[DE - EN - ES - IT - PT] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE LA RECIPROCITÀ TRA FEDE E SACRAMENTI NELL’ECONOMIA SACRAMENTALE 1.1. La divina offerta di salvezza si basa sulla interrelazione tra fede e sacramenti 1.2. Attuale crisi della reciprocità tra fede e sacramenti
a) Fede e sacramenti: una reciprocità in crisi b) Scopo del documento
2. Natura dialogica dell’economia sacramentale della salvezza 2.1. Il Dio trinitario: fonte e culmine dell’economia sacramentale
a) Fondamento trinitario della sacramentalità b) Sacramentalità della creazione e della storia c) L’incarnazione: centro, culmine e chiave dell’economia sacramentale d) La Chiesa e i sacramenti nell’economia sacramentale e) I cardini dell’economia sacramentale
2.2. La reciprocità tra la fede e i sacramenti della fede
a) Luci a partire dal cammino di fede dei discepoli b) Modulazioni della fede c) Reciprocità tra fede e sacramenti d) Natura dialogica dei sacramenti e) L’organismo sacramentale f) La reciprocità tra la fede e i sacramenti nell’economia sacramentale
2.3. Conclusione: dinamismi della fede e sacramentalità 3. La reciprocità tra fede e sacramenti nell’iniziazione cristiana 3.1. Reciprocità tra fede e battesimo
a) Fondamento biblico b) Fede e battesimo degli adulti c) Proposta pastorale: fede per il battesimo degli adulti d) Fede e battesimo dei bambini e) Proposta pastorale: fede per il battesimo dei bambini
3.2. Reciprocità tra fede e confermazione
a) Fondamento biblico e storico b) Fede e confermazione c) Problematica attuale d) Proposta pastorale: fede per la confermazione
3.3. Reciprocità tra fede ed eucaristia
a) Fondamento biblico b) Fede ed eucaristia c) Problemi attuali d) Luci a partire dalla Tradizione e) Proposta pastorale: fede per l’eucaristia
4. La reciprocità tra fede e matrimonio 4.1. Il sacramento del matrimonio
a) Fondamento biblico b) Luci a partire dalla Tradizione c) Il matrimonio come sacramento d) La fede e i beni del matrimonio
4.2. Una quaestio dubia: la qualità sacramentale del matrimonio dei "battezzati non credenti"
a) Approccio all’argomento b) Stato e termini della questione
4.3. L’intenzione e la costituzione del vincolo matrimoniale in assenza di fede
a) L’intenzione è necessaria perché ci sia un sacramento b) Comprensione culturale predominante sul matrimonio c) L’assenza di fede può compromettere l’intenzione di contrarre un matrimonio naturale
5. Conclusione: la reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale Nota preliminare Nel corso del suo nono quinquennio – la cui durata è stata prorogata eccezionalmente di un anno, per la celebrazione del 50° anniversario della sua fondazione – la Commissione Teologica Internazionale ha potuto approfondire lo studio sulla relazione tra fede cattolica e sacramenti. Questo studio è stato diretto da un’apposita Sottocommissione, presieduta dal Rev.do P. Gabino Uríbarri Bilbao, S.J., e composta dai seguenti membri: Mons. Lajos Dolhai, P. Peter Dubovský, S.J., Mons. Krzysztof Góźdź, P. Thomas Kollamparampil, C.M.I., Professoressa Marianne Schlosser, Rev.do Oswaldo Martínez Mendoza, Rev.do Karl-Heinz Menke, Rev.do Terwase Henry Akaabiam, P. Thomas G. Weinandy, O.F.M.Cap. Le discussioni sull’argomento in questione, a partire dalle quali è stato redatto il presente documento, si sono svolte sia durante i vari incontri della Sottocommissione sia nelle Sessioni Plenarie della stessa Commissione, tra gli anni 2014-2019. Il presente documento, dal titolo La reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale, è stato approvato in maniera specifica dalla maggioranza dei membri della Commissione Teologica Internazionale durante la Sessione Plenaria del 2019, attraverso una votazione per iscritto. Il documento è stato quindi sottoposto all’approvazione del suo Presidente, Sua Eminenza il Signor Card. Luis F. Ladaria Ferrer, S.J., Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il quale, dopo aver ricevuto il parere favorevole del Santo Padre Francesco, il 19 dicembre 2019, ne ha autorizzato la pubblicazione. 1. Fede e sacramenti: rilevanza e attualità 1.1. La divina offerta di salvezza si basa sulla interrelazione tra fede e sacramenti 1. [Partendo dalla Scrittura]. «“Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”» (Mc 5,34). In mezzo alla folla che gli si stringeva intorno (cf. Mc 5,24.31), l’emorroissa tocca Gesù con fede e riceve una guarigione, quale simbolo della salvezza che Gesù porta all’umanità[1]. Il caso dell’emorroissa mostra come la fede germogli dall’«incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»[2]. La fede si colloca nell’ambito delle relazioni interpersonali. Molti malati cercarono di toccare Gesù (cf. Mc 3,10; 6,56), «perché da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19). Eppure, a Nazaret non compì molti miracoli «a causa della loro incredulità» (Mt 13,58), né soddisfò la curiosità di Erode (cf. Lc 23,8). L’umanità di Gesù Cristo è un canale efficace della salvezza di Dio. Tuttavia, tale efficacia non riveste un carattere automatico; richiede un contatto adeguato con essa: umile, supplicante, aperto al dono[3]. Tutti questi atteggiamenti portano alla fede, come il mezzo più adatto per ricevere l’offerta della salvezza. «La fede è innanzi tutto una adesione personale dell’uomo a Dio»[4] rivelatosi in Gesù Cristo. I sacramenti della Chiesa prolungano nel tempo le opere di Cristo durante la sua vita terrena. In essi si attualizza la forza sanante che scaturisce dal corpo di Cristo, che è la Chiesa, per guarire dalla ferita del peccato e donare la vita nuova in Cristo. 2. [E dalla Tradizione]. Nell’economia trinitaria della salvezza c’è un ricco intreccio tra fede e sacramenti: «La fede e il battesimo sono i due modi della salvezza, l’uno all’altro congiunto e inseparabili. La fede infatti si perfeziona col battesimo, il battesimo si fonda sulla fede e l’una e l’altro raggiungono il compimento perfetto mediante gli stessi nomi. Come infatti crediamo nel Padre e Figlio e Spirito Santo, così anche battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Viene prima la professione che porta alla salvezza, segue subito appresso il battesimo, a suggellare il nostro assenso»[5]. La relazione personale con il Dio uno e trino si realizza attraverso la fede e i sacramenti. Tra la fede e i sacramenti c’è un ordine reciproco e una circolarità, in una parola: una reciprocità essenziale. Tuttavia, come attesta Basilio nel testo appena citato, la confessione della fede precede la celebrazione sacramentale; mentre la celebrazione sacramentale assicura, sigilla, rafforza e arricchisce la fede. Tuttavia, oggi, nella pratica pastorale, questa interazione è spesso offuscata o addirittura ignorata. 1.2. Attuale crisi della reciprocità tra fede e sacramenti a) Fede e sacramenti: una reciprocità in crisi 3. [Constatazione]. Già nel 1977 la Commissione Teologica Internazionale, riferendosi al sacramento del matrimonio, mise in guardia sull’esistenza di "battezzati non credenti" che chiedevano il sacramento del matrimonio. Questo fatto, affermavano, solleva profondi «nuovi interrogativi»[6]. Da allora, questa realtà non ha smesso di crescere e di generare disagio nella celebrazione dei sacramenti. Questo problema, infatti, non si limita esclusivamente al sacramento del matrimonio, ma comprende l’intero organismo sacramentale. Nell’iniziazione cristiana, in particolare, dove per sua stessa natura la reciprocità tra fede e sacramenti dovrebbe ricevere il suo sigillo, si rilevano di frequente preoccupazione e disagio. 4. [Radici teologico-filosofiche]. Sebbene la dissociazione tra fede e sacramenti sia dovuta a diversi fattori, a seconda dei contesti sociali e culturali, uno sguardo che non voglia permanere ad un livello superficiale deve interrogarsi circa le radici ultime della frattura. In primo luogo, al di là di possibili carenze nella catechesi e di certi unilateralismi culturali contro il pensare sacramentale, esiste un fattore filosofico profondamente radicato che distrugge la logica sacramentale. Un’estesa linea di pensiero, che comincia dal Medioevo (nominalismo) e raggiunge la Modernità, è caratterizzata da un dualismo antimetafisico che dissocia il pensare dall’essere e rifiuta categoricamente ogni tipo di pensiero di carattere rappresentativo, come accade oggi nella postmodernità. Questa prospettiva rifiuta l’impronta del Creatore sulla creazione, cioè che la creazione sia uno specchio (immagine sacramentale) del pensiero stesso del Creatore. In questo modo, il mondo non appare più come una realtà espressamente ordinata da Dio, ma come un semplice caos di eventi, che l’uomo con i suoi concetti deve ordinare. Ora se i concetti umani non sono più qualcosa come "sacramenti" del Logos divino, ma mere costruzioni umane, allora c’è un’ulteriore dissociazione tra l’atto personale di fede (fides qua) e qualsiasi rappresentazione concettuale condivisa del suo contenuto (fides quae). In breve, e quale elemento decisivo, quando si nega la capacità della ragione di conoscere la verità dell’essere (metafisica), si sta implicando l’impossibilità di accedere alla conoscenza della verità di Dio[7]. 5. In secondo luogo, il sapere scientifico e tecnologico, oggigiorno così rilevante, tende a imporsi come modello unico in tutti i campi della conoscenza e per tutti i tipi di oggetto. Il suo orientamento radicale verso la certezza di tipo empirico e naturalistico si contrappone non solo alla conoscenza metafisica, ma anche alla conoscenza di tipo simbolico. Sebbene la conoscenza scientifica enfatizzi la capacità della ragione umana, tuttavia non esaurisce tutte le dimensioni della ragione o della conoscenza, né copre tutti i bisogni cognitivi per una vita umana piena. Il pensare simbolico, con la sua ricchezza e plasticità, da una parte raccoglie ed elabora in maniera riflessiva le dimensioni etiche e affettive dell’esperienza; dall’altra, tocca e trasforma la struttura spirituale e cognitiva del soggetto. Per questo, insieme a tutte le tradizioni religiose dell’umanità, la trasmissione della rivelazione, con il suo concomitante contenuto cognitivo, si colloca nell’ambito simbolico, non in quello empirico e naturalistico.La realtà sacramentale della partecipazione al mistero di grazia può essere compresa solo nell’unità di questa duplice dimensione dell’esperienza simbolica: cognitiva e performativa. Lì dove regna il paradigma scientista, cieco al pensiero simbolico, il pensiero sacramentale viene ostacolato[8]. 6. In terzo luogo, dobbiamo ancora sottolineare un cambiamento culturale significativo, proprio della nuova civilizzazione dell’immagine, che pone un nuovo problema al chiarimento teologico della fede sacramentale. Sebbene sia vero che la modernità razionalista abbia minimizzato il valore cognitivo del simbolo, la postmodernità contemporanea, tuttavia, esalta con grande intensità il potere performativo delle immagini. Pertanto, diventa necessario superare il pregiudizio razionalista (moderno) contro il valore cognitivo del simbolico, senza cadere nell’eccesso opposto (postmoderno) che riconduce l’efficacia del simbolo al potere emotivo della rappresentazione, privo di riferimento. In altre parole, l’intelligenza cristiana deve preservare l’originalità del sacramento cristiano dal rischio di un doppio svuotamento. Da un lato, la riduzione del simbolo-sacramento allo status di un mero segno cognitivo, che semplicemente raccoglie facilmente i significati dottrinali della fede, senza operare alcuna trasformazione (eliminazione della dimensione performativa). Dall’altro, la riduzione del simbolo-sacramento alla pura suggestione estetica realizzata attraverso la sua messa in scena rituale, secondo la logica di una semplice rappresentazione che sostituisce l’adesione interiore alla realtà simbolizzata del mistero (soppressione della dimensione cognitiva). 7. [Distorsioni della fede]. Nelle società odierne ci sono altri fenomeni che rendono difficile credere, così come proposto dalla fede cattolica. L’ateismo e la relativizzazione del valore di tutte le religioni avanzano in molte parti del pianeta. Il secolarismo erode la fede, semina il dubbio, invece di fecondare la gioia del credere. L’ascesa del paradigma tecnocratico[9] apre le porte a una logica contraria alla fede, che è fondata su una relazione personale. La riduzione della fede a emotività produce una credenza soggettiva, regolata dal soggetto stesso, che si discosta dalla logica oggettiva contrassegnata dai contenuti della fede cristiana. La cultura scientista, già citata, tende a negare la possibilità di una relazione personale con Dio e la sua capacità di intervenire nella vita personale e nella storia. L’oggettività del Credo e la determinazione delle condizioni per la celebrazione dei sacramenti sono intese, secondo una crescente sensibilità culturale, come una coercizione rispetto alla libertà di credere secondo la propria coscienza, sostenendo un concetto insufficiente di libertà che si intende difendere. Da questo tipo di premessa, scaturisce un tipo di credenza o un modo di credere che non si adatta alla concezione cristiana né si pone in relazione con la pratica sacramentale che la Chiesa propone. 8. [Fallimenti pastorali]. Anche nel periodo successivo al Vaticano II, ci sono stati alcuni atteggiamenti diffusi tra fedeli e pastori che hanno, in effetti, indebolito la sana correlazione tra fede e sacramenti. Perciò, in alcune occasioni l’opera pastorale di evangelizzazione è stata intesa come se questa non includesse la pastorale sacramentale, perdendo così l’equilibrio tra Parola di Dio, evangelizzazione e sacramenti.Altri non hanno afferrato che il primato della carità nella vita cristiana non implica un disprezzo per i sacramenti.Alcuni pastori hanno concentrato il proprio ministero sulla costruzione della comunità, trascurando, in questo impegno, il ruolo decisivo dei sacramenti nel raggiungere tale obiettivo. In alcuni luoghi è mancata una rivalutazione, a livello teologico, e un accompagnamento pastorale nei confronti della pietà popolare cattolica, per aiutarla a crescere nella fede e, così, raggiungere una piena iniziazione cristiana e una frequente partecipazione sacramentale. Infine, non pochi cattolici sono giunti alla conclusione che la sostanza della fede si radica nel vivere il Vangelo, disprezzando il rituale come estraneo al cuore del Vangelo e, di conseguenza, ignorando che i sacramenti promuovono e rafforzano l’intensa esperienza del Vangelo stesso. Si sottolinea, dunque, la necessità di un’opportuna corrispondenza tra martyría, leitourgía, diakonía e koinonía. 9. [Conseguenza]. Non di rado, gli operatori pastorali si trovano dinanzi alla domanda di poter ricevere i sacramenti, con grandi dubbi sulla fede e sull’intenzione di coloro che li chiedono. Molti altri credono di poter vivere la loro fede in pienezza, prescindendo dalla pratica sacramentale che considerano facoltativa e a libera disposizione. Con accenti diversi, ma molto diffusi, esiste un certo pericolo: un ritualismo privo di fede, per mancanza di interiorità o per costume sociale e tradizione; oppure una privatizzazione della fede, ridotta allo spazio interiore della propria coscienza e dei propri sentimenti. In entrambi i casi si registra una ferita nella reciprocità tra fede e sacramenti. b) Scopo del documento 10. [Scopo del documento]. Ci proponiamo di porre in evidenza l’essenziale reciprocità tra fede e sacramenti, mostrando la mutua implicazione tra fede e sacramenti nell’economia divina. In questo modo speriamo di contribuire a superare la frattura tra fede e sacramenti ovunque si verifichi, nel suo duplice aspetto: sia che si tratti di una fede non consapevole della sua essenziale sacramentalità; o di una prassi sacramentale realizzata senza fede o il cui vigore sollevi seri interrogativi circa la fede e l’intenzione, in accordo con la fede, che la pratica dei sacramenti richiede. In entrambi i casi, la pratica e la logica sacramentale, che trovano posto nel cuore della Chiesa, subiscono una ferita grave e preoccupante. 11. [Struttura]. Prendiamo come punto di partenza la natura sacramentale dell’economia divina[10], nella quale sono implicati sia la fede che i sacramenti (cap. 2). Elaboriamo una comprensione dell’economia che include simultaneamente: l’economia divina in quanto tale, nella sua dimensione trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiale e dialogica (fede); il posto che in essa, così compresa, occupano la fede e i sacramenti; e la reciprocità effettiva tra fede e sacramenti che ne deriva. Questa comprensione costituisce lo sfondo teologico dal quale verrà affrontato il problema specifico dell’interrelazione tra fede e sacramenti in ciascuno dei sacramenti, dei quali si tratterà in seguito. Questo capitolo mostra come la celebrazione di un sacramento senza fede non abbia senso, in quanto contraddice la logica sacramentale che è alla base dell’economia divina, che è fondamentalmente dialogica. 12. Successivamente, si mostrerà l’incidenza della reciprocità tra fede e sacramenti in alcuni di quei sacramenti più pastoralmente colpiti a motivo della crisi di tale reciprocità, sia nella sua comprensione che nella prassi, come i sacramenti dell’iniziazione cristiana (cap. 3). Alla luce del chiarimento dottrinale circa il ruolo specifico della fede per la validità e la fruttuosità di ciascun sacramento, offriremo alcuni criteri per chiarire quale fede sia necessaria per la celebrazione di ciascuno dei sacramenti dell’iniziazione. In un passo successivo (cap. 4), ci occuperemo della interrelazione tra fede e sacramenti nel caso del matrimonio. Per la sua stessa natura, ci soffermeremo su una questione che la reciprocità tra fede e sacramenti non poteva ignorare: chiarire se l’unione matrimoniale tra "battezzati non credenti" debba essere considerata un sacramento. Si tratta di un caso particolare nel quale, l’articolazione della reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia, è realmente messa alla prova, come sostiene il secondo capitolo. Si termina con una breve conclusione (cap. 5) nella quale, su un piano più generale, viene ripresa la reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale. 13. [Carattere dottrinale]. L’intenzione del documento è chiaramente dottrinale. Si parte, certamente, da una problematica pastorale, differenziata per ciascuno dei sacramenti che saranno trattati. Tuttavia, non s’intende offrire percorsi pastorali concreti o specifici per ciascuno di essi. Desideriamo insistere sul posto fondamentale della fede nella celebrazione di ogni sacramento, senza tralasciare una precisazione dottrinale riguardo la necessità della fede per la validità. Da qui si possono acquisire alcuni criteri generali orientativi per l’azione pastorale, come proponiamo alla fine della trattazione di ciascuno dei sacramenti presi in considerazione, ma senza entrare nei dettagli e, tanto meno, entrare nella casistica o fornire il necessario discernimento per ogni caso particolare. 14. [Selezione]. Siamo consapevoli che anche la situazione pastorale che gravita attorno ad altri sacramenti, come la penitenza e l’unzione degli infermi, soffra di gravi carenze. Non di rado, si giunge alla piena partecipazione all’eucaristia senza alcuna consapevolezza della necessità di una previa riconciliazione con Dio e con la comunità ecclesiale, da cui ci siamo separati e che abbiamo ferito, nella sua realtà di Corpo visibile di Cristo, con il nostro peccato. C’è una dissociazione tra la vita eucaristica e la pratica della riconciliazione da parte di molti fedeli e persino di alcuni ministri ordinati, che ignorano nella pratica della loro fede cristiana l’unità armoniosa dell’intero organismo sacramentale della Chiesa, dove non è possibile scegliere soggettivamente quali sacramenti "consumare" e a quali rinunciare. Anche l’unzione degli infermi è spesso vissuta circondata da elementi magici, come se fosse una sorta di incantesimo che invoca un intervento miracoloso di Dio o dello Spirito divino, senza una relazione personale con Cristo, Salvatore della persona, sia del suo corpo sia della sua anima. I limiti di spazio ci obbligano a concentrarci su quei sacramenti che costituiscono l’iniziazione cristiana e il matrimonio, di straordinaria importanza per la costruzione e il consolidamento del Corpo di Cristo. La modalità con la quale ci si approccia a questi sacramenti, come anche le allusioni isolate agli altri e il quadro teologico generale che viene offerto, ci consentiranno di trarre delle conseguenze per quei sacramenti che non possiamo considerare monograficamente. 2. Natura dialogica dell’economia sacramentale della salvezza 15. [Introduzione: piano e obiettivo]. In questo capitolo operiamo una duplice incursione di ordine generale, per discernere la reciprocità esistente tra fede e sacramenti. Nella prima sezione consideriamo l’economia divina, scoprendo in essa una natura sacramentale[11]. Questo ci consente di approfondire la sacramentalità quale sua dimensione costitutiva. L’approfondimento sulla sacramentalità in quanto tale richiede, di per sé, di addentrarsi nel discorso sulla fede, evidenziando così l’interconnessione tra fede e sacramentalità e, anche e più concretamente, tra fede e sacramenti. Concludiamo questa sezione con un riepilogo sugli assi portanti dell’economia sacramentale, posti in primo piano nella nostra esposizione. Con ciò, in un primo momento, viene posta in luce la reciprocità tra fede e sacramenti. Nella seconda sezione, ci soffermiamo considerando la fede, da un lato, e i sacramenti della fede in quanto tali dall’altro, mostrando, tuttavia, in entrambi i casi l’intima connessione tra fede e sacramenti. La fede è essenzialmente predisposta alla celebrazione sacramentale. La natura dialogica dei sacramenti richiede una fede adeguata alla loro celebrazione. Entrambe le sezioni di questo capitolo hanno uno stile complementare che consente di mostrare sia l’ampiezza che la profondità della reciprocità tra fede e sacramenti, con le loro diverse ramificazioni. Il capitolo si chiude con una breve conclusione. 2.1. Il Dio trinitario: fonte e culmine dell’economia sacramentale a) Fondamento trinitario della sacramentalità 16. [Sacramentalità: concetto]. Alla logica sacramentale appartiene l’inseparabile correlazione tra una realtà significante, con una dimensione esterna visibile, ad esempio l’intera umanità di Cristo, e un’altra, significata, di carattere soprannaturale, invisibile, santificante, ad esempio la divinità di Cristo[12]. Quando parliamo di sacramentalità ci riferiamo a questa relazione inseparabile, in modo tale che il simbolo sacramentale contenga e comunichi la realtà simbolizzata. Questo presuppone che tutta la realtà sacramentale includa in sé una relazione inseparabile con Cristo, fonte di salvezza, e con la Chiesa, depositaria e dispensatrice della salvezza di Cristo. 17. [Dio uno e trino: radice]. Comprendere la logica sacramentale suppone la comprensione di come operi l’economia divina della salvezza, che sgorga dal Dio trinitario, comunione di persone distinte nell’unità di una sola sostanza divina, e dell’incarnazione redentrice, in cui il Verbo eterno, senza detrimento della sua divinità illimitata, assume la nostra umanità con tutte le sue conseguenze. Questo quadro afferma chiaramente la presenza di Dio stesso nell’umanità di Gesù Cristo, il Verbo inviato dal Padre, che si incarnò per opera dello Spirito Santo nella Vergine Maria. L’incontro con l’umanità di Gesù Cristo, unta dallo Spirito Santo per la sua missione pubblica è, attraverso la fede, incontro con il Verbo incarnato. È attraverso queste chiavi che si comprende come sia possibile che una parola sensibile, sacramentale, percepibile da noi umani, sia contemporaneamente la vera parola di Dio. Gli esseri umani sono solo in grado di percepire, sperimentare e comunicare in modo "umano", anche per entrare in relazione con Dio. In che modo i segni sacramentali o le sacre parole della Scrittura possono essere più che semplici creazioni umane e contenere la presenza di Dio stesso? Perché ci sia vera comunicazione, non è sufficiente inviare un messaggio; è necessaria la ricezione. Se Dio Padre ci avesse parlato in Gesù Cristo e nessuno avesse ascoltato il suo messaggio (fede), la comunicazione tra Dio e l’umanità non avrebbe avuto luogo. Tuttavia, secondo la testimonianza del Nuovo Testamento, chiunque entra in relazione con l’uomo Gesù, si relaziona con Dio stesso, con il Verbo incarnato. Lo Spirito Santo è colui che opera in modo che la Parola di Dio, racchiusa nel limite dell’umanità di Gesù, sia percepita dai credenti come la Parola di Dio. Gregorio Nazianzeno formula così questa realtà: «Dalla luce che è il Padre comprendendo la luce che è il Figlio nella luce dello Spirito». E aggiunge: «Breve e semplice teologia della Trinità»[13]. 18. [La fede come accoglienza dialogica della rivelazione sacramentale]. Pertanto, entra in gioco non soltanto l’inseparabilità dell’umanità di Gesù dalla Parola di Dio, ma anche l’accoglienza, da parte dei credenti (fede) di questa Parola, in quanto divina, mediante l’intervento dello Spirito Santo. Qui risiede la logica sacramentale, mediante la quale Dio stesso si dà nei sacramenti. La sacramentalità primaria di Gesù Cristo, quella che deriva dalla Chiesa e quella dei sette sacramenti, sono fondate sulla fede trinitaria. Solo se Gesù Cristo è Dio vero può rivelarci il volto di Dio. Ma in quel caso, la comunione sacramentale con Gesù Cristo è comunione sacramentale con Dio. Se lo Spirito Santo è Dio vero, può dunque aprirci a Dio e introdurci alla vita divina attraverso i segni sacramentali[14]. 19. [Diffusione della sacramentalità]. Poiché la rivelazione avviene in modo sacramentale, l’elemento sacramentale deve permeare tutta l’esistenza credente e la stessa fede. In effetti, la sacramentalità della rivelazione, della grazia e della Chiesa è seguita dalla sacramentalità della fede, come accoglienza e risposta a questa rivelazione (cf. DV 5). La fede è generata, coltivata, cresce e si esprime nella sacramentalità, in quell’incontro con il Dio vivente che avviene attraverso le mediazioni con le quali Egli stesso si dona. Pertanto, la sacramentalità è la casa della fede. Ma allo stesso tempo, all’interno di questa dinamica, la fede si manifesta come la porta (cf. At 14,27) d’accesso al sacramentale: all’incontro e alla relazione con il Dio cristiano nella creazione, nella storia, nella Chiesa, nella Scrittura[15], nei sacramenti. Senza la fede, i simboli di natura sacramentale non rendono attuale il loro significato, ma piuttosto restano muti. La sacramentalità implica una comunicazione e comunione personale tra Dio e il credente attraverso la Chiesa e le mediazioni sacramentali. 20. [Correlazione della sacramentalità con l’antropologia]. La persona umana è uno spirito incarnato[16]. Noi esseri umani non siamo né una semplice materia inanimata né uno spirito angelico incorporeo. Ciò che ci definisce in modo più autentico è quell’unione complementare tra il materiale-corporeo, visibile e lo spirituale-incorporeo, che non si slega dal materiale e si fa conoscere attraverso di esso. Il caso del volto di una persona, che è l’espressione di un corpo materiale, manifesta magnificamente questa unione tra il nostro essere materiale, il volto, e la nostra realtà spirituale, stato d’animo e identificazione personale. Il volto manifesta l’intera persona. La struttura sacramentale della rivelazione divina tiene conto della nostra realtà più autentica[17]. Si adatta al nostro essere più radicale, alla nostra capacità e al nostro modo di interagire nelle dimensioni più profonde della comunicazione. Gli incontri più profondi tra le persone umane sono sempre di natura interpersonale. L’incontro con Dio partecipa di questa natura: è un incontro personale con il Dio trinitario che si fa’ presente nella Scrittura, nella Chiesa, nei segni sacramentali. 21. [Sacramentalità della fede]. La "sacramentalità della fede" richiama, sostanzialmente, quanto è già stato detto sulla fede cristiana, poiché tutta la fede cristiana è fede sacramentale grazie alla mediazione della Chiesa lungo il nostro pellegrinaggio verso la patria celeste. La fede è l’accoglienza e la risposta alla rivelazione sacramentale di Dio; e la fede si esprime e si alimenta in forma sacramentale, non potendo non farlo in virtù del suo essere vera fede cristiana. Da questa prospettiva, i sacramenti sono intesi fondamentalmente come un atto di fede ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la fede del cristiano. La fede, d’altra parte, non è estranea al sacramentale, ma nella sua stessa essenza ne è impregnata ed è costituita da una logica sacramentale. Per questo motivo, nel rapporto tra fede e sacramenti entrano in gioco due elementi che sono in intima reciprocità: i sacramenti, che presuppongono e alimentano la fede personale ed ecclesiale, e la necessaria espressione sacramentale della fede. I sacramenti, pertanto, si configurano come una sorta di rappresentazione anamnetica che attualizza e rende visibile la fede. b) Sacramentalità della creazione e della storia 22. [Dio creatore]. Secondo la testimonianza biblica, la creazione (ad es. Gn 1-2) è il primo passo dell’economia divina. La comprensione cristiana sostiene il carattere libero della creazione. Dio non crea per necessità o per mancanza di qualcosa; se così fosse, non sarebbe vero Dio; ma per la traboccante pienezza d’amore che Lui stesso è, al fine di distribuire i suoi benefici agli esseri capaci di accoglierli e rispondere con la logica dell’amore che presiede alla creazione stessa[18]. 23. [Sacramentalità della creazione]. Il Padre realizza il disegno della creazione per mezzo del Verbo e dello Spirito. Per questo, la stessa creazione contiene la traccia del suo essere stata plasmata dal Verbo e guidata dallo Spirito verso il suo compimento in Dio stesso. Poiché Dio imprime la sua impronta sulla creazione, la teologia parla di una certa "sacramentalità della creazione", in senso analogico, nella misura in cui, in sé stessa, nel suo essere costitutivamente creaturale, si trova un riferimento al suo Creatore (cf. Sap 13,1-9; Rm 1,19-20; At 14,15-17; 17,27-28), che le consente di essere successivamente elevata e portata a compimento nell’opera redentrice senza alcuna imposizione estrinseca. In questo senso, si è parlato di libro della natura[19]. 24. [Persona umana: risponde a Dio]. All’interno della creazione visibile, la persona umana si distingue per essere stata creata a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26). San Paolo sottolinea la dimensione cristologica di questa immagine: è Cristo, che è immagine del Dio invisibile (cf. Col 1,15; 2Cor 4,4), poiché il primo Adamo era la figura di colui che doveva venire (cf. Rm 5,14). Questo fa della persona umana un essere nel quale, l’offerta che Dio fa di sé stesso nella creazione, può trovare una risposta personale e libera. Essendo a immagine di Dio, la persona umana realizza più profondamente anche il proprio essere (identità) quanto più si coinvolge in una relazione d’amore (alterità). 25. La ricca realtà della persona umana quale imago Dei comprende vari aspetti, nei quali si pone in evidenza, mediante la somiglianza divina, la capacità di rispondere a Dio, assimilando il proprio essere al divino[20]. Tra questi spiccano la comunione e il servizio[21]. Se il Dio trinitario è essenzialmente comunione e relazione interpersonale, la persona umana, in quanto immagine di Dio, è stata creata per vivere in comunione e relazione interpersonale. Questo si esprime in modo mirabile nella differenza sessuale: «E Dio creò l’uomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Quindi, la persona umana raggiunge il proprio essere nella misura in cui mostra la sua relazione e la sua capacità di comunione: con gli altri esseri umani, con la creazione e con Dio. In Gesù Cristo risplende, nella sua pienezza, l’esercizio di questa dinamica di comunione e relazione. La vita filiale, che in Lui si rivela, manifesta l’altezza della vocazione umana (cf. GS 10, 22, 41). 26. In quanto essere relazionale e creato per la comunione, la persona umana può essere definita dal linguaggio. Ora, il linguaggio è una realtà di ordine simbolico che punta, da un lato, all’espressione di ciò che la realtà è in sé stessa (creazione di Dio) e, dall’altro, alla comunicazione interpersonale (comunione). In quanto essere simbolico, creato a immagine di Dio, la persona raggiunge la sua realtà più autentica nella misura in cui inscrive la realizzazione del suo essere in uno specifico ambito di espressione simbolica, in cui si dispiega tutta la ricchezza del proprio essere: come essere creaturale, come essere inter-relazionale e come essere chiamato alla comunione con Dio. I sacramenti raccolgono, esprimono, sviluppano e potenziano efficacemente questa ricca trama. 27. Come segno eloquente della sua dignità e amicizia con Dio, l’uomo riceve anche l’incarico di esercitare una signoria delegata sulla creazione (cf. Gn 2,15; cf. 1,28; Sap 9,2) dando il nome a tutte le altre creature (cf. Gn 2,19-20) e prendendosi cura di loro secondo il disegno divino[22]. Per questo, l’attività umana nel mondo è indirizzata verso la glorificazione di Dio, riconoscendo in essa la traccia del creatore (cf. GS 34). In questo modo, la persona umana guida la creazione, attraverso una sorta di "sacerdozio cosmico", verso la sua vera finalità: la manifestazione della gloria di Dio. 28. [Sacramentalità della storia]. Il desiderio di Dio di comunicare i suoi doni non si limita a lasciare la traccia del suo amore nella creazione. La storia del popolo di Israele, nel suo insieme, può essere giustamente considerata come una storia d’amore di Dio con il suo popolo. All’interno di questa storia risaltano alcuni eventi particolari, i quali prefigurano aspetti essenziali che fondano la relazione sacramentale di Dio con il suo popolo e che raggiungerà il suo culmine con Cristo. In tutti si avverte la percezione visibile del modo in cui Dio si relaziona con il suo popolo, rivestendolo di grazia. Così, in essi si scopre una sorta di “prima grammatica” per la successiva formazione del linguaggio sacramentale sensu stricto. Tra questi eventi, dei quali possiamo fare una lettura di tipo sacramentale, ricordiamo: l’elezione di Abramo, di Davide e degli israeliti e il dono della Legge, che diventeranno la base di tutto il discorso sacramentale; le molteplici alleanze, all’interno dell’unico disegno divino, dove si stabilisce una nuova relazione tra Dio e l’umanità e nelle quali si realizza in modo speciale la sacramentalità; la liberazione di Israele dall’Egitto, l’esilio e il ritorno a Gerusalemme, in cui è anticipata in un modo nuovo tanto la futura salvezza di Cristo, come è rappresentata in figura (typos) la funzione sacramentale della Chiesa; la presenza di Dio in mezzo al suo popolo nel Tabernacolo e nel Tempio, che acquisirà una particolare efficacia in Cristo e nei sacramenti cristiani. Israele ricorderà e attualizzerà liturgicamente questa efficacia della presenza di Dio attraverso diversi riti cultuali (ad es. i sacrifici), segni sacri (ad es. la circoncisione) e feste (ad es. la Pasqua), sempre illuminati dalla lettura della Parola. La teologia cristiana designa queste realtà come sacramenti dell’antica Legge e gli attribuisce un carattere salvifico per il loro riferimento a Cristo[23] e in proporzione alla fede di coloro che li celebrano (ex opere operantis). Pertanto, si scopre che la stessa storia della salvezza ha una certa natura sacramentale[24]. Attraverso eventi storici, segni e parole, strettamente collegati, Dio stesso si avvicina al suo popolo e comunica la sua volontà, il suo amore, la sua predilezione e, allo stesso tempo, gli mostra la via dell’amicizia con Dio e la vita umana più vera. 29. [Peccato]. Nel corso della storia, molti credenti di tutti i tempi hanno vissuto in amicizia con Dio, accogliendo il suo dono e rispondendo con generosità alla misericordia e alla fedeltà di Dio. Tuttavia, è anche vero che, nonostante l’insistenza di Dio, gli uomini non sempre accolgono questa offerta d’amore. Fin dall’inizio, non solo c’è la tentazione di ignorare il cammino di amicizia con Dio, quale via migliore per realizzare cosa significhi essere una persona umana, ma viene anche rigettata la sua offerta (cf. Gn 3). La storia di Israele, e quella dell’umanità, possono essere intese come un’affannosa ricerca di Dio per riconquistare l’affettuosa amicizia con l’uomo, quando questa è stata perduta (ad es. Ez 16). Da qui si comprende il senso profondo del fatto che, molti dei segni veterotestamentari di tipo cultuale di carattere salvifico, contengano un significato di espiazione o riconciliazione con Dio (ad es. abluzioni, sacrifici). c) L’incarnazione: centro, culmine e chiave dell’economia sacramentale 30. [Gesù Cristo: Ur-Sakrament]. Il desiderio di Dio di donarsi raggiunge il suo culmine insuperabile in Gesù Cristo (cf. DV 2). In virtù dell’unione ipostatica (cf. DH 301-302), l’umanità di Cristo, vero uomo «in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15), è l’umanità del Figlio di Dio, del Verbo eterno incarnato «per noi e per la nostra salvezza» (cf. DH 150). La teologia recente afferma che Gesù Cristo è il sacramento primordiale (Ur-Sakrament) e la chiave della struttura sacramentale della storia della salvezza. In sintesi, in Gesù Cristo scopriamo che l’economia divina della salvezza, in quanto incarnata, è sacramentale[25]. Per questo motivo si può davvero affermare che «i sacramenti sono al centro del cristianesimo. La perdita dei sacramenti equivale alla perdita dell’Incarnazione e viceversa»[26]. Perché in Gesù Cristo, quale culmine della storia e pienezza del tempo salvifico (cf. Gal 4,4), si ha la più stretta unione possibile tra un simbolo creaturale, la sua umanità e ciò che è simbolizzato: la presenza salvifica di Dio, nel suo Figlio, in mezzo alla storia. L’umanità di Cristo, in quanto umanità inseparabile dalla persona divina del Figlio di Dio, è "simbolo reale" della persona divina. In questo caso supremo, il creato comunica al massimo grado la presenza di Dio. 31. [L’umanità del Crocifisso glorioso: fondamento dei sacramenti]. Di conseguenza, l’umanità di Cristo è intrinsecamente abilitata a che Lui sia il «mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione» (cf. DV 2), in modo qualitativamente insuperabile rispetto a qualsiasi altra realtà creaturale, poiché è l’umanità propria del Figlio di Dio (cf. Eb 1,1-2). Ciò a cui la creazione mirava in modo approssimativo, si realizza in modo eminente nell’umanità di Gesù Cristo. Tutte le azioni e le parole di Gesù Cristo, il Verbo eterno incarnato, unto dallo Spirito, restano qualificate dall’incarnazione. In modo tale che, attraverso le sue parole, le sue opere e la manifestazione di tutta la sua persona, ci trasmette la rivelazione di Dio (cf. DV 4). Così, Gesù Cristo stesso è il mistero di Dio trasmesso e rivelato agli uomini (cf. Col 2,2-3; 1,27; 4,3), presente nei diversi misteri salvifici della sua vita: nascita, battesimo, trasfigurazione, ecc. Ora, la manifestazione del mistero di Cristo raggiunge il suo apice nella morte e nella gloriosa risurrezione, seguita dal dono dello Spirito (cf. DV 4). Lì, la rivelazione dell’amore di Dio sino alla fine (cf. Gv 13,1) e la sua forza redentrice si condensano con un’intensità sublime e insuperabile. La conseguenza è il perdono del peccato (cf. Col 2,13-14) e l’accesso alla partecipazione alla vita eterna del Risorto, mediante il dono dello Spirito che ci rende partecipi della natura divina (cf. 2Pt 1,4). È così che comprendiamo come in Gesù Cristo si concentri il fondamento e la fonte di tutta la sacramentalità, che si distende poi nei diversi segni sacramentali che generano la Chiesa, dove si raccolgono aspetti significativi e momenti densi della sua vita: perdono dei peccati (penitenza), guarigione dei malati (unzione degli infermi), morte e risurrezione (battesimo ed eucaristia), elezione e istituzione di discepoli come pastori della comunità (ordine), ecc. La logica sacramentale, inscritta nella rivelazione trinitaria, si prolunga e condensa nei sacramenti, nei quali Cristo è reso presente in modo particolarmente intenso (cf. SC 7). La struttura e la logica sacramentale della fede dipendono da Gesù Cristo, il Verbo incarnato e redentore[27]. 32. In effetti, Gesù non ci comunica semplicemente qualcosa di importante su Dio. Egli non è semplicemente un maestro, un messaggero o un profeta, ma la presenza personale del Verbo di Dio nella creazione. Dato che Egli, come vero uomo, è inseparabile da Dio che chiama «Padre», la comunione con lui significa comunione con Dio (cf. Gv 10,30; 14,6.9). Il Padre vuole condurre tutti gli uomini, attraverso lo Spirito Santo, alla comunione con Gesù Cristo. Gesù Cristo è, allo stesso tempo, il cammino che conduce alla vita e la vita stessa (cf. Gv 14,6); in altre parole: «Egli è, allo stesso tempo, il Salvatore e la Salvezza»[28]. Con i sacramenti del Verbo celebrati nello Spirito, specialmente con il memoriale della sua morte e risurrezione, ci viene offerto un cammino e un rimedio alla deriva del peccato, per condurci alla comunione e al rapporto personale con Dio attraverso la partecipazione alla vita di Cristo, inserendoci in Lui. In questo modo si realizza l’opera della salvezza, che completa e culmina il suo inizio con la creazione. Tuttavia, Dio fa dipendere l’accettazione di questo dono dalla cooperazione dei destinatari. Come manifestato esemplarmente nel caso della Vergine Maria, modello ecclesiale del discepolo, la grazia rispetta la libertà, non si impone in maniera coercitiva senza il consenso della libertà (cf. Lc 1,38), anche se il consenso è reso possibile dalla grazia stessa (cf. Lc 1,28). d) La Chiesa e i sacramenti nell’economia sacramentale 33. [Chiesa: Grund-Sakrament]. La tangibilità storica della grazia, che è diventata storicamente presente in Gesù Cristo, continua in maniera privilegiata, ma derivata, per opera dello Spirito Santo, nella Chiesa[29]. All’essere della Chiesa appartiene una struttura visibile e storica, al servizio della trasmissione della grazia invisibile, che riceve da Cristo e trasmette grazie allo Spirito. Esiste una notevole analogia tra la Chiesa e il Verbo incarnato (cf. LG 8; SC 2). Da queste premesse, la teologia contemporanea ha approfondito la comprensione della Chiesa come sacramento fondamentale (Grund-Sakrament), in linea con la comprensione del Vaticano II circa la Chiesa quale sacramento universale di salvezza[30]. In quanto sacramento, la Chiesa è al servizio della salvezza del mondo (cf. LG 1; GS 45), della trasmissione della grazia la cui ricezione l’ha resa sacramento. La sacramentalità comporta sempre un carattere missionario, di servizio per il bene degli altri. 34. Ora, anche come sacramento, nella Chiesa stessa esiste già una percettibilità della grazia di Dio, dell’irruzione del regno di Dio. Pertanto, se da una parte la Chiesa è al servizio dell’instaurazione del regno di Dio, dall’altra in essa c’è già la presenza del regno di Cristo nel mistero (cf. LG 3). Favorita da questi mezzi di grazia, può essere veramente il seme e l’inizio del regno[31] (cf. LG 5). In quanto pellegrina e composta da peccatori, non esiste una completa identificazione tra la Chiesa e il regno di Dio; in quanto realtà istituita dalla grazia, ha una dimensione escatologica che culmina nella Chiesa celeste e nella comunione dei santi[32] (cf. LG 48-49). 35. [Chiesa: realtà cristologica e pneumatologica]. Come creatura trinitaria, questo è «il popolo unito “dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"»[33]; la Chiesa non solo mantiene un’intima relazione con il Verbo incarnato, al punto da poter affermare che essa è veramente il Corpo di Cristo (cf. LG 7), ma anche con lo Spirito Santo. E questo non solo perché lo Spirito, il grande dono del Risorto (cf. Gv 7,39; 14,26; 15,26; 20,22), opera nella sua costituzione (cf. LG 4), abita in essa e nei fedeli come in un tempio (cf. 1Cor 3,16; 6,19), la unisce e genera il dinamismo missionario che le è proprio (cf. At 2,4-13). Ma anche perché la Chiesa è un popolo spirituale, pneumatico (cf. LG 12), arricchito dai diversi doni che lo Spirito elargisce ai fedeli per il bene della comunità intera (cf. Rm 12,4-8; 1Cor 12,12-30; 1Pt 4,10). Questi doni carismatici spingono verso una particolare appropriazione della ricchezza della Parola di Dio e della grazia sacramentale, rafforzando la comunità, promuovendo la sua missione (cf. AA 3), in breve: rafforzando la sacramentalità della Chiesa[34]. 36. [Continuità sacramentale dell’offerta salvifica]. L’offerta salvifica, che è diventata storia con Gesù Cristo, è proseguita in maniera viva nei sacramenti, attraverso la Chiesa (cf. Lc 10,16), Corpo di Cristo, grazie all’azione dello Spirito[35]: «Ciò che [...] era visibile nel nostro Salvatore è passato nei sacramenti» della Chiesa[36]. La Chiesa cattolica sostiene che i sette sacramenti siano stati istituiti da Cristo[37], poiché solo Lui può autorevolmente unire efficacemente il dono della sua grazia salvifica a determinati segni[38]. Con questa affermazione si evidenzia che i sacramenti non sono una creazione ecclesiale; che la Chiesa non può cambiare la loro sostanza[39], ma che si fondano sull’evento Cristo nel suo insieme: incarnazione, vita, morte e risurrezione. Nell’origine dei sacramenti entra in gioco il significato dell’incarnazione (cf. §§ 30-32), a motivo delle peculiarità proprie dell’umanità di Cristo che si manifestano in tutti i misteri della sua vita, culminando nella Pasqua, quale dono supremo di sé stesso e fonte di tutte le grazie, a cominciare dal dono dello Spirito. La Chiesa, illuminata dallo Spirito ricevuto a Pentecoste e incoraggiata dalla celebrazione dell’eucaristia (cf. PO 5), fonte e culmine della vita cristiana (cf. SC 10; LG 11), ha riconosciuto che il dono sacramentale di Cristo continua eminentemente nei sette segni sacramentali, che risalgono allo stesso Cristo in maniera differente[40], sostenendo, allo stesso tempo, che la grazia divina non si limita esclusivamente ai sette sacramenti[41]. 37. [La grazia sacramentale e i non cristiani]. La Chiesa afferma che la grazia che giustifica e dona la salvezza e, quindi, la vera fede viene concessa anche al di fuori della Chiesa visibile, ma non indipendentemente da Gesù (sacramento primordiale) e dalla Chiesa (sacramento fondamentale). L’azione dello Spirito Santo non si racchiude nei limiti della Chiesa visibile, ma «la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo»[42]. Le religioni non cristiane possono contenere aspetti della verità e possono essere mezzi e segni indiretti della grazia spirituale di Gesù Cristo. Ma non per questo si tratta di percorsi di salvezza paralleli a Cristo o indipendenti da Cristo e dalla sua Chiesa[43]. 38. [Grazia sacramentale e fede]. In sintesi, la Parola di Dio, creatrice ed efficace, ha dato vita al linguaggio interpersonale delle parole sacramentali, che sono i sacramenti; parole in cui la Parola continua ad agire grazie allo Spirito. Nelle parole che il ministro pronuncia a nome della Chiesa, ad es. «Io ti battezzo», Cristo Risorto continua a parlare e ad agire[44]. Poiché i sacramenti, per l’azione dello Spirito, rendono possibile oggi una relazione personale con il Signore morto e risorto, essi restano privi di senso senza tale relazione, che si riassume nella parola "fede". 39. [Sacramenti: supremo esercizio della sacramentalità ecclesiale]. La sacramentalità fondamentale della Chiesa è esercitata in modo privilegiato e con una speciale forza nella celebrazione dei sacramenti. Questi comportano sempre una natura ecclesiale: in essi la Chiesa mette in gioco il proprio essere, al servizio della trasmissione della grazia salvifica di Cristo risorto, attraverso l’intervento dello Spirito. Per questo motivo, ogni sacramento è un atto intrinsecamente ecclesiale. Secondo i Padri, i sacramenti sono sempre celebrati nella fede della Chiesa, poiché sono stati affidati alla Chiesa. In ognuno dei sacramenti, la fede della Chiesa precede la fede dei singoli fedeli. Si tratta, in effetti, di un esercizio personale della fede ecclesiale. Pertanto, senza partecipazione alla fede ecclesiale, tali atti simbolici diventano muti, in quanto la fede apre la porta del significato sacramentale operante. 40. [Sacramentali]. La sacramentalità ecclesiale si riflette non soltanto nei sacramenti. Esiste un’altra serie di realtà di natura sacramentale che fa parte della vita e della fede della Chiesa, nella quale eccelle la Sacra Scrittura. Riguardo la pietà cristiana, rivestono grande importanza i cosiddetti sacramentali, segni sacri istituiti ad imitazione dei sacramenti che dispongono ad essi e santificano le varie circostanze della vita (cf. SC 60). La caratteristica dei sacramenti sta nel fatto che ad essi si riconosce il compito ecclesiale, autorizzato e sicuro, della trasmissione della grazia di Cristo, a condizione che siano soddisfatti tutti i requisiti. Nei sacramentali, però, non si può parlare di un’efficacia simile a quella dei sacramenti[45]. Essi preparano all’accoglienza della grazia e dispongono a cooperare con essa; non un’efficacia ex opere operato (cf. § 65), esclusiva questa dei sacramenti. Pertanto, mentre l’acqua del battesimo produce l’effetto del perdono dei peccati in seno alla celebrazione sacramentale, l’acqua benedetta, memoria del battesimo, non provoca un effetto da sé stessa, ma nella misura in cui è ricevuta con fede, ad esempio tracciando il segno di croce all’ingresso del tempio. e) I cardini dell’economia sacramentale 41. Sistematizzando i principali risultati del nostro percorso, possiamo stabilire i seguenti punti fondamentali: a) L’economia divina trinitaria, in quanto incarnata, è sacramentale. Essendo l’economia di natura sacramentale, i sette sacramenti istituiti da Cristo, custoditi e celebrati dalla Chiesa, hanno un’importanza capitale al suo interno. b) La sacramentalità dell’economia divina rinvia alla fede. È attraverso la fede che questa sacramentalità viene colta e abitata. La percezione della sacramentalità, attraverso la fede, è strettamente legata: all’incarnazione, mediante la quale il disegno divino si rende visibile in modo storico e tangibile; allo Spirito Santo, che perpetua i doni di Cristo trasmettendo la grazia salvifica attraverso i simboli sacramentali; alla Chiesa, istituzione storica e visibile che, avendo ricevuto i doni sacramentali, continua a celebrarli per alimentare e irrobustire la fede dei fedeli. c) Gesù Cristo istituì i sacramenti e li donò alla sua Chiesa affinché i misteri della fede fossero visibilmente rappresentati. Il credente che partecipa a questi misteri riceve i doni che in essi sono rappresentati. Di conseguenza, la trasmissione della fede implica non soltanto la comunicazione di contenuti dottrinali di carattere intellettuale, ma anche, e insieme a loro, l’inserimento esistenziale nel tessuto dell’economia sacramentale, che l’enciclica Lumen Fidei ha magistralmente descritto: «Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri. Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa. In essi si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi; in essi la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comunitarie. Per questo, se è vero che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede (cf. SC 59), si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale. Il risveglio della fede passa per il risveglio di un nuovo senso sacramentale della vita dell’uomo e dell’esistenza cristiana, mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero dell’eterno[46]». d) La struttura dell’economia sacramentale è dialogica. La fede rappresenta il momento della risposta di grazia della persona umana al dono di Dio. Esiste una reciprocità essenziale tra fede e sacramentalità, in generale, e tra fede e sacramenti, in particolare. e) La natura dialogica (fede) dell’economia suppone una serie di conseguenze significative quando si tratta di comprendere teologicamente e proporre pastoralmente ciascuno dei diversi sacramenti. Da quanto affermato precedentemente, si può sostenere con un certo fondamento che sacramenti efficaci senza fede supporrebbero: o un mero meccanismo causale, estraneo all’ambito delle relazioni tra il Dio trinitario e gli uomini, di natura dialogica e interpersonale; o un’azione di tipo magico, estranea alla fede cristiana e alla logica sacramentale dell’economia; oppure una concezione di Dio, incompatibile con la dottrina cattolica, che non tiene in considerazione che il dono divino stesso contiene la grazia che consente alla creatura di accogliere e collaborare con l’azione divina, nella misura propria alla creatura. In altre parole: poiché l’economia trinitaria, in quanto sacramentale, è dialogica, non si può comprendere l’azione di grazia che in essi si manifesta come una sorta di automatismo sacramentale. 2.2. La reciprocità tra la fede e i sacramenti della fede a) Luci a partire dal cammino di fede dei discepoli 42. [Crescita della fede]. Pietro, quale portavoce dei discepoli, in risposta alla domanda di Gesù, formula una confessione di fede: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29 e par.). Pietro, tuttavia, dovette maturare questa fede iniziale, visto che, quando Gesù comincia a spiegare che egli è un Messia sullo stile del Figlio dell’uomo sofferente, un messia che sarà crocifisso, Pietro lo rifiuta e Gesù lo rimprovera duramente (cf. Mc 8,31-33). Pertanto, Pietro ha dovuto realizzare un cammino di crescita nella fede, coniugando la sua adesione incondizionata a Gesù come Cristo, con la conoscenza degli aspetti dottrinali che ciò implicava. Questo non riguarda solo Pietro, ma riflette la realtà di ogni credente. Gli stessi apostoli ci mostrano il cammino attraverso la loro richiesta rivolta al Signore: «Accresci in noi la fede» (Lc 17,5). Paolo esorta a questa crescita graduale e mira ad essa, poiché è in relazione alla «misura di fede che Dio ha dato a ciascuno» (cf. Rom 12,3; 12,6). Inoltre, ammonisce i cristiani di Corinto, dei quali dovrà prendersi cura come «neonati in Cristo», dando loro «latte» anziché cibo solido (cf. 1Cor 3,1-2). La Lettera agli Ebrei fa eco a questa differenza parlando ai membri della comunità cristiana (cf. Eb 5,11-14). Andando oltre i rudimenti di base della dottrina e della fede cristiana, il cibo solido è destinato ai credenti che, nella loro vita cristiana, si esercitano nel discernimento tra bene e male; a quelli la cui intera esistenza è illuminata dalla luce della fede[47]. 43. I discepoli e gli altri ammiratori di Gesù, la folla dunque, colsero qualcosa di particolare nella figura di Gesù prima della Pasqua. In particolare, nel contesto delle guarigioni si parla di una "fede". La fenomenologia che troviamo è molto varia: Gesù compie miracoli senza menzionare esplicitamente la fede (ad es. Mc 1,14-45; 3,1-6; 6,33-44); grazie alla fede dei richiedenti che intercedono per conto di un’altra persona (cf. Mc 2,5; Lc 7,28-29); nonostante una fede considerata scarsa (cf. Mc 9,24); o, appunto, grazie alla fede (cf. Mc 5,34). I discepoli sono incoraggiati in molti modi affinché crescano nella fede (cf. Mt 6,30; 8,26; 14,31; 16,8; 17,20), nella fede in Dio e nella sua potenza (cf. Mc 12,24) e nella comprensione del ruolo singolare di Gesù nel piano di Dio (cf. Gv 14,1). 44. La morte di Gesù mise alla prova questa adesione iniziale dei discepoli. Tutti si dispersero e fuggirono (cf. Mc 14,50). Le donne che arrivarono alla tomba al mattino presto andarono con l’intenzione di ungere il cadavere (cf. Mc 16,1-2). Tuttavia, con la novità della risurrezione e il dono dello Spirito che era stato promesso (cf. Gv 14,16-17.26), la fede dei discepoli si rafforza, al punto che saranno in grado di iniziare gli altri e rafforzarli nella loro fede (cf. Gv 21,15-18; Lc 22,32). Con la Pentecoste, il cammino di fede dei discepoli trova il suo culmine. Non solo aderiscono pienamente a Gesù, morto e risorto, quale Signore e Figlio del Dio vivente, ma diventano audaci testimoni, colmi di parresia, in grado di parlare delle opere di Dio e trasmettere la fede in tutte le lingue, grazie allo Spirito. Ora saranno testimoni, persino martiri, proclamando Gesù come il Messia crocifisso e risorto, il Figlio del Dio vivente, il Signore dei vivi e dei morti. In questa immagine di fede, l’adesione credente a Gesù include il contenuto dottrinale della risurrezione e il rivelarsi del suo significato. Secondo le fonti, questo passaggio alla fede nella risurrezione non fu facile né automatico, in particolare per coloro che, come noi, non beneficiarono di una apparizione del Risorto (Tommaso: Gv 20,24-29). La pericope di Emmaus (cf. Lc 24,13-35) fornisce alcuni preziosi indizi per iniziare altri sulla via della fede[48]. Camminare al passo di coloro che, sebbene delusi, esprimono qualche inquietudine. Ascoltare le loro preoccupazioni e accoglierle. Confrontarle pazientemente alla luce della storia della salvezza riflessa nelle Scritture, stimolando il desiderio di conoscere di più e meglio il piano di Dio. In questo modo, si apre la strada a una fede che matura nelle dimensioni sacramentale ed ecclesiale, proprie della fede. 45. [Necessità di discernere con pazienza]. La Bibbia, quale riflesso della storia della salvezza, presenta numerose situazioni nelle quali la fede, come realtà dinamica e vitale che presenta progressi e battute d’arresto, si rivela in differenti angolature: dalla ricerca di un beneficio tangibile, che guarda esclusivamente all’interesse personale, sino all’estrema generosità dell’amore che manifesta la fede. Gesù respinse categoricamente l’ipocrisia (ad es. Mc 8, 15); chiamò alla conversione e a credere nel vangelo (cf. Mc 1,15), ma accolse con magnanimità molti che si accostarono a Lui anelando, in qualche modo, alla salvezza di Dio. Pertanto, deve essere apprezzato il valore della fede iniziale, la fede in cammino di maturazione; la fede che, nel suo desiderio di conoscere Dio, non esclude interrogativi irrisolti ed esitazioni; la fede imperfetta, che trova qualche difficoltà nell’aderire all’insieme dei contenuti che la Chiesa considera come rivelati. È compito di tutti gli operatori pastorali sostenere la crescita della fede, in qualunque stadio si trovi, affinché si vada riscoprendo l’intero volto di Cristo e l’insieme degli elementi dottrinali che include l’adesione credente al Signore morto e risorto. A motivo di tale diversità, non si richiede la stessa fede per tutti i sacramenti o nelle stesse circostanze della vita. b) Modulazioni della fede 46. [Necessità di alcuni chiarimenti]. La riflessione classica sulla fede e sui sacramenti ha posto in luce l’articolazione sia dell’irrevocabilità del dono di Cristo (ex opere operato), sia delle disposizioni necessarie per un’accoglienza valida e feconda dei sacramenti. Queste disposizioni sono fraintese alla radice se considerate come una sorta di ostacoli arbitrariamente imposti per impedire o rendere più difficile l’accesso ai sacramenti. Né hanno niente a che fare con un "elitarismo", che disprezzerebbe la fede dei semplici. Si tratta semplicemente di evidenziare le disposizioni interiori del credente per ricevere ciò che Cristo ci vuole donare gratuitamente nei sacramenti. Vale a dire, ciò che si manifesta in queste disposizioni è il necessario rapporto tra fede e sacramenti della fede: quale fede richiedono, per loro stessa natura, i sacramenti della fede? Senza trascurare i risultati ottenuti attraverso la riflessione teologica, è conveniente esporre alcuni dei diversi aspetti della fede personale per poi discernere, nei capitoli che seguono, in che modo entrano in gioco nella celebrazione sacramentale intesa come incontro dialogico. 47. [Dimensione teologale]. La particolarità della fede sta nel fatto che essa è espressamente inscritta nella relazione con Dio. La teologia distingue diversi aspetti all’interno dell’unico atto di fede[49]. Così si distingue il "credere Deum", credere Dio, che si riferisce all’elemento cognitivo della fede, a ciò che si crede (fides quae). La caratteristica della fede è quella di essere indirizzata verso Dio. Per questo motivo, la fede ha un carattere teo - centrico. "Credere Deo", credere a Dio, esprime l’aspetto formale, la ragione per cui viene dato il proprio assenso. Dio è anche la causa per la quale si crede (fides qua), e perciò la fede ha un carattere teo - logico. Pertanto, Dio è l’oggetto creduto e la ragione della fede. Tuttavia, queste dimensioni fondamentali non riflettono l’atto di fede nella sua interezza. C’è anche il "credere in Deum", credere in Dio. Qui si manifesta più chiaramente l’aspetto della volontà, in quanto, integrando i due momenti precedenti, la fede include anche un desiderio e un movimento verso Dio, l’inizio di un cammino indirizzato a Dio che si consumerà nell’incontro escatologico con Lui nella vita eterna. Pertanto, la fede contiene una dimensione teo - escatologica. L’atto di fede, nella sua integrità, suppone la connessione delle tre dimensioni. Ciò si verifica in particolare nel "in Deum", che include le altre due. 48. [Dimensione trinitaria]. Per la fede cristiana, credere in Dio implica credere in Gesù Cristo come il Figlio, grazie allo Spirito. Il Simbolo, in maniera particolare, ripete per tre volte "in Deum", riferito a ciascuna delle persone divine, sottolineando la dimensione trinitaria. La formulazione evidenzia la differenza con qualsiasi altro atto equiparabile di fiducia, ad esempio in una persona umana[50]. La relazione con il Dio trinitario si distingue dalla relazione con ciò che è stato prodotto o creato da Lui. In Deum credere rappresenta l’immagine perfetta della relazione personale; include la speranza e l’amore[51] o, come lo descrive Agostino: «Credere dunque in Dio significa essere uniti a Dio mediante la fede, per ben collaborare con lui»[52]. Questa è la vera immagine della fede, che comprende le due dimensioni già menzionate: credere Dio e credere a Dio (credere Deum e credere Deo)[53]. La formula "credo in Deum" non si riduce a esprimere una confessione e un convincimento, ma il processo di conversione e abbandono, il cammino di fede del credente. È proprio questa dimensione personale che conferisce coerenza al Simbolo e ai suoi diversi articoli. Ciò si verifica con particolare intensità nelle celebrazioni sacramentali, proprie dell’economia dello Spirito[54], nelle quali si percepisce che la fede è sempre ecclesiale[55]: «Nella celebrazione dei Sacramenti, la Chiesa trasmette la sua memoria, in particolare, con la professione di fede. In essa, non si tratta tanto di prestare l’assenso a un insieme di verità astratte. Al contrario, nella confessione di fede tutta la vita entra in un cammino verso la comunione piena con il Dio vivente. Possiamo dire che nel Credo il credente viene invitato a entrare nel mistero che professa e a lasciarsi trasformare da ciò che professa»[56]. 49. La fede trinitaria implica una relazione personale del credente con ciascuna delle persone della Santissima Trinità. Attraverso la fede, lo Spirito ci conduce alla conoscenza di tutta la verità (cf. Gv 16,12-13). Nessuno può confessare Gesù come Signore, se non nello Spirito (cf. 1Cor 12,3). Quindi, lo Spirito inabita il credente e lo abilita a camminare nello Spirito verso Dio, per testimoniare la sua fede, per diffondere la carità cristiana, vivere nella speranza, fino a raggiungere la maturità della pienezza del credente, alla misura di Cristo (cf. Ef 4,13). Pertanto, lo Spirito agisce sul credente sia nell’atto soggettivo stesso del credere come nei contenuti creduti e, dunque, nel dinamismo vitale che imprime sul credente. Questo dinamismo implica un’appropriazione più profonda delle beatitudini, ritratto del cuore di Cristo e, quindi, del discepolo[57]. Con i suoi doni, lo Spirito rafforza il singolo credente[58] e la Chiesa. Per fede confessiamo Gesù Cristo come il Signore, il Figlio del Dio vivente, diventiamo suoi discepoli, camminando sino a diventarne conformi (cf. Rm 8,29). Attraverso la fede e grazie alla mediazione del Figlio e dello Spirito, conosciamo il disegno di Dio Padre, entriamo in relazione con Lui, gli rendiamo lode, lo benediciamo e obbediamo a Lui come figli amati. Ci mettiamo in cammino per compiere la sua volontà su di noi, la storia e la creazione. 50. [La Riforma e la sua influenza]. La Riforma ha esercitato un forte influsso riguardo il primato dell’atto di fede individuale rispetto alla confessione di fede ecclesiale. Le caratteristiche singolari che risaltano sono la concentrazione della fede nella propria giustificazione, la qualificazione dell’atto di fede come un’appropriazione della grazia e l’identificazione della certezza della fede con la certezza della salvezza. Questa tendenziale soggettivazione della verità ha influito anche in parte della teologia della fede del cattolicesimo recente quando questa, sotto l’ombrello del personalismo, ha assunto un orientamento soggettivista unilaterale. Per questo motivo, in questi approcci, la fede viene descritta meno come confessione che come rapporto personale di fiducia (fede in qualcuno) e, almeno tendenzialmente, si contrappone alla fede dottrinale (fede in qualcosa). 51. [Fides qua; fides quae]. Se il dialogo di Dio con l’uomo comporta una natura sacramentale, che attraversa l’intera rivelazione, allora anche la risposta, attraverso la fede, dovrà assumere una logica sacramentale, guidata e resa possibile dallo Spirito. Non esiste, quindi, una comprensione solo soggettiva della fede (fides qua), che non sia legata all’autentica verità di Dio (fides quae), trasmessa nella rivelazione e custodita dalla Chiesa. Vi è, pertanto, «un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fede” (cf. Rm 10,10)»[59]. Sono i segni sacramentali della presenza di Dio nel mondo e nella storia che suscitano, esprimono e custodiscono la fede. Nella concezione cristiana, non è possibile pensare una fede senza espressione sacramentale (in opposizione alla privatizzazione soggettivista), né una pratica sacramentale in assenza di fede ecclesiale (contro il ritualismo). Laddove la fede esclude l’identificazione con la confessione e la vita della Chiesa, questa fede non è più un inserimento in Cristo. La fede privatizzata e disincarnata degli gnostici attraversa l’intera storia del cristianesimo come una tentazione[60]. Ma c’è anche, spesso, la tendenza opposta, vale a dire: una fede esteriore, che aderisce verbalmente alla confessione della fede senza farla propria attraverso la comprensione personale o l’orazione. La privatizzazione soggettivista e il ritualismo segnano i due pericoli che la fede cristiana deve superare a tutti i costi[61]. 52. [Uguaglianza fondamentale di tutti i credenti nella fede]. La fede personale di ciascun credente può avere gradi diversi sia rispetto all’intensità della relazione con il Dio trinitario, sia rispetto al grado di esplicitazione dei suoi contenuti. Essendo la fede una relazione di natura personale, è intrinseca alla propria dinamica la capacità di crescere in entrambe le dimensioni: nella conoscenza e appropriazione delle verità della fede e della loro coerenza interna, da una parte e, dall’altra, nella fiducia e determinazione ad orientare tutta l’esistenza, a partire dall’intima relazione con Dio[62]. 53. Nella storia della teologia è stata sollevata la questione del minimo indispensabile circa la conoscenza riflessa del contenuto della fede, nonché il ruolo della cosiddetta "fede implicita". I teologi scolastici hanno mostrato grande apprezzamento per la fede dei semplici (simplices, minores). Secondo Tommaso d’Aquino, non si dovrebbe esigere da tutti lo stesso grado di esplicitazione, riguardo la conoscenza dei contenuti della fede[63]. La differenza tra fede "implicita" e fede "esplicita" si riferisce a determinati contenuti della fede che sono parte della fede stessa e, in tal senso, sono stabiliti nell’atto del credere – impliciti –; oppure sono creduti in modo affidabile e consapevole (actu cogitatum credere) – espliciti –. Non è necessario che credenti semplici sappiano dar conto, intellettualmente e in maniera dettagliata, degli sviluppi trinitari o soteriologici. La fede implicita include in sé la predisposizione fondamentale a identificarsi con la fede della Chiesa e ad unirsi ad essa[64]. 54. [Il Credo: contenuto minimo della fede]. Secondo Tommaso, tutti i battezzati sono obbligati a credere in maniera esplicita agli articoli del Credo[65]. Pertanto, non è sufficiente credere in una generica volontà salvifica di Dio, ma nell’incarnazione, passione e risurrezione di Cristo; questo è possibile solo attraverso la fede nel Dio trinitario. Questa è la fede «in cui tutti raggiungono una nuova vita», in cui ogni cristiano è battezzato[66]. Al tempo dei Padri, la regola della fede ha svolto un ruolo simile: fungeva, per tutti i credenti, da compendio del contenuto fondamentale, nonché da orientamento per la verifica degli elementi vincolanti della fede[67]. Tommaso sostiene che queste conoscenze della fede non presuppongono altre conoscenze previe, ma sono accessibili alle persone semplici; inoltre, grazie alle festività dell’anno liturgico, il loro contenuto è presente a tutti. Rispettivamente nel Simbolo, l’obbligo di una fede esplicita per tutti i membri della Chiesa indica il riconoscimento della pari dignità di tutti i cristiani. 55. [Note sulla mancanza di fede]. L’opposto della fede non è la mancanza di conoscenza, ma il rifiuto ostinato di alcune verità di fede[68] e l’indifferenza. Su questa linea, Ugo di San Vittore distingue chiaramente due gruppi. Vi sono credenti che hanno una scarsa comprensione intellettuale della fede e che non sono neanche accompagnati da un profondo rapporto personale con Dio; tuttavia si aggrappano all’appartenenza alla comunità ecclesiale e mettono in pratica la fede nella loro vita[69]. Altri, tuttavia, sono solo credenti "di nome e per abitudine". Questi «ricevono i sacramenti insieme agli altri credenti, ma senza alcun pensiero ai beni del mondo futuro»[70]. Qui viene menzionato un elemento cruciale della fede cristiana: se «si sperano i beni futuri» (cf. Eb 11,1) e se questa speranza credente è abbastanza forte da orientare l’azione umana. c) Reciprocità tra fede e sacramenti 56. [Concetto di sacramento]. Il Dio trino, che crea per elargire i suoi doni e che ha creato l’uomo per chiamarlo alla comunione con Lui, entra in relazione con gli uomini in modo mediato, attraverso la creazione e la storia, mediante segni, come abbiamo visto. Tra questi segni, i sacramenti cristiani occupano un posto rilevante, poiché sono quei segni ai quali Dio ha legato la trasmissione della sua grazia in modo certo e oggettivo. In effetti, i sacramenti della Nuova Legge sono segni efficaci che trasmettono la grazia[71]. Come abbiamo già detto, ciò non significa che i sacramenti siano gli unici mezzi con cui Dio trasmette la sua grazia[72]; essi mantengono un posto privilegiato, contrassegnato dalla certezza e dalla ecclesialità. La devozione e la pietà personale possono essere manifestate attraverso diverse pratiche, quali: le differenti forme di preghiera legate alla Sacra Scrittura, come la lectio o la contemplazione dei misteri della vita di Cristo; la contemplazione delle opere di Dio nella creazione e nella storia; i diversi sacramentali (cf. § 40), ecc. 57. [Fede e sacramenti nella definizione di sacramento del Vaticano II]. Nel corso della storia, si sono succedute diverse definizioni di sacramento. Il Concilio Vaticano II lo descrive così: «I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati “sacramenti della fede”. Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità»[73]. Questo testo così denso evidenzia diversi aspetti fondamentali circa l’essenziale reciprocità tra fede esacramenti, che ripercorriamo sinteticamente. Primo, i sacramenti hanno un fine pedagogico per la nostra fede: illustrano il modo in cui la storia della salvezza si svolge: il modo "sacramentale". Gesù Cristo li istituì per farci comprendere che Egli comunica sé stesso e ci trasmette la Sua salvezza in modo sensibile e visibile, cioè adattato alla condizione umana[74] (cf. in particolare, §§ 20, 26). Secondo, i sacramenti presuppongono la fede, in un doppio senso: come "accesso" al mistero sacramentale: se manca la fede, il sacramento appare solo come un simbolo esterno o un rito vuoto, con il rischio di scivolare in un gesto magico; come condizione necessaria affinché il sacramento produca soggettivamente i doni che contiene oggettivamente. Terzo, i sacramenti manifestano la fede del soggetto e della Chiesa. La celebrazione dei sacramenti è una professione di fede vissuta. I sacramenti sono segni con i quali viene professata la fede da cui l’uomo è giustificato. La parola sacramentale richiede la risposta della fede del credente che, grazie ad essa, comprende e riconosce il mistero che si realizza nel sacramento. Quarto, i sacramenti alimentano la fede su due livelli fondamentali: comunicano il dono della grazia divina, che realizza o rafforza la vita cristiana del credente; sono celebrazioni in cui il mistero della salvezza è significato efficacemente, educando alla fede e nutrendola continuamente. I sacramenti sono, pertanto, segni di fede in tutti gli aspetti del dinamismo della loro realizzazione: prima, durante e dopo la celebrazione. Di conseguenza, poiché il sacramento presuppone la fede, è ovvio che colui che riceve i sacramenti sia un membro della Chiesa. Non possiamo dimenticare che attraverso la fede e i sacramenti della fede entriamo in dialogo, in contatto vitale con il Redentore, che siede alla destra del Padre. Il Cristo glorioso ci raggiunge non solo interiormente, ma nella concretezza del nostro essere storico, elevando le vicende fondamentali della nostra esistenza a momenti sacramentali di salvezza. 58. [Connessione fede e sacramenti]. La fede non è garantita per sempre al momento della conversione. Deve essere coltivata attraverso la pratica della carità, la preghiera, l’ascolto della Parola, la vita comunitaria, la formazione; inoltre, in una posizione preminente, mediante la pratica assidua dei sacramenti. Nel campo delle relazioni, ciò che non viene reso esplicito e manifestato corre il rischio di diluirsi e persino di scomparire. Cristo, che è il dono di Dio per eccellenza, non può essere accolto solo in modo invisibile o privato. Al contrario, chiunque lo riceve è reso capace e chiamato a incarnarlo nella propria vita, parola, pensiero e azione. In tal modo, contribuisce alla trasformazione della sacramentalità originale del Salvatore nella sacramentalità fondamentale della Chiesa. In effetti, le sette realizzazioni fondamentali della Chiesa (i sacramenti) realizzano ciò che significano. Tuttavia, affinché la loro accoglienza possa essere fruttuosa, si richiede la volontà di ciascun destinatario ad approfondire, vivere e testimoniare ciò che ha ricevuto. 59. La connessione intrinseca tra fede e sacramenti diventa evidente se consideriamo altri aspetti essenziali. Tra questi emergono: a) La celebrazione sacramentale: nella quale una determinata azione o realtà materiale, che hanno già un loro significato, sono poste in relazione con la storia della salvezza e sono determinate dall’evento Cristo. Attraverso la Parola, il segno diventa presenza, memoria e promessa della pienezza della salvezza[75]. Così, l’acqua in quanto tale, ad esempio, ha la proprietà di lavare. Tuttavia, solamente unita all’invocazione della Trinità produce l’effetto di rigenerare, eliminando i peccati. b) La terminologia: "sacramentum (sacramento)" è usata quale traduzione dal greco "mystérion (μυστήριον)". I misteri celebrati nella Chiesa sono radicati nel mistero in quanto tale, «mistero nascosto da secoli in Dio» (Ef 3,9) e ora reso noto: Cristo. Colui che, attraverso la sua incarnazione, passione e risurrezione, vuole «attirare tutti a sé» (cf. Gv 12,32), «riconciliarli con Dio» (cf. 2Cor 5,19-21). Secondo la Lettera agli Efesini (3,3-21 e 5,21-33; cf. Col 1,25-27; 2,2-9), la Chiesa è inserita nel mistero di Cristo; come "corpo" e "sposa" appartiene al "mistero nascosto", al disegno salvifico di Dio[76]. Il concetto neotestamentario di "mystérion" designa la realtà di Dio che si comunica agli uomini in Gesù Cristo. Nella misura in cui è una realtà inesauribile, rimane nascosta anche nel caso della rivelazione stessa, perché supera tutta la comprensione e la concettualizzazione. Sebbene la traduzione latina "sacramentum" enfatizzi la rivelazione più che l’occultamento, il concetto latino conserva anche il riferimento a ciò che è irraggiungibile. Da ciò ne consegue che, chiunque celebra la liturgia della Chiesa o riceve un sacramento, è chiamato, attraverso la sua fede professata personalmente, a trascendere il contenuto creduto verso il mistero sempre più grande. c) C’è un secondo aspetto, molto significativo, legato anch’esso alla terminologia. Originariamente sacramentum significa "giuramento sacro" che, a differenza di "ius iurandum", realizza un vincolo sacro. Questo è il significato che Tertulliano ha in mente quando chiama il battesimo "sacramento"[77] e lo mette a confronto con l’impegno assunto dai militari nel giuramento alla bandiera. Non è possibile determinare qualcosa senza sapere quale sia il suo contenuto. 60. [Necessità della catechesi]. Dopo quanto già detto, partiamo da una duplice base. Primo, non può esserci celebrazione sacramentale senza fede. Secondo, la fede personale è una partecipazione alla fede ecclesiale, una risposta all’evento sacramentale della rivelazione testimoniato e proposto dalla Chiesa, per mezzo dello Spirito. Pertanto, poiché la ricezione di un sacramento è un atto simultaneamente di natura strettamente personale e di carattere manifestamente ecclesiale, un’adeguata catechesi deve precedere la celebrazione del sacramento. In questa catechesi, il mistero pasquale deve occupare una posizione di primo piano a motivo della sua centralità nella fede cristiana. Nel caso del battesimo, la catechesi fa parte della stessa incorporazione alla Chiesa, così come viene percepita dalla Chiesa antica nello sviluppo del catecumenato. Da un’altra prospettiva, la forma originaria del battesimo includeva una confessione di fede, in forma di dialogo, come testimonia la Traditio apostolica[78]. La confessione della fede e la natura dialogica divino-umana della ricezione dei sacramenti devono continuare attraverso la catechesi mistagogica, che ha luogo ad ogni ricezione dei sacramenti. In un certo senso, la catechesi mistagogica si propone di approfondire la presenza escatologica che si concretizza nei sacramenti, progredendo continuamente nella conoscenza attraverso la partecipazione ai misteri celebrati. 61. [Manifestazione della fede]. I sacramenti fanno parte dell’economia sacramentale nella quale introducono il credente. Questa economia implica l’esistenza di aspetti visibili quali espressione della grazia invisibile. Sebbene la fede nel Dio rivelato in Cristo sia un dono di grazia, il destinatario non è un semplice oggetto di questo dono. Per questo, Tommaso d’Aquino chiarisce che la fede è una «virtus infusa vel supranaturalis». In quanto "virtù", la fede è una capacità di agire resa possibile dalla grazia che, come ogni facoltà, può essere perfezionata. In altre parole, più profonda è la relazione di un credente con Cristo, più intensa è la sacramentalità di questa fede, la sua preghiera, la sua confessione, la sua identificazione con la Chiesa e il suo amore. Di conseguenza, poiché la fede è una virtù, deve manifestarsi esternamente, in modo visibile, in uno stile di vita corrispondente al duplice comandamento dell’amore a Dio e al prossimo, in relazione con la Chiesa orante. 62. Vi può essere una fede generica, quale assenso alla rivelazione divina, senza che questa includa in sé la speranza in Dio e l’amore per Dio che le sono propri. La distinzione scolastica tra "fides informis" e "fides (caritate) formata" riflette la problematica propria di una fede che non ha ancora raggiunto quel grado di maturità che le è essenziale. Secondo la Lettera agli Ebrei, la fede è necessaria per la salvezza: «Senza la fede è impossibile essergli graditi [a Dio]» (Eb 11,6); convinzione radicata nella comprensione della fede nel Medioevo[79]. Mentre il semplice desiderio di credere ciò che è vero (fides informis) non fonda una comunione con Cristo, la fede formata dall’amore (fides caritate formata) ha quale effetto il radicamento nella partecipazione alla realtà salvifica e benedetta di Dio. In altre parole, vi può essere una forma di fede che non è modellata interiormente da una relazione personale con Cristo. In questo senso, è considerata informis: non è informata nella sua configurazione dall’amore di Cristo, quale risposta al suo amore preveniente. C’è anche un tipo di fede che è modellata da una relazione personale e amorosa con Cristo. Per questo viene chiamata caritate formata: configurata dalla carità insita nella verità del rapporto che la fede vuole esprimere. 63. Seguendo questa distinzione, si può stabilire che la fede formata dall’amore è effettivamente l’inizio della vita eterna[80]. L’atto personale del credere (actus credendi) e la virtù della fede (virtus fidei) da soli, fanno sì che l’evento salvifico sia efficace nel credente. Ora, l’atto di fede non è possibile senza l’affermazione di quella realtà che lo rende possibile. Stando così le cose, tuttavia, la ricezione di ogni sacramento non suppone una fede formata dalla carità, come è particolarmente messo in rilievo nel sacramento della penitenza. Secondo Tommaso d’Aquino, né il battesimo né il matrimonio richiedono la stessa misura di fede colma di amore come l’Eucaristia. La ricezione fruttuosa della comunione presuppone non solo la fede nella presenza reale di Cristo nelle specie sacramentali, ma anche la volontà di conservare il vincolo di unione con Cristo e con le sue membra (cf. § 120). 64. Poiché l’amore soprannaturale (caritas) è un effetto immediato della grazia, la presenza di una "fides caritate formata" non può essere accertata sulla base di criteri umani. Di conseguenza, nessuno può sapere con certezza, riguardo un’altra persona e nemmeno di sé stesso, se la sua fede possieda questa qualità. Questo si può dedurre solo a partire da indizi o effetti[81]. Pertanto, in alcun modo si può pretendere di dare un giudizio su come una persona si presenti dinanzi a Dio o voler confermare o negare la credenza come dono soprannaturale di grazia in un’altra persona. Tuttavia, poiché la ricezione di un sacramento è un atto pubblico ecclesiale, l’elemento esterno e visibile è decisivo, ossia: l’intenzione espressa, la confessione di fede e la fedeltà, nella vita, alla promessa battesimale. d) Natura dialogica dei sacramenti 65. [Fede, validità e fecondità]. Il Concilio di Trento (DH 1608) ha utilizzato l’espressione «ex opere operato» per esprimere quanto segue: quando un sacramento è celebrato correttamente, in nome della Chiesa e in conformità con il significato che la Chiesa stessa gli attribuisce, in questo caso trasmette sempre ciò che significa. Questa chiarificazione non implica la rinuncia alla partecipazione di chi dispensa e riceve il sacramento. Al contrario: chi amministra un sacramento deve avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (DH 1611: faciendi quod facit ecclesia). Dal lato del destinatario, si ritiene opportuno fare una distinzione tra ricezione fruttuosa (fecunda) e infruttuosa (infecunda). L’espressione "opus operatum" non è in opposizione alla partecipazione di colui che amministra il sacramento o di colui che lo riceve. Sottolinea, piuttosto, che né la fede di colui che dispensa il sacramento né quella di colui che lo riceve produce la salvezza, ma solo la grazia del Redentore mediata sacramentalmente. Cristo agisce mediante il sacramento non perché colui che dispensa e colui che riceve il sacramento crede in ciò che realizza nel sacramento, ma ogni volta che un sacramento viene celebrato in modo appropriato, secondo il significato dato dalla Chiesa, Cristo vincola la sua azione a quella della Chiesa. 66. In tal senso, quale reazione alla teologia dei riformatori, il Concilio di Trento affermerà con chiarezza l’efficacia dei sacramenti[82]. Tuttavia, una prassi ecclesiale che si occupa solo della validità, ferisce l’organismo sacramentale della Chiesa, poiché lo riduce a uno dei suoi aspetti essenziali. Un sacramento celebrato validamente trasmette ciò che la terminologia tecnica ha chiamato "res et sacramentum", quale parte costitutiva dell’azione sacramentale della grazia. Ad esempio, nel caso del battesimo sarebbe il "carattere". Tuttavia, i sacramenti determinano e ottengono il loro pieno significato nella trasmissione della "res", della grazia propria del sacramento. Nel caso del battesimo, la grazia della vita nuova in Cristo, che include il perdono dei peccati. 67. [Fede adeguata ai sacramenti e intenzione]. La logica sacramentale include, come componente essenziale, la risposta libera, l’accettazione del dono di Dio, in una parola: la fede, pur iniziale, specialmente nel caso del battesimo. La teologia più recente, per illuminare sulla trasmissione della grazia che si attua nei sacramenti, ha adottato quale riferimento il mondo della significazione, proprio dei simboli dei segni. Questo ambito si pone ad un livello molto vicino al linguaggio umano e alle relazioni interpersonali. Poiché i sacramenti si situano nella sfera dialogica e relazionale del credente con Cristo, questo approccio mostra i suoi vantaggi. Il significato dei simboli o dei segni non viene compreso se non si partecipa al mondo che il simbolo, nel suo significato, crea. Allo stesso modo, non è possibile ricevere gli effetti della grazia sacramentale (fruttuosità o fecondità), trasmessa dai segni sacramentali, senza entrare nel mondo che questi segni sacramentali esprimono. La fede è la chiave che apre la porta d’ingresso a quel mondo che fa sì che le realtà sacramentali diventino realmente segni che significano e causano, in maniera efficace, la grazia divina. 68. La ricezione dei sacramenti può essere valida o invalida, fruttuosa o infruttuosa. Per una disposizione adeguata, non è sufficiente non contraddire, esternamente o interiormente, ciò che il sacramento significa. In tal senso, una ricezione valida non implica automaticamente una ricezione fruttuosa del sacramento. Per un’accoglienza fruttuosa è necessaria un’intenzione positiva. In altre parole, il destinatario deve credere sia nel contenuto (fides quae) sia, esistenzialmente (fides qua), in ciò che Cristo gli dona sacramentalmente attraverso la mediazione della Chiesa. Vi è una diversità di gradi per quanto riguarda la conformità alla dottrina. Ciò che è decisivo qui è che il ricevente non rifiuti assolutamente l’insegnamento della Chiesa. Ci sono anche gradi di intensità della fede. Ciò che è determinante in questo caso è la disposizione positiva a ricevere quel che il sacramento significa. Ogni ricezione fruttuosa di un sacramento è un atto comunicativo e, pertanto, fa parte del dialogo tra Cristo e il singolo credente. 69. Sebbene sia certo che la dottrina circa l’intenzione sorse alla luce delle riflessioni intorno ai requisiti essenziali da parte dei ministri che dispensano i sacramenti, l’intenzione occupa una posizione cruciale. Da una parte, salva completamente l’efficacia «ex opere operato», vale a dire: l’efficacia delle azioni sacramentali è dovuta, interamente ed esclusivamente, a Cristo e non alla fede del ricevente o del ministro del sacramento. Ma tiene in piedi anche la natura dialogica dell’evento sacramentale, in modo da non cadere né nella magia né nell’automatismo sacramentale. L’intenzione esprime il minimo indispensabile della partecipazione personale volontaria all’evento gratuito della trasmissione sacramentale della grazia salvifica. 70. I simboli sacramentali e le azioni simboliche, posti in essere attraverso l’acqua, l’olio, il pane, il vino e altri fattori visibili ed esterni, invitano ogni credente ad aprire «l’occhio interiore della fede»[83] e vedere gli effetti salvifici di ciascun sacramento. Queste azioni simboliche, compiute con questi elementi materiali, sono, infatti, in funzione della realizzazione di un’azione di Cristo, il Salvatore. Ciò che accade nell’amministrazione dei sacramenti è radicato in ciò che accadde nelle azioni di Cristo, il Salvatore, nella sua vita terrena, come ad esempio nelle guarigioni. Molti credettero in Cristo (Ur-Sakrament) e raggiunsero così la santificazione, come ad esempio: la samaritana al pozzo di Giacobbe (cf. Gv 4,28-29. 39); Zaccheo, quando accolse Gesù nella sua casa (cf. Lc 19,8-10); la donna siro-fenicia, che ottenne la guarigione per la figlia grazie ad una fede irremovibile (cf. Mc 7,24-30), e così via. Quelle azioni simboliche di Gesù, "sacramentali", realizzate con elementi materiali, erano in funzione del rafforzamento della fede nei beneficiari e della loro santificazione, grazie alla fede-visione interiore. L’irrobustimento della fede deve tradursi in una confessione credente attraverso la testimonianza cristiana della vita nel mondo. 71. [Natura dialogica]. La celebrazione liturgica dei sacramenti rappresenta non solo l’azione salvifica catabatica (discendente) di Dio, ma anche, inseparabile dalla precedente, il movimento anabatico (ascendente) di colui che riceve i sacramenti, a partire dalla risposta "amen" sino ai gesti, come l’estensione delle mani nel ricevere la comunione. Tutti i sacramenti sono azioni comunicative, inscritte all’interno dell’economia della salvezza: rievocano il rivelarsi, nella storia, del desiderio di Dio di entrare in una relazione personale con gli uomini. Così, nei sacramenti, si riflette la natura di alleanza che segna e accompagna l’intera storia della salvezza. Laddove la natura dialogica del sacramento svanisce, sorgono fraintendimenti di tipo magico (ritualismo) e ci si concentra sulla salvezza individuale (privatizzazione soggettivista). e) L’organismo sacramentale 72. [L’organismo sacramentale]. L’organismo sacramentale della Chiesa[84], plasmatosi attraverso un’evoluzione durata secoli, accompagna le circostanze chiave della vita della singola persona e della comunità al fine di rafforzare il cristiano nella sua fede, inserirlo in maniera più viva nel mistero di Cristo e della Chiesa, accompagnandolo e rafforzandolo in tutto il cammino della sua vita di fede. Non solo riunisce momenti importanti del rivelarsi del mistero di Cristo nella sua vita terrena, ma, attualizzandoli sacramentalmente, fa sì che la sua opera possa continuare. In questo modo, la sacramentalità originaria di Cristo raggiunge il singolo credente e lo trasforma nel sacramento vivente di Cristo attraverso le celebrazioni sacramentali della Chiesa. Grazie all’acqua, al pane, al vino, all’olio e alle parole sacramentali, che contengono un significato con un riferimento diretto a Cristo e lo realizzano, il credente è completamente inserito in questa realtà e ne è da essa configurato, a condizione che accolga questi segni con le dovute disposizioni. 73. [Sacramenti dell’iniziazione]. I sacramenti dell’iniziazione, posti all’inizio del cammino, inseriscono pienamente il credente in Cristo e nella comunità ecclesiale, permettendogli, con la grazia, che egli stesso diventi in qualche modo sacramento di Cristo con la sua vita. Così, il battesimo costituisce la porta d’ingresso. L’essere sepolti nelle acque e riemergere da esse esprime la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, entrando nel suo Corpo e conformandosi a Lui, diventando un membro vivo e attivo della Chiesa di Cristo (cf. infra cap. 3.1.). La confermazione, con la ricezione del crisma, implica un ulteriore passo nella stessa direzione. L’unzione con il crisma, in parallelo con l’unzione di Cristo, abilita il cristiano, attraverso il dono dello Spirito, a testimoniare la fede assumendo questa responsabilità nella comunità cristiana con una fede più missionaria ed ecclesiale (cf. infra cap. 3.2.). Attraverso l’eucaristia, il sacramento del Corpo di Cristo, l’inserimento, la comunione e la piena partecipazione al Corpo di Cristo sono espressi in tutti i sensi: cristologico, sacramentale ed ecclesiale (cf. infra cap. 3.3). Alla fine dell’iniziazione, il cristiano è già un membro di Cristo e della sua Chiesa, avendo ricevuto tutti i mezzi ordinari di cristificazione che gli consentono di condurre una vita cristiana e di rendere vera testimonianza. 74. [Sacramenti di guarigione]. Coloro che ricevono i sacramenti dell’iniziazione non sempre si comportano in piena fedeltà e integrità rispetto a ciò che in essi è significato. Per questo motivo, ci sono anche sacramenti chiamati di guarigione, che tengono conto della nostra fragilità e del nostro peccato. Con la penitenza, ricevendo l’accoglienza del ministro che rappresenta Cristo e la Chiesa, e che pronuncia nel nome di Cristo e della Chiesa le parole dell’assoluzione, non solo ha luogo la riconciliazione con Dio, dopo averlo negato con la propria vita, ma anche con il corpo ecclesiale che, quale comunità di perdonati, proclama la bontà di Dio in Gesù Cristo. Quindi, grazie alla penitenza, il cristiano riprende di nuovo il suo cammino di fede. Poiché l’eucaristia è il sacramento del Corpo di Cristo per eccellenza, non avrebbe senso la piena partecipazione ad essa di coloro che, avendo seriamente compromesso ciò che significa l’inserimento in questo Corpo, non hanno ricevuto il dono della misericordia che riconcilia con Dio e reintegra con gioia nell’appartenenza alla comunità. 75. L’unzione viene celebrata in una situazione di fragilità, come la malattia. Il crisma di Cristo, profumo e unguento curativo, esprime il potere del Signore di salvare integralmente la persona ed elevarla alla sua gloria, anche se ci fossero stati gravi fallimenti (peccati) legati all’incoerenza con la vita di fede; essa include chiaramente il perdono (cf. Gc 5,14-15). Pertanto, abbiamo testimonianza di come, anche la malattia, possa essere occasione della manifestazione della gloria di Dio (cf. Gv 11,4); e che, nella malattia, nella vita e nella morte siamo del Signore (cf. Rm 14,8-9), mentre condividiamo con lui la sua passione e le sue sofferenze sulla via della gloria. In questo modo, sia il peccato che la malattia diventano un’opportunità per crescere in unione con il Signore e testimoniare che la sua misericordia è più forte della nostra fragilità. 76. [Sacramenti al servizio della comunione]. Altri sacramenti mirano più direttamente al servizio della comunione. La comunità richiede una struttura e un governo che riflettano la sua realtà sacramentale. Per questo motivo, i ministri ordinati ad sacerdotium rappresentano Cristo Capo, configurandosi espressamente con Lui attraverso l’esercizio della carità pastorale. Pertanto, Cristo continua ad essere presente nella sua Chiesa non solo come il dono che l’ha generata ma anche, sacramentalmente, come colui che si dona continuamente ad essa, generandola nuovamente e incessantemente. Inoltre, da un’altra prospettiva e come membri della Chiesa, anche i ministri ordinati rappresentano la Chiesa, specialmente nella loro preghiera liturgica, lodando Dio e implorando la sua grazia a nome di tutti. Quindi, Cristo Pastore e Capo continua a edificare il suo Corpo nella storia. La Chiesa intera riconosce più e più volte come il ministero ordinato si debba al dono del Signore, nella sua Parola e nei suoi sacramenti. I ministri ordinati, dal canto loro, devono conformare la loro vita a Cristo per essere pastori secondo il suo cuore. 77. Coloro che sono rinati dall’acqua e dallo Spirito esercitano il loro sacerdozio comune (cf. LG 10), inseparabile dalla vita di fede, anche nell’amore che si scambiano l’un l’altro come coniugi. L’amore che i coniugi si scambiano pubblicamente è un vincolo sacro con il quale rendono storicamente visibile e presente nel mondo l’amore di Cristo per la sua Chiesa. In questo modo, grazie al matrimonio, la comunità cristiana cresce e si generano i figli, frutto dell’amore che, respirando la fede nella famiglia, accrescono il numero delle membra del Corpo di Cristo. In tal modo la famiglia diventa la Chiesa domestica, il luogo preminente dell’accoglienza, della vita e dell’espressione della fede (cf. infra cap. 4). f) La reciprocità tra la fede e i sacramenti nell’economia sacramentale 78. Questa revisione congiunta sulla reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale ci ha mostrato diversi aspetti di grande importanza per il nostro tema. a) Nell’economia divina tutto parte dalla rivelazione salvifica del Dio trinitario. Questa economia raggiunge il suo culmine quando il Padre rivela il suo Figlio attraverso la sua Pasqua e il dono dello Spirito a Pentecoste. Questi misteri salvifici si perpetuano nella storia attraverso la Chiesa e i sacramenti, grazie all’azione dello Spirito. b) Questa rivelazione e comunicazione di Dio ha una natura sacramentale: attraverso segni visibili viene trasmessa la grazia invisibile. La natura sacramentale della rivelazione viene riconosciuta attraverso la fede. c) La fede è la relazione personale con il Dio trinitario, attraverso la quale si risponde alla sua grazia, alla sua rivelazione sacramentale; per questo, la fede è essenziale e costitutivamente dialogica. È anche una realtà dinamica, che accompagna l’intera vita del credente. Come in ogni relazione, può crescere e rafforzarsi, ma anche, al contrario, indebolirsi o addirittura andare persa. Ha, contemporaneamente, un’impronta personale ed ecclesiale. Poiché attraverso la fede si vive la relazione personale con il Dio trinitario, essa guida alla salvezza e alla vita eterna. d) L’azione salvifica di Dio, l’economia, si estende oltre i confini visibili della Chiesa. Questo fattore sembrerebbe negare la natura sacramentale dell’economia. Ora, un’attenta considerazione del modo in cui agisce la salvezza in questi casi mostra che questa attuazione salvifica di Dio, accolta da una fede implicita, non si realizza a margine della sacramentalità dell’economia divina, ma proprio grazie ad essa[85]. e) Sotto diverse figure e aspetti, la celebrazione dei sacramenti deve essere sempre accompagnata dalla fede nei suoi diversi versanti: una fede personale che, nel suo dinamismo verso Dio, partecipa alla fede ecclesiale e vi aderisce attraverso una desiderata appartenenza ecclesiale o, quanto meno, fa propria l’intenzione specifica della Chiesa riguardo le celebrazioni sacramentali. In questo modo, la celebrazione sacramentale non cade mai in un automatismo sacramentale. f) La fede stessa ha, nella sua essenza, una naturale tendenza ad esprimersi e ad alimentarsi sacramentalmente, a motivo proprio della struttura sacramentale dell’economia che la suscita. Non solo la fede nella grazia salvifica di Gesù Cristo (Ur-Sakrament) non dovrebbe contrapporsi alla sua permanenza storica nello spazio e nel tempo grazie alla Chiesa (Grundsakrament), ma non dovrebbe nemmeno essere considerata come differente. 2.3. Conclusione: dinamismi della fede e sacramentalità 79. In sintesi, possiamo concludere con una serie di dinamismi rilevanti, emersi dalla considerazione della natura dialogica dell’economia sacramentale: a) La fede costituisce la risposta dialogica alla interlocuzione sacramentale del Dio trinitario. Questo fattore determina la reciprocità tra fede e sacramenti. Nel cammino del credente, la fede va modulandosi ed esprimendosi nelle diverse situazioni della vita, accompagnata dai diversi sacramenti che la Chiesa offre alla vita cristiana durante il pellegrinaggio terreno. b) Per sua stessa costituzione, la fede cristiana è sacramentale. Per questo motivo, esiste una connaturalità tra fede e sacramentalità. Uno dei dinamismi fondamentali della fede consiste, dunque, nella sua espressione sacramentale, come un modo di alimentarsi, rafforzarsi, arricchirsi e manifestarsi. c) Nell’espressione sacramentale della fede, entrano in gioco sia la dimensione personale (soggettiva) sia la dimensione ecclesiale (oggettiva) della stessa. Nel suo dinamismo di crescita, la fede personale aderisce più intensamente e si identifica sempre più con la fede ecclesiale. La reciprocità tra fede e sacramenti esclude la possibilità di una celebrazione sacramentale totalmente estranea alla fede ecclesiale (intenzione). d) La sacramentalità propria della fede implica sempre un dinamismo missionario, poiché inserisce attivamente il credente nelle dinamiche dell’economia divina, attribuendogli un ruolo di primo piano, al quale è abilitato dalla grazia divina. Chi riceve un sacramento intensifica la sua cristificazione grazie allo Spirito, riafferma il proprio inserimento ecclesiale e compie un atto liturgico di lode a Dio, il quale ci dispensa i suoi beni attraverso i sacramenti. Da questo punto di vista, si comprende, ad esempio, che colui che riceve il battesimo è, in primo luogo, rivestito di grazia in modo gratuito: si configura col mistero pasquale di Cristo; però, allo stesso tempo, è chiamato a testimoniare il dono ricevuto attraverso una vita di lode che sgorga dalla fede della Chiesa. Nessuno riceve i sacramenti esclusivamente per sé stesso, ma anche per rappresentare e rinvigorire la Chiesa che, come mezzo e strumento di Cristo (cf. LG 1), deve essere testimone credibile e segno efficace di speranza contro ogni speranza, testimoniando al mondo la salvezza di Cristo, sacramento di Dio per eccellenza. Pertanto, attraverso la celebrazione dei sacramenti e la loro declinazione nella vita, il Corpo di Cristo viene rafforzato. 3. La reciprocità tra fede e sacramenti nell’iniziazione cristiana 80. [Introduzione]. Dopo aver visto la reciprocità essenziale esistente tra fede e sacramenti su un duplice piano generale, quello dell’economia sacramentale e della fede e i sacramenti, passiamo a considerare la sua incidenza sui sacramenti dell’iniziazione cristiana. Si tratta, quindi, di applicare le nozioni e i punti di vista acquisiti e metterli in rapporto con ciascuno dei tre sacramenti dell’iniziazione. Ogni sacramento ha una peculiarità propria, che deve essere rispettata. Tuttavia, per muoverci in maniera sistematica nell’approfondimento dell’argomento principale, procediamo articolando il discorso in cinque passaggi, con adattamenti propri alla trattazione di ciascun sacramento. Questi passaggi sono: (1) il fondamento biblico principale; (2) la correlazione tra il sacramento e la fede adeguata alla sua celebrazione; (3) i problemi che sorgono oggi riguardo questa correlazione; (4) l’illuminazione a partire da momenti peculiari e selezionati della Tradizione; e, alla luce della precedente riflessione, sul ruolo della fede nella celebrazione del sacramento, (5) una proposta teologica per la pastorale circa la fede necessaria per la celebrazione di ciascun sacramento. Considerata la differenza del battesimo degli adulti da quello dei bambini, questo schema si adatta a ciascuno dei casi. Si parte dal battesimo degli adulti e la trattazione si completa con gli elementi specifici del battesimo dei bambini. Si da come presupposta una teologia più ampia di ciascun sacramento. Raccogliamo semplicemente alcuni elementi essenziali per articolare una risposta significativa alla domanda sulla reciprocità tra fede e sacramento in ciascuno dei sacramenti dell’iniziazione. 3.1. Reciprocità tra fede e battesimo a) Fondamento biblico 81. Dopo la grande predicazione kerygmatica nel giorno di Pentecoste, coloro che avevano udito «si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse loro: "Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. […] Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati» (At 2,37-38.41). La conversione, la risposta umana alla proclamazione del Vangelo, sembra inseparabile dal rito sacramentale del battesimo, che resta vincolato a vari aspetti fondamentali della vita cristiana. Attraverso il battesimo il credente partecipa al mistero pasquale di Cristo (cf. Rm 6,1-11), anticipato da Cristo nel suo stesso battesimo e realizzato nella sua passione e risurrezione (cf. Mc 10,38; Lc 12,50); si riveste di Cristo, si configura con lui, sino ad essere in Cristo e con Cristo. In questo modo diventiamo figli adottivi e creature nuove. L’apostolo Paolo comprende, anche, che con il battesimo: «Il cristiano è stato affidato a una "forma di insegnamento" (typos didachés), cui obbedisce di cuore (cf. Rm 6,17). Nel Battesimo l’uomo riceve anche una dottrina da professare e una forma concreta di vita che richiede il coinvolgimento di tutta la sua persona e lo incammina verso il bene. Viene trasferito in un ambito nuovo, affidato a un nuovo ambiente, a un nuovo modo di agire comune, nella Chiesa»[86]. Allo stesso modo, è incorporato nella Chiesa, corpo di Cristo (cf. 1Cor 1,11-16; 12,13). Attraverso il battesimo si riceve lo Spirito Santo promesso (cf. At 1,5), il perdono dei peccati (cf. Col 2,12-13), la giustificazione. In questo modo, la nuova creatura appena battezzata, attraverso questa nuova nascita (cf.Gv 3,3,5) appartiene a Cristo e alla Chiesa, è in grado di vivere la vita cristiana, testimoniandola con una vita nuova. b) Fede e battesimo degli adulti 82. Il battesimo è il sacramento della fede per eccellenza. Già Marco 16,16 mette in rapporto fede e battesimo: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato». Inoltre, il mandato battesimale con cui termina il Vangelo di Matteo (28,19) contiene una formula battesimale nella quale la Chiesa ha visto la sintesi della sua fede trinitaria. D’altro canto, il rito del battesimo riflette chiaramente l’importanza della fede. Nell’attuale rito di ingresso nel catecumenato, il catecumeno chiede alla Chiesa «la fede» che garantisce «la vita eterna»[87]. Nella Chiesa antica, il rito della triplice immersione era accompagnato dalle risposte alle interrogazioni del Credo[88]. Oggi le rinunce e la professione di fede sono parte integrante del rito. La stessa celebrazione rituale, con i suoi scrutini, evidenzia la natura dialogica dell’evento: la proclamazione pubblica della fede del catecumeno, precedentemente provata durante le diverse fasi del catecumenato, e la ricezione del battesimo impartito da parte di un ministro della Chiesa. Gli stessi scrutini svolgono la funzione di assicurare l’adesione alla fede ecclesiale da parte dei battezzati, oltre alle previe attestazioni di conoscenza della dottrina, la conformità con la morale e la pratica della preghiera durante il catecumenato. Essendo un dono di Dio, nessuno amministra un sacramento a sé stesso. Proprio come la fede, che è ricevuta attraverso la predicazione e l’ascolto della Parola, così anche i sacramenti sono inscritti in questa logica di ricezione del dono di Dio. 83. Così il cristiano, configurato a Cristo, continua il suo pellegrinaggio nella fede, ricevendo lo Spirito Santo in altre occasioni, nella celebrazione degli altri sacramenti e sacramentali. Due analogie illuminano questa realtà. L’infusione dell’«alito di vita» da parte di Dio su Adamo (cf. Gen 2,7). Ma, ancor più rilevante, l’intero ministero pubblico di Gesù appare contrassegnato dalla ricezione dello Spirito, inviato dal Padre, con il quale fu unto nel battesimo (cf.Mc 1,10 e par.), lo condusse nel deserto (cf.Mc 1,12 e par.), dal quale dichiarò di essere unto, nella sinagoga di Nazaret (cf.Lc 4,16-21), attraverso il quale scacciava i demoni (cf. Mt 12,28), che emise sulla croce (cf.Mt 27,50; Lc 23,46). Complessivamente, l’intera sua missione può essere considerata come un battesimo, con riferimento alla Pasqua (cf. Lc 12,50). In questo modo, la vita del cristiano può essere intesa come un progressivo dispiegarsi di ciò che il dono iniziale dello Spirito, nel battesimo, mette in movimento, fino al compimento della propria vita, offrendola al Padre, come Gesù. c) Proposta pastorale: fede per il battesimo degli adulti 84. Con il battesimo, sacramento della vita nuova in Cristo[89] e nuova nascita, si intraprende un cammino, si diventa parte della Chiesa e si entra nell’economia sacramentale. Nella Chiesa antica questo cambiamento di vita veniva espresso visibilmente e corporalmente, con i battezzati che si voltavano da Occidente, verso il quale erano rivolti durante le rinunce, ad Oriente, per la professione di fede. Da sempre è stata richiesta una preparazione, attraverso il catecumenato o altre forme di istruzione, ma si era anche ben consapevoli della natura iniziale della fede battesimale. Per questo motivo, il previo percorso catecumenale deve essere affrontato con serietà e assiduità, e il catecumeno è invitato a dichiarare responsabilmente la sua adesione alla fede trinitaria ricevuta e il proprio desiderio di continuare a progredire nella conoscenza della stessa e nella coerenza della propria vita, grazie al dono della grazia battesimale. Poiché il battesimo è la porta di ingresso, la fede richiesta per il battesimo non deve essere perfetta, ma iniziale e desiderosa di crescere. 85. Così come il catecumenato è inteso come parte dell’iniziazione, allo stesso modo il battesimo non consiste in un rito chiuso in sé stesso, ma esige dalla sua stessa dinamica interna che si manifesti nella vita del battezzato. Né è chiusa la comprensione della fede, nonostante l’uguaglianza tra la fede celebrata nel rito e la fede che si crede[90]. A ciò corrisponde, in un certo modo, la catechesi post-battesimale, come una fase ulteriore di istruzione dedicata in maniera specifica al sacramento. La prassi della Chiesa antica riflette la convinzione che la vera comprensione dei "mysteria" avvenga dopo la loro ricezione[91]. In ogni caso, non si supponeva che la comprensione avvenisse da sola, ma che i neofiti fossero introdotti ai sacramenti attraverso le catechesi mistagogiche. 86. [Luci a partire dalla Tradizione]. Cirillo di Gerusalemme si riferisce insistentemente alla conversione del cuore e avverte: «Se persisterai nel tuo cattivo proposito [...] ti accoglierà l’acqua ma non ti accoglierà lo Spirito»[92]. Non richiede esplicitamente la forza della fede nel senso di una forza straordinaria, capace di spostare le montagne, ma l’adesione credente all’annuncio ecclesiale: «Custodisci in te l’impegno interiore della fede umana per ricevere da lui il dono della fede che supera le umane capacità»[93]. La fede può e deve crescere; la disponibilità a far sì che questo si realizzi sta già nella decisione stessa di essere battezzato[94]. 87. Quando, a partire dalla svolta costantiniana, il catecumenato classico con la sua serietà e le sue varie fasi scomparve gradualmente, la Chiesa si adattò a una condizione nuova: la società diventava prevalentemente cristiana. In questa situazione, la socializzazione in genere includeva una certa socializzazione religiosa, più significativa rispetto all’era precedente. Tuttavia, continuava la necessità di assicurare una figura ecclesiale di riferimento nel cammino di fede (padrini) e una previa istruzione minima, che permettesse un’adesione personale responsabile e cosciente. Risulta indicativo il caso delle Indie. Nonostante esistessero tendenze diverse e che nella teologia del tempo la salvezza fosse strettamente legata al battesimo, si impose l’opinione che meglio salvaguardava la dignità degli indios e la natura dialogica dei sacramenti[95]. In questa linea, il domenicano Francisco de Vitoria, insieme ad altri teologi, scrisse un rapporto riguardante la preparazione adeguata dei cristiani del nuovo continente, nel mezzo di un’enorme carenza di sacerdoti, sui quali ricadeva il peso della catechesi: «Non devono essere battezzati prima di essere stati sufficientemente istruiti non solo nella fede, ma anche nei costumi cristiani, almeno in ciò che è necessario per la salvezza. Non dovrebbero essere battezzati prima che, verosimilmente, capiscano cosa ricevono o che rispondano e credano nel battesimo e che vogliano vivere e perseverare nella fede e nella religione cristiana»[96]. 88. [Proposta pastorale]. La Chiesa è sempre desiderosa di celebrare il battesimo. Ciò implica la gioia dovuta al fatto che i nuovi credenti ricevono la giustificazione, sono incorporati a Cristo, lo riconoscono come loro Salvatore, configurano la loro vita a Cristo, diventano parte della Chiesa, testimoniano la vita nuova nello Spirito, dal quale sono stati resi destinatari della grazia e illuminati. Tuttavia, in assoluta assenza di fede personale, il rito sacramentale perde di significato. Mentre la validità si basa sulla celebrazione del sacramento, da parte del ministro con l’intenzione appropriata (cf. §§ 65-70), senza un minimo di fede da parte di chi è battezzato la reciprocità essenziale tra fede e sacramenti svanisce. Senza una fede nel fatto che i segni visibili (sacramentum tantum) trasmettono la grazia invisibile (ad es.: immersione nell’acqua come passaggio dalla morte alla vita nuova), questi segni non trasmettono la realtà invisibile significata (res sacramenti): perdono dei peccati, giustificazione, rinascita in Cristo attraverso lo Spirito, ingresso nella vita filiale. In questo caso, il battesimo diventa una semplice convenzione sociale o risulta impregnato di elementi pagani. 89. Questo requisito minimo di fede sembra indispensabile affinché, coloro che ricevono il sacramento, si accostino all’intenzione di realizzare ciò che la Chiesa crede. Alcuni degli elementi che costituiscono questo requisito minimo di fede si possono dedurre dalle stesse dinamiche della celebrazione sacramentale[97]: la fede trinitaria, con l’invocazione delle tre persone divine sul neofita; la convinzione di rinascere in Cristo, simboleggiata dall’immersione nelle acque, come acque della vita[98]; la nascita a una vita nuova, rappresentata dalla vestizione della veste bianca; la convinzione di ricevere la luce di Cristo e il desiderio di testimoniarlo, rappresentato dalla ricezione della luce del cero pasquale. 90. Si impongono, dunque, la fedeltà alla dottrina della Chiesa, la carità e la prudenza pastorale, insieme alla creatività nell’accoglienza e nell’offerta di itinerari catecumenali. Non difendendo sufficientemente ciò che il sacramento è e significa, per paura dei requisiti minimi, suppone un danno maggiore alla sacramentalità della fede e della Chiesa. Va a detrimento dell’integrità e della coerenza della stessa fede che si intende salvaguardare. Certamente la fede del ricevente non è la causa della grazia che opera nel sacramento, ma costituisce parte della disposizione adeguata e necessaria per la sua fruttuosità, di modo che possa essere fecondo. Senza alcun tipo di fede, sembra difficile poter affermare che si possieda il minimo indispensabile rispetto alla disposizione, che comprende, nel suo grado inferiore, non porre impedimento alcuno[99]. In questo senso, senza un minimo di fede, il dono di Dio che converte il battezzato nel "sacramento" vivente di Cristo, nella lettera di Cristo (cf. 2Cor 3,3), non riesce a produrre il suo frutto. D’altra parte, chi confessa Cristo come suo Signore e Salvatore, non esiterà ad associarsi il più intimamente possibile, e dunque sacramentalmente, al nucleo centrale del mistero salvifico di Cristo: la Pasqua. d) Fede e battesimo dei bambini 91. Il battesimo dei bambini è attestato sin dai tempi antichi[100]. Trova la sua giustificazione nel desiderio dei genitori che i loro figli prendano parte alla grazia sacramentale, si incorporino a Cristo e alla Chiesa, diventino membri della comunità dei figli di Dio, così come lo sono della famiglia; il battesimo, infatti, è mezzo efficace di salvezza, perdonando i peccati, cominciando dal peccato originale, e trasmettendo la grazia. Il bambino non sottoscrive in maniera cosciente la propria appartenenza alla sua famiglia carnale né se ne mostra orgoglioso, come spesso accade in molti riti di iniziazione, come la circoncisione nella fede ebraica. Se la socializzazione segue il suo corso normale, lo farà da giovane e da adulto, con riconoscenza. Con il battesimo dei bambini si pone in evidenza che la fede nella quale siamo battezzati è la fede ecclesiale; che la nostra crescita nella fede avviene grazie all’inserimento nel "noi" comunitario[101]. La celebrazione lo conferma in maniera solenne con la professione di fede: «Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla»[102]. In questa occasione, i genitori agiscono come rappresentanti della Chiesa, che accoglie nel suo seno questi bambini[103]. Per questo motivo, il battesimo dei bambini è giustificato dalla responsabilità di educare nella fede, che i genitori e i padrini assumono insieme alla responsabilità di educarli nei diversi ambiti della vita. e) Proposta pastorale: fede per il battesimo dei bambini 92. Molte famiglie vivono la fede e la trasmettono ai loro figli, sia esplicitamente che implicitamente, educandoli alla fede dopo averli battezzati poco dopo la nascita, seguendo un’antica tradizione cristiana. Tuttavia, sorgono vari problemi. In alcuni territori il numero di battesimi diminuisce drasticamente. Non è insolito che, in paesi tradizionalmente cristiani, i bambini che si preparano per la prima comunione scoprano in quel momento che non sono stati battezzati. Molto spesso alcuni genitori richiedono il battesimo dei loro figli per convenzione sociale o pressione familiare, senza partecipare alla vita della Chiesa e con seri dubbi sull’intenzione e sulla capacità di fornire una futura educazione alla fede dei loro figli. 93. [Luci a partire dalla tradizione]. Con grande continuità, la Chiesa ha difeso la legittimità del battesimo dei bambini, nonostante le critiche che questa pratica abbia subito fin dai tempi antichi. Fin dalle origini si narra di battesimi di intere famiglie (cf. At 16,15.33). La tradizione del battesimo dei bambini è molto antica. Ne troviamo testimonianza già nella Tradizione Apostolica[104]. Un sinodo di Cartagine, dell’anno 252, la difende[105]. La ben nota sfida di Tertulliano nei confronti del battesimo dei bambini avrebbe senso solo se si fosse trattato di una pratica diffusa[106]. Questa pratica è sempre stata accompagnata da alcune figure ecclesiali significative, vicine ai bambini (genitori, padrini), che si impegnavano a fornire agli stessi un’educazione alla fede insieme all’educazione ordinaria. Inoltre, poiché il battesimo dei bambini diventò la pratica più regolare, si evidenziò maggiormente la necessità di una catechesi post-battesimale, al fine di istruire i battezzati nella fede e contribuire così ad evitare il più possibile il loro totale estraniamento o allontanamento dalla fede[107]. Senza questa figura rappresentativa della fede ecclesiale, il battesimo, il sacramento della fede con un’accentuata natura dialogica, mancherebbe di una delle sue componenti essenziali. 94. [Proposta pastorale]. Nel caso dei bambini, si deve constatare se sussista la speranza che essi possano essere educati alla fede, grazie alla fede degli adulti che si assumono tale responsabilità. Senza alcuna speranza in una futura educazione alla fede, non sono soddisfatte le condizioni minime per una significativa ricezione del battesimo[108]. 3.2. Reciprocità tra fede e confermazione a) Fondamento biblico e storico 95. [Fondamento biblico]. Come il battesimo, anche il sacramento della confermazione trova il suo fondamento nella Scrittura. Lo Spirito, come abbiamo detto, svolge un ruolo cruciale nella vita e nella missione di Gesù (cf. § 83). Occupa anche un posto centrale nella vita cristiana. I discepoli devono essere «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,46-49; cf. At 1,4-5. 8) prima di diventare testimoni del Risorto. Secondo gli Atti, lo Spirito discese sui discepoli (cf. At 2,1-11) e su molti altri, inclusi i gentili (cf. At 10,45), che così proclamarono e testimoniarono Cristo e il Vangelo (cf. At 2,43; 5,12; 6,8; 14,3; 15,12; cf. Rm 15,13). Il Paraclito promesso (cf. Gv 14,16; 15,26; 16,7) aiuta i discepoli a progredire nella loro vita di fede e testimoniarla al mondo. In alcuni passaggi si fa una differenza tra la ricezione del battesimo e una successiva effusione dello Spirito, legata all’intervento degli apostoli attraverso l’imposizione delle mani sui cristiani che già vivono la loro fede (cf. At 8,14-17; 19,5-6; Eb 6,2). Così come possiamo differenziare il momento della Pasqua dalla Pentecoste, allo stesso modo, nella vita del cristiano che si inserisce nell’economia sacramentale, si possono individuare due momenti diversi e interconnessi: il battesimo, che accentua la configurazione pasquale, e la confermazione, che rimanda più direttamente a Pentecoste, con l’accoglienza dello Spirito, alla piena incorporazione nella missione ecclesiale. Nell’iniziazione cristiana degli adulti entrambi gli aspetti si presentano in un’unica celebrazione comune. 96. [Fondamento storico]. Sin dai tempi antichi è stata registrata una serie di riti post-battesimali, non sempre chiaramente distinti dal battesimo stesso, quali l’imposizione delle mani, l’unzione con l’olio crisma e il segno di croce[109]. La Chiesa ha sempre sostenuto che questi riti post-battesimali facevano parte della iniziazione cristiana nella sua integrità. Con il passare della storia e l’incremento del numero dei cristiani, l’Oriente ha mantenuto l’unità consecutiva di battesimo, crismazione e prima eucaristia, amministrati dal presbitero, sebbene la benedizione dell’olio sia prerogativa propria del vescovo. In Occidente, tuttavia, si riservò al vescovo la crismazione con l’olio (crisma)[110]; questa, per secoli e fino all’intervento di Pio X nel 1910[111], avveniva durante la visita del vescovo, prima della prima comunione. Già all’inizio del IV secolo, nel Concilio di Elvira (302 ca.), furono riconosciute la differenza e la distanza nel tempo tra battesimo e confermazione[112]. b) Fede e confermazione 97. Nel Rituale della confermazione, si rinnovano le rinunce e si ripete la professione di fede battesimale. Questo segna la sua continuità con il battesimo e, allo stesso tempo, la necessità della sua precedenza. La peculiarità della confermazione risiede in un duplice elemento legato alla fede. In primo luogo, un’adesione più piena e una «speciale forza» dello Spirito Santo (LG 11), come indica il rito stesso: «N., ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono»[113]. In secondo luogo, la confermazione implica una «più stretta connessione con la Chiesa» (LG 11). Pertanto, viene confermata l’ecclesialità della fede. Di conseguenza, la fede battesimale è rafforzata in diverse direzioni. È una fede più disposta alla testimonianza pubblica della fede ecclesiale; è una fede con maggior vigore e identificazione ecclesiale; è una fede più attiva, in quanto è maggiormente conformata attraverso il dono dello Spirito che segue la prima ricezione battesimale dello Spirito. Questi aspetti denotano una maturazione della fede rispetto alla fede iniziale richiesta per il battesimo. Senza queste disposizioni di fede, il sacramento corre il rischio di restare un rito vuoto. 98. La presenza del vescovo, ministro «originario» della confermazione (LG 26), esprime con maggiore enfasi la natura ecclesiale della confermazione. All’unione con lo Spirito Santo si aggiunge l’unione con la Chiesa. La partecipazione alla confermazione è il segno e il mezzo della comunione ecclesiale. La confermazione celebrata dal vescovo locale promuove l’unità spirituale tra il vescovo e la Chiesa locale. Il confermato è incorporato alla Chiesa, contribuendo all’edificazione del Corpo di Cristo (cf. Ef 4,12; 1Cor 12). Inoltre, rafforza la sua vita cristiana, iniziata già con il battesimo. Con il nuovo dono dello Spirito è in grado di essere un testimone vivente della fede ricevuta, a somiglianza di quanto accadde a Pentecoste. c) Problematica attuale 99. La posizione attuale del sacramento della confermazione in Occidente è dovuta più a circostanze storiche e pastorali che a ragioni propriamente teologiche o derivate dalla specificità del sacramento. Nell’iniziazione cristiana degli adulti viene mantenuta la cadenza originale e teologicamente più coerente: battesimo, confermazione, eucaristia. Nonostante il sacramento della confermazione offra la possibilità di continuare l’istruzione nella fede, di proseguire l’inserimento nella Chiesa e la personalizzazione della decisione che genitori e padrini presero a loro tempo a favore del bambino, non ci si può aspettare che risolva le difficoltà della pastorale giovanile né la disaffezione dei giovani, che sono stati battezzati a loro tempo, nei confronti dell’istituzione ecclesiale e della fede. Nonostante i lodevoli sforzi e il fatto che a volte provochi una riscoperta più matura della fede, con il passaggio a un’appartenenza attiva più consapevole e adulta, in non poche occasioni i giovani vivono la celebrazione della confermazione come una sorta di “diploma universitario”: una volta ottenuto il titolo, non è necessario “tornare in classe”. Altri, semplicemente, intendono la confermazione come condizione necessaria per ulteriori passi, come il matrimonio, senza intercettare ciò che è proprio di questo sacramento, offuscato nei sentimenti di tanti fedeli. d) Proposta pastorale: fede per la confermazione 100. L’importanza del battesimo è stata sostenuta in maniera costante, così come il suo profilo teologico. Il differimento della confermazione, lì dove è rinviata a lungo o addirittura non viene amministrata, ha reso difficile l’apprezzamento del suo posto nell’iniziazione cristiana, quale sacramento dello Spirito e della Chiesa, elementi fondamentali nell’iniziazione cristiana. Una chiesa missionaria è costituita da cristiani confermati che, con la forza dello Spirito, si assumono pienamente la responsabilità della loro fede. Un cristiano, logicamente, vuole essere sacramento di Cristo. Pertanto, si incorpora pienamente alla Chiesa e chiede il dono dello Spirito attraverso il crisma e l’imposizione delle mani, se non è già stato ricevuto insieme al battesimo. Come Cristo ricevette l’unzione dello Spirito quando uscì dalle acque, così il cristiano, che si configura a Cristo, compie il suo cammino di fede nello Spirito, irrobustito dalla confermazione[114]. 101. Nell’iniziazione cristiana degli adulti, la fede richiesta per la confermazione coincide con quella necessaria per il battesimo. Nel caso di una ricezione differita di entrambi i sacramenti, la fede battesimale sarà maturata in varie direzioni. Si saranno compiuti progressi nell’appropriazione personale della fede ecclesiale e nel senso di appartenenza. Questo implica una migliore conoscenza, una maggiore capacità di rendere ragione della fede ecclesiale e un’adeguata conformazione della vita alla fede stessa. Allo stesso tempo, si sarà percorso anche un cammino di relazione personale con il Dio trinitario, in particolare attraverso la preghiera. In modo più decisivo, la fede avrà plasmato l’esistenza, avendo realizzato un cammino di sequela di Cristo nella Chiesa. La confermazione implica il desiderio e la decisione di continuare su questa strada, trovando, attraverso il discernimento reso possibile dallo Spirito, il modo appropriato di seguire Gesù e testimoniarlo. La chiave di tutto ciò è una profonda relazione personale con il Signore, acquisita attraverso la preghiera che incoraggia la testimonianza, l’appartenenza ecclesiale e la pratica sacramentale assidua. Allo stesso modo in cui l’economia sacramentale non si chiude con la Pasqua, ma include la Pentecoste, anche l’iniziazione cristiana non termina con il battesimo. Se ci fosse una fase di attesa e preparazione per l’accoglienza del dono dello Spirito, presieduta dalla preghiera (cf. At 1,14), così anche la catechesi adeguata alla ricezione della confermazione, senza dimenticare gli altri elementi ─ dottrina, morale ─ offrirebbe l’opportunità di intensificare e personalizzare la relazione con il Signore attraverso la preghiera. 3.3. Reciprocità tra fede ed eucaristia a) Fondamento biblico 102. Ciò che accadde durante l’Ultima Cena (cf.Mt 26,26-29; Mc 14,22-26; Lc 22,14-23; 1Cor 11,23-26) è stato da sempre considerato come l’istituzione dell’eucaristia. A questi racconti, che fanno da fondamento, dobbiamo aggiungerne altri nei quali la Chiesa ha riconosciuto un tenore eucaristico: le moltiplicazioni dei pani (cf. Mc 6,30-44 e par.; 8,1-10 e par.; Gv 6,1-14), gli ammonimenti di Paolo alla comunità di Corinto (cf.1Cor 10-11) o l’episodio che chiude l’incontro dei discepoli di Emmaus con il Risorto (cf. Lc 24,30-31. 35). In forza del comando «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24, cf. 25; Lc 22,19), dal principio (ad es.: At 2,42. 46; 20,7; 27,35) sino ad oggi, lì dove ci sono i cristiani e la Chiesa viene celebrata l’eucaristia, il memoriale della passione e risurrezione del Signore fino al suo ritorno, il suo dono di salvezza per «molti», per tutti (cf. Rm 5,18-19; 8,32). 103. Nell’Ultima Cena il Signore Gesù concentra il significato di tutta la sua vita, della sua morte imminente e della sua futura risurrezione, per trasmetterlo ai suoi discepoli quale memoriale e segno eminente del suo amore. Per questo, ciò che è accaduto in quell’evento e il ricordo sacramentale della sua passione e risurrezione mostrano una straordinaria ricchezza. La Chiesa, nell’eucaristia, celebra la presenzializzazione e l’attualizzazione della consegna di Cristo, del suo sacrificio, per tutti noi al Padre. Nell’eucaristia, azione di grazie rivolta al Padre «per Cristo, con Cristo e in Cristo»[115] e che si rende presente per l’azione dello Spirito, la Chiesa si unisce a Cristo, si associa a Lui e diventa suo Corpo. Per questo, è stato possibile affermare con verità che la Chiesa nasce dall’eucaristia[116]. Poiché l’eucaristia raccoglie l’essenza stessa della vita di Cristo e, quindi, della vita cristiana è, allo stesso tempo, sia il culmine che la fonte della vita cristiana (cf. SC 10; LG 11). b) Fede ed eucaristia 104. [Fede trinitaria]. Ogni eucaristia ha inizio «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»: con un ricordo della formula battesimale, del credo trinitario che attraversa e permea l’intera celebrazione. «La prima realtà della fede eucaristica è il mistero stesso di Dio, amore trinitario»[117]. Nell’eucaristia, infatti, entriamo in comunione di vita con l’amore del Dio trinitario. Quale segno supremo del suo amore, il Padre consegnò il suo Figlio per la nostra salvezza il quale, a sua volta, offrì sé stesso «mosso dallo Spirito eterno» (Eb 9,14). Nell’eucaristia siamo resi partecipi di questa corrente amorosa, insita nell’intimità divina. Al Dio trinitario presentiamo la migliore lode possibile, per Cristo nell’unità dello Spirito, come proclama solennemente la dossologia con cui culmina la preghiera eucaristica. L’azione di grazie al Padre, per il Figlio consegnato per noi e attraverso il dono dello Spirito, è confermata con la lode che coinvolge la testimonianza personale nella vita di ogni giorno. 105. [Unità di fede e carità]. L’atto penitenziale, posto all’inizio della celebrazione eucaristica, manifesta la necessità di ogni credente sincero di ricevere il perdono dei peccati, di riconciliarsi con Dio e con i fratelli, al fine di entrare in comunione con Dio. Inoltre, l’atto penitenziale sottolinea l’inseparabilità tra la comunione verticale con Cristo, la cui oblazione verrà subito ricordata (anámnesis), e quella orizzontale con gli altri cristiani e oltre: con tutti gli uomini. La vera fede eucaristica è sempre una fede attiva mediante la carità (cf. Gal 5,6). Nell’eucaristia, «amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi»[118]. 106. [Fede come risposta alla Parola di Dio]. Dall’XI secolo, lo stesso Credo con cui si conclude il rito battesimale è parte fissa della celebrazione eucaristica delle domeniche e solennità. Questa confessione di fede è contemporaneamente risposta alla Parola di Dio ed espressione di unità tra i credenti. Attraverso la fede, nella proclamazione della Parola ascoltiamo la voce di Cristo[119]. Affiora anche la dimensione profetica della fede. Una Parola potente, capace di trasformare il mondo, proprio come accade nella celebrazione eucaristica con i doni che vengono presentati e con l’assemblea che celebra. Ha così inizio la trasformazione escatologica, della quale la Chiesa, corpo di Cristo, è un anticipo. 107. [Dimensione pneumatologica della fede]. La natura pneumatologica dei sacramenti appare con limpidezza cristallina nella celebrazione eucaristica. Nell’attuale rito latino c’è una doppia epíclesis. La prima sopra i doni, che saranno trasformati nel corpo donato e nel sangue versato di Gesù Cristo. La seconda sull’assemblea che, a sua volta, si trasforma anch’essa nel corpo di Cristo, entrando in comunione viva con tutti i santi. Questa comunione si avverte già nel canto solenne del Sanctus, nel quale le voci del cielo e della terra si uniscono in una lode comune. Per questo, nella liturgia eucaristica prendiamo parte alla liturgia celeste (cf. SC 8). Conseguentemente, nell’eucaristia la dimensione pneumatologica della fede ecclesiale entra in gioco in modo sostanziale e illumina la forza impressa dallo Spirito per trasformare sia il credente che la realtà terrena, elevandoli e conducendoli alla comunione e alla lode divine. 108. [Fede come adesione al mistero]. Dopo le parole della consacrazione, il celebrante acclama: «Mysterium fidei»[120] (mistero della fede). Questa solenne acclamazione è al contempo un’affermazione, un annuncio e un invito rivolto a tutti. L’eucaristia è un mistero di fede a tal punto che, senza fede, non si può né comprendere né celebrare. L’acclamazione manifesta che la verità sacramentale di ciò che si celebra, ossia che le specie del pane e del vino sono trasformate nel corpo e nel sangue di Cristo, è propriamente un mistero di fede. Proprio come gli occhi della fede riconoscevano Gesù di Nazaret come il Messia di Dio, così quegli stessi occhi ora percepiscono anche la presenza sacramentale di Gesù Cristo[121]. Il mistero di Cristo è conosciuto attraverso la rivelazione (cf. 1Cor 2,7-11; Col 1,26-27; 2,2; Ef 1,9; 3,3.9) e la fede. 109. [Fede come riconoscimento dell’economia sacramentale]. Nel pronunciare la solenne preghiera eucaristica, nell’azione di grazie e nella supplica si fa memoria delle grandi pietre miliari dell’economia sacramentale: dalla creazione alla consumazione escatologica finale. In particolare, si fa memoria della consegna del Signore Gesù sulla Croce, della sua risurrezione e del significato che il Signore stesso ha dato alla sua morte redentrice nel contesto dell’Ultima Cena. La fede, nell’intera economia divina, si educa e si rafforza nella liturgia eucaristica. 110. [Dimensione escatologica della fede]. Nella celebrazione sacramentale del mistero si incontrano: il passato, memoria di ciò che è successo; il presente, attualizzazione di ciò che è accaduto; e il futuro, anticipazione della pienezza finale che attendiamo[122]. La novità escatologica, iniziata dal Verbo mediante la sua incarnazione, vita, morte e risurrezione ha già cominciato a realizzarsi nella cristificazione dell’assemblea e del mondo che avviene nell’eucaristia. 111. [Fede e comunione con Cristo]. La comunione, come indica il nome, esprime un’intima unione con Cristo, attraverso lo Spirito, impossibile senza la fede. Non si può comunicare intimamente con qualcuno ignorandolo o contro l’altrui volontà. La fede, che risponde con la parola "Amen" ai doni eucaristici, è legata alla disposizione non solo di ricevere il sacramento, ma di rappresentarlo. Insieme a questa comunione con Cristo, giunge la santificazione personale del cristiano, in concomitanza con la comunione di vita con Cristo. Questa santificazione implica necessariamente un invio. 112. [Carattere missionario della fede]. L’invio finale con cui termina l’eucaristia, «Ite, missa est»[123], suppone un ritorno missionario alla vita ordinaria, per rendere presente in essa la vita ricevuta nel sacramento, per diventare eucaristia per il mondo a somiglianza di Cristo e a suo modo. In effetti, nell’offerta eucaristica non solo Gesù Cristo offre sé stesso, ma anche ogni credente che partecipa all’eucaristia si offre insieme con Cristo (cf. SC 48; LG 11; Rm 12,1). L’offerta personale, l’accettazione del mandato e il suo esercizio non possono realizzarsi senza la fede. Tutto ciò che il cristiano riceve nel sacramento: il perdono dei peccati veniali, la rinnovazione del battesimo, la predicazione della Parola, la comunione con Cristo e la trasformazione nel Corpo di Cristo mediante lo Spirito Santo, implica un rafforzamento che gli permette ora, cristificato, di testimoniare la fede nel mondo e di trasformare la realtà secondo il disegno divino. Così, dopo l’accoglienza del dono del Padre, mediante la consegna del Figlio accolto nello Spirito, che ha luogo in ogni eucaristia, il cristiano viene espressamente inviato in missione al termine della celebrazione. 113. [Rafforzamento della fede personale]. La fede del credente è arricchita, irrobustita e rafforzata dall’intima comunione con Cristo. L’essere ecclesiale di coloro che partecipano all’eucaristia, il loro inserimento nel corpo visibile di Cristo, viene attualizzato e intensificato. L’incorporazione a Cristo è di tale importanza che Agostino dice ai fedeli: «Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi. [...] Siate ciò che vedete e ricevete ciò che siete»[124]. In sintesi, attraverso la fede riconosciamo che l’eucaristia è il modo più intenso della presenza di Cristo tra noi, poiché è una presenza reale, corporea e sostanziale[125]. Proprio per questo, la piena partecipazione all’eucaristia, dal punto di vista della fede, implica la massima comunione con Cristo. 114. [Costruzione del corpo ecclesiale]. Nell’eucaristia non solo si rafforza la fede individuale del credente, ma in essa si genera la Chiesa[126]: Cristo, che si dona in sacrificio ad essa quale sua Sposa amata, la costituisce suo corpo[127]. La comunione tra le Chiese, nella condivisione della stessa fede ricevuta, secondo un’antica tradizione si esprime attraverso la comunione eucaristica. La Chiesa di per sé è il Corpo di Cristo, costituito come tale dal disegno divino, grazie all’azione trinitaria sacramentale. Questo corpo realizza ciò che è quando proclama la fede ricevuta, santifica la storia, canta le lodi della Trinità e si sforza missionariamente nel proclamare il Vangelo con parole e opere. 115. [Eucaristia: massima espressione della fede sacramentale]. Pertanto, possiamo concludere affermando che: «La natura sacramentale della fede trova la sua espressione massima nell’eucaristia. Essa è nutrimento prezioso della fede, incontro con Cristo presente in modo reale con l’atto supremo di amore, il dono di Se stesso che genera vita»[128]. 116. [Necessità della fede per la partecipazione alla celebrazione eucaristica]. L’ammonizione di Paolo ai cristiani di Corinto è particolarmente istruttiva. Non può comunicare né al sangue né al corpo di Cristo colui che è implicato in comportamenti idolatrici (cf. 1Cor 10,14-22). La comunione con «la mensa del Signore» richiede non solo di essere stato iniziato alla fede cristiana e di essere membro del Corpo di Cristo, ma anche la coerenza di vita con ciò che lì è significato. Allo stesso modo, una condotta in contrasto con la fede cristiana, come la divisione in comunità, la mancanza di carità verso i fratelli (cf. 1Cor 11,21) è incompatibile con il «mangiare la Cena del Signore» (1Cor 11,20). Questo ci obbliga a discernere se viviamo in una essenziale conformità con quanto si celebra (cf. 1Cor 11,29). In sintesi, la partecipazione eucaristica richiede una fede viva, che si manifesta attraverso la carità e l’abbandono degli idoli. La prassi eucaristica richiede tanto l’esercizio della carità che una conformità dottrinale e un inserimento ecclesiale. 117. L’istituzione penitenziale della Chiesa antica prevedeva l’esclusione, per un certo periodo, dalla comunione eucaristica (non dalla Chiesa) del fedele che aveva rinnegato pubblicamente la propria fede o che aveva infranto il Credo e le norme di vita della Chiesa. Nel caso di uno scandalo pubblico, dopo una pubblica confessione, il peccatore veniva espulso per un certo tempo dalla comunione eucaristica (scomunica), per essere successivamente riaccolto solennemente dopo aver completato la penitenza (riconciliazione). In questo modo divenne evidente che la penitenza non era utile solo per la riconciliazione del peccatore con Cristo, ma anche per la purificazione della Chiesa. Il penitente si considera come la pietra di una Chiesa che deve essere la luce del mondo. Cessando di essere tale a causa di un peccato pubblico, si rendeva necessario in un certo modo “estrarla” (scomunica), "ripararla" attraverso la penitenza e rimetterla al suo posto (riconciliazione)[129]. Nonostante il cambiamento nel modo di celebrare la penitenza, non più pubblica, la teologia di fondo non è cambiata. Tuttavia, questa stretta correlazione tra penitenza ed eucaristia è stata oggi offuscata in molti ambienti di cristiani praticanti. c) Problemi attuali 118. Molti di coloro che si considerano cattolici giudicano eccessiva la frequenza regolare all’eucaristia domenicale. Altri conservano la pratica della comunione frequente oppure ogni volta che partecipano all’eucaristia, senza mai accostarsi al sacramento della confessione. Non pochi considerano l’eucaristia come una devozione personale, a propria disposizione a seconda dei bisogni o sentimenti individuali. Nelle grandi feste liturgiche, in particolare Natale, Pasqua o alcune feste locali molto radicate, così come in alcune celebrazioni occasionali (matrimoni e funerali), si presentano alcuni fedeli non abituali per partecipare all’eucaristia, compresa la comunione, con tutta tranquillità di coscienza e scompaiono sino all’anno successivo o alla successiva occasione particolare. Queste pratiche, sebbene teologicamente incoerenti, riflettono comunque un costante influsso della fede cristiana in persone poco praticanti o lontane. Questo residuo di influsso cristiano, sebbene presenti delle deviazioni, potrebbe essere un punto di partenza per un reinserimento ecclesiale più consapevole e offrire la possibilità di ravvivare una fede debole. Tuttavia, mostrano anche, nella loro ambivalenza, come in molti casi ci sia una distanza tra ciò che la Chiesa professa di celebrare nell’eucaristia, i requisiti per parteciparvi pienamente, le conseguenze che essa comporta nella vita ordinaria e ciò che molti credenti cercano nelle celebrazioni eucaristiche occasionali o sporadiche. d) Luci a partire dalla Tradizione 119. Sin dai tempi antichi si stabiliscono le condizioni per ricevere l’eucaristia. Come abbiamo indicato, Paolo mette in guardia coloro che si accostano all’eucaristia: «Perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,29), evidenziando alcuni requisiti indispensabili. Dal Vangelo di Giovanni si può dedurre che, chi riceve le specie sacramentali senza fede, cioè senza lo Spirito, non ne beneficia affatto, poiché è richiesta la fede (cf. Gv 6,63-69). Giustino Martire menziona, quali requisiti necessari: credere che i doni siano ciò che significano; il destinatario deve essere battezzato e non deve respingere la dottrina di Cristo per tutta la sua vita[130]. L’esortazione paolina citata sopra risuona ancora nella Didaché: «Chi è santo, venga! Chi non lo è, si penta!»[131], e similmente nelle Costituzioni apostoliche[132]. Si riflette anche nell’invito liturgico «Le cose sante ai santi»[133], già commentato da Teodoro di Mopsuestia. Con i "santi" ci si riferisce, prima di tutto, come già faceva Paolo, ai battezzati, a coloro che vivono nella Chiesa. Questo sentimento si manifesta sia nelle omelie di Giovanni Crisostomo[134] sia in Cipriano: la comunione con Cristo non può essere separata dalla comunione con la Chiesa[135]. Il dottore dell’Eucaristia richiede ai suoi sacerdoti, se necessario, di allontanare alcune persone[136]. Anche Agostino, con la stessa chiarezza, avverte che il cibo sacramentale produce effetto salvifico e vita solo se si mangia "spiritualmente", con fede nel suo contenuto invisibile, e con la coscienza retta[137], cioè una vita che corrisponde all’amore per Cristo e le sue membra. 120. La teologia scolastica chiama questa disposizione «fede formata (fides formata)», una fede formata dall’amore[138] (cf. §§ 62-64). In questo senso, Tommaso d’Aquino precisa quanto segue: il contenuto di questo sacramento può essere ricevuto solo nella fede, poiché è un «sacramento della fede (mysterium fidei)»[139]. «L’infedeltà (infidelitas)» rende particolarmente incapaci di ricevere il sacramento, poiché l’incredulità «separa dall’unità della Chiesa»[140]; unità che l’eucaristia significa. In determinate circostanze, tuttavia, quando «si intende ricevere ciò che la Chiesa da», in quel caso si riceve il sacramento, anche se la propria fede è carente rispetto al contenuto[141]. Colui che crede nella presenza di Cristo nell’eucaristia, ma non è in stato di grazia, riceve il sacramento, ma commette un grave peccato[142]. Tommaso sostiene che è stata commessa una falsità (falsitas): ciò che il sacramento esprime, l’amore che unisce Cristo ai suoi fedeli, non trova riscontro in colui che lo riceve[143]. Tommaso si rende conto che per una fruttuosa partecipazione al battesimo e all’eucaristia si richiede in ogni caso un diverso grado di disposizione generata dalla fede. Per il battesimo è sufficiente l’intenzione di ricevere ciò che la Chiesa conferisce. Nella comunione, invece, è necessario comprendere il sacramento in quanto tale e credere[144]. 121. Nelle tradizioni liturgiche, in particolare dell’Oriente, questa interconnessione tra fede, amore e ricezione dell’eucaristia è chiaramente percepita, per esempio, nella convocazione del popolo alla comunione: «Con timore di Dio, con fede e amore, avvicinatevi»[145]. Nella liturgia di San Giovanni Crisostomo e in quella di San Basilio, sia il diacono che il sacerdote e il popolo recitano una confessione di fede cristologica pronunciata davanti a Cristo, presente nel corpo e nel sangue, poco prima di comunicarsi: «Credo, o Signore, e confesso che tu sei veramente il Cristo, Figlio del Dio vivente, che sei venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Credo ancora che questo è veramente il tuo Corpo immacolato e questo è proprio il tuo Sangue prezioso»[146]. La tradizione siriaca, testimoniata da Efrem, comprende che le promesse legate ai due alberi dell’Eden (cf. Gen 2,17; 3,22) devono essere veramente adempiute. L’errore iniziale nel mangiare dell’«albero della conoscenza del bene e del male» generò una caduta, che presto dovette essere corretta. Il mangiare «dell’albero della vita» si realizza nella comunione eucaristica con l’offerta eucaristica di Cristo sull’albero della croce[147]. Nella celebrazione eucaristica la liturgia della Parola diventa un pasto, fruttuoso e correttivo, dell’«albero della conoscenza del bene e del male». Dopo quel pasto corretto, tutti sono invitati a mangiare dall’«albero della vita» nella comunione eucaristica. e) Proposta pastorale: fede per l’eucaristia 122. Il battesimo è l’inizio di un pellegrinaggio che trova il suo culmine solo nell’Éschaton. Per questo motivo, i cristiani ricevono regolarmente il sacramento dell’eucaristia, nutrimento per il cammino. Per questo, inoltre, la Chiesa non ha mai cessato di riunirsi per celebrare il mistero della Pasqua, di leggere, in tale contesto, «in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24, 27) e di celebrare il banchetto nel quale si trasmette, nel presente dei credenti, l’autodonazione del Salvatore crocifisso e risorto. Tuttavia, non si può ricevere convenientemente il dono che il sacrificio esistenziale di Cristo contiene se non si è disposti a lasciarsi configurare esistenzialmente, nella fede, dal dono stesso. Senza la fede né Pilato né i soldati romani né il popolo capirono come, nella morte in croce di Gesù Cristo, Dio stesse riconciliando il mondo con sé stesso (cf. 2Cor 5,19); senza fede non si percepisce che quello che pende dal legno è il Figlio di Dio (cf. Mc 15,39). Lo sguardo credente vede sgorgare, dal costato trafitto, non solo sangue e acqua, ma la Chiesa, fondata sul battesimo e sull’eucaristia (cf. Gv 19,34). Il sangue e l’acqua che da lì fluiscono sono la fonte e l’energia della Chiesa[148]. Il Figlio di Dio diviene veramente l’"Emmanuele" in ogni cristiano, attraverso la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo[149]. 123. [Fede sacramentale ed eucaristia]. Senza una fede sacramentale, la partecipazione all’eucaristia, specialmente la comunione, non avrebbe senso. L’eucaristia non riguarda una relazione indifferenziata o generica con la divinità. La fede sacramentale che interviene nella celebrazione dell’eucaristia è una fede trinitaria. Nell’eucaristia, infatti, professiamo una relazione viva con il Dio trinitario: ringraziamo il Padre per il dono della salvezza che abbiamo ricevuto, attraverso il dono del suo Figlio nella forza dello Spirito; dono che ora viene ricordato e attualizzato nella celebrazione. 124. La fede sacramentale presuppone che sia riconosciuta tale azione della Trinità e che il banchetto eucaristico sia compreso come un’autentica anticipazione del futuro banchetto escatologico. La forza di Dio irrompe, trasforma e santifica i credenti, rendendoli concittadini dei santi (cf. Ef 2,19) e cittadini della Gerusalemme celeste (cf. Eb 12,22; Ap 21-22; Eb 11, 13). 125. La fede sacramentale si esprime anche nell’irrevocabile auto correlazione di Gesù Cristo con il sacramento (ex opere operato), con le specie del pane e del vino consacrate attraverso l’invocazione dello Spirito nell’epíclesis, con il risultato che il ricevente non solo può sperare, ma sa per fede che in un determinato momento riceve ciò che le specie consacrate significano. 126. La fede sacramentale implica anche la sacramentalizzazione del destinatario stesso: non solo riceve un sacramento, ma egli stesso diventa in un certo senso un "sacramento", dal momento che, per l’azione dello Spirito, si è realizzata in lui un’intensa conformazione a Cristo e ora vive in stretta unione con Cristo e con la Chiesa. Questo gli consente di offrirsi a Dio come sacrificio vivente e spirituale (cf. Rm 12,1) e di testimoniare la vita cristiana. Detto con immagini, diventa una pietra viva della comunità credente, che il Concilio Vaticano II riconosce come il mezzo e lo strumento di Cristo per portare tutti gli uomini alla sua dimora. 127. [Fede sacramentale e comunione ecclesiale nell’eucaristia]. Da questo punto di vista, la realizzazione individuale della fede personale non può essere separata dalla fede della comunità che celebra il sacramento. C’è unità e continuità tra ciò che viene celebrato (lex orandi), ciò che si crede (lex credendi) e ciò che si vive (lex vivendi); in tale contesto fluisce la vita cristiana, la preghiera personale e la celebrazione sacramentale. Poiché la verità che i cristiani confessano è una persona, Gesù Cristo, essa deve essere rappresentata anche personalmente, dagli apostoli e i loro successori. La comunione eucaristica di ciascun individuo con Cristo deve trovare riscontro nella comunione di fede con il Papa e con il vescovo locale, dei quali si fa memoria nominandoli in ogni celebrazione eucaristica. Chi riceve la comunione non solo confessa Cristo, ma è in comunione anche con la confessione di fede della comunità in cui partecipa all’eucaristia. 128. Tradotto in altre categorie, questo significa un’adesione chiara e consapevole alla fede della Chiesa, che include in modo esplicito: la fede trinitaria raccolta nel credo; la fede cristologica, condensata nel significato redentore della morte di Cristo, il Figlio di Dio, il Signore, «per molti» e «per me», e nella risurrezione; la fede pneumatologica, particolarmente attiva e presente attraverso la doppia epíclesis, fondamentale nella celebrazione; e la fede in ciò che l’eucaristia significa, quale sacramento del corpo di Cristo e del corpo ecclesiale. Tutto ciò inquadrato in un itinerario di fede che aspira, confidando nella potente forza dello Spirito e nel suo aiuto permanente, a conformare la propria vita al mistero di Cristo e testimoniarlo con gioia in mezzo alle vicissitudini della vita. In questo modo il cristiano si accosta con frequenza al cibo eucaristico, per ricevere il dono della comunione con Cristo, per continuare a crescere nella fede, nella speranza e nell’amore fino alla vita eterna. 129. [Incoerenza nella partecipazione eucaristica senza fede in ciò che si celebra]. La piena partecipazione all’eucaristia significa comunione con il corpo di Cristo (cf. LG 3) e della Chiesa. Non si ritiene possibile accostarsi ad essa con coerenza: se non si riconosce cosa significhi la presenza sacramentale di Cristo nell’eucaristia; se si respinge la fede trinitaria della Chiesa, invocata in diversi momenti durante la celebrazione e suggellata con la recita del Credo; se la carità cristiana soffre di gravi mancanze nella vita personale; se è stato commesso qualche atto consapevole e deliberato in una materia che compromette gravemente ciò che dice la fede e la morale della Chiesa (peccato mortale[150]). 130. [Percorsi di crescita]. Colui che è in cammino con Cristo partecipa all’eucaristia domenicale non perché sia un obbligo stabilito dalla Chiesa, ma per il desiderio di essere rafforzato dalla misericordia amorosa del Signore. Questo desiderio include la disposizione alla necessaria riconciliazione sacramentale con Cristo e con la Chiesa, quando necessario. Ora, anche senza la pressione emotiva dovuta al desiderio, chi partecipa della fede cattolica sa di essersi unito ad una comunità con una struttura sacramentale. Ecco perché è anche consapevole che la sua partecipazione sacramentale e, in particolare, all’eucaristia fa parte della testimonianza pubblica per la quale si è impegnato liberamente: a testimoniare la realtà sacramentale della fede, per rendere manifesta la visibilità della grazia e rafforzare così la sacramentalità della Chiesa, sua comunità di appartenenza. 131. A motivo della reciproca causalità che esiste tra fede ed eucaristia, in alcuni luoghi in cui non si celebrava o non si celebra regolarmente la messa e non si ha possibilità della catechesi sacramentale, a causa dei limiti dell’istituzione ecclesiale, diventa più difficile scoprire il senso della prassi eucaristica domenicale. Allo stesso tempo, la mancanza di una partecipazione frequente alla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo, a causa di fallimenti personali o pastorali, è una mancanza che ostacola la crescita verso una fede sacramentale più piena. Oltre a prendersi cura delle celebrazioni eucaristiche, conformemente a ciò che in esse è significato, è opportuno proporre percorsi per il reinserimento nella fede ecclesiale, quando questa è andata perduta, che culminino nell’eucaristia quale coronamento di questo ritorno; questo, insieme ad altri tipi di celebrazioni non eucaristiche e spazi di incontro, preghiera e catechesi indirizzate alle persone la cui evangelizzazione non è ancora matura per poter partecipare consapevolmente all’Eucaristia. 4. La reciprocità tra fede e matrimonio 132. [Problematica]. Se esiste un sacramento in cui, per vari motivi, viene messa alla prova la reciprocità essenziale tra fede e sacramenti, questo è il matrimonio. Nella definizione stessa del sacramento del matrimonio, secondo la Chiesa latina, la fede non appare in maniera esplicita (cf. § 143). È presupposta, per così dire, a motivo del battesimo, il sacramento della fede per eccellenza, che lo precede. Inoltre, per la validità del matrimonio tra battezzati, nella Chiesa latina, non si richiede l’intenzione di celebrare un sacramento[151]: il desiderio o la consapevolezza della sacramentalità dell’unione matrimoniale; ma soltanto l’intenzione di contrarre un matrimonio naturale, ovvero, secondo l’ordine della creazione, con le proprietà che la Chiesa considera inerenti al matrimonio naturale. All’interno di questa comprensione del matrimonio, spetta alla teologia chiarire il caso complesso dei matrimoni tra "battezzati non credenti". Una difesa a oltranza della sacramentalità di queste unioni minerebbe l’essenziale reciprocità tra fede e sacramenti, propria dell’economia sacramentale, sostenendo, almeno nel caso del matrimonio, un automatismo sacramentale che abbiamo rifiutato come improprio alla fede cristiana (cf. supra cap. 2). 133. [Approccio]. Consapevoli della difficoltà della questione sollevata sotto il titolo "reciprocità tra fede e matrimonio", procederemo nel modo seguente. In primo luogo, poiché, pur condividendo un nucleo comune, ci sono notevoli differenze nella teologia del matrimonio tra la tradizione latina e quella orientale, ci concentreremo esclusivamente sulla comprensione latina. La ricca tradizione orientale presenta una propria fisionomia. Segnaliamo alcuni aspetti distintivi tra le due. Mentre nella teologia latina l’intesa predominante è che i coniugi sono i ministri del sacramento e che questo si compie attraverso il libero e mutuo consenso dei coniugi, per la tradizione orientale la benedizione del vescovo o del sacerdote appartiene, a pieno titolo, all’essenza del sacramento[152]. Solo al ministro sacro è stata conferita la facoltà di invocare lo Spirito (epíclesis) per compiere la santificazione legata al sacramento. Presenta una propria normativa canonica completa[153]. Ciò è dovuto a una concezione del sacramento del matrimonio che scaturisce da una teologia con caratteristiche e profilo propri, in cui sono messi in primo piano gli effetti santificanti del sacramento[154]. 134. In secondo luogo, tratteremo, secondo la metodologia consueta (cf. § 80), pur con i dovuti adattamenti, il caso ordinario del sacramento del matrimonio. Quindi procederemo nella nostra analisi a partire dalla domanda che solleva dei dubbi circa la qualità sacramentale dei matrimoni tra "battezzati non credenti", secondo un duplice approccio: dapprima considereremo lo stato della questione e poi offriremo una proposta teologica in vista di una soluzione congruente con la reciprocità tra fede e sacramenti, che non rinneghi l’attuale teologia del matrimonio. 4.1. Il sacramento del matrimonio a) Fondamento biblico 135. [Il matrimonio nel disegno divino]. Sebbene ogni sacramento abbia una singolarità specifica, il caso del matrimonio si distingue per la sua peculiarità. Il matrimonio, in quanto tale, appartiene all’ordine creaturale, all’interno del piano divino (cf. GS 48). La realtà naturale del matrimonio si basa sulla capacità relazionale tra persone di sesso diverso, maschio e femmina (cf. Gn 1,27), strettamente legata alla fecondità (cf. Gn 1,28) e che culmina in una forma di unione tale da costituire «una sola carne» (cf. Gn 2,23-24). L’interlocuzione sacramentale di Dio in tutta l’economia divina della salvezza trova qui una realtà, creata da Dio a sua immagine, a immagine del Dio trinitario[155], assolutamente capace di esprimere la relazione amorosa, di alleanza tra Dio e il popolo, sua sposa, sempre rappresentato simbolicamente da una donna. Nella prospettiva cristiana, questa realtà creaturale diventa un sacramento, segno visibile dell’amore di Cristo per la Chiesa (cf. Ef 5,25.31-32). 136. [Il Matrimonio nell’insegnamento di Gesù]. Dinanzi alla pratica del ripudio (cf. Dt 22,19. 29; 24,1-4), Gesù ribadisce il progetto originale di Dio: «L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mc 10,9 e Mt 19,6; cf. Gn 2,24; 1Cor 6,16), chiarendo che il ripudio fu una concessione dovuta alla durezza del cuore (cf. Mc 10,5 e Mt 19,8). Nel corso della storia, l’interpretazione della clausola matteana è stata molto controversa: «Chiunque ripudia la moglie, se non in caso di unione illegittima (πορνεíᾳ), e ne sposa un’altra, commette adulterio» (Mt 19,9; cf. 5,32). Dopo innumerevoli discussioni, non si è giunti ad un consenso né sulla porneia né sulle precise conseguenze che avrebbe avuto. Per questa ragione, la Tradizione latina ha sempre escluso la possibilità di una seconda unione[156], a seguito di una prima unione valida (cf. Mc 10,10-11); ciò in accordo con la perplessità dei discepoli secondo il testo di Matteo (cf. Mt 19,10). 137. [Il matrimonio e il “mystérion”]. La stessa presenza di Gesù alle nozze di Cana (cf. Gv 2,1-12), con tutto il suo significato in relazione ai matrimoni messianici, insieme ad altre allusioni di carattere nuziale (cf. Mt 9,15 e par.; Mt 25,5-6), sottolinea la capacità della relazione coniugale nell’esprimere aspetti profondi del mistero di Dio, come, ad esempio, la sua fedeltà dinanzi alla nostra infedeltà alla sua alleanza (cf. Ez 16 e 23; Os 2; Ger 3,1-10; Is 54). La Lettera agli Efesini (5,31-32) pone espressamente in relazione l’alleanza matrimoniale con il "mystérion" (sacramentum) dell’alleanza irrevocabile tra Cristo e la Chiesa. A partire dalla testimonianza biblica nel suo insieme, la Chiesa ha considerato l’indissolubilità come un elemento fondamentale sia del matrimonio naturale sia del matrimonio tra cristiani. L’unione tra maschio e femmina, indissolubile per natura, realizza la sua verità nella fedeltà e nel bene della prole. Dopo la ricezione del battesimo (della configurazione dei coniugi con Cristo e della loro santificazione mediante l’inabitazione dello Spirito) diventa, in un certo modo, una rappresentazione sacramentale della fedeltà di Cristo[157]. L’amore tra i coniugi cristiani non è estraneo alla nuova fonte della loro vita e fede cristiana. Nella vita cristiana, fede e amore non possono essere dissociati in modo assoluto. 138. [Il Matrimonio: qualificato dalla fede]. Seguendo San Paolo, la Chiesa ha anche compreso la relazione coniugale come qualcosa di altamente qualificato dalla presenza della fede (cf. 1Cor 7,12-16). Nel caso del matrimonio di un cristiano con una persona non cristiana, Paolo dice quanto segue: «Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente» (1Cor 7,14). In questo passaggio (in particolare 1Cor 7,15), si fonda il cosiddetto privilegio paolino, in cui si può intravedere una considerazione superiore, nell’ordine della grazia, del matrimonio sacramentale rispetto a quello naturale. b) Luci a partire dalla Tradizione 139. Il tipico "sposarsi nel Signore", proprio dei cristiani, è stato espresso in modi diversi nel corso della storia. Secondo la Lettera a Diogneto, all’inizio i cristiani non si differenziavano: «Si sposano come tutti gli altri»[158]. Tuttavia, presto si evolse. Già Ignazio di Antiochia considera la necessità di comunicare il legame al vescovo[159]. Tertulliano, da parte sua, esalta le unioni benedette dalla Chiesa[160]. Al di là della precisa interpretazione della portata delle espressioni di questi primi teologi, si sottolinea come l’evento del matrimonio non fosse estraneo né alla fede dei contraenti né alla comunità ecclesiale. A partire dai secoli IV e V la benedizione ecclesiale, da parte di un ministro, era una consuetudine ormai acquisita[161]. A partire da quest’epoca comincia a prende forma una liturgia cristiana propria[162], che integra usanze tipicamente pagane e le trasforma, come nel caso della "velatio"[163], dell’incoronazione[164], della consegna della sposa, dell’unione delle mani[165], della benedizione degli anelli, delle Arras o il bacio degli sposi; allo stesso tempo ne aggiunge altri, come la presentazione agli sposi del "calice comune", tipico della liturgia bizantina[166]. La liturgia del matrimonio, nelle sue preghiere e nell’interpretazione dei gesti, esprime il posto singolare del matrimonio nell’economia divina, con allusioni ai testi biblici sul matrimonio. Tanto Pietro Lombardo, come il Concilio Lateranense II, considerano il matrimonio come un sacramento; riconoscimento che, sia il Concilio di Firenze che quello di Trento, ratificheranno con forza[167]. In quest’ultimo concilio si determina la necessità della forma canonica per la validità del sacramento, senza modificarne la comprensione dottrinale dello stesso, mostrando così come si tratti di una realtà ecclesiale e appartenente all’ordine della fede che si realizza «in facie Ecclesiae»[168], in opposizione alla dottrina dei riformatori che considera il matrimonio come una questione meramente civile[169]. In questo modo, si riconosce il carattere ecclesiale del matrimonio, lungi dall’essere inteso come una questione privata tra i coniugi. c) Il matrimonio come sacramento 140. Se i sacramenti presuppongono la fede (cf. SC 59), il matrimonio non fa eccezione: «I pastori, guidati dall’amore di Cristo, accolgano i fidanzati e in primo luogo ridestino e alimentino la loro fede: il sacramento del Matrimonio infatti suppone e richiede la fede»[170]. Un’unione matrimoniale tra un uomo e una donna, entrambi non battezzati, dal punto di vista della fede cristiana, è una realtà creaturale estremamente preziosa, capace di essere elevata all’ordine soprannaturale, ad esempio nel caso di una successiva conversione degli sposi. In altre parole, nel matrimonio "naturale" sussiste una realtà significativa aperta alla sua piena realizzazione e al suo pieno compimento in Cristo. Nelle prime comunità, la realtà del matrimonio non è vissuta al di fuori della fede. I cristiani vivono l’alleanza coniugale «nel Signore» (1Cor 7,39). Alcuni comportamenti pubblici e contrari alla fede, nel contesto delle relazioni di coppia, possono rivelarsi causa di scomunica dalla comunità (cf. 1Cor 5). L’amore coniugale tra gli sposi cristiani è diventato, infatti, un segno, un sacramento che esprime l’amore di Cristo per la sua Chiesa. Questo segno di amore irrevocabile esprime ciò che significa solo se questo stesso legame è indissolubile; un aspetto già presente, "sin dal principio", nel disegno divino e che, pertanto, configura essenzialmente la realtà di ogni autentico matrimonio nel suo nucleo teologico. In questo modo, quella profonda realtà umana che è l’amore di una coppia, così caratteristica del nostro essere relazionale, la capacità di donazione reciproca tra coniugi e figli, esprime le più grandi profondità del mistero divino: l’amore. 141. Due cattolici battezzati, confermati e con una prassi eucaristica abituale, compiono un meraviglioso e significativo passo avanti, nella loro vita di fede, quando celebrano il loro matrimonio. Ricevono la grazia del sacramento del matrimonio, che consiste sostanzialmente nel fatto che ora «significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole»[171]. I loro cammini di fede si sono uniti per testimoniare la forza dell’amore di Cristo per la Chiesa, per l’arricchimento reciproco, per l’educazione cristiana dei figli e per la reciproca santificazione[172]. Formano una «Chiesa domestica»[173]; «sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento» (GS 48). In questo modo danno corso concreto alla maturità della fede, propria della confermazione, assumendo uno stato di vita cristiana (cf. LG 11) e una responsabilità nella comunità cristiana. Nella celebrazione del loro matrimonio, la loro fede è presupposta, espressa, nutrita e rafforzata dall’azione di Cristo nel sacramento, – che «rimane con loro» (GS 48) –, con l’alleanza matrimoniale e con la vita familiare che ora intraprendono sotto la benedizione di Dio e della Chiesa. Il matrimonio cattolico esprime con intensità che si tratta di un progetto di vita concepito e incoraggiato dalla fede[174], quale cammino di santificazione reciproca nel quale i coniugi esercitano il sacerdozio comune nel donarsi reciprocamente nel sacramento[175] (cf. LG 10). La consapevolezza e il proposito di essere sacramento dell’amore di Dio presuppongono ed esprimono la fede personale di ciascuno dei coniugi. In tal modo, appare veramente come un sacramento della fede, nel quale sia Gesù Cristo che lo Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cf. Rom 5,5), agiscono efficacemente. L’amore che gli sposi professano l’uno per l’altro è già determinato dalla loro realtà di battezzati. La santificazione che il sacramento opera guida quell’amore soprannaturale alla realizzazione della comunità coniugale e familiare. d) La fede e i beni del matrimonio 142. La presenza della fede e l’azione efficace della grazia sacramentale spingono gli sposi a realizzare i beni propri del matrimonio: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità» (GS 48). L’indissolubilità (cf. GS 49) è intesa dal punto di vista della fede come una nota essenziale della relazione coniugale, perché altrimenti si discosterebbe dal piano originale di Dio (cf. Gn 2,23-24) e cesserebbe di essere un segno visibile dell’amore irrevocabile di Cristo per la sua Chiesa. La fedeltà tra gli sposi e la generosa ricerca del bene dell’altro coniuge (cf. GS 49) è vissuta come qualcosa che fluisce soavemente e coerentemente dalla fede e dal rapporto personale con il Signore Gesù. Perché la fede ci pone in una relazione personale con Gesù Cristo, mentre ci presenta come modello da seguire Colui che ha dato la vita per i peccatori (ad es.: Mc 10,45; Rm 5,6-8; 14,15; Ef 5,2; 1Gv 4,9-10). Gli sposi cristiani, per fede, cercano di tradurre nella loro vita matrimoniale e familiare la massima secondo la quale «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Per fede sappiamo che la fecondità (cf. GS 50) è iscritta nel piano di Dio (cf. Gn 1,18), uno dei cui segni di benedizione è la prole. L’amore del Dio trinitario ci insegna, attraverso la fede, che il vero amore include sempre la massima reciprocità di amore e la massima apertura verso l’altro. Per questo motivo, la fede impedisce di comprendere il matrimonio come una sorta di egoismo calcolato della coppia. Una fede attiva, di entrambi gli sposi, conduce alla comprensione che Dio, come autore del matrimonio, l’ha «dotato di molteplici valori e fini» (GS 48) che i coniugi cristiani si sforzano di vivere e rivelare. Di conseguenza, una fede viva e condivisa nell’ambito dell’unione matrimoniale riduce la possibilità che tendenze egocentriche o individualiste possano mettere radici in ogni coniuge e nella coppia, nonostante la pressione dell’ambiente e della cultura circostante. 4.2. Una quaestio dubia: la qualità sacramentale del matrimonio dei "battezzati non credenti" a) Approccio all’argomento 143. [Definizione]. Il matrimonio è una realtà creaturale. Con il battesimo il vincolo naturale si eleva a segno soprannaturale: «Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento»[176]. Secondo la dottrina teologica e la prassi canonica attualmente vigente, qualsiasi contratto di matrimonio valido tra i battezzati è «per ciò stesso» sacramento[177], anche in assenza di fede da parte dei contraenti. In altre parole, nel caso dei battezzati, si afferma l’inseparabilità tra un contratto di matrimonio valido, corrispondente all’ordine creaturale del matrimonio, e il sacramento. I battezzati non sarebbero potuti entrare simultaneamente nell’ordine sacramentale, mediante il battesimo, senza che questo incidesse su una realtà così determinante nella vita e capace di significato sacramentale, come il matrimonio, che sarebbe stato sottratto all’ordine sacramentale, a cui i coniugi appartengono in maniera irrevocabile dopo il battesimo (cfr. §§ 166 de 167 d). Questa dottrina deve essere applicata anche nel caso dell’unione matrimoniale tra "battezzati non credenti"? In questa delicata materia, la "reciprocità tra fede e sacramenti" che abbiamo sin qui difeso, sembra essere messa in discussione. Per affrontare la questione in modo appropriato, dobbiamo chiarire lo stato e i termini della stessa in maniera più dettagliata. 144. ["Battezzati non credenti"]. Per "battezzati non credenti" intendiamo quelle persone nelle quali non vi è alcun segno della presenza della natura dialogica della fede, propria della risposta personale del credente all’interlocuzione sacramentale del Dio trinitario, come abbiamo spiegato nel secondo capitolo. Questa categoria comprende due tipi di persone. Quelle persone che hanno ricevuto il battesimo durante l’infanzia, ma successivamente, per qualsivoglia motivo, non sono giunte a compiere un atto personale di fede che coinvolgesse la loro comprensione e la loro volontà. Si tratta di un caso molto frequente nei paesi tradizionalmente cristiani, dove una scristianizzazione molto ampia della società si accompagna ad una grande trascuratezza nell’educazione alla fede. Ci riferiamo anche a quelle persone battezzate che rinnegano consapevolmente la fede in modo esplicito e non si considerano credenti cattolici né cristiani. Talvolta compiono persino un atto formale di abbandono della fede cattolica e di separazione dalla Chiesa, senza che questo atto di abbandono formale della Chiesa cattolica trovi la sua motivazione nell’ingresso in un’altra chiesa, comunità o confessione cristiana. In entrambi i casi non si percepisce la presenza di una «disposizione a credere»[178]. 145. [Formulazione preliminare della domanda]. Pertanto, la domanda che si pone è: se due "battezzati non credenti", non sposati di diverso sesso appartenenti ad una delle due tipologie descritte, sono uniti in matrimonio da una celebrazione sacramentale o da qualche altra valida forma di unione, ha luogo un sacramento? L’argomento è oggetto di dibattito e ha generato una abbondante letteratura. La sua soluzione non è chiara, in quanto entrano in gioco simultaneamente diversi elementi di grande importanza. Successivamente, analizzeremo alcuni passaggi importanti del suo sviluppo negli ultimi anni, negli insegnamenti degli ultimi pontefici, così come nelle istanze ecclesiali ufficiali, al fine di affrontare responsabilmente i termini della questione. b) Stato e termini della questione 146. [Commissione Teologica Internazionale]. Nel 1977 la Commissione Teologica Internazionale elaborò un documento intitolato La dottrina cattolica sul sacramento del matrimonio. Tra gli argomenti discussi troviamo: la sacramentalità del matrimonio, il matrimonio tra "battezzati non credenti" e l’inseparabilità tra contratto e sacramento. Venivano sostenute una serie di tesi, molto sfumate, che lasciano intravedere la tensione tra la convinzione della necessità della fede per la celebrazione di un sacramento e la reticenza nel dichiarare la fede come determinante per la sacramentalità del matrimonio. Tra le sue dichiarazioni, che non riportiamo nella loro integrità, emergono le seguenti in riferimento al nostro argomento. 147. L’esistenza di una relazione costitutiva e reciproca tra indissolubilità e sacramentalità. E precisavano: «La sacramentalità costituisce il fondamento ultimo, sebbene non unico, della indissolubilità del matrimonio» (§ 2.2.). 148. Riguardo alla interrelazione tra fede e sacramento del matrimonio, sostenevano che nel sacramento del matrimonio la fonte della grazia è Gesù Cristo, non la fede dei soggetti contraenti. E aggiungevano: «Ciò non significa tuttavia che, nel sacramento del matrimonio, la grazia sia data al di fuori della fede o senza alcuna fede» (§ 2.3.). La fede sarebbe «causa dispositiva» per la fruttuosità, non per la validità. 149. A proposito dei "battezzati non credenti", affermavano: «La realtà dei “battezzati non credenti” pone oggi un nuovo problema teologico e un grave dilemma pastorale, soprattutto se emerge chiaramente l’assenza o il rifiuto della fede. L’intenzione richiesta — l’intenzione di fare ciò che fanno Cristo e la Chiesa — è la condizione minima necessaria perché ci sia veramente un atto umano di impegno sul piano della realtà sacramentale. Certamente non bisogna confondere il problema dell’intenzione con quello relativo alla fede personale dei contraenti, ma non è neppure possibile separarli totalmente. In ultima analisi, la vera intenzione nasce e si nutre di una fede viva. Nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine “credenza”, disposizione a credere) né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no. La fede personale dei contraenti non costituisce, come è stato notato, la sacramentalità del matrimonio, ma l’assenza della fede personale compromette la validità del sacramento» (§ 2.3. Il corsivo è nostro). Nel suo commento, pubblicato insieme al documento, l’allora segretario della Commissione, Mons. Ph. Delhaye, afferma: «La chiave del problema risiede nell’intenzione, l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa nell’offrire un sacramento permanente che comporta indissolubilità, fedeltà, fertilità»[179]. 150. Successivamente, il documento della Commissione ribadisce l’inseparabilità tra contratto e sacramento: «Per la Chiesa, infatti, fra due battezzati, non esiste matrimonio naturale separato dal sacramento ma unicamente un matrimonio naturale elevato alla dignità di sacramento» (§ 3.5.). 151. [San Giovanni Paolo II]. Durante tutto il pontificato di Giovanni Paolo II, il tema del matrimonio dei "battezzati non credenti" e la necessità della fede per il sacramento del matrimonio sono emersi ripetutamente. La proposizione numero 12.4, approvata dalla V Assemblea Generale del Sinodo dei vescovi, celebratosi nel 1980 e che si occupò della famiglia, diceva: «Occorre esaminare più profondamente se l’affermazione, secondo cui un matrimonio valido fra battezzati è sempre un sacramento si applichi anche a coloro che hanno perso la fede. Si indichino quindi le conseguenze giuridiche e pastorali»[180]. 152. Nell’esortazione post-sinodale Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II sosterrà, di conseguenza, che l’atto coniugale è intrinsecamente qualificato dalla realtà soprannaturale a cui appartengono irrevocabilmente i battezzati, al di là del fatto che essi abbiano espressa coscienza di tale realtà[181]. Riguardo il nostro argomento, puntualizza con chiarezza che: «Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale»[182]. 153. Nonostante tutto, non manca di riconoscere la possibilità che i nubendi chiedano, allo stesso tempo, la celebrazione ecclesiale del matrimonio e mostrino «di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati». In questo caso afferma: «Il pastore d’anime non può ammetterli alla celebrazione»[183]. Interpretando, potremmo aggiungere: perché in quel caso non ci sarebbe vero sacramento. In altre parole, Giovanni Paolo II esige un minimo, anche se fosse solo l’assenza di un rifiuto esplicito e formale di ciò che la Chiesa fa. A suo modo, quindi, rifiuta anche quello che potremmo chiamare un automatismo sacramentale assoluto[184]. 154. Più tardi, in un importante discorso alla Rota Romana (30 gennaio 2003), avvertì chiaramente dell’inesistenza di due tipi di matrimoni, uno naturale e l’altro soprannaturale: «La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può infatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali»[185]. Questa opinione era già stata chiaramente difesa da Giovanni Paolo II in un altro discorso alla Rota Romana (1° febbraio 2001)[186]. Nell’anno 2001, ebbe a sottolineare che la fede non dovrebbe essere richiesta come requisito minimo, in quanto è qualcosa di estraneo alla tradizione[187]. Ratificò i fini naturali del matrimonio e che il matrimonio consiste in una realtà naturale, non esclusivamente soprannaturale. In tale contesto, aggiunse: «Perciò, l’oscurarsi della dimensione naturale del matrimonio, con il suo ridursi a mera esperienza soggettiva, comporta anche l’implicita negazione della sua sacramentalità»[188]. In altre parole, la base di tutto risiede nella realtà naturale, creazionale. 155. [L’elaborazione del Codice di Diritto Canonico]. Nei lavori che hanno portato alla stesura del Codice di Diritto Canonico, è stata ampiamente discussa la questione riguardo l’inseparabilità tra la realtà naturale del matrimonio e il matrimonio sacramentale come realtà salvifica. Alla fine, il legislatore decise di mantenere la dottrina più comune, senza tentare di chiarire la questione dottrinalmente, poiché non rientrava nelle sue competenze. Nel legiferare, vengono raccolti i presupposti teologici più comunemente accettati[189]. Riguardo l’inseparabilità, se ne discusse durante il Concilio di Trento. Tra i suoi oppositori, emerge la figura di Melchor Cano. Non è stata definita, sebbene sia l’opinione più costante. Molti la presentano come dottrina cattolica[190]. Il Codice di Diritto Canonico la riprende nel canone 1055, § 2, già menzionato[191]. 156. [La giurisprudenza della Rota Romana]. La giurisprudenza rotale, in ossequio alla dottrina cattolica, considera l’indissolubilità come una proprietà essenziale del matrimonio naturale. Tuttavia, in un contesto sociale e culturale altamente secolarizzato, in cui sono diffuse e radicate convinzioni molto diverse da quelle della Chiesa, si pone la questione se, di fatto, in assenza di fede, l’indissolubilità del matrimonio sia accettata. Quindi, da alcuni anni ormai, la giurisprudenza afferma che la mancanza di fede può influire sull’intenzione di celebrare un matrimonio naturale[192]. In qualche modo, sembra riecheggiare la sensibilità espressa nella proposizione 40 dell’XI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, che ha avuto luogo nell’ottobre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI e che riguardava l’eucaristia. In essa, in risposta alla questione dei divorziati risposati, si diceva: «il Sinodo auspica che sia fatto ogni possibile sforzo sia per assicurare il carattere pastorale, la presenza e la corretta e sollecita attività dei tribunali ecclesiastici per le cause di nullità matrimoniale (cf. Dignitas connubii), sia per approfondire ulteriormente gli elementi essenziali per la validità del matrimonio, anche tenendo conto dei problemi emergenti dal contesto di profonda trasformazione antropologica del nostro tempo, dal quale gli stessi fedeli rischiano di esser condizionati specialmente in mancanza di una solida formazione cristiana»[193]. 157. [J. Ratzinger - Benedetto XVI]. L’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale J. Ratzinger, nel 1997 affermò chiaramente: «Si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è "ipso facto" un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale "valido" fra battezzati è allo stesso tempo sacramento (cf. CIC, can. 1055 § 2). All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di "non fede" abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi»[194]. Una opinione che riprese come papa, Benedetto XVI, in un discorso ai sacerdoti nel 2005, indicando che il problema è molto difficile e che ora nutriva più dubbi riguardo la fede intesa come motivo di invalidità e che la questione richiede ancora un approfondimento[195]. 158. Nel suo ultimo discorso alla Rota Romana[196] (26 gennaio 2013), Papa Benedetto XVI volle approfondire nuovamente tale questione, ritenuta importante. Selezioniamo alcuni dei suoi contributi. Al principio delle sue riflessioni allude alla questione della fede e dell’intenzione, in linea con la Commissione Teologica Internazionale, della quale menziona il documento: «Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Ma se è importante non confondere il problema dell’intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non è tuttavia possibile separarli totalmente»[197]. 159. Continuando, spiega come la fede e l’apertura a Dio determinino notevolmente la comprensione della vita in tutte le sue sfaccettature e, in particolare, in qualcosa di delicato come un legame per la vita (indissolubilità, esclusività, fedeltà). «Il rifiuto della proposta divina, in effetti, conduce ad uno squilibrio profondo in tutte le relazioni umane, inclusa quella matrimoniale, e facilita un’errata comprensione della libertà e dell’auto realizzazione». Da lì si genera, secondo Benedetto XVI, «uno squilibrio profondo in tutte le relazioni umane, inclusa quella matrimoniale» e «facilita un’errata comprensione della libertà e dell’auto realizzazione, che, unita alla fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, condanna l’uomo a chiudersi nel suo egoismo ed egocentrismo»[198]. 160. Questa mancanza di fede non porta automaticamente all’impossibilità di un matrimonio naturale. Tuttavia: «La fede in Dio, sostenuta dalla grazia divina, è dunque un elemento molto importante per vivere la mutua dedizione e la fedeltà coniugale. […] Certamente, però, la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell’ordine della grazia rende ardua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio, potendo giungere a minare la validità stessa del patto qualora, come assume la consolidata giurisprudenza di codesto Tribunale, si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio»[199]. 161. Più avanti, approfondisce in che modo la fede abbia un impatto decisivo sul bene degli sposi: «In verità, nel proposito degli sposi cristiani di vivere una vera communio coniugalis vi è un dinamismo proprio della fede, per cui la confessio, la risposta personale sincera all’annuncio salvifico, coinvolge il credente nel moto d’amore di Dio»[200]. Continua affermando come la confessione della fede, lungi dal rimanere a un livello astratto, coinvolga pienamente la persona nella carità confessata, poiché la verità e l’amore sono inseparabili. E conclude: «Non si deve quindi prescindere dalla considerazione che possano darsi dei casi nei quali, proprio per l’assenza di fede, il bene dei coniugi risulti compromesso e cioè escluso dal consenso stesso»[201]. In modo tale che la mancanza di fede «possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale (cf. Gen 2,24)»[202]. 162. [Francesco]. La necessità di ulteriori approfondimenti, richiesta da Benedetto XVI, è ancora valida, alla luce dei rilievi precedenti alle ultime assemblee sinodali sulla famiglia e delle dichiarazioni di Papa Francesco. Pertanto, l’Instrumentum laboris per la III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei vescovi (2014) ha sintetizzato così il nostro argomento: «In tanti casi, segnalati in particolare in Europa e in America del Nord […] si indica la necessità di approfondire la questione del rapporto tra fede e sacramento del matrimonio – come suggerito a più riprese daBenedetto XVI»[203]. Anche la Relatio Synodi, che funge sia da conclusione della III Assemblea Generale Straordinaria, sia da Lineamenta per la XIV Assemblea Generale del Sinodo, allude alla questione[204]; come l’Instrumentum laboris per la XIV Assemblea (2015)[205]. L’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, nella sua introduzione, osserva: «La complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali»[206]. E aggiunge: «In ogni caso, abbiamo bisogno di riflettere ulteriormente circa l’azione divina nel rito nuziale, che è posta in grande risalto nelle Chiese orientali, con l’attribuire particolare importanza alla benedizione dei contraenti come segno del dono dello Spirito»[207]. La presente riflessione sulla "reciprocità tra fede e matrimonio" si inserisce umilmente su questa scia. 163. Anche Papa Francesco ha affrontato il nostro argomento in varie circostanze. Nel discorso alla Rota Romana del 23 gennaio 2015[208], ha fatto riferimento ai possibili vizi di origine del consenso, che possono influire sulla validità, sottolineando come possa accadere «sia direttamente per difetto di valida intenzione, sia per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà (cf. can. 1099)»[209]. E ha aggiunto: «La crisi del matrimonio, infatti, è non di rado nella sua radice crisi di conoscenza illuminata dalla fede, cioè dall’adesione a Dio e al suo disegno d’amore realizzato in Gesù Cristo»[210]. 164. Seguendo questa linea, la lettera apostolica in forma di motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus[211] (15 agosto 2015), afferma: «Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà»[212]. Pertanto, la mancanza di fede può essere un fattore determinante per la validità. 165. L’anno seguente (22 gennaio 2016), parlando alla Rota Romana[213], dichiarò a questo proposito: «È bene ribadire con chiarezza che la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale, che, secondo la dottrina di sempre, può essere minato solo a livello naturale (cf. CIC, can. 1055 § 1 e 2)»[214]. E fece sua la dottrina che sostiene la presenza dell’habitus fidei operativo dopo il battesimo, anche senza una fede psicologicamente percettibile. E conclude: «Le mancanze della formazione nella fede e anche l’errore circa l’unità, l’indissolubilità e la dignità sacramentale del matrimonio viziano il consenso matrimoniale soltanto se determinano la volontà (cf. CIC, can. 1099). Proprio per questo gli errori che riguardano la sacramentalità del matrimonio devono essere valutati molto attentamente»[215]. 166. [I termini della questione]. A partire da questa breve panoramica degli insegnamenti degli ultimi pontefici riguardo il nostro tema, nonché delle istanze ecclesiali ufficiali, appare chiaro che la questione di fondo non è del tutto risolta, sebbene sia piuttosto focalizzata. Cercando un certo equilibrio interpretativo e tentando di sistematizzare, questi sono gli aspetti che entrano in gioco nell’interrelazione e tensione dinamica: a) Come in tutti i sacramenti, nel matrimonio c’è una trasmissione della grazia di Cristo. Questa grazia non è dovuta alla fede dei ministri, che secondo la tradizione latina sono i contraenti, ma è dono di Cristo, che è attivamente presente nel patto coniugale, e dello Spirito. b) Non ci può essere sacramento senza fede. Una sorta di automatismo sacramentale negherebbe la natura dialogica dell’economia sacramentale, che si basa sull’intima connessione tra fede e sacramenti (cf. cap. 2). Pertanto, affinché ci sia un sacramento, nel caso del matrimonio tra "battezzati non credenti", ci deve essere una certa fede attiva, indipendentemente dalla difficoltà nel determinarla positivamente, sia nei coniugi sia attribuendola nella sua totalità alla madre Chiesa. c) La difficoltà pratica di verificare l’assenza di fede nei coniugi è un problema arduo e complesso dal punto di vista pastorale (cf. § 61). Tuttavia, spetta alla teologia chiarire dogmaticamente questo punto così centrale per un’accurata comprensione del sacramento del matrimonio. d) Il battesimo, validamente ricevuto, ha innestato irrevocabilmente il battezzato nell’economia sacramentale, imprimendo il "carattere" (cf. § 65). La sua realtà personale, al di là dei suoi atti coscienti di comprensione e volontà, propri della fede[216], è già segnata da questa appartenenza, senza che il peccato o l’assenza di una fede, informe o matura, possa cancellare o annullare ciò che ha prodotto il dono irrevocabile di Cristo. e) La dottrina cattolica più consolidata sostiene l’inseparabilità tra contratto e sacramento (cf. § 155). Rimane in sospeso un chiarimento definitivo su questo aspetto. La separazione tra contratto e sacramento avrebbe un impatto diretto sulla questione che stiamo affrontando. Dato lo stato attuale della dottrina cattolica, parrebbe opportuno aderire all’opinione, oggi più comune, circa l’inseparabilità tra contratto e sacramento. f) La fede degli sposi è determinante per la fruttuosità del sacramento (cf. § 68). La validità, e con essa la sacramentalità, dipende dall’esistenza di un vero vincolo matrimoniale: un matrimonio naturale. g) Il minimo indispensabile affinché ci sia un sacramento risiede nell’intenzione di contrarre un vero matrimonio naturale (cf. § 154). h) Nel caso del sacramento del matrimonio, non si può identificare la fede con l’intenzione, ma non possono essere neppure completamente separate (cf. §§ 149 e 158). Mentre è chiaro che la verità sacramentale del matrimonio dipende dall’intenzione e che la fede influisce sull’intenzione, non è del tutto chiaro come e fino a che punto la mancanza di fede influenzi l’intenzione. Ci proponiamo di approfondire quest’ultimo punto per il caso dei "battezzati non credenti", che abbiamo descritto (cf. § 144); aspetto che è in rapporto con la reciprocità tra fede e sacramenti che abbiamo difeso. 167. [Possibili alternative teoriche per risolvere la questione]. Ma prima, per completare, diamo un’occhiata all’elenco delle possibili soluzioni teoriche al nostro argomento e alla sua soluzione teologica, considerata a partire dalla prospettiva teologica che abbiamo precedentemente motivato e preso in considerazione (cap. 2). a) In primo luogo, si potrebbe difendere un automatismo sacramentale assoluto. L’atto del battesimo implicherebbe, indipendentemente dalla fede degli sposi, che il contratto di matrimonio sia elevato "eo ipso" alla realtà soprannaturale del sacramento. Questa soluzione si scontra con la natura dialogica dell’economia sacramentale, che abbiamo ragionevolmente esposto, e quindi la scartiamo. b) Una seconda possibilità sarebbe quella di difendere la separazione tra contratto e sacramento. Mentre è vero che l’identità tra contratto e sacramento non è stata definita ufficialmente, per considerare teologicamente certa questa separazione sarebbe necessario, a riguardo, apportare una specifica argomentazione convincente. Rinunciamo a esplorare quel percorso e seguiamo i termini più comuni dell’attuale teologia cattolica sul matrimonio. c) Una terza opzione farebbe valere la presenza della fede ecclesiale, nonostante l’assenza di una fede personale dei contraenti. La fede ecclesiale supplirebbe la mancanza di una fede personale da parte dei contraenti. Questa opzione, tuttavia, presenta anche le sue difficoltà. Da un lato, l’essenza del sacramento consiste nel consenso tra gli sposi. Su questa base, la Chiesa può esigere alcuni requisiti formali per la sua validità, come infatti accade oggi, quale frutto di una lunga storia. Dall’altro, durante l’indagine riguardo la natura dialogica dell’economia sacramentale (cap. 2), abbiamo mostrato come la fede ecclesiale preceda e accompagni la fede personale, ma non la sostituisce mai completamente. Attribuire la sacramentalità del matrimonio esclusivamente alla fede ecclesiale significherebbe negare la natura interpersonale dell’economia sacramentale. d) Una quarta possibilità risiede nell’attribuire la sacramentalità all’efficacia legata al "carattere" impresso con il battesimo. Il "carattere" è in relazione con l’irrevocabilità del dono di Cristo. Implica l’inserimento nella realtà sacramentale dell’economia. Abilita all’esercizio dialogico della sacramentalità, senza supporre di per sé un esercizio attivo della stessa. L’habitus, legato al "carattere", è una disposizione ad agire; non è né una prestazione né un’azione. Richiede che sia esercitato da un potere, come per esempio la volontà[217]. Così, con l’impressione del "carattere" e l’acquisizione dell’abito, si afferma, con ogni certezza, l’interlocuzione sacramentale da parte di Dio, ma manca la risposta dialogica di carattere personale da parte del soggetto rivestito dalla grazia, che è rimasto, tuttavia, capace di attuare tale risposta. e) Come abbiamo anticipato, resta la possibilità di ragionare attorno all’intenzione, giacché per la validità di ogni sacramento deve esserci l’intenzione di fare ciò che la Chiesa intende compiere in ogni sacramento. 4.3. L’intenzione e la costituzione del vincolo matrimoniale in assenza di fede a) L’intenzione è necessaria perché ci sia un sacramento 168. [Necessità dell’intenzione]. Come abbiamo già detto[218] (cf. §§ 67-69), appartiene alla dottrina tradizionale dei sacramenti la convinzione che, per conferire un sacramento, sia necessaria almeno l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa: «Tutti questi sacramenti constano di tre elementi: delle cose che costituiscono la materia, delle parole che sono la forma e della persona del ministro che conferisce il sacramento, con l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa (cum intentione faciendi, quod facit Ecclesia). Se manca uno di questi elementi, non si ha il sacramento»[219]. Secondo l’opinione comune della teologia latina, i ministri del sacramento del matrimonio sono gli sposi, che si conferiscono mutuamente il matrimonio[220]. Nel caso del matrimonio sacramentale, si richiede almeno l’intenzione di realizzare un matrimonio naturale. Ora, il matrimonio naturale, come inteso dalla Chiesa, include quali proprietà essenziali l’indissolubilità, la fedeltà e che sia ordinato al bene degli sposi e della prole. Pertanto, se l’intenzione di contrarre matrimonio non include queste proprietà, almeno implicitamente, vi è un grave difetto nell’intenzione, capace di mettere in discussione l’esistenza stessa del matrimonio naturale, fondamento necessario per il matrimonio sacramentale[221]. 169. [Interrelazione tra fede e intenzione]. Con variegati accenti, il magistero degli ultimi tre pontefici conferma l’interconnessione tra una fede viva ed esplicita e l’intenzione di celebrare un vero matrimonio naturale: indissolubile ed esclusivo, incentrato sul bene degli sposi, attraverso una sincera carità oblativa e aperto alla prole. Giovanni Paolo II chiede che non si accettino quegli sposi che rifiutano «in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati» (cf. § 153), mentre sostiene la necessità della «retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità» (cf. § 154). Benedetto XVI rileva il notevole impatto dell’assenza di fede sulla concezione della vita, delle relazioni, dello stesso vincolo matrimoniale e del bene degli sposi, che potrebbe «ferire anche i beni del matrimonio» (cf. § 161). Francesco sottolinea come la radice della crisi del matrimonio risieda nella «crisi di conoscenza illuminata dalla fede» (cf. § 163) e adduce la mancanza di fede come possibile motivo di simulazione del consenso (cf. § 164). La giurisprudenza della Rota Romana si colloca sulla linea indicata da Benedetto XVI (cf. § 156). Più precisamente, le istanze ecclesiali citate e gli ultimi due pontefici ritengono che la mancanza di fede viva ed esplicita sollevi fondati sospetti sull’intenzione di celebrare veramente un matrimonio indissolubile, definitivo ed esclusivo, quale donazione reciproca gratuita e aperta alla prole, sebbene non escludano alla radice la possibilità che ciò avvenga. In nessun caso emerge un semplicistico automatismo sacramentale. b) Comprensione culturale predominante sul matrimonio 170. [Cultura predominante e comprensione del matrimonio]. Nei paesi la cui cultura predominante propone come valore la poligamia, che si contrappone al disegno divino (cf. Gen 1,26; 2,18-24), sembra più difficile considerare che, in assenza di una fede esplicita, l’intenzione di contrarre matrimonio includa di per sé l’esclusività, insita nel matrimonio naturale secondo la concezione cristiana. Inoltre, il contesto culturale della poligamia, insieme ad altri aspetti che possono manifestarsi indipendentemente dalla poligamia, si scontra con il "principio di parità" degli sposi, radicato nell’atto della creazione ad immagine e somiglianza di Dio[222], in relazione al bene stesso dei coniugi (bonum coniugum), uno dei beni fondamentali del matrimonio naturale. D’altra parte, una sorta di esercizio pratico della poligamia, come realtà fattuale, si è diffusa in molti paesi occidentali, dove l’esistenza di un vincolo matrimoniale o di coppia non è intesa come un ostacolo al vivere contemporaneamente altre realtà che, secondo la Chiesa, appartengono esclusivamente all’ordine coniugale. 171. Anni fa, nei paesi tradizionalmente cristiani, regnava un consenso sulla realtà del matrimonio, dovuto all’influsso esercitato dalla fede cristiana nella società. In tale contesto, si partiva dalla base che ogni matrimonio naturale, indipendentemente da una vita di fede viva ed esplicita, includesse nelle sue intenzioni le proprietà del matrimonio naturale, come inteso dalla Chiesa. Oggigiorno, con il radicamento e la diffusione di altre concezioni sulla famiglia, nettamente divergenti da quella cattolica, si impongono maggiori cautele, generando nuovi problemi dottrinali e pastorali. 172. Il fatto che il matrimonio sia una realtà creazionale implica che l’antropologia formi parte integrante della sua essenza in un duplice senso, strettamente legati tra loro. Da una parte, entra pienamente in gioco la concezione di cosa sia la persona umana che, come essere relazionale, realizza il proprio essere nel dono di sé. D’altra parte, l’essenza del matrimonio è anche toccata dalla comprensione della differenziazione sessuale, maschile e femminile, come elemento del piano divino orientato alla procreazione e all’alleanza coniugale, quale riflesso dell’alleanza divina: di Dio con il popolo di Israele e di Cristo con la Chiesa. Entrambe le componenti entrano pienamente in gioco nel matrimonio naturale: indissolubile, esclusivo, incentrato sul bene reciproco degli sposi, attraverso l’amore interpersonale, e sulla prole. Così la Chiesa appare, a volte sola e sotto attacco, come il baluardo culturale che preserva la realtà naturale del matrimonio. Tuttavia, senza cadere in lamentele catastrofiche, uno sguardo onesto al nostro contesto culturale non può non constatare come, nella cultura postmoderna si vadano consolidando sempre più, quali assiomi indiscutibili, aspetti che portano a mettere in discussione nelle loro radici antropologiche le basi naturali del matrimonio. Pertanto, senza la pretesa di essere esaustivi, la tendenza predominante include come evidenti, ad esempio, queste convinzioni diffuse, radicate e talvolta ratificate dalla legislazione, chiaramente contrarie alla fede cattolica. a) La ricerca dell’autorealizzazione personale, incentrata sull’appagamento dell’io, come obiettivo principale della vita, che giustifica le scelte etiche più sostanziali, anche nell’ambito matrimoniale e familiare. Questa concezione si contrappone al senso del sacrificio per amore e dell’oblazione come la più grande conquista della verità della persona, che la fede cristiana propone, realizzando così in modo mirabile il suo significato e il suo compimento. b) Una mentalità di tipo “maschilista” che sottovaluta le donne, danneggiando così la parità coniugale legata al bene dei coniugi e intendendo il matrimonio come un’alleanza tra due che non sarebbero uguali per disegno divino, natura e diritti giuridici, contro la concezione biblica e la fede cristiana[223]. La posizione controculturale di Gesù, contro il divorzio (cf. Mt 19,3-8), era una difesa della parte più debole della cultura del tempo: la donna. c) Una "ideologia di genere", che nega qualsiasi determinazione biologica del carattere sessuale nella costruzione dell’identità di genere, minando la complementarietà tra i sessi inscritta nel piano del Creatore. d) Una mentalità divorzista, che mina la comprensione dell’indissolubilità matrimoniale. Al contrario, porta a considerare i vincoli coniugali, più comunemente chiamati “di coppia”, come realtà essenzialmente rivedibili, in diretta contraddizione con l’insegnamento di Gesù al riguardo: Mc 10,9 e Mt 19,6 (cf. Gen 2,24). e) Una concezione del corpo come proprietà personale assoluta, a libera disposizione per ottenere il massimo piacere, specialmente nell’ambito delle relazioni sessuali, svincolate da un legame coniugale istituzionale e stabile. Paolo, invece, afferma l’appartenenza del corpo al Signore, escludendo l’immoralità (πορνεíα), in modo tale che il corpo diventi un canale per la glorificazione di Dio (cf. 1Cor 6,13-20). f) La dissociazione tra l’atto coniugale e la procreazione, contraria a tutta la tradizione della Chiesa cattolica, dalla Scrittura (cf. Gn 1,28) ai giorni nostri[224]. g) L’equiparazione etica, e a volte giuridica, di tutte le forme di congiungimento. Così si diffondono non solo le unioni successive, le unioni di fatto, senza un contratto matrimoniale formale, ma anche le unioni tra persone dello stesso sesso. Le unioni successive negano di fatto l’indissolubilità. Le convivenze temporanee o “di prova” ignorano l’indissolubilità. Le unioni tra persone dello stesso sesso non riconoscono il significato antropologico della differenza dei sessi (cf. Gn 1,27; 2,22-24), insito nella comprensione naturale del matrimonio, secondo la fede cattolica. c) L’assenza di fede può compromettere l’intenzione di contrarre un matrimonio naturale 173. [L’assenza di fede può compromettere l’intenzione di celebrare un matrimonio che includa alcuni beni del matrimonio]. Dal punto di vista della teologia dogmatica, è lecito dubitare con un certo fondamento che, nel caso di matrimoni tra "battezzati non credenti", secondo la tipologia che abbiamo descritto, si realizzi un sacramento di fede a causa di un grave difetto di intenzione nel contrarre un matrimonio naturale, verosimilmente come una conseguenza molto probabile, quasi inerente alla mancanza di fede, enunciata in modo diverso dagli ultimi due pontefici. La mancanza di fede, nel caso dei "battezzati non credenti" secondo la tipologia sopra menzionata, può essere considerata come inequivocabile e determinante le concezioni della vita. Pertanto, i dubbi citati in modo generico dai pontefici possono essere assunti nella loro integrità per questi casi. Non si può desiderare, simulare o amare ciò che è sconosciuto o rifiutato esplicitamente. 174. [Incidenza dell’assenza di fede sui beni naturali del matrimonio]. Nel matrimonio cristiano c’è un legame, molto più grande che in qualsiasi altro sacramento, tra la realtà creaturale e quella soprannaturale, tra l’ordine della creazione e quello della redenzione. «Il matrimonio […] è stato creato da Dio creatore»[225] e poi elevato alla dignità di sacramento. Dato questo stretto legame, si comprende che un mutamento della realtà naturale del matrimonio, un allontanamento dal progetto della creazione, si ripercuote direttamente sulla realtà soprannaturale, il sacramento. Un simile collegamento si verifica anche nella direzione opposta, almeno nel caso estremo di matrimoni tra "battezzati non credenti". A motivo di un rifiuto esplicito della realtà soprannaturale, dell’abbandono esplicito della fede, anche con un atto a volte formale, o la totale assenza di adesione alla fede, battezzati ma che non hanno mai assunto personalmente la fede sono posti totalmente in balia delle opinioni sociali vigenti in materia matrimoniale e familiare, che ne impediscono l’accesso alla fonte creaturale del matrimonio. 175. In effetti, se consideriamo congiuntamente l’assioma culturale dominante, precedentemente abbozzato, e la linea di riflessione di Benedetto XVI nel suo ultimo discorso alla Rota Romana (26 gennaio 2013), si può affermare che, in assenza di una fede chiara ed esplicita, l’intenzione riguardo i beni essenziali del matrimonio subisce un grave danno. Benedetto XVI lo ha illustrato con chiarezza rispetto al bene degli sposi. Il suo punto di partenza è stato il seguente: «Nel contesto dell’Anno della fede, vorrei soffermarmi, in modo particolare, su alcuni aspetti del rapporto tra fede e matrimonio, osservando come l’attuale crisi di fede, che interessa varie parti del mondo, porti con sé una crisi della società coniugale»[226]. In altre parole, l’elemento soprannaturale influisce direttamente sulla realtà naturale. E prosegue più avanti: «A nessuno sfugge come sulla scelta dell’essere umano di legarsi con un vincolo che duri tutta la vita influisca la prospettiva di base di ciascuno, a seconda cioè che sia ancorata a un piano meramente umano, oppure si schiuda alla luce della fede nel Signore. Solo aprendosi alla verità di Dio, infatti, è possibile comprendere, e realizzare nella concretezza della vita anche coniugale e familiare, la verità dell’uomo quale suo figlio, rigenerato dal Battesimo»[227]. 176. La verità dell’uomo, nel matrimonio naturale, appartiene al piano di Dio. Benedetto XVI lega la capacità oblativa del vero amore generoso, bene dei coniugi, all’apertura al vero amore, che è Dio, a partire dall’intima unione tra verità e amore. Affinché sia donato l’amore specifico per il bene degli sposi, è necessaria l’apertura alla verità ultima dell’amore, cioè all’amore di Dio. In una società che proclama l’autorealizzazione personale quale bene supremo, sembra molto difficile che, nel caso di una significativa ed esplicita assenza di fede, il vincolo coniugale sia compreso a partire dall’amore oblativo. Così le parole di Benedetto XVI: «“Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 5): così insegnava Gesù ai suoi discepoli, ricordando loro la sostanziale incapacità dell’essere umano di compiere da solo ciò che è necessario al conseguimento del vero bene»[228]. La comprensione della vita e la pratica dell’amore come auto trascendenza altruista, che cerca soprattutto il bene dell’altro, è perfezionata con la grazia divina. 177. L’amore oblativo e l’auto trascendenza altruista non si circoscrivono al bene reciproco degli sposi, ma incidono pienamente sul bene della prole, sublime frutto della fecondità dell’amore coniugale. Se il bene dell’amore tra gli sposi è intaccato alla radice, non può che influire direttamente ed esplicitamente sul bene della prole. 178. Nel nostro contesto culturale la mancanza stessa di fede implica seri dubbi sull’indissolubilità. Il senso comune, profondamente radicato, di intendere il vincolo matrimoniale: si desidera possa essere permanente, ma comunque rivedibile nella comprensione di ciò che è propriamente come vincolo; così come la triste quanto abbondante proliferazione di separazioni fa sì che, senza una specifica fonte di conoscenza della fede quale mezzo di adesione al progetto della creazione di Dio, si ravvisano ragioni per dubitare che ci sia una vera intenzione di indissolubilità del vincolo quando si contrae matrimonio. 179. In sintesi, abbiamo sviluppato questi punti. La fede determina alla base l’antropologia che si vive. La realtà sostanziale del matrimonio è di natura antropologica, creaturale. Una totale assenza di fede determina anche l’antropologia e, con essa, la realtà naturale del matrimonio, che è in balia dell’assioma culturale dominante. Una mancanza di fede di tale portata, in questo contesto, rende lecito dubitare, con fondatezza, circa l’esistenza di un vero matrimonio naturale, base imprescindibile su cui si fonda il matrimonio sacramentale. In altri termini: nel caso dei “battezzati non credenti” sopra descritti, a causa della mancanza di fede, l’intenzione di contrarre un matrimonio naturale non può essere considerata garantita, né può essere esclusa alla radice. 180. [Dalla sacramentalità]. Questo punto di vista è pienamente conforme alla concezione di sacramentalità che abbiamo difeso (cf. in particolare, § 16). Ricordiamoci che questa consiste nella correlazione inseparabile tra una realtà visibile, esterna, il significante, e un’altra di natura soprannaturale, invisibile, significata. La concezione del matrimonio cattolico si basa su questa comprensione della sacramentalità. Pertanto, perché ci sia un matrimonio sacramentale si richiede, quale realtà visibile esterna, un tipo di amore che, per le sue qualità particolari (beni del matrimonio: GS 48-50), insieme all’aiuto ricevuto attraverso la grazia, possa significare l’amore di Dio. In altre parole: un vincolo matrimoniale che non dovesse includere l’indissolubilità, la fedeltà, la disposizione oblativa verso l’altro coniuge e l’apertura alla prole, non sarebbe un segno capace di significare l’amore di Cristo per la Chiesa. La Chiesa è convinta che in questo tipo di vincolo non affiori la verità dell’amore coniugale. 181. [Conclusione]. La nostra proposta rifiuta due estremi. Da un lato, un automatismo sacramentale assoluto (cf. in particolare, §§ 41e; 78e): ogni matrimonio tra battezzati sarebbe un sacramento, o per la presenza di una fede minima agente, legata al "carattere" o per l’intervento di Cristo e della Chiesa presupposto nel battesimo. Dall’altra, rifiutiamo uno scetticismo sacramentale elitario che sostiene che qualsiasi grado di assenza di fede vizi l’intenzione e quindi invalidi il sacramento. Affermiamo che, nel caso di un’assenza di fede tanto esplicita e chiara come quella dei “battezzati non credenti” sopra descritti, seri dubbi riguardo l’esistenza di un’intenzione che accolga i beni del matrimonio naturale, così come inteso dalla Chiesa, lasciano spazio a serie riserve sull’esistenza di un matrimonio sacramentale. È, pertanto, in sintonia con la pratica sacramentale della Chiesa negare il sacramento del matrimonio a coloro che lo chiedono a queste condizioni, come già sosteneva Giovanni Paolo II (cf. §§ 153 e 169). 182. [Cura pastorale]. Sia il contesto culturale descritto (cf. §§ 156, 170-172) sia l’esistenza di matrimoni tra "battezzati non credenti", rappresentano uno stimolo affinché la pastorale matrimoniale dispieghi tutto il suo vigore e le sue potenzialità, in linea con le indicazioni di Giovanni Paolo II e Francesco[229]. Lo splendore della profonda umanità che si vive nelle famiglie cristiane, il cui cuore è la fede vissuta da tutti i suoi membri, sarà un faro e una stella capace di attrarre e convincere. Uno dei suoi obiettivi potrebbero essere proprio questi matrimoni di "battezzati non credenti", poiché il risveglio della fede significherebbe l’emergere della forza della grazia sacramentale. In ogni caso, la risposta migliore al "desiderio di famiglia" che, nonostante le difficoltà, si sperimenta ovunque è «la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie»[230]. 5. Conclusione: la reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale 183. [Visibilità sacramentale della grazia]. L’economia sacramentale, quale economia incarnata, esige di per sé una visibilità della grazia. La Chiesa, erede e continuatrice dell’opera di Cristo, costituisce questo segno visibile nella storia. Il suo proposito non si limita a procurare i mezzi di salvezza per i propri fedeli, ma rende la grazia salvifica di Dio visibile nel mondo. Se la Chiesa dovesse scomparire, la tangibilità storica della salvezza in Gesù Cristo svanirebbe. Per questo, la Chiesa stessa offre un servizio per tutti: è il mezzo e lo strumento che proclama la presenza nella storia del disegno universale di salvezza in Gesù Cristo. Ogni cristiano partecipa a questa missione ecclesiale che ogni sacramento rafforza a suo modo. In ogni sacramento c’è una ricezione del dono di Dio, una configurazione con Cristo e una missione ecclesiale per la vita del mondo. 184. Poiché la sfera sacramentale si riferisce alla visibilità esterna e verificabile, quando si nega l’accesso ai sacramenti, nel caso, ad esempio, di divorziati risposati o altri, non è possibile trarre alcuna conclusione su tutta la verità riguardo la qualità della fede di quella persona. I fedeli di altre confessioni cristiane non sono in piena comunione visibile, sacramentale con la Chiesa cattolica, a causa del persistere di importanti differenze nella dottrina e nella vita cristiana. Per questo, la celebrazione sacramentale non può rendere visibile una piena comunione[231]. Tuttavia, non è escluso per principio che l’unione con Cristo di un cristiano non cattolico, attraverso la carità e la preghiera, possa essere più intensa di quella di un cattolico, nonostante quest’ultimo goda della pienezza oggettiva dei mezzi salvifici. Come afferma la liturgia, il giudizio finale sulla qualità della fede di ogni persona appartiene solo a Dio: «…dei quali tu solo hai conosciuto la fede»[232]. 185. [Crescita, catecumenato]. La fede, come virtù, è una realtà dinamica. Può crescere, rafforzarsi, maturare, sebbene possa sperimentare anche il contrario. Il catecumenato aiuta a far in modo che la ricezione dei sacramenti possa avvenire con una fede più consapevole riguardo ciò che si riceve e ciò a cui ci si impegna. La carità pastorale dovrà decidere sui termini concreti del catecumenato a seconda del sacramento e delle persone che lo richiedono, tenendo conto della qualità e dell’intensità dell’esperienza religiosa da cui provengono. Fondamentale è la formazione dei catechisti e la loro testimonianza di vita. D’altra parte, la stessa ricezione del sacramento, con l’impegno che questo richiede, invita a proseguire il catecumenato attraverso la catechesi mistagogica, certamente dopo i sacramenti dell’iniziazione e del matrimonio. In alcuni dei cosiddetti nuovi movimenti ecclesiali si registra sia una crescita nella fede che una sorta di catecumenato continuo. In essi si rileva una socializzazione fondata sulla fede e sull’appartenenza ecclesiale. Inoltre, viene fortemente sottolineata la dimensione sacramentale della fede, attraverso una certa enfasi sull’accoglienza riconoscente del dono, l’adorazione del Signore, la ricezione frequente dei sacramenti, sottolineando anzitutto il dono irrevocabile di Dio, che lega la sua grazia ai sacramenti senza condizionarla alla perfezione dei ministri né ai meriti di chi li riceve. Sono rafforzati dall’orizzonte verticale della sacramentalità, perché non si affidano a sé stessi per testimoniare orizzontalmente, davanti al mondo, in che modo la grazia di Dio si faccia strada nella debolezza (cf. 2Cor 12,9). 186. [Inserimento nell’economia sacramentale attraverso la fede e i sacramenti]. L’inserimento del cristiano nell’economia sacramentale avviene attraverso la fede e i sacramenti. I sacramenti offrono, a coloro che lo desiderano e sono adeguatamente disposti, qualcosa di prezioso come il pegno della vita eterna e la vicinanza amorosa di Cristo. 187. Nella realizzazione dell’economia sacramentale, quale dispiegarsi dell’incarnazione e della sua logica, il mistero pasquale si pone come culmine in cui si realizza l’amore sino all’estremo (cf. Gv 13,1; 15,13). Il cristiano, attraverso il battesimo, sacramento della fede, è incorporato a questo mistero, partecipando in modo sacramentale alla morte e risurrezione di Gesù (cf. Rm 6,3-4), e allo stesso tempo diventa pietra viva della Chiesa. Così, la vita cristiana inizia con l’inserimento nel nucleo essenziale dell’economia sacramentale. 188. Il mistero di Cristo comprendeva, nella sua offerta, il dono del suo Spirito, quale grande dono del Risorto. A Pentecoste la Chiesa, ricevendo lo Spirito al culmine della propria istituzione, era pienamente consapevole di essere stata rivestita dalla grazia e inviata per una missione universale. Il cristiano si incorpora all’evento pentecostale attraverso i sacramenti dell’iniziazione, rafforzando la sua fede e la sua responsabilità sia ad intra della comunità ecclesiale che ad extra, come "discepolo missionario". 189. Nell’Ultima Cena Gesù anticipò, con gesti e parole, il significato di tutta la sua vita e del suo stesso mistero: corpo donato e sangue versato per "molti". Nell’eucaristia il cristiano riceve nuovamente il dono del Signore, che accetta espressamente come tale nell’"Amen", per continuare ad essere membro attivo del corpo di Cristo presente nel mondo. 190. La dinamica dell’economia sacramentale può essere letta come l’alleanza di Dio con il suo popolo; immagine alla quale non sono estranei, infatti, i connotati nuziali. Nell’insieme del mistero di Cristo, il rinnovamento definitivo e irrevocabile dell’alleanza di Dio con il suo popolo avviene per mezzo di Cristo stesso. I coniugi cristiani, sposandosi "nel Signore", diventano un segno che testimonia l’amore che presiede la relazione di Cristo con la Chiesa. 191. Con la sua vita, morte e risurrezione, Gesù portò la salvezza di Dio, che include il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio e la riconciliazione tra i fratelli, abbattendo il muro di separazione (cf. Ef 2,4-6.11-14). Quando il cristiano contraddice il senso del Vangelo e della sequela di Cristo ricevendo il sacramento della penitenza con una fede che mostra pentimento, si riconcilia con Dio e con la Chiesa. Così, se da un lato la Chiesa si rinnova, colui che viene perdonato diventa ambasciatore del perdono di Dio in Gesù Cristo. 192. Gesù avvicinò molti malati, li confortò, li guarì e perdonò i loro peccati. Chi riceve l’unzione nel momento in cui la potenza della malattia e della morte sembra trionfare, si unisce sacramentalmente a Cristo per proclamare con fede la sua vittoria e la speranza nella vita eterna. 193. Gesù riunì attorno a sé un gruppo di discepoli e seguaci, che istruiva riguardo i misteri del regno di Dio e ai quali manifestava il mistero della sua persona. Coloro che, rispondendo con fede alla chiamata del Signore ricevono il sacramento dell’ordine, sono configurati a Cristo, Capo e Pastore, per continuare ad annunciare il Vangelo, guidando la comunità a somiglianza del Buon Pastore e offrendo il sacrificio vivo e santo. 194. [Natura sacramentale della fede]. L’economia divina della salvezza ha inizio con la creazione, si realizza nella storia e si muove verso l’eterna consumazione. Tuttavia, non ogni sguardo rivolto alla storia coglie in essa la presenza dell’azione di Dio; per esempio, si potrebbe non comprendere che l’uscita dall’Egitto fu una liberazione operata da Dio. Allo stesso modo, di Gesù Cristo è possibile sapere che ha fatto miracoli o che è stato crocifisso, ma solamente lo sguardo di fede riconosce nei miracoli i segni della sua messianicità (cf. Lc 7,18-23) e divinità (cf. Mt 14,33; Lc 5,8; Gv 5), non il potere di Beelzebùl (cf. Mc 3,22); oppure si può non cogliere che sulla croce è avvenuta la remissione dei peccati (cf. Mt 27,39-44), la riconciliazione con Dio (cf. 2Cor 5,18-20) e non solo un’esecuzione. 195. Per questo, seguendo Agostino e Origene[233], è possibile distinguere quello che potremmo chiamare uno sguardo semplicemente storicista sugli eventi della storia della salvezza. Questo si caratterizza per essere limitato alla conoscenza degli eventi, conferendo credibilità ai testimoni che li narrano, ma senza coglierne il significato storico-salvifico. Tuttavia, lo sguardo proprio della fede, attraverso il dono dello Spirito Santo, non solo conosce gli eventi storici nella loro materialità storica, ma percepisce in essi anche la loro natura salvifica. Vale a dire, questo sguardo penetra nell’autentica realtà sacramentale di quanto sta accadendo: cogliendo ciò che è storicamente visibile, percepisce la profondità della grazia presente e che agisce in quegli eventi. A questa forma di fede, che è propriamente la fede cristiana, corrisponde non solo l’intuizione della presenza dell’azione divina nella storia visibile, ma anche la capacità di percepire la connessione di questi eventi con la speranza nella vita futura. Perciò, questo tipo di fede non solo crede nella vita eterna, nella Santissima Trinità e in Cristo nostro Signore, ma è anche il tipo di fede proprio delle persone che riconobbero il Risorto nelle apparizioni. Senza questa fede, la storia non assume le sembianze di una economia divina di salvezza; si risolve in una raccolta di fatti il cui significato è difficile da discernere; in ogni caso gli si attribuisce dall’esterno. Tuttavia, con il dono della fede, il senso del corso degli eventi storici risiede nel significato che Dio stesso gli attribuisce: l’economia divina presiede e governa la storia, conducendola alla vita eterna. In una parola, poiché l’economia divina trinitaria è di natura sacramentale, la fede cristiana è autenticamente sacramentale.
[2] Benedetto XVI, Enc. Deus Caritas est (25 dicembre 2005) 1: AAS 98 (2006) 217. Citato nuovamente da Francesco, Ex. apost. Evangelii Gaudium (24 novembre 2013)7: AAS 105 (2013) 1022.
[3] Cf. Origene, In Leviticum Hom. IV, 8 (PG 12, 442-443).
[5] Basilio Magno, De Spiritu Sancto, XII, 28 (SCh 17bis, 346).
[7] Cf. San Giovanni Paolo II, Enc. Fides et Ratio (14 settembre 1998) 84-85: AAS 91 (1999) 71-73.
[8] Cf. J. Ratzinger, «Die sakramentale Begründung christlicher Existenz» [1965], en Gesammelte Schrifen 11. Theologie der Liturgie, Freiburg – Basel – Wien 2008, 197-198.
[9] Cf. Francesco, Enc. Laudato si’ (24 maggio 2015) 106-114: AAS 107 (2015) 889-893.
[10] Cf. San Giovanni Paolo II, Enc. Fides et Ratio (14 settembre 1998) 13: AAS 91 (1999) 16, ha parlato dell’«orizzonte sacramentale della Rivelazione» (in corsivo nell’originale). Benedetto XVI, Ex. apost. Sacramentum Caritatis (22 febbraio 2007) 45: AAS 99 (2007) 140, riprende l’idea centrale e si riferisce alla «prospettiva sacramentale della Rivelazione cristiana».
[12] «E se bisogna esprimersi concisamente, le sostanze da cui è composto il Salvatore sono “una” e “un’altra” (ἄλλο καὶ ἄλλο), dal momento che l’invisibile non è la stessa cosa del visibile e ciò che è al di fuori del tempo non si identifica con quello che è soggetto al tempo, ma non vi sono "uno" e "un altro" (ἄλλος καὶ ἄλλος): non sia mai!» (Gregorio Nazianzeno, Ep. I ad Cledonium, 20 [SCh 208, 44; PG 37, 180 A]).
[13] Gregorio Nazianzeno, Or. Theol. V (PG 36, 135 C [Or. 31,3 (SCh 250, 280)]).
[15] Cf. Benedetto XVI, Ex. apost. Verbum Domini (30 settembre 2010) 56: AAS 102 (2010) 735-736.
[16] Cf. Concilio Ecumenico Lateranense IV, Professione di fede. Capitolo 1. La fede cattolica (DH 800); Concilio Ecumenico Vaticano II, Const. past. Gaudium et Spes, 14.
[17] Cf. Ambrogio, In Lucam II, 79 (PL 15, 1581); Tommaso d’Aquino, STh III, q. a. 1.
[18] Cf. Teofilo di Antiochia, Aut. II, 10,1 (PG 6, 1064; FuP 16, 116); Ireneo di Lione, Adv. haer. IV,14,1; IV,20,4 (SCh 100/2, 538; 636); Giovanni Duns Scoto, Ord. III, d. 32, q. un., n. 21 (Vat. X,136-137); Catechismo della Chiesa Cattolica, § 293.
[19] Ad esempio: Ugo di San Vittore, De tribus diebus, IV (PL 175, 814 B; CCCM 177, 9); Riccardo di San Vittore, De Trin. I, 9; Bonaventura, Itinerarium, I, 14; Benedetto XVI, Ex. apost. Verbum Domini (30 settembre 2010)7: AAS 102 (2010) 688.
[20] Cf.Efrem, Hymni de fide, 18,4-5 (CSCO 154, 70; 155, 54).
[23] «Proinde prima sacramenta, quae observabantur et celebrabantur ex Lege, praenuntiativa erant Christi venturi: quae cum suo adventu Christus implevisset, ablata sunt; et ideo ablata, quia impleta; non enim venit solvere Legem, sed adimplere» (Agostino, Contra Faustum, XIX, 13; PL 42, 355).
[24] Cf. Ireneo di Lione, Adv. haer. IV,21,3 (SCh 100/2, 684); Tertulliano, De baptismo, 3 (CCSL 1, 278-279).
[25] «Caro salutis est cardo» (Tertulliano, De resurrectione, 8; CCSL 2, 931). Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Placuit Deo (22 febbraio 2018) §§ 1-2,4,8 (incarnata) in correlazione con §§ 13-14 (sacramentale).
[26] J. Ratzinger, «Prefazione», in H. Luthe (ed.), Incontrare Cristo nei sacramenti, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 8.
[27] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 60 a. 6 resp.
[28] Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Placuit Deo (22 febbraio 2018)§11.
[29] «Moritur Christus ut fiat Ecclesia» (Agostino, In Johannis ev., IX, 10: CCSL 36, 96; PL 35, 1463).
[30] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Const. dog. Lumen Gentium, 1, 9, 48, 59; Const. Sacrosanctum Concilium, 5, 26; Dec. Ad Gentes 1, 5; Const. past. Gaudium et Spes, 42, 45.
[31] Cf. San Giovanni Paolo II, Enc. Redemptoris Missio (7 dicembre 1990) 18: AAS 83 (1991) 265-266; Congregazione per la Dottrina della Fede, Decl. Dominus Iesus (6 agosto 2000) 18: AAS 92 (2000) 759-760.
[33] Concilio Ecumenico Vaticano II, Const. dog. Lumen Gentium, 4, con la citazione interna di Cipriano, De dominica oratione, 23 (PL 4, 553; CSEL 3/I, 285).
[34] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Iuvenescit Ecclesia (15 maggio 2016), § 23; si vedano anche i §§ 11 e 13.
[38] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 64 a. 2.
[39] Cf. Clemente VI, Lettera Super Quibusdam del 1351 (DH 1061); Concilio Ecumenico di Trento, Sessione XXI. Canoni sulla comunione sotto le due specie e sulla comunione dei fanciulli, cap. 2 (DH 1728); Pio X, Lettera Ex quo, nono del 1910 (DH 3556); Pio XII, Const. Sacramentum Ordinis del 1947 (DH 3857).
[40] Si veda infra, per ciascuno dei sacramenti trattati, la breve nota che viene offerta riguardo il fondamento scritturistico.
[41] Cf.Tommaso d’Aquino, STh III, q. 64 a. 2 a 3.
[44] Cf. Agostino, In Johannis ev., V, 18 (CCSL 36, 51-53; PL 35, 1424); Giovanni Crisostomo, In 2 Tm. Hom., 2,4 (PG 62, 612).
[47] Cf. Francesco, Enc. Lumen Fidei (29 giugno 2013) 4: AAS 105 (2013) 557.
[49] Ad esempio: Agostino, De symb. I, 181 (PL 40, 1190-1191); Pietro Lombardo, Summa Sententiarum III. d. 23, c. 2-4 (PL 192, 805-806); Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 2 a. 2.
[50] Cf. Pascasio Radberto, De fide, spe et car. I, 6 n. 1 (PL 120, 1402 s.).
[51] Cf. Fausto di Riez, De spir. S. I, 1 (CSEL 21, 103).
[52] «Hoc est ergo credere in Deum, credendo adhaerere ad bene cooperandum bona cooperanti Deo» (Agostino, Enarr. in Ps. 77,8; CCSL 39, 1073).
[53] Cf. Agostino, In Iohannis ev., XXIX, 6 (CCSL 36, 287; PL 35, 1684): «Ut credatis in eum, non ut credatis ei. Sed si creditis in eum, creditis ei, non autem continuo, qui credit ei credit in eum…». Così anche Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 2 a. 2.
[54] «Il giorno di Pentecoste, con l’effusione dello Spirito Santo, la Chiesa viene manifestata al mondo (cf. SC 6; LG 2). Il dono dello Spirito inaugura un tempo nuovo nella “dispensazione del mistero”: il tempo della Chiesa, nel quale Cristo manifesta, rende presente e comunica la sua opera di salvezza per mezzo della liturgia della sua Chiesa, “finché egli venga” (1Cor 11,26). In questo tempo della Chiesa, Cristo vive e agisce ormai nella sua Chiesa e con essa in una maniera nuova, propria di questo tempo nuovo. Egli agisce per mezzo dei sacramenti; è ciò che la tradizione comune dell’Oriente e dell’Occidente chiama “l’economia sacramentale”; questa consiste nella comunicazione (o “dispensazione”) dei frutti del mistero pasquale di Cristo nella celebrazione della liturgia “sacramentale” della Chiesa» (Catechismo della Chiesa Cattolica, § 1670).
[55] Cf. Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 1 a. 9 ad 3: «Confessio fidei traditur in symbolo quasi ex persona totius Ecclesiae, quae per fidem unitur».
[59] Benedetto XVI, Lett. apost. in forma di motu proprio, Porta Fidei (11 ottobre 2011) 10: AAS 103 (2011) 728.
[62] Cf. Ugo di San Vittore, Sacr. I pars 10 (PL 176, 327-344), cap. 3 e 4: De incremento fidei.
[63] Cf. Tommaso d’Aquino, Ver. 14 a. 11 resp.; STh II-II, q. 2 a. 6.7.8.
[64] Cf. Tommaso d’Aquino, Ver. 14 a. 11 ad 7.
[65] Cf. Tommaso d’Aquino, Ver. 14 a. 11 resp.: «Tempore vero gratiae omnes, maiores et minores, de Trinitate et de redemptore teneretur explicitam fidem habere. Non tamen omnia credibilia circa Trinitatem vel redemptorem minores explicite credere tenentur, sed soli maiores. Minores autem tenentur explicite credere generales articulos, ut Deum esse trinum et unum, filium Dei esse incarnatum, mortuum, et resurrexisse, et alia huiusmodi, de quibus Ecclesia festa facit».
[66] Cf. Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 2 a. 7; a. 8.
[67] Cf. ad esempio Ireneo, Adv. haer. I, 10, 1 (SCh 264, 154-158); III, 12, 13; III, pr. ss.; III, 5, 3 (SCh 211, 236-238; 20-22; 60-62); Clemente Alessandrino, Strom. IV, 1, 3 (GCS 15, 249); Tertulliano, Praesc. 13; 36 (CCSL 1, 197-198; 217); Prax. 2; 30 (CCSL 2, 1160; 1204); Virg. 1 (CCSL 2, 1209); Origene, De Princ., I, praef., 4 (GCS 22, 9-11; FuP 27,120-124); Novaziano, Trin. 1, 1; 9, 46 (CCSL 4, 11; 25).
[68] Cf. Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 5 a. 3.
[69] Cf. Ugo di San Vittore, Sacr. I pars 10 cap. 3.
[70] Ugo di San Vittore, Sacr. I pars 10 cap. 4.
[72] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 64 a. 7.
[74] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 61 a. 1.
[75] «Accedit verbum ad elementum et fit sacramentum, etiam ipsum tamquam visibile verbum» (Agostino, In Johannis ev., LXXX, 3; CCSL 36, 529; PL 35, 1840).
[76] Cf. Agostino, Epist. 187, 34 (PL 33, 846).
[77] Cf. Tertulliano, Ad mart. 3 (CCSL 1, 5).
[78] Cf. Traditio apostolica, 16 (ingresso nel catecumenato), 17-20 (sviluppo del catecumenato), 21 (celebrazione battesimale; SCh 11, 43-51).
[79] «Fidei obiectum per se est id per quod homo beatus efficitur» (Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 2 a. 5; cf. STh II-II, q. 1 a. 6 ad 1).
[80] «Inchoatio vitae aeternae in nobis» (Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 4 a. 1).
[81] Cf. Bonaventura, III Sent. dist. 23 dub. 4 (III 504ab); II Sent. dist. 38 dub. 1 (II 894b); Tommaso d’Aquino, STh I-II, q. 112 a. 5; Ver 10 a. 10 ad 1.2.8.
[82] «Si quis dixerit, sacramenta…aut gratiam ipsam non ponentibus obicem non conferre… anathema sit» (Concilio Ecumenico di Trento, Sessione settima. Decreto sui sacramenti, can. 6 [DH 1606]).
[83] Efrem, Hymni de fide, 53,12; 5,18 (CSCO 154, 167,23; 155, 143,17).
[85] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Decl. Dominus Iesus (6 agosto 2000) 20-22: AAS 92 (2000) 761-764. Si veda il nostro § 37.
[87] Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, § 75; cf. Ibid., § 247.
[88] Cf.Traditio apostolica, 21 (SCh 11, 50-51).
[89] Cf. Agostino, Sermo VIII in octava Paschatis ad infantes, 1 (PL 46, 838).
[90] Cf. Basilio, De Spiritu Sancto XI, 27 (SCh 17bis, 340-342).
[91] Cf. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses mystagogicae, I, 1 (PG 33, 1065; SCh 126, 84).
[92] Cirillo di Gerusalemme, Procatech., Introd., n. 4 (PG 33, 340A).
[93] Cirillo di Gerusalemme, Procatech., V, 11 (PG 33, 520B).
[94] Cf. Cirillo di Gerusalemme, Procatech. I,6; I,4 (dare frutti; PG 33, 377 e 373-376). Soprattutto nelle catechesi di Giovanni Crisostomo ai neofiti: Cat. 3/5, 2. 15. 21 (FC 6/2, 412-415, 424s., 428-431); Cat. 3/7, 16-25 (FC 6/2, 478-487) tra gli altri, si trovano ammonimenti contro negligenza e tiepidezza.
[95] Cf. Paolo III, Const. Altitudo divini consilii (1° giugno 1537).
[96] «Parere dei teologi dell’Università di Salamanca sul battesimo degli Indios», in Colección de documentos inéditos, relativos al descubrimiento, conquista y colonización de las posesiones españolas en América y Oceanía, vol. III, Madrid 1865, 545; si veda l’intero rapporto: 543-553. La traduzione è la nostra.
[97] Cf. Francesco, Enc. Lumen Fidei (29 giugno 2013) 42: AAS 105 (2013) 583-584.
[98] Cf. Is 33,16, letto dalla Epistula Barnabae, 11,5 (SCh 172, 162). Citato da Francesco, Enc. Lumen Fidei (29 giugno 2013) 42: AAS 105 (2013) 584.
[99] Cf. Concilio Ecumenico di Trento, Sessione settima. Decreto sui sacramenti, can. 6 (DH 1606). Si veda la nota 82.
[100] Cf. Ireneo, Adv. Haer. II, 22,4 (SCh 294, 220); Origene, In Rom. V, 9 (PG 14, 1047); Cipriano, Epist. 64 (CSEL 3, 717-721); Agostino, De Genesi ad lit. X, 23,39 (PL 34, 426); De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum I,26,39 (PL 44, 131). Vedi anche: Congregazione per la Dottrina della Fede, Instr. Pastoralis Actio: AAS 72 (1980) 1137-1156.
[102] Rito del battesimo dei bambini, §§ 68, 116.
[103] «Sicut pueri in maternis uteris constituti non per seipsos nutrimentum accipiunt, sed ex nutrimento matris sustentantur, ita etiam pueri non habentes usum rationis, quasi in utero matris Ecclesiae constituti, non per seipsos, sed per actum Ecclesiae salutem suscipiunt» (Tommaso d’Aquino, STh III, q. 68 a. 9 ad 1). Il corsivo è nostro.
[104] Cf. Traditio apostolica, 21 (SCh 11, 49).
[105] Cf. Cipriano, Epistula 64,2-6 (CSEL 3/2, 718-721).
[106] Cf. Tertulliano, De baptismo, 18,4-6 (CCSL 1, 293; SCh 35, 92-93).
[107] Cf. Isidoro di Siviglia, De Ecclesiasticis Officiis, II, 21-27; Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 10 a. 12.
[108] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Instr. Pastoralis Actio, 15 e 28, n. 2: AAS 72 (1980) 1144-1145 e 1151.
[109] Cf. Traditio apostolica, 22 (SCh 11, 52-53).
[110] Cf. Innocenzo I, Lettera “Si instituta ecclesiastica” al vescovo Decenzio di Gubbio (anno 416; DH 215).
[111] Cf. Decreto della Sacra Congregazione dei Sacramenti “Quam singulari” (8 agosto 1910): AAS 2 (1910) 582s (DH 3530s).
[112] Cf. Concilio di Elvira, can. 77 (DH 121; G. Martínez Díaz – F. Rodríguez, Colección canónica hispana, t. IV, Madrid 1984, 267).
[115] Dossologia che chiude la preghiera eucaristica. Cf. ad esempio Messale Romano, 3ª ed. tipica, 422.
[119] «Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo» (Ordinamento generale del Messale Romano, § 29).
[120] Canone romano, in Missale Romanum, 3ª ed. tipica, § 91. Si veda il commento di Benedetto XVI, Ex. apost. Sacramentum Caritatis (22 febbraio 2007) 6: AAS 99 (2007) 109-110.
[121] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 76 a. 7. Il noto inno, Adoro te devote, esprime in maniera sublime quanto andiamo dicendo. Ecco un esempio: «In cruce latebat sola Deitas, / At hic latet simul et humanitas; / Ambo tamen credens atque confitens, / Peto quod petivit latro pœnitens» (Rituale Romanum de sacra communione et de cultu mysterii eucharistici extra missam, Città del Vaticano 1973, § 198, pp. 61-62).
[122] Cf. Francesco, Enc. Lumen Fidei (29 giugno 2013)44: AAS 105 (2013) 584-585. Una nota antifona lo sintetizza splendidamente: «O sacrum convivium in quo Christus sumitur: recolitur memoria passionis ejus: mens impletur gratia: et futurae gloriae nobis pignus datur» («Ad Magnificat, antifona. Ad II Vesperas Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi», in Liturgia Horarum iuxta ritum romanun, vol. III, Tempus per annum. Hebdomadae I-XVII, Città del Vaticano 2000, 54).
[123] Missale Romanum, 3ª ed. tipica, Rito di conclusione, § 144.
[124] «Si ergo vos estis corpus Christi et membra, mysterium vestrum in mensa Dominica positum est. […] Estote quod videtis, et accipite quod estis» (Agostino, Sermo 272; PL 38, 1247s).
[129] Cf. Il Pastore di Erma, Comp. IX (Funk, 211 e ss.).
[130] Cf. Giustino, Prima Apol. 66s (Wartelle, 190s).
[131] Didaché, 10,6; 9,5 (Funk, 6; 5).
[132] Cf.Costituzioni apostoliche, VII, 26,6 (SCh 336, 57): «Se uno è santo, si avvicini; colui che non lo è, lo diventi attraverso la penitenza».
[133] Τὰ Ἅγια τοῖϛ Ἁγίοιϛ. Presente in: Liturgia di San Giovanni Crisostomo (La divina Liturgia del santo nostro Padre Giovanni Crisostomo, Roma 1967, 126-127); Liturgia di San Basilio, (131); Liturgia dei Doni Presantificati (168). Per queste ultime due liturgie, le pagine tra parentesi si riferiscono a: Liturgikon. La divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, di San Basilio, dei Doni Presantificati, Madrid 2016.
[134] Cf. Giovanni Crisostomo, Hom. in Matth. 82,4 (PG 58, 743): fede nella presenza reale; Hom. 25,3 (PG 57, 330 s.); Hom. 7,6 (PG 57, 79 s.). Super Rom. Hom. 8 (9), 8 (PG 60, 464-466): amore al prossimo. Super Hebr. 17,4-5 (PG 63, 131-134).
[135] Cf. Cipriano, Epistula 57,2 (CSEL 3/2, 651-652).
[136] Cf. Giovanni Crisostomo, In Matth. Hom. 82,5. 6 (PG 58, 743-746): responsabilità del presbitero nell’amministrazione.
[137] Cf. Agostino, In Johannis ev., XXVI, 11 (CCSL 36, 264 s.).
[138] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 80 a. 4.
[139] Cf. anche Bonaventura, IV Sent. dist. 9 a. 1 qq. 1-4: sacramentaliter, spiritualiter manducare.
[140] Tommaso d’Aquino, STh III, q. 80 a. 5 ad 2.
[141] «Si infidelis sumat species sacramentales, corpus Christi sub sacramento sumit. Unde manducat Christum sacramentaliter, si ly “sacramentaliter” determinat verbum ex parte manducati. Si autem ex parte manducantis, tuncproprie loquendo non manducat sacramentaliter; quia non utitur eo quod accipit ut sacramento, sed ut simplici cibo. Nisi forte infidelis intenderet recipere illud quod Ecclesia confert, licet non haberet fidem veram circa alios articulos vel etiam hoc sacramentum» (Tommaso d’Aquino, STh III, q. 80 a. 3 ad 2; il corsivo è nostro).
[142] Cf. Tommaso d’Aquino, STh III, q. 79 a. 3.
[143] «Quicumque ergo hoc sacramentum sumit, ex hoc ipso significat, se esse Christo unitum et membris eius incorporatum. Quod quidem fit per fidem formatam» (Tommaso d’Aquino, STh III, q. 80 a. 4).
[144] Cf. Tommaso d’Aquino, Sent. IV dist. 9 q. 1 a 2 q. 2 ad 2; cf. STh III, q. 79 a. 7 ad 2; a. 8 ad 2 (quest’ultimo sulla differenza tra il battesimo e l’eucaristia).
[145] Μετὰ φόβου Θεοῦ, πίστεως καὶ ἀγάπης προσέλθετε, La divina Liturgia del santo nostro Padre Giovanni Crisostomo, 136-137.
[146] Πιστεύω, Κύριε, καὶ ὁμολογῶ ὅτι σὺ εἶ ἀληθῶς ὁ Χριστός, ὁ Υἱός τοῦ Θεοῦ τοῦ ζῶντος, ὁ ἐλθὼν εἰς τὸν κόσμον ἁμαρτωλοὺς σῶσαι, ὧν πρῶτός εἰμι ἐγώ. Ἔτι πιστεύω, ὅτι τοῦτο αὐτό ἐστι τὸ ἄχράντον Σῶμα σου, καὶ τοῦτο αὐτό ἐστι τὸ τίμιον Αἷμα σου, La divina Liturgia del santo nostro Padre Giovanni Crisostomo, 128-131; Liturgia di San Basilio (Liturgikon, 133-135). Allo stesso modo la liturgia copta: Die koptische Liturgie, ubersund kommentiert von Karam Khella, [1989], 186.
[147] Cf. In Genesim, II, 23 (CSCO 152, 39; 153, 29-30).
[148] Cf. Efrem, Commentario sul Diatessaron, XXI, 11 (CSCO 137, 145; 145, 227-228).
[149] Cf. Efrem, De virginitate, 37,2 (CSCO 223,133).
[154] «Ex Christi institutione matrimonium validum inter baptizatos eo ipso est sacramentum, quo coniuges ad imaginem indefectibilis unionis Christi cum Ecclesia a Deo uniuntur gratiaque sacramentali veluti consecrantur et roborantur» (CCEO, can. 776, § 2).
[156] Cf. Concilio Ecumenico di Trento, Sessione ventiquattresima. Dottrina e canoni sul matrimonio, can. 7 (DH 1807).
[157] Cf. Agostino, De nuptiis et concupiscentia, I,X,11 (CSEL 42, 222-224; PL 40, 420).
[158] Ep. ad Diognetum, 5,6 (Funk, 137).
[159] Cf. Ignazio di Antiochia, Ep. ad Polycarpum, 5,2 (Funk, 107; FuP 1, 186).
[160] Cf. Tertulliano, Ad Uxorem II, 8 (CCSL 1, 393; SCh 273, 148).
[161] Cf. Gregorio Nazianzeno, Ep. 231 (PG 37, 373); Ambrosiaster, Comm. in Epist. I ad Cor. 7,40 (PL 17, 225); Id., Comm. in Epist. I ad Tim. 3,12 (PL 17, 470); Pseudo-Agostino, Quaest. Novi et Veteris Testamenti, CXXVII (CSEL 50, 400); Ambrogio, Epist. 19 ad Vigilium trident., 7 (PL 16, 984-985); Predestinatus, III, 31 (PL 53, 670).
[162] Cf. Sacramentario Reginensis, 316 (Rerum ecclesiasticarum documenta, series major, Fontes 4, ed. L.K. Mohlberg, 1447, 1449, 1453); Hanc igitur del Sacramentario Veronense, 85 (Mohlberg, 1107).
[163] Cf. Sacramentario de Hadrianum, 836 (ed. J. Deshusses); Paolino di Nola, Carmen 25,199-232 (CSEL 30, 244-245).
[164] Cf. Giovanni Crisostomo, In I Tim. Cap. II, hom. IX, 2 (PG 62, 546).
[165] Cf. Gregorio Nazianzeno, Ep. 193 (PG 37, 316-318).
[166] Per maggiori dettagli, cf. A. Raès, Le mariage, sa célébration et sa spiritualité dans les Églises d’Orient, Chevetogne 1959; K. Ritzer, Formen, Riten und Religiöses Brauchtum der Eheschliessung in den Christlichen Kirchen des ersten Jahrtausends, Münster 1962; B. Kleinheyer; E. Von Severus; R. Kaczynski (eds.), Gottesdienst der Kirche. Handbuch der Liturgiewissenschaft8. Sakramentliche Feiern II, Regensburg 1984.
[167] Cf. Pietro Lombardo, Summa Sententiarum IV. d. 2 e 26 (PL 192, 842 e 908); Concilio Ecumenico Lateranense II, can. 23 (DH 718); Concilio Ecumenico di Firenze, Decreto per gli armeni (DH 1327); Concilio Ecumenico di Trento, Sessione settima. Decreto sui sacramenti. Canoni sui sacramenti in genere, can. 1 (DH 1601).
[168] Concilio Ecumenico di Trento, Sessione ventiquattresima. Canoni su una riforma del matrimonio: decreto “Tametsi” (DH 1813-1816).
[169] Cf. M. Lutero, De captivitate babylonica, De matrimonio (WA 6,550); J. Calvino, Inst. christ. Lib. IV, c. 19,34 (Corp. Reform. 32,1121).
[170] Ordo celebrandi matrimonium, Praenotanda § 16 (Typis Polyglottis Vaticanis, 1989), con riferimento a: Concilio Ecumenico Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium, 59. La stessa idea si trova nei Praenotanda § 7 del 1969.
[177] «Quare inter baptizatos nequit matrimonialis contractus validus consistere, quin sit eo ipso sacramentum» (CIC, can. 1055, § 2).
[179] Comentario II (nell’edizione spagnola: Comisión Teológica Internacional, Documentos 1969-1996, ed. C. Pozo, Madrid 1998, 195).
[180] «Le 43 proposizioni della V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi su La famiglia cristiana (26 settembre-25 ottobre 1980) n. 12.4»: Il Regno-Documenti 13 (1981) 389. La proposizione 12.4 fu approvata con 196 voti a favore, 7 contrari e 3 astensioni. («Les 43 propositions du Synode des évêques su la famille»: La Documentation Catholique 1809 [7 juin 1981] 540). Si veda la proposizione 12 completa, che riguarda direttamente il nostro tema.
[184] Cf. Concilio Ecumenico di Trento, Sessione settima. Decreto sui sacramenti. Canoni sui sacramenti in genere, can. 6 (DH 1606). Si veda la nota 82.
[189] Cf. Communicationes 9 (1977) 122.
[190] Cf. Communicationes 15 (1983) 222.
[191] Si veda la nota 177.
[192] Cf. sentenza coram Stankiewicz, 19 aprile 1991: SRRD 83, 280-290.
[193] «Elenco finale delle Proposizioni della XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi su L’eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa (2-23 ottobre 2005) n. 40»: Il Regno-Documenti 19 (2005) 553. Il corsivo è nostro.
[194] J. Ratzinger, «Introduzione», in Congregazione per la Dottrina della Fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati (Documenti e Studi 17), LEV, Città del Vaticano 1998, 27-28.
[204] «Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento» [Relatio Synodi, 48: AAS 106 (2014) 904].
[210] Ibid., 182-183. Il corsivo è il nostro.
[212] Art. 14, § 1: AAS 107 (2015) 969.
[216] Cf. Tommaso d’Aquino, STh II-II, q. 4 a. 4.
[217] Cf. Tommaso d’Aquino, STh I-II, q. 49-51.
[218] Cf. anche il § 86 e il testo di Cirillo di Gerusalemme ivi citato, in riferimento al battesimo.
[219] Concilio Ecumenico di Firenze, Bolla sulla unione con gli armeni Exultate Deo (DH 1312).
[221] Cf. CIC, can. 1101.
[224] Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Const. past. Gaudium et Spes, 50; San Paolo VI, Enc. Humanae Vitae (25 luglio 1968) in particolare 12: AAS 60 (1968) 488-489.
[229] Cf. Giovanni Paolo II, Ex. apost. Familiaris Consortio (22 novembre 1981), in particolare “IV. La pastorale familiare: tempi, strutture, operatori e situazioni”: AAS 74 (1982) 158-187; Francesco, Ex. apost. Amoris Laetitia (19 marzo 2016), in particolare “VI. Alcune prospettive pastorali”: AAS 108 (2016) 390-415.
[232] Messale Romano, Preghiera eucaristica per le Messe “per varie necessità” V4.
[233] Cf. Agostino, De vera rel. 50,99 (CCSL 32, 251); Agostino; De trin. I,6,11; II,17,29; IV,3,6 (CCSL 50, 40; 119-120; 166-169); Enarr. in Ps. 65,5 (CCSL 39, 842-844); Ep. 120,3,15; 147 (PL 33, 459; 596-622); Origene, Com Rm. 2,14 (PG 14, 913ss.); Hom. in Lc. 1,4 (SCh 87, 104-106).
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