. Per questo, fra i temi e le opzioni che richiedono tutta l’attenzione della Chiesa non posso fare a meno di ricordare quelli della famiglia e della vita: due realtà che vanno strettamente unite, poiché “la famiglia è come il santuario della vita” (Centesimus annus, 39). Infatti, “L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia! È dunque, indispensabile ed urgente che ogni uomo di buona volontà si impegni a salvare e a promuovere i valori e le esigenze della famiglia” (Familiaris consortio, 86).
Nonostante i problemi che ai nostri giorni insidiano il matrimonio e l’istituzione familiare, quest’ultima, in quanto “prima e vitale cellula della società” (Apostolicam actuositatem, 11) può generare grandi energie che sono necessarie per il bene dell’umanità. Per questo, occorre “annunciare con gioia e convinzione la “buona novella” sulla famiglia” (cf. Familiaris consortio, 86). Bisogna annunciarla qui, in America Latina, dove, insieme alla stima che si nutre per la famiglia, proliferano purtroppo anche le unioni consensuali libere. Dinanzi a questo fenomeno e dinanzi alle crescenti pressioni divorziste urge promuovere misure adeguate a favore del nucleo familiare, in primo luogo per garantire l’unione di vita e l’amore stabile all’interno del matrimonio, secondo il piano di Dio, così come un’idonea educazione dei figli.
In stretta connessione con i problemi segnalati si trova il grave fenomeno dei bambini che vivono permanentemente nelle strade delle grandi città latinoamericane, minati dalla fame e dalle malattie, senza nessuna protezione, esposti a tanti pericoli, fra i quali la droga e la prostituzione. Ecco un altro problema che deve toccare la vostra sollecitudine pastorale, ricordando le parole di Gesù: “Lasciate che i bambini vengano a me” (Mt 19, 14).
La vita, dal suo concepimento nel grembo materno fino alla sua conclusione naturale, deve essere difesa con fermezza e coraggio. È necessario, quindi, creare in America una cultura della vita che contrasti l’anticultura della morte che – attraverso l’aborto, l’eutanasia, la guerra, la guerriglia, il sequestro, il terrorismo e altre forme di violenza o di sfruttamento – tenta di prevalere in alcune nazioni. In questa visione di attentati alla vita occupa un posto di primaria importanza il narcotraffico, che gli organi competenti devono contrastare con tutti i mezzi leciti a disposizione.
19. Chi ci libererà da questi segni di morte? L’esperienza del mondo contemporaneo ha dimostrato sempre più che le ideologie sono incapaci di sconfiggere il male che tiene l’uomo in schiavitù. L’unico che può liberare da questo male è Cristo. Nel celebrare il V Centenario dell’Evangelizzazione, rivolgiamo lo sguardo, commossi, a quel momento di grazia in cui Cristo ci è stato donato una volta per sempre. La dolorosa situazione di tante sorelle e fratelli latinoamericani non ci porta alla disperazione. Al contrario, rende più urgente il compito che la Chiesa ha dinanzi a sé: ravvivare nel cuore di ogni battezzato la grazia ricevuta. “Ti ricordo – scriveva San Paolo a Timoteo – di ravvivare il dono di Dio che è in te” (2 Tm 1, 6).
Così come dall’accoglienza dello Spirito durante la Pentecoste è nato il popolo della Nuova Alleanza, solo questa accoglienza farà sorgere un popolo in grado di generare uomini rinnovati e liberi, consapevoli della propria dignità. Non possiamo dimenticare che la promozione integrale dell’uomo è di fondamentale importanza per lo sviluppo dei popoli dell’America Latina. Poiché “lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica” (Redemptoris missio, 58). La maggiore ricchezza dell’America Latina è la sua gente. La Chiesa, “risvegliando le coscienze col Vangelo” (cf. Ivi), contribuisce a suscitare le energie sonnolente per renderle pronte a collaborare alla costruzione di una nuova civiltà.
IV.
Cultura cristiana
20. Anche se il Vangelo non si identifica con nessuna cultura in particolare, deve però ispirarle, per trasformarle in tal modo dal di dentro, arricchendole con i valori cristiani che derivano dalla fede. In verità, l’evangelizzazione delle culture rappresenta la forma più profonda e globale di evangelizzare una società, poiché attraverso di essa il messaggio di Cristo penetra nelle coscienze delle persone e si proietta nell’“ethos” di un popolo, nelle sue attività vitali, nelle sue istituzioni e in tutte le strutture (cf. Discorso agli intellettuali e al mondo universitario, Medellín 5 luglio 1986, n. 2).
Il tema “cultura” è stato oggetto di particolare studio e riflessione da parte del Celam negli ultimi tre anni. Anche la Chiesa tutta rivolge la sua attenzione a questa importante materia “poiché la nuova evangelizzazione deve proiettarsi sulla cultura “del futuro”, su tutte le culture, comprese le culture indigene” (cf. Angelus, 28 giugno 1992). Annunciare Gesù Cristo in tutte le culture è la preoccupazione centrale della Chiesa e oggetto della sua missione. Ai nostri giorni, ciò esige in primo luogo il discernimento delle culture come realtà umana da evangelizzare, e di conseguenza, l’urgenza di un nuovo tipo di collaborazione fra tutti i responsabili dell’opera di evangelizzazione.
21. Ai nostri giorni si percepisce una crisi culturale di proporzioni insospettate. Senza dubbio, il substrato culturale di oggi presenta un buon numero di valori positivi, molti dei quali sono frutto dell’evangelizzazione; ma allo stesso tempo esso ha eliminato valori religiosi fondamentali e ha introdotto concezioni ingannevoli che non sono accettabili dal punto di vista cristiano.
L’assenza di quei valori cristiani fondamentali nella cultura della modernità non solo ha offuscato la dimensione del trascendente, portando molte persone all’indifferentismo religioso – anche in America Latina – ma è allo stesso tempo causa determinante della disillusione sociale in cui è maturata la crisi di questa cultura. Seguendo l’autonomia introdotta dal razionalismo, oggi si tende a basare i valori soprattutto su consensi sociali soggettivi che, non di rado, portano a posizioni contrarie persino all’etica naturale stessa. Si pensi al dramma dell’aborto, agli abusi nell’ingegneria genetica, e agli attacchi alla vita e alla dignità della persona.
Di fronte alla pluralità di opzioni che oggi si presentano, si richiede un profondo rinnovamento pastorale mediante il discernimento evangelico sui valori dominanti, sugli atteggiamenti e i comportamenti collettivi che spesso rappresentano un fattore decisivo per optare sia per il bene che per il male. Ai nostri giorni si rende necessario uno sforzo e una sensibilità speciale per inculturare il messaggio di Gesù, per far sì che i valori cristiani possano trasformare i diversi nuclei culturali, purificandoli, se necessario, e rendendo possibile il consolidarsi di una cultura cristiana che rinnovi, ampli e unifichi i valori storici passati e presenti per rispondere così in modo adeguato alle sfide del nostro tempo (cf. Redemptoris missio, 52). Una di queste sfide all’evangelizzazione è quella di intensificare il dialogo fra le scienze e la fede, al fine di creare un vero umanesimo cristiano. Si tratta di dimostrare che la scienza e la tecnica contribuiscono alla civilizzazione e all’umanizzazione del mondo nella misura in cui sono permeate dalla saggezza di Dio. A questo proposito desidero incoraggiare vivamente le Università e i Centri di studi superiori, specialmente quelli che dipendono dalla Chiesa, a rinnovare il loro impegno nel dialogo fra fede e scienza.
22. La Chiesa guarda con preoccupazione alla frattura esistente fra i valori evangelici e le culture moderne, poiché queste corrono il rischio di rinchiudersi in se stesse in una sorta di involuzione agnostica e priva di riferimento alla dimensione morale (cf. Discorso al Pont. Consiglio per la Cultura, 18 gennaio 1983). A questo proposito, conservano pieno vigore quelle parole di Papa Paolo VI: “La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella” (Evangelii nuntiandi, 20).
La Chiesa che considera l’uomo come suo “cammino” (cf. Redemptor hominis, 14), deve saper dare una risposta adeguata all’attuale crisi della cultura. Di fronte al complesso fenomeno della modernità, è necessario dar vita a una alternativa culturale pienamente cristiana. Se la vera cultura è quella che esprime i valori universali della persona, chi può proiettare più luce sulla realtà dell’uomo, sulla sua dignità e ragion d’essere, sulla sua libertà e sul suo destino, se non il Vangelo di Cristo?
In questo evento storico dei cinquecento anni dell’evangelizzazione dei vostri popoli, vi esorto quindi, cari fratelli, affinché, con l’ardore della nuova evangelizzazione, animati dallo Spirito del Signore Gesù, rendiate presente la Chiesa nel crocevia culturale della nostra epoca, per permeare di valori cristiani le radici stesse della cultura “del futuro” e di tutte le culture già esistenti. A questo riguardo, dovrete prestare una particolare attenzione alle culture indigene e afroamericane, assimilando e ponendo in risalto tutto ciò che vi è in esse di profondamente umano e umanizzante. La loro visione della vita, che riconosce la sacralità dell’essere umano, il loro profondo rispetto per la natura, l’umiltà, la semplicità, la solidarietà sono valori che devono stimolare lo sforzo per compiere l’inculturazione di un’autentica evangelizzazione che sia anche promotrice di progresso e che porti sempre più all’adorazione di Dio “in spirito e verità” (Gv 4, 23). Ma, il riconoscimento di tali valori non ci esime dal proclamare in ogni momento che “Cristo è l’unico Salvatore di tutti, colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio” (Redemptoris missio, 5).
“L’evangelizzazione della cultura costituisce uno sforzo per comprendere le mentalità e gli atteggiamenti del mondo attuale e illuminarli a partire dal Vangelo. È la volontà di giungere a tutti i livelli della vita umana per renderla più degna” (Discorso al mondo della cultura, Lima 15 maggio 1988, 5). Ma questo sforzo di comprensione e illuminazione dev’essere sempre accompagnato dall’annuncio della Buona Novella (cf. Redemptoris missio, 46), in modo che la penetrazione del Vangelo nelle culture non sia un semplice adeguamento esteriore, bensì “un processo profondo e globale che investe sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della Chiesa” (Ivi, 52) rispettando sempre le caratteristiche e l’integrità della fede.
23. Poiché la comunicazione fra le persone costituisce un importante elemento generatore di cultura, i moderni mezzi di comunicazione sociale rivestono in questo campo un’importanza di prim’ordine. Intensificare la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione deve essere certamente una delle vostre priorità. Mi tornano alla mente le importanti parole del mio venerato predecessore Papa Paolo VI: “La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi che l’intelligenza umana rende ogni giorno più perfezionati” (Evangelii nuntiandi, 45).
D’altra parte, bisogna vigilare anche sull’uso dei mezzi di comunicazione sociale nell’educazione della fede e nella diffusione della cultura religiosa. Una responsabilità che grava soprattutto sulle case editrici dipendenti da istituzioni cattoliche, che devono “essere oggetto di particolare sollecitudine da parte degli Ordinari del luogo, affinché le loro pubblicazioni siano sempre conformi alla dottrina della Chiesa e contribuiscano efficacemente al bene delle anime” (Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede su alcuni aspetti relativi all’uso degli strumenti di comunicazione sociale nella promozione della dottrina della fede, 30 marzo 1992, n. 15, 2).
Esempi di inculturazione del Vangelo sono costituiti anche da certe manifestazioni socioculturali che stanno sorgendo in difesa dell’uomo e del suo ambiente e che devono essere illuminate dalla luce della fede. È il caso del movimento ecologista a favore del rispetto per la natura e contro lo sfruttamento disorganizzato delle sue risorse, con il conseguente degrado della qualità della vita. La convinzione che “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli” (Gaudium et spes, 69) deve ispirare un sistema di gestione delle risorse più giusto e meglio coordinato a livello mondiale. La Chiesa fa sua la preoccupazione per l’ambiente e esorta i governi a proteggere questo patrimonio secondo i criteri del bene comune (cf. Messaggio per la XXV Giornata Mondiale per la Pace, 1 gennaio 1992).
24. La sfida rappresentata dalla cultura “del futuro” non affievolisce tuttavia la nostra speranza, e rendiamo grazie a Dio perché in America Latina il dono della fede cattolica è penetrato nel più profondo della sua gente, forgiando in questi cinquecento anni l’anima cristiana del continente e ispirando molte delle sue istituzioni. Infatti la Chiesa dell’America Latina è riuscita a impregnare la cultura del popolo, ha saputo porre il messaggio evangelico alla base del suo pensiero, nei suoi principi fondamentali di vita, nei suoi criteri di giudizio e nelle sue norme di comportamento.
Ci si presenta ora l’eccezionale sfida della continua inculturazione del Vangelo nei vostri popoli, tema che dovrete affrontare con lungimiranza e profondità nei prossimi giorni. L’America Latina offre, in Santa Maria di Guadalupe, un grande esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata. Infatti, nella figura di Maria – dai primordi della cristianizzazione del Nuovo Mondo e alla luce del Vangelo di Gesù – si incarnarono autentici valori culturali indigeni. Nel volto meticcio della Vergine del Tepeyac si riassume il grande principio dell’inculturazione: l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture (Redemptoris missio, 52).
V.
Una nuova era sotto il segno della speranza
25. Ecco, cari fratelli e sorelle, alcune delle sfide che si presentano alla Chiesa in questo momento della nuova evangelizzazione. Dinanzi a questo panorama, carico di interrogativi, ma anche ricco di promesse, dobbiamo chiederci quale è il cammino che deve seguire la Chiesa in America Latina affinché la sua missione dia, nella prossima tappa della sua storia, i frutti che attende il Padrone della messe (cf. Lc 10, 2; Mc 4, 20). La vostra Assemblea dovrà delineare il volto di una Chiesa viva e dinamica che cresce nella fede, si santifica, ama, soffre, si impegna e spera nel suo Signore, come ci ricorda il Concilio Ecumenico Vaticano II, punto obbligato di riferimento nella vita e nella missione di ogni Pastore (cf. Gaudium et spes, 2).
Il compito che vi attende durante le prossime giornate è arduo, ma è un compito caratterizzato dal segno della speranza che viene da Cristo Risorto. La vostra missione è quella di essere araldi della speranza, di cui ci parla l’apostolo Pietro (cf. 1 Pt 3, 15): speranza che si basa sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua parola e che ha come certezza assoluta la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana che non può che non essere la cultura della risurrezione e della vita, vivificata dall’afflato dello Spirito di Pentecoste.
Amati fratelli nell’Episcopato, nell’unità della Chiesa locale, che nasce dall’Eucaristia, si trova tutto il Collegio Episcopale con a capo il Successore di Pietro, come appartenente alla stessa essenza della Chiesa particolare (cf. Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 14). Intorno al Vescovo e in perfetta comunione con lui devono nascere le parrocchie e le comunità cristiane come floride cellule di vita ecclesiale. Perciò, la nuova evangelizzazione richiede un vigoroso rinnovamento di tutta la vita diocesana. Le parrocchie, i movimenti apostolici e le associazioni di fedeli, e in generale tutte le comunità ecclesiali, devono sempre essere evangelizzate e evangelizzatrici. In particolar modo, le Comunità ecclesiali di base devono essere sempre caratterizzate da una decisa proiezione universalistica e missionaria, che infonda loro un rinnovato dinamismo apostolico (cf. Evangelii nuntiandi, 58; Puebla 640-642). Esse, – che devono essere caratterizzate da una chiara identità ecclesiale – devono porre l’Eucaristia, che il sacerdote presiede, al centro della vita e della comunione dei loro membri, in stretta unione con i loro pastori e in piena sintonia con il Magistero della Chiesa.
26. Condizione indispensabile per la nuova evangelizzazione è il poter contare su evangelizzatori numerosi e qualificati. Perciò, la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, come pure la promozione di altri operatori della pastorale, deve essere una priorità per i Vescovi e un impegno per tutto il popolo di Dio. Bisogna dare, in tutta l’America Latina, un impulso decisivo alla pastorale vocazionale e affrontare, con giusti criteri e con speranza, ciò che riguarda i seminari e i centri di formazione dei religiosi e delle religiose, come pure il problema della formazione permanente del Clero e di una migliore distribuzione dei sacerdoti tra le diverse Chiese locali, nelle quali dobbiamo anche considerare l’apprezzato lavoro dei diaconi permanenti. Al riguardo, si trovano orientamenti appropriati nell’Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis.
Per quanto riguarda i religiosi e le religiose, che in America Latina svolgono una parte considerevole dell’azione pastorale, desidero menzionare la Lettera apostolica I cammini del Vangelo, che ho rivolto loro il 29 giugno 1990. Voglio inoltre ricordare qui gli Istituti Secolari, con la loro fervente vitalità nel mondo e i membri delle Società di Vita apostolica, che svolgono un’importante attività missionaria.
In questo momento, i membri degli Istituti religiosi, tanto maschili quanto femminili, devono concentrarsi, in particolare, sulla missione propriamente evangelizzatrice, impiegando tutta la ricchezza di iniziative e di doveri pastorali che scaturiscono dai loro diversi carismi.
Fedeli allo spirito dei loro Fondatori, deve caratterizzarli un profondo senso di Chiesa e la testimonianza di una stretta e fedele collaborazione nella pastorale, la cui direzione compete agli Ordinari diocesani e, sotto certi aspetti, alle Conferenze Episcopali.
Come ho ricordato nella mia Lettera alle contemplative dell’America Latina (12 dicembre 1989), l’azione evangelizzatrice della Chiesa è sostenuta da quei santuari della vita contemplativa, così numerosi in tutto il Continente, che costituiscono una testimonianza della radicalità della consacrazione a Dio, che deve occupare sempre il primo posto nelle nostre scelte.
27. Nell’Esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici sulla “vocazione e la missione dei laici nella Chiesa”, ho voluto mettere in particolare rilievo che nella “grande, impegnativa e magnifica impresa” della nuova evangelizzazione è indispensabile il lavoro dei secolari, in special modo dei catechisti e dei “delegati della Parola”. La Chiesa nutre grande speranza in tutti quei laici che, con entusiasmo e con efficacia evangelica, operano attraverso i nuovi movimenti apostolici, che devono essere coordinati nella pastorale di insieme e che rispondono alla necessità di una maggiore presenza della fede nella vita sociale. In questo momento, in cui ho chiamato tutti a lavorare con ardore apostolico nella vigna del Signore, senza che nessuno rimanga escluso, “i fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di questa impresa (della nuova evangelizzazione), chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo nel servizio ai valori e alle esigenze della persona e della società” (n. 64). Degna di ogni elogio, come trasmettitrice della fede, è la donna latinoamericana, il cui ruolo nella Chiesa e nella società bisogna debitamente mettere in rilievo (cf. Lettera apostolica Mulieris dignitatem). Particolare sollecitudine pastorale si deve prestare a infermi, anche in considerazione della forza evangelizzatrice della sofferenza (cf. Lettera apostolica Salvifici doloris, sul significato cristiano della sofferenza umana, 11 febbraio 1984).
Lancio uno speciale appello ai giovani dell’America Latina. Essi – così numerosi in un continente giovane – dovranno essere protagonisti nella vita della società e della Chiesa nel nuovo millennio cristiano che è ormai alle porte. A essi si deve presentare, nel loro stesso linguaggio, la bellezza della vocazione cristiana e si devono proporre ideali grandi e nobili, che li sostengano nelle loro aspirazioni per una società più giusta e fraterna.
28. Tutti sono chiamati a costruire la civiltà dell’amore in questo Continente della speranza. E c’è di più: l’America Latina che ha ricevuto la fede trasmessa dalle Chiese del Vecchio Mondo, deve prepararsi a diffondere il messaggio di Cristo nel mondo intero, dando “dalla sua povertà” (cf. Messaggi al III e al IV Congresso Missionario Latinoamericano, Santa Fé de Bogotá 1987 e Lima 1991). “Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la missione “ad gentes”. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli” (Redemptoris missio, 3). Anche per l’America Latina è arrivato questo momento “La fede si rafforza dandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale” (Ivi, 2). Per l’America Latina, che ha ricevuto Cristo cinquecento anni fa, il più grande segno di gratitudine per il dono ricevuto e il più grande segno della sua vitalità cristiana, è quello di impegnare se stessa nella missione.
29. Cari fratelli nell’Episcopato, in qualità di successori degli Apostoli dovete dedicare tutta la vostra sollecitudine al gregge “in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti a pascere la Chiesa di Dio” (At 20, 28). D’altra parte, in qualità di membri del Collegio Episcopale, in stretta unione affettiva ed effettiva con il Successore di Pietro, siete chiamati a mantenere la comunione e la sollecitudine per tutta la Chiesa. E, in questa circostanza, in qualità di membri della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, incombe su di voi una responsabilità storica.
In virtù della stessa fede, della Parola rivelata, dell’azione dello Spirito e per mezzo dell’Eucaristia che presiede il Vescovo, la Chiesa particolare ha con la Chiesa Universale un particolare rapporto di mutua interiorità, perché in essa si trova e opera veramente la Chiesa di Cristo che è Una, Santa, Cattolica, apostolica (cf. Christus Dominus, 11). In essa deve risplendere la santità di vita alla quale ogni evangelizzatore è chiamato, dando testimonianza di un’intensa partecipazione al mistero di Gesù Cristo, sentito e sperimentato fortemente nell’Eucaristia, nell’assiduo ascolto della Parola, nella preghiera, nel sacrificio, nel generoso offrirsi al Signore, che nei sacerdoti e nelle altre persone consacrate, si esprime in modo speciale attraverso il celibato.
Non bisogna dimenticare che la prima forma di evangelizzazione è la testimonianza (cf. Redemptoris missio, 42-43), vale a dire la proclamazione del messaggio di salvezza attraverso le opere e la coerenza di vita, portando a termine così la sua incarnazione nella storia quotidiana degli uomini. La Chiesa, dalle sue origini si è resa presente e operante non soltanto attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo di Cristo, ma anche e soprattutto attraverso l’irradiazione della vita cristiana. Perciò la nuova evangelizzazione esige coerenza di vita, testimonianza compatta della carità, sotto il segno dell’unità, affinché il mondo creda (cf. Gv 17, 23).
30. Gesù Cristo, il Testimone fedele, il Pastore dei pastori, è in mezzo a noi, poiché ci siamo riuniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20). Con noi è lo Spirito del Signore che guida la Chiesa alla pienezza della verità e la ringiovanisce con la parola rivelata, come in una nuova Pentecoste.
Nella comunione dei Santi vegliano sui lavori di questo importante incontro ecclesiale una pleiade di Santi e Sante latinoamericani, che evangelizzarono questo Continente con la loro parola e le loro virtù, e – molti di essi – lo fecondarono con il loro sangue. Essi sono i frutti maggiori dell’evangelizzazione.
Come nel Cenacolo di Pentecoste, ci accompagna la Madre di Gesù e Madre della Chiesa. La sua presenza affettuosa in tutti gli angoli dell’America Latina e nei cuori dei suoi figli è assicurata dal sentimento profetico e dall’ardore evangelico che devono accompagnare i vostri lavori.
31. “È beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 45). Queste parole, che Elisabetta rivolge a Maria portatrice di Cristo, sono applicabili alla Chiesa, di cui la Madre del Redentore è esempio e modello. Beata America che hai ricevuto l’annuncio della salvezza e hai creduto nelle “parole del Signore”! La fede è la tua felicità, la fonte della tua gioia. Beati voi, uomini e donne dell’America Latina, adulti e giovani, che avete conosciuto il Redentore! Insieme a tutta la Chiesa, e con Maria, voi potete dire che il Signore “ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 48). Beati voi, poveri della terra, perché è giunto a voi il Regno dì Dio!
“Le parole del Signore” si compiranno. Sii fedele al tuo battesimo, ravviva in questo Centenario l’immensa grazia ricevuta, riponi il tuo cuore, il tuo sguardo al centro, all’origine, a colui che è fondamento di ogni felicità, pienezza di tutto! Apriti a Cristo, accogli lo Spirito, affinché in tutte le tue comunità avvenga una nuova Pentecoste! E sorgerà da te un’umanità nuova, felice, e sentirai di nuovo il braccio poderoso del Signore, e “Le parole del Signore” si compiranno. Ciò che ti ha detto, America, è il suo amore per te, è il suo amore per i tuoi uomini, per le tue famiglie, per i tuoi popoli. E questo amore si compirà in te, e troverai di nuovo te stessa, troverai il tuo volto, “Tutte le generazioni ti chiameranno beata” (Lc 1, 48).
Chiesa dell’America, il Signore passa oggi al tuo fianco. Ti chiama. In questo momento di grazia, pronuncia di nuovo il tuo nome, rinnova la sua alleanza con te. Magari ascoltassi la sua voce, per conoscere la felicità vera e piena ed entrare nella sua pace! (cf. Sal 94, 7. 11).
Concluderemo invocando Maria, Stella della prima e della nuova evangelizzazione. Ad essa, che ha sempre sperato, affidiamo la nostra speranza. Nelle sue mani riponiamo le nostre ansie pastorali e tutti i compiti di questa Conferenza, raccomandando al suo cuore di Madre il suo buon esito e la sua proiezione sul futuro del Continente. Che Essa ci aiuti ad annunciare suo Figlio: “Gesù Cristo ieri, oggi e sempre!”.
Amen.
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