SINODO DEI VESCOVI ________________________________________________
XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
Seconda Sessione
(2-27 ottobre 2024)
Per una Chiesa sinodale:
comunione, partecipazione, missione
Documento finale
26 ottobre 2024
Sommario
Sigle
Introduzione
Parte I – Il cuore della sinodalità
Chiamati dallo Spirito Santo alla
conversione
La
Chiesa Popolo di Dio, sacramento di unità
Le radici
sacramentali del Popolo di Dio
Significato e dimensioni della sinodalità
L’unità come armonia
La spiritualità sinodale
Sinodalità come profezia sociale
Parte II - Sulla barca, insieme
La conversione delle relazioni
Relazioni nuove
In una pluralità di contesti
Carismi, vocazioni e ministeri per
la missione
Il ministero ordinato a servizio
dell’armonia
Insieme per la missione
Parte III – «Gettate la rete»
La conversione dei processi
Il discernimento ecclesiale per la
missione
L’articolazione dei processi
decisionali
Trasparenza, rendiconto, valutazione
Sinodalità e organismi di
partecipazione
Parte IV – Una pesca abbondante
La conversione dei legami
Radicati e pellegrini
Scambio di doni
Legami per l’unità: Conferenze
episcopali e Assemblee ecclesiali
Il servizio del Vescovo di Roma
Parte V – «Anch’io mando voi»
Formare un Popolo di discepoli
missionari
Conclusione
Un banchetto per tutti i popoli
Sigle
AA Concilio Vaticano II, Decr.
Apostolicam actuositatem
(18 novembre 1965)
AG Concilio Vaticano II, Decr.
Ad gentes (7 dicembre 1965)
AL FRANCESCO, Esort. Ap.
Amoris Laetitia (19 marzo 2016)
CCC
Catechismo della Chiesa Cattolica
CCEO
Codex canonum Ecclesiarum Orientalium (18 ottobre 1990)
CD Concilio Vaticano II, Decr.
Christus Dominus (28 ottobre 1965)
CIC
Codex iuris canonici (25 gennaio 1983)
CTI Commissione Teologica Internazionale,
La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2
marzo 2018)
CV Benedetto XVI, Lett. Enc.
Caritas in veritate (29 giugno 2009)
DD Francesco, Lett. Ap.
Desiderio desideravi (29 giugno 2022)
DN Francesco, Lett. Enc.
Dilexit nos (24 ottobre 2024)
DTC XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,
Documento di Lavoro per la Tappa Continentale (27 ottobre
2022)
DV Concilio Vaticano II, Cost. Dogm.
Dei Verbum (18 novembre 1965)
EC Francesco, Cost. Ap.
Episcopalis Communio (15 settembre 2018)
EG Francesco, Esort. Ap.
Evangelii gaudium (24 novembre 2013)
EN S. Paolo VI, Esort. Ap.
Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975)
FT Francesco, Lett. Enc.
Fratelli tutti (3 ottobre 2020)
GS Concilio Vaticano II, Cost. Past.
Gaudium et spes (7 dicembre 1965)
LG Concilio Vaticano II, Cost. Dogm.
Lumen gentium (21 novembre 1964)
LS Francesco, Lett. Enc.
Laudato si’ (24 maggio 2015)
MC S. Paolo VI, Esort. Ap.
Marialis cultus (2 febbraio 1974)
NMI S. Giovanni Paolo II, Lett. Ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001)
PE Francesco, Cost. Ap.
Praedicate Evangelium (19 marzo 2022)
SC Concilio Vaticano II, Cost.
Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963)
SRS S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987)
UR Concilio Vaticano II, Decr.
Unitatis redintegratio (21 novembre 1964)
UUS S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc.
Ut unum sint (25 maggio 1995)
Introduzione*
Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò
loro
le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv
20,19-20).
1. Ogni nuovo passo nella vita della Chiesa è un ritorno alla
sorgente, un’esperienza rinnovata dell’incontro con il Risorto che i
discepoli hanno vissuto nel Cenacolo la sera di Pasqua. Come loro
anche noi, partecipando a questa Assemblea sinodale, ci siamo
sentiti avvolti dalla Sua misericordia e toccati dalla Sua bellezza.
Vivendo la conversazione nello Spirito, in ascolto gli uni degli
altri, abbiamo percepito la Sua presenza in mezzo a noi: la presenza
di Colui che, donando lo Spirito Santo, continua a suscitare nel Suo
Popolo una unità che è armonia delle differenze.
2. Contemplando il Risorto, ricordiamo che «siamo stati
battezzati nella sua morte» (Rm 6,3). Abbiamo scorto i segni delle
Sue ferite, trasfigurate da una nuova vita, ma incise per sempre
nella Sua umanità. Queste ferite continuano a sanguinare nel corpo
di tanti fratelli e sorelle, anche a causa delle nostre colpe.
Fissare lo sguardo sul Signore non allontana dai drammi della
storia, ma apre gli occhi per riconoscere la sofferenza che ci
circonda e ci attraversa: i volti dei bambini terrorizzati dalla
guerra, il pianto delle madri, i sogni infranti di tanti giovani, i
profughi che affrontano viaggi terribili, le vittime dei cambiamenti
climatici e delle ingiustizie sociali. Le loro sofferenze sono
risuonate in mezzo a noi non solo attraverso i mezzi di
comunicazione, ma anche nella voce di molti, personalmente coinvolti
con le loro famiglie e i loro popoli in questi tragici eventi. Nei
giorni in cui siamo stati riuniti in Assemblea, tante, troppe guerre
hanno continuato a provocare morte e distruzione, desiderio di
vendetta e smarrimento delle coscienze. Ci uniamo ai ripetuti
appelli di Papa Francesco per la pace, condannando la logica della
violenza, dell’odio, della vendetta e impegnandoci a promuovere
quella del dialogo, della fratellanza e della riconciliazione. Una
pace autentica e durevole è possibile e insieme possiamo costruirla.
«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS
1) sono state ancora una volta le gioie e le tristezze di tutti noi,
discepoli di Cristo.
3. Da quando nel 2021 il Santo Padre ha dato avvio a questo
Sinodo, abbiamo intrapreso un percorso di cui scopriamo sempre più
la ricchezza e la fecondità. Ci siamo messi in ascolto, attenti a
cogliere nelle tante voci quello che «lo Spirito dice alle Chiese»
(Ap 2,7). Il cammino è iniziato con la vasta consultazione del
Popolo di Dio nelle nostre Diocesi ed Eparchie. È proseguito con le
tappe nazionali e continentali, nella circolarità di un dialogo
costantemente rilanciato dalla Segreteria Generale del Sinodo
attraverso documenti di sintesi e di lavoro. La celebrazione della
XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nelle sue
due Sessioni ci permette ora di consegnare al Santo Padre e a tutte
le Chiese la testimonianza di ciò che abbiamo vissuto e il frutto
del nostro discernimento, per un rinnovato slancio missionario. Il
cammino è stato segnato in ogni sua fase dalla sapienza del “senso
della fede” del Popolo di Dio. Passo dopo passo, abbiamo compreso
che al cuore del Sinodo 2021-2024. Per una Chiesa sinodale.
Comunione, partecipazione, missione c’è una chiamata alla gioia
e al rinnovamento della Chiesa nella sequela del Signore,
nell’impegno al servizio della sua missione, nella ricerca dei modi
per esserle fedeli.
4. Questa chiamata si fonda sulla comune identità battesimale, si
radica nella diversità di contesti in cui la Chiesa è presente e
trova unità nell’unico Padre, nell’unico Signore e nell’unico
Spirito. Essa interpella tutti i Battezzati, senza eccezioni: «Tutto
il Popolo di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo. In esso,
ogni Battezzato è convocato per essere protagonista della missione
poiché tutti siamo discepoli missionari» (CTI, n. 53). Il cammino
sinodale ci orienta così verso una piena e visibile unità dei
Cristiani, come hanno testimoniato, con la loro presenza, i delegati
delle altre tradizioni cristiane. L’unità fermenta silenziosa dentro
la Santa Chiesa di Dio: è profezia di unità per tutto il mondo.
5. L’intero cammino sinodale, radicato nella Tradizione della
Chiesa, si è svolto nella luce del magistero conciliare. Il Concilio
Vaticano II è stato, infatti, come un seme gettato nel campo del
mondo e della Chiesa. La vita quotidiana dei credenti, l’esperienza
delle Chiese in ogni popolo e cultura, le molteplici testimonianze
di santità, la riflessione dei teologi sono stati il terreno in cui
esso è germogliato e cresciuto. Il Sinodo 2021-2024 continua ad
attingere all’energia di quel seme e a svilupparne le potenzialità.
Il cammino sinodale sta infatti mettendo in atto ciò che il Concilio
ha insegnato sulla Chiesa come Mistero e Popolo di Dio, chiamato
alla santità attraverso una continua conversione che viene
dall’ascolto del Vangelo. In questo senso costituisce un atto di
ulteriore recezione del Concilio, ne prolunga l’ispirazione e ne
rilancia per il mondo di oggi la forza profetica.
6. Non ci nascondiamo di aver sperimentato in noi fatiche,
resistenze al cambiamento e la tentazione di far prevalere le nostre
idee sull’ascolto della Parola di Dio e sulla pratica del
discernimento. Eppure, la misericordia di Dio, Padre tenerissimo, ci
consente ogni volta di purificare i cuori e di proseguire il
cammino. Lo abbiamo riconosciuto iniziando la Seconda Sessione con
una Veglia penitenziale, in cui abbiamo chiesto perdono dei nostri
peccati, provandone vergogna, e innalzato la nostra intercessione
per le vittime dei mali del mondo. Abbiamo chiamato per nome i
nostri peccati: contro la pace, la creazione, i popoli indigeni, i
migranti, i minori, le donne, i poveri, l’ascolto, la comunione.
Questo ci ha fatto comprendere che la sinodalità esige pentimento e
conversione. Nella celebrazione del sacramento della misericordia di
Dio facciamo l’esperienza di essere incondizionatamente amati: la
durezza dei cuori è vinta e ci si apre alla comunione. Per questo
vogliamo essere una Chiesa misericordiosa, capace di condividere con
tutti il perdono e la riconciliazione che vengono da Dio: pura
grazia di cui non siamo padroni, ma solo testimoni.
7. Del percorso sinodale iniziato nel 2021 abbiamo già potuto
constatare i primi frutti. Quelli più semplici, ma più preziosi,
fermentano nella vita delle famiglie, delle Parrocchie, delle
Associazioni e Movimenti, delle piccole comunità cristiane, delle
scuole e delle comunità religiose in cui sta crescendo la pratica
della conversazione nello Spirito, del discernimento comunitario,
della condivisione dei doni vocazionali e della corresponsabilità
nella missione. L’incontro dei Parroci per il Sinodo (Sacrofano
[Roma], 28 aprile – 2 maggio 2024) ha consentito di apprezzare
queste ricche esperienze e di rilanciarne il cammino. Siamo grati e
lieti per la voce di tante comunità e Fedeli che vivono la Chiesa
come luogo di accoglienza, speranza e gioia.
8. La Prima Sessione dell’Assemblea ha portato altri frutti.
Nella
Relazione di Sintesi è stata richiamata l’attenzione su
alcune tematiche di grande rilevanza per la vita della Chiesa, che
il Santo Padre, al termine di una consultazione internazionale, ha
affidato a Gruppi di Studio costituiti da Pastori ed esperti di
tutti i continenti, chiamati a lavorare con metodo sinodale. Gli
ambiti della vita e della missione della Chiesa che essi hanno già
iniziato ad approfondire sono i seguenti:
1. Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese Orientali
Cattoliche e Chiesa Latina.
2. L’ascolto del grido dei poveri e della terra.
3. La missione nell’ambiente digitale.
4. La revisione della
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in
prospettiva sinodale missionaria.
5. Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a
specifiche forme ministeriali.
6. La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria, dei
documenti che disciplinano le relazioni fra Vescovi, Religiosi,
Aggregazioni ecclesiali.
7. Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo
(in particolare: criteri di selezione dei candidati
all’episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e
svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in
prospettiva sinodale missionaria.
8. Il ruolo dei Rappresentanti pontifici in prospettiva
sinodale missionaria.
9. Criteri teologici e metodologie sinodali per un
discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed
etiche controverse.
10. La recezione dei frutti del cammino ecumenico nel Popolo
di Dio.
A questi Gruppi si aggiungono la Commissione Canonistica,
attivata d’intesa con il Dicastero per i Testi Legislativi, a
servizio delle innovazioni necessarie nella normativa ecclesiastica,
e il discernimento affidato al Simposio delle Conferenze episcopali
dell’Africa e del Madagascar intorno all’accompagnamento pastorale
di persone in situazione di matrimonio poligamico. Il lavoro di
questi Gruppi e Commissioni ha avviato la fase attuativa, ha
arricchito il lavoro della Seconda Sessione, e aiuterà il Santo
Padre nelle scelte pastorali e di governo.
9. Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’attuale Assemblea del
Sinodo dei Vescovi, ma comprende la fase attuativa. Come membri dell’Assemblea,
sentiamo come nostro compito impegnarci nella sua animazione come missionari
della sinodalità all’interno delle comunità da cui proveniamo. A tutte le Chiese
locali chiediamo di proseguire il loro quotidiano cammino con una metodologia sinodale di consultazione e discernimento, individuando
modalità concrete e percorsi formativi per realizzare una tangibile conversione
sinodale nelle varie realtà ecclesiali (Parrocchie, Istituti di vita consacrata
e Società di vita apostolica, Aggregazioni di Fedeli, Diocesi, Conferenze
episcopali, raggruppamenti di Chiese, ecc.). Andrà anche prevista una
valutazione dei progressi compiuti in termini di sinodalità e di partecipazione
di tutti i Battezzati alla vita della Chiesa. Alle Conferenze episcopali e ai
Sinodi delle Chiese sui iuris suggeriamo di dedicare persone
e risorse per accompagnare il percorso di crescita come Chiesa
sinodale in missione e per mantenere i contatti con la Segreteria
Generale del Sinodo (cfr. EC 19 §§ 1 e 2). Ad essa chiediamo di
continuare a vigilare sulla qualità sinodale del metodo di lavoro
dei Gruppi di Studio.
10. Offerto al Santo Padre e alle Chiese come frutto della XVI Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, questo Documento finale fa
tesoro di tutti i passi sin qui compiuti. Raccoglie alcune importanti
convergenze emerse nella Prima Sessione, i contributi provenienti dalle Chiese
nei mesi tra la Prima e la Seconda Sessione e ciò che è maturato, soprattutto
grazie alla conversazione nello Spirito, durante la Seconda Sessione.
11. Il Documento finale esprime la consapevolezza che la chiamata
alla missione è contemporaneamente la chiamata alla conversione di ogni Chiesa
locale e della Chiesa tutta, nella prospettiva indicata nell’Esortazione
Apostolica
Evangelii gaudium (cfr. n. 30). Le parti del testo sono
cinque. La prima, intitolata Il cuore della sinodalità, delinea i fondamenti
teologici e spirituali che illuminano e alimentano ciò che viene in seguito.
Ripropone la comprensione condivisa della sinodalità emersa nella Prima Sessione
e ne sviluppa le prospettive spirituali e profetiche. La conversione dei
sentimenti, delle immagini e dei pensieri che abitano il nostro cuore procede
assieme alla conversione dell’azione pastorale e missionaria. La seconda parte,
dal titolo Sulla barca, insieme, è dedicata alla conversione delle
relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione
nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri. La terza, «Gettate la rete»,
identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale,
processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della
valutazione. Anche rispetto ad esse ci è chiesto di avviare percorsi di
“trasformazione missionaria”, per la quale è urgente un rinnovamento degli
organismi di partecipazione. La quarta parte, sotto il titolo Una pesca
abbondante, delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo
scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un
tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiando
profondamente. Segue una quinta parte, «Anch’io mando voi», che permette
di guardare a un passo indispensabile: curare la formazione di tutti, nel Popolo
di Dio, alla sinodalità missionaria.
12. Lo sviluppo del Documento finale è guidato dai racconti evangelici
della Risurrezione. La corsa al sepolcro nell’alba di Pasqua, l’apparizione del
Risorto nel Cenacolo e sulla riva del lago hanno ispirato il nostro
discernimento e nutrito il nostro dialogo. Abbiamo invocato il dono pasquale
dello Spirito Santo, chiedendo a Lui di insegnarci ciò che dobbiamo fare e
mostrarci il cammino da seguire tutti insieme. Con questo Documento
l’Assemblea riconosce e testimonia che la sinodalità, dimensione costitutiva
della Chiesa, è già parte dell’esperienza di tante nostre comunità. Allo stesso
tempo, suggerisce strade da percorrere, pratiche da attuare, orizzonti da
esplorare. Il Santo Padre, che ha convocato la Chiesa in Sinodo, dirà alle
Chiese, affidate alla cura pastorale dei Vescovi, come proseguire il nostro
cammino sorretti dalla speranza che «non delude» (Rm 5,5).
Parte I
– Il cuore della sinodalità
Chiamati dallo Spirito
Santo alla conversione
Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di
mattino,
quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal
sepolcro. Corse allora
e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che
Gesù amava (Gv 20,1-2).
13. Al mattino di Pasqua troviamo tre discepoli: Maria di
Magdala, Simon Pietro, il Discepolo che Gesù amava. Ognuno di loro
cerca il Signore a modo suo; ognuno ha il proprio ruolo nell’alba
della speranza. Maria Maddalena è spinta da un amore che la conduce
per prima al sepolcro. Avvisati da lei, Pietro e il Discepolo Amato
si dirigono al sepolcro; il Discepolo Amato corre con la forza della
giovinezza, cerca con lo sguardo di chi intuisce per primo, ma sa
cedere il passo a chi, più anziano, ha ricevuto il compito di guida;
Pietro, appesantito dall’aver rinnegato il Signore, è atteso
all’appuntamento con la misericordia di cui sarà ministro nella
Chiesa. Maria resta nel giardino, si sente chiamare per nome,
riconosce il Signore che la invia ad annunciare la Sua risurrezione
alla comunità dei discepoli. Per questo la Chiesa la riconosce come
Apostola degli Apostoli. La loro dipendenza reciproca incarna il
cuore della sinodalità.
14. La Chiesa esiste per testimoniare al mondo l’evento decisivo
della storia: la risurrezione di Gesù. Il Risorto porta al mondo la
pace e ci fa dono del Suo Spirito. Il Cristo vivente è la sorgente
della vera libertà, il fondamento della speranza che non delude, la
rivelazione del vero volto di Dio e del destino ultimo dell’uomo. I
Vangeli ci raccontano che per entrare nella fede pasquale e
divenirne testimoni è necessario riconoscere il proprio vuoto
interiore, il buio della paura, del dubbio, del peccato. Ma coloro
che nell’oscurità hanno il coraggio di uscire e mettersi in ricerca,
scoprono in realtà di essere cercati, chiamati per nome, perdonati e
inviati insieme ai fratelli e alle sorelle.
La Chiesa Popolo di Dio, sacramento di
unità
15. Dal Battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo scaturisce l’identità del Popolo di Dio. Essa si attua come
chiamata alla santità e invio in missione per invitare tutti i
popoli ad accogliere il dono della salvezza (cfr. Mt 28,18-19). È
dunque dal Battesimo, in cui Cristo ci riveste di Sé (cfr. Gal 3,27)
e ci fa rinascere dallo Spirito (cfr. Gv 3,5-6) come figli di
Dio, che nasce la Chiesa sinodale missionaria. Tutta la vita
cristiana ha la sua sorgente e il suo orizzonte nel mistero della
Trinità, che suscita in noi il dinamismo della fede, della speranza
e della carità.
16. «È piaciuto a Dio di santificare e salvare gli uomini non
separatamente e senza alcun legame fra di loro, ma ha voluto
costituirli in un Popolo che lo riconoscesse nella verità e lo
servisse nella santità» (LG 9). Il Popolo di Dio in cammino verso il
Regno è continuamente alimentato dall’Eucaristia, sorgente di
comunione e di unità: «Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché
molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane»
(1Cor 10,17). La Chiesa, nutrita dal sacramento del Corpo e Sangue
del Signore, è costituita come Suo Corpo (cfr. LG 7): «Voi siete
Corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra»
(1Cor 12,27). Vivificata dalla grazia, essa è Tempio dello Spirito
Santo (cfr. LG 4): è Lui, infatti, che la anima e la edifica,
facendo di tutti noi le pietre vive di un edificio spirituale (cfr.
1Pt 2,5; LG 6).
17. Il processo sinodale ci ha fatto provare il «gusto
spirituale» (EG 268) di essere Popolo di Dio, riunito da ogni tribù,
lingua, popolo e nazione, che vive in contesti e culture diverse.
Esso non è mai la semplice somma dei Battezzati, ma il soggetto
comunitario e storico della sinodalità e della missione, ancora
pellegrinante nel tempo e già in comunione con la Chiesa del cielo.
Nei diversi contesti nei quali le singole Chiese sono radicate, il
Popolo di Dio annuncia e testimonia la Buona Notizia della salvezza;
vivendo nel mondo e per il mondo, cammina insieme a tutti i popoli
della terra, dialoga con le loro religioni e le loro culture
riconoscendo in esse i semi del Verbo, e avanza verso il Regno.
Incorporati in questo Popolo per la fede e il Battesimo, siamo
sostenuti e accompagnati dalla Vergine Maria, «segno di sicura
speranza e di consolazione» (LG 68), dagli Apostoli, da coloro che
hanno testimoniato la loro fede fino a dare la vita, dai santi di
ogni tempo e di ogni luogo.
18. Nel Popolo santo di Dio, che è la Chiesa, la comunione dei
Fedeli (communio Fidelium) è al tempo stesso la comunione
delle Chiese (communio Ecclesiarum), che si manifesta nella
comunione dei Vescovi (communio Episcoporum), in
ragione del principio antichissimo che «il Vescovo è nella Chiesa e
la Chiesa nel Vescovo» (S. Cipriano, Epistola 66, 8). Al
servizio di questa multiforme comunione il Signore ha posto
l’apostolo Pietro (cfr. Mt 16,18) e i suoi successori. In forza del
ministero petrino, il Vescovo di Roma è «il perpetuo e visibile
principio e il fondamento» (LG 23) dell’unità della Chiesa.
19. «Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri»
(EG 197), gli emarginati e gli esclusi, e perciò anche in quello
della Chiesa. In loro la comunità cristiana incontra il volto e la
carne di Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per noi,
perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr.
2Cor 8,9). L’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella
fede cristologica. I poveri hanno una conoscenza diretta del Cristo
sofferente (cfr. EG 198) che li rende annunciatori di una salvezza
ricevuta in dono e testimoni della gioia del Vangelo. La Chiesa è
chiamata a essere povera con i poveri, che sono spesso la
maggioranza dei Fedeli, ad ascoltarli e a considerarli soggetti
dell’evangelizzazione, imparando insieme a riconoscere i carismi che
essi ricevono dallo Spirito.
20. «La luce delle genti è Cristo» (LG 1) e questa luce risplende
sul volto della Chiesa, pur segnata dalla fragilità della condizione
umana e dalla opacità del peccato. Essa riceve da Cristo il dono e
la responsabilità di essere il lievito efficace dei legami, delle
relazioni e della fraternità della famiglia umana (cfr. AG 2-4),
testimoniando nel mondo il senso e la meta del suo cammino (cfr. GS
3 e 42). Assume oggi questa responsabilità in un tempo dominato
dalla crisi della partecipazione – cioè del sentirsi parte e attori
di un destino comune – e da una concezione individualista della
felicità e della salvezza. La sua vocazione e il suo servizio
profetico (cfr. LG 12) consistono nel testimoniare il
progetto di Dio di unire a sé tutta l’umanità nella libertà e nella
comunione. La Chiesa, che è «il Regno di Cristo già misteriosamente
presente» (LG 3) e «di questo Regno costituisce sulla terra il germe
e l’inizio» (LG 5), cammina perciò insieme a tutta l’umanità,
impegnandosi con tutte le sue forze per la dignità umana, il bene
comune, la giustizia e la pace, e «anela al Regno perfetto» (LG 5),
quando Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28).
Le radici sacramentali del Popolo di
Dio
21. Il cammino sinodale della Chiesa ci ha condotti a riscoprire
che la varietà delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri ha una
radice: «Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito
in un solo corpo» (1Cor 12,13). Il Battesimo è il fondamento della
vita cristiana perché introduce tutti nel dono più grande: essere
figli di Dio, cioè partecipi della relazione di Gesù al Padre nello
Spirito. Nulla vi è di più alto di questa dignità, ugualmente donata
a ogni persona, che ci fa rivestire di Cristo ed essere innestati in
Lui come tralci nella vite. Nel nome di “cristiano” che abbiamo
l’onore di portare è racchiusa la grazia che è alla base della
nostra vita e che ci fa camminare insieme come fratelli e sorelle.
22. In forza del Battesimo «il Popolo santo di Dio partecipa pure
della funzione profetica di Cristo, dando viva testimonianza di Lui
anzitutto con una vita di fede e di carità» (LG 12). Grazie
all’unzione dello Spirito Santo ricevuta nel Battesimo (cfr. 1Gv
2,20.27), tutti i credenti possiedono un istinto per la verità del
Vangelo, chiamato sensus fidei. Esso consiste in una certa
connaturalità con le realtà divine, fondata sul fatto che nello
Spirito Santo i Battezzati «sono resi partecipi della natura divina»
(DV 2). Da questa partecipazione deriva l’attitudine a cogliere
intuitivamente ciò che è conforme alla verità della Rivelazione
nella comunione della Chiesa. Per questo la Chiesa ha la certezza
che il Popolo santo di Dio non può sbagliarsi nel credere, quando la
totalità dei Battezzati esprime il suo universale consenso in
materia di fede e di morale (cfr. LG 12). L’esercizio del sensus
fidei non si confonde con l’opinione pubblica. È sempre
congiunto al discernimento dei Pastori ai diversi livelli della vita
ecclesiale, come mostra l’articolazione delle fasi del processo
sinodale. Esso punta a raggiungere quel consenso dei Fedeli (consensus
Fidelium) che costituisce «un criterio sicuro per
determinare se una particolare dottrina o una prassi particolare
appartengono alla fede apostolica» (Commissione Teologica
Internazionale,
Il sensus fidei nella vita della Chiesa, 2014, n. 3).
23. Attraverso il Battesimo tutti i Cristiani partecipano al
sensus fidei. Perciò esso, oltre che principio della sinodalità,
costituisce anche il fondamento dell’ecumenismo. «Il cammino della
sinodalità, che la Chiesa Cattolica sta percorrendo, è e deve essere
ecumenico, così come il cammino ecumenico è sinodale» (Papa
Francesco,
Discorso a Sua Santità Mar Awa III, 19 novembre
2022). L’ecumenismo è anzitutto una questione di rinnovamento
spirituale. Esige processi di pentimento e di guarigione della
memoria delle ferite passate, fino al coraggio della correzione
fraterna in spirito di carità evangelica. Nell’Assemblea sono
risuonate testimonianze illuminanti di Cristiani di diverse
tradizioni ecclesiali che condividono l’amicizia, la preghiera, la
vita e l’impegno per il servizio dei poveri e la cura della casa
comune. In non poche regioni del mondo c’è soprattutto l’ecumenismo
del sangue: Cristiani di appartenenze diverse che insieme danno la
vita per la fede in Gesù Cristo. La testimonianza del loro martirio
è più eloquente di ogni parola: l’unità viene dalla Croce del
Signore.
24. Non è possibile comprendere pienamente il Battesimo se non
all’interno dell’Iniziazione Cristiana, ossia dell’itinerario
attraverso cui il Signore, mediante il ministero della Chiesa e il
dono dello Spirito, ci introduce nella fede pasquale e ci inserisce
nella comunione trinitaria ed ecclesiale. Tale itinerario conosce
una significativa varietà di forme a seconda dell’età in cui viene
intrapreso, delle diverse accentuazioni proprie delle tradizioni
orientali e di quella occidentale, e delle specificità di ciascuna
Chiesa locale. L’Iniziazione pone a contatto con una grande varietà
di vocazioni e di ministeri ecclesiali. In essi si esprime il volto
misericordioso di una Chiesa che insegna ai suoi figli a camminare
camminando con loro. Li ascolta e, mentre risponde ai loro dubbi e
alle loro domande, si arricchisce della novità che ogni persona
porta in sé, con la sua storia e la sua cultura. Nella pratica di
questa azione pastorale la comunità cristiana sperimenta, spesso
senza averne piena consapevolezza, la prima forma di sinodalità.
25. All’interno dell’itinerario dell’Iniziazione Cristiana il
sacramento della Confermazione arricchisce la vita dei credenti con
una particolare effusione dello Spirito in vista della
testimonianza. Lo Spirito di cui Gesù era ricolmo (cfr. Lc 4,1), che
lo ha consacrato con l’unzione e inviato a proclamare il Vangelo
(cfr. Lc 4,18), è lo stesso Spirito che viene riversato sui credenti
come sigillo dell’appartenenza a Dio e come unzione che santifica.
Per questo la Confermazione, che rende attuale nella vita del
Battezzato e della comunità la grazia della Pentecoste, è un dono di
grande valore per rinnovare il prodigio di una Chiesa mossa dal
fuoco della missione, che abbia il coraggio di uscire per le vie del
mondo e la capacità di farsi comprendere da tutti i popoli e da
tutte le culture. Tutti i credenti sono chiamati a contribuire a
questo slancio, accogliendo i carismi che lo Spirito distribuisce
con abbondanza a ciascuno e impegnandosi a metterli al servizio del
Regno con umiltà e intraprendenza creativa.
26. La celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto alla domenica, è
la prima e fondamentale forma con cui il santo Popolo di Dio si
riunisce e si incontra. Nella celebrazione eucaristica «l’unità
della Chiesa viene sia significata sia prodotta» (UR 2). Nella
«piena, consapevole e attiva partecipazione» (SC 14) di tutti i
Fedeli, nella presenza di diversi ministeri e nella presidenza da
parte del Vescovo o del Presbitero, si rende visibile la comunità
cristiana, nella quale si realizza una corresponsabilità
differenziata di tutti per la missione. Per questo la Chiesa, Corpo
di Cristo, impara dall’Eucaristia ad articolare unità e pluralità:
unità della Chiesa e molteplicità delle assemblee eucaristiche;
unità del mistero sacramentale e varietà delle tradizioni
liturgiche; unità della celebrazione e diversità delle vocazioni,
dei carismi e dei ministeri. Nulla più dell’Eucaristia mostra che
l’armonia creata dallo Spirito non è uniformità e che ogni dono
ecclesiale è destinato all’edificazione comune. Ogni celebrazione
dell’Eucaristia è anche espressione del desiderio e appello
all’unità di tutti i Battezzati che non è ancora piena e visibile.
Dove la celebrazione domenicale dell’Eucaristia non è possibile, la
comunità, pur desiderandola, si raccoglie intorno alla celebrazione
della Parola, dove Cristo è comunque presente.
27. Esiste uno stretto legame tra synaxis e synodos,
tra l’assemblea eucaristica e quella sinodale. Pur in forma diversa,
in entrambe si realizza la promessa di Gesù di essere presente dove
due o tre sono riuniti nel Suo nome (cfr. Mt 18,20). Le assemblee
sinodali sono eventi che celebrano l’unione di Cristo con la Sua
Chiesa attraverso l’azione dello Spirito. È Lui che assicura l’unità
del Corpo ecclesiale di Cristo nell’assemblea eucaristica come in
quella sinodale. La liturgia è un ascolto della Parola di Dio e una
risposta alla sua iniziativa di alleanza. Anche l’assemblea sinodale
è un ascolto della medesima Parola, che risuona tanto nei segni dei
tempi quanto nel cuore dei Fedeli, e una risposta dell’assemblea che
discerne la volontà di Dio per metterla in pratica.
L’approfondimento del legame tra liturgia e sinodalità aiuterà tutte
le comunità cristiane, nella pluriformità delle loro culture e
tradizioni, ad assumere stili celebrativi che manifestino il volto
di una Chiesa sinodale. A questo scopo, chiediamo l’istituzione di
uno specifico Gruppo di Studio, a cui affidare anche la riflessione
su come rendere le celebrazioni liturgiche più espressive della
sinodalità; si potrà inoltre occupare della predicazione all’interno
delle celebrazioni liturgiche e dello sviluppo di una catechesi
sulla sinodalità in chiave mistagogica.
Significato e dimensioni della
sinodalità
28. I termini “sinodalità” e “sinodale” derivano dall’antica e
costante pratica ecclesiale del radunarsi in sinodo. Nelle
tradizioni delle Chiese d’Oriente e d’Occidente la parola “sinodo”
si riferisce a istituzioni ed eventi che nel tempo hanno assunto
forme diverse, coinvolgendo una pluralità di soggetti. Nella loro
varietà tutte queste forme sono accomunate dal radunarsi insieme per
dialogare, discernere e decidere. Grazie all’esperienza degli ultimi
anni, il significato di questi termini è stato maggiormente compreso
e più ancora vissuto. Sempre più essi sono stati associati al
desiderio di una Chiesa più vicina alle persone e più relazionale,
che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso del processo sinodale è
maturata una convergenza sul significato di sinodalità che sta alla
base di questo Documento: la sinodalità è il camminare insieme dei
Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione a tutta
l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in
assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto
reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del
consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello
Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità
differenziata. In questa linea comprendiamo meglio che cosa
significa che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa
(cfr. CTI, n. 1). In termini semplici e sintetici, si può dire che
la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma
strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria,
per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna
irradiando la luce di Cristo.
29. Nella Vergine Maria, Madre di Cristo, della Chiesa e
dell’umanità, vediamo risplendere in piena luce i tratti di una
Chiesa sinodale, missionaria e misericordiosa. Ella è infatti la
figura della Chiesa che ascolta, prega, medita, dialoga, accompagna,
discerne, decide e agisce. Da Lei impariamo l’arte dell’ascolto,
l’attenzione alla volontà di Dio, l’obbedienza alla Sua Parola, la
capacità di cogliere il bisogno dei poveri, il coraggio di mettersi
in cammino, l’amore che aiuta, il canto di lode e l’esultanza nello
Spirito. Per questo, come affermava San Paolo VI, «l’azione della
Chiesa nel mondo è come un prolungamento della sollecitudine di
Maria» (MC 28).
30. In modo più dettagliato, la sinodalità designa tre aspetti
distinti della vita della Chiesa:
a) in primo luogo, si riferisce allo «stile
peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa,
esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi
in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella
forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve
esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa.
Tale modus vivendi et operandi si realizza attraverso
l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione
dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la
corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai
suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e
ruoli, alla sua vita e alla sua missione» (CTI, n. 70a);
b) in secondo luogo, «la sinodalità designa poi, in
senso più specifico e determinato dal punto di vista teologico e
canonico, quelle strutture e quei processi ecclesiali
in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a livello
istituzionale, in modo analogo, sui vari livelli della sua
realizzazione: locale, regionale, universale. Tali strutture e
processi sono a servizio del discernimento autorevole della
Chiesa, chiamata a individuare la direzione da seguire in
ascolto dello Spirito Santo» (CTI, n. 70b);
c) in terzo luogo, la sinodalità designa «l’accadere
puntuale di quegli eventi sinodali in cui la Chiesa è
convocata dall’autorità competente e secondo specifiche
procedure determinate dalla disciplina ecclesiastica,
coinvolgendo in modi diversi, sul livello locale, regionale e
universale, tutto il Popolo di Dio sotto la presidenza dei
Vescovi in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di
Roma, per il discernimento del suo cammino e di particolari
questioni, e per l’assunzione di decisioni e orientamenti al
fine di adempiere alla sua missione evangelizzatrice» (CTI, n.
70c).
31. Nel contesto dell’ecclesiologia conciliare del Popolo di Dio,
il concetto di comunione esprime la sostanza profonda del mistero e
della missione della Chiesa, che ha nella celebrazione
dell’Eucaristia la sua fonte e il suo culmine, ossia l’unione con
Dio Trinità e l’unità tra le persone umane che si realizza in Cristo
mediante lo Spirito Santo. Su questo sfondo, la sinodalità «indica
lo specifico modo di vivere e operare della Chiesa Popolo di Dio che
manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel
“camminare insieme”, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare
attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione
evangelizzatrice» (CTI, n. 6).
32. La sinodalità non è fine a se stessa, ma mira alla missione
che Cristo ha affidato alla Chiesa nello Spirito. Evangelizzare è
«la missione essenziale della Chiesa […] è la grazia e la vocazione
propria della Chiesa, la sua identità profonda» (EN 14). Facendosi
prossima a tutti, senza differenza di persone, predicando e
insegnando, battezzando, celebrando l’Eucaristia e il sacramento
della Riconciliazione, tutte le Chiese locali e la Chiesa intera
rispondono concretamente al comando del Signore di annunciare il
Vangelo a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19-20; Mc 16,15-16).
Valorizzando tutti i carismi e i ministeri, la sinodalità consente
al Popolo di Dio di annunciare e testimoniare il Vangelo alle donne
e agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, facendosi «sacramento
visibile» (LG 9) della fraternità e dell’unità in Cristo voluta da
Dio. Sinodalità e missione sono intimamente congiunte: la missione
illumina la sinodalità e la sinodalità spinge alla missione.
33. L’autorità dei Pastori «è un dono specifico dello Spirito di
Cristo Capo per l’edificazione dell’intero Corpo» (CTI, n. 67). Tale
dono è legato al sacramento dell’Ordine che configura a Cristo Capo,
Pastore e Servo, e pone quanti lo ricevono a servizio del santo
Popolo di Dio per custodire l’apostolicità dell’annuncio e
promuovere a tutti i livelli la comunione ecclesiale. La sinodalità
offre «la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo
stesso ministero gerarchico» (Francesco,
Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione
del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015) e colloca nella
giusta prospettiva il mandato che Cristo affida, nello Spirito
Santo, ai Pastori. Essa, dunque, invita tutta la Chiesa, compresi
quanti esercitano un’autorità, alla conversione e alla riforma.
L’unità come armonia
34. «La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si
realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo
autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è
isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione
con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa
quindi fondamentale» (CV 53). Una Chiesa sinodale si caratterizza
come spazio in cui le relazioni possono fiorire, grazie all’amore
reciproco che costituisce il comandamento nuovo lasciato da Gesù ai
Suoi discepoli (cfr. Gv 13,34-35). All’interno di culture e società
sempre più individualiste, la Chiesa, «popolo radunato nell’unità
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4), può dare
testimonianza della forza di relazioni fondate nella Trinità. Le
differenze di vocazione, età, sesso, professione, condizione e
appartenenza sociale, presenti in ogni comunità cristiana, offrono a
ciascuno quell’incontro con l’alterità indispensabile per la
maturazione personale.
35. È innanzi tutto all’interno della famiglia, che con il
Concilio si potrebbe chiamare «Chiesa domestica» (LG 11), che si
vive la ricchezza dei rapporti tra persone unite nella loro
diversità di carattere, sesso, età e ruolo. Per questo le famiglie
rappresentano un luogo privilegiato per apprendere e sperimentare le
pratiche essenziali di una Chiesa sinodale. Nonostante le fratture e
le sofferenze che le famiglie sperimentano, restano luoghi in cui si
apprende a scambiarsi il dono dell’amore, della fiducia, del
perdono, della riconciliazione e della comprensione. È in famiglia
che impariamo che abbiamo la stessa dignità, che siamo creati per la
reciprocità, che abbiamo bisogno di essere ascoltati e che siamo
capaci di ascoltare, di discernere e decidere insieme, di accettare
ed esercitare un’autorità animata dalla carità, di essere
corresponsabili e di rendere conto delle nostre azioni. «La famiglia
umanizza le persone attraverso la relazione del “noi” e allo stesso
tempo promuove le legittime differenze di ciascuno» (Francesco,
Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia
delle Scienze Sociali, 29 aprile 2022).
36. Il processo sinodale ha evidenziato che lo Spirito Santo
costantemente suscita nel Popolo di Dio una grande varietà di
carismi e ministeri. «Anche nell’edificazione del Corpo di Cristo
vige una varietà di membra e di funzioni. Uno solo è lo Spirito che
distribuisce i Suoi vari doni per l’utilità della Chiesa, a misura
della sua ricchezza e delle necessità dei ministeri (cfr. 1Cor
12,1-11)» (LG 7). Ugualmente è emersa l’aspirazione ad ampliare le
possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità
differenziata di tutti i Battezzati, uomini e donne. A tale
riguardo, però, è stata espressa la tristezza provocata dalla
mancata partecipazione di tanti membri del Popolo di Dio a questo
cammino di rinnovamento ecclesiale e da una fatica diffusa nel
vivere pienamente una sana relazionalità tra uomini e donne, tra
generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e
condizioni sociali, in particolare i poveri e gli esclusi.
37. Il processo sinodale ha altresì messo in evidenza il
patrimonio spirituale delle Chiese locali, nelle quali e dalle quali
esiste la Chiesa Cattolica, e la necessità di articolare le loro
esperienze. In virtù della cattolicità, «le singole parti offrono i
propri doni alle altre e alla Chiesa intera, così che il tutto e le
singole parti traggano vantaggio dalla reciproca comunicazione di
tutti e dal tendere in unità verso la pienezza» (LG 13). Il
ministero del Successore di Pietro «garantisce le legittime
diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non
nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al servizio» (ibid.; cfr.
AG 22).
38. La Chiesa intera è da sempre una pluralità di popoli e
lingue, di Chiese con i loro particolari riti, discipline e
patrimoni teologici e spirituali, di vocazioni, carismi e ministeri
a servizio dell’utilità comune. L’unità di questa varietà è
realizzata da Cristo, pietra angolare, e dallo Spirito, maestro di
armonia. Questa unità nella diversità è precisamente designata dalla
cattolicità della Chiesa. Di essa è segno la pluralità di Chiese
sui iuris, di cui il processo sinodale ha evidenziato la
ricchezza. L’Assemblea chiede che si prosegua lungo la strada
dell’incontro, della reciproca comprensione e dello scambio di doni
che nutrono la comunione di una Chiesa di Chiese.
39. Il rinnovamento sinodale favorisce la valorizzazione dei
contesti come luogo in cui si rende presente e si realizza
l’universale chiamata di Dio a far parte del Suo Popolo, di quel
Regno di Dio che è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm
14,17). In questo modo, culture diverse sono in grado di cogliere
l’unità che sottende la loro pluralità e le apre alla prospettiva
dello scambio di doni. «L’unità della Chiesa non è l’uniformità, ma
l’integrazione organica delle legittime diversità» (NMI 46).
La varietà delle espressioni del messaggio salvifico evita di
ridurlo a un’unica comprensione della vita della Chiesa e delle
forme teologiche, liturgiche, pastorali e disciplinari in cui essa
si esprime.
40. La valorizzazione dei contesti, delle culture e delle
diversità, e delle relazioni tra di loro, è una chiave per crescere
come Chiesa sinodale missionaria e camminare, per impulso dello
Spirito Santo, verso l’unità visibile dei Cristiani. Ribadiamo
l’impegno della Chiesa Cattolica a proseguire e intensificare il
cammino ecumenico con altri Cristiani, in forza del comune Battesimo
e in risposta alla chiamata a vivere insieme la comunione e l’unità
tra i discepoli per cui Cristo prega nell’Ultima Cena (cfr. Gv
17,20-26). L’Assemblea saluta con gioia e gratitudine i progressi
nelle relazioni ecumeniche lungo gli ultimi sessant’anni, i
documenti di dialogo e le dichiarazioni che esprimono la fede
comune. La partecipazione dei Delegati Fraterni ha arricchito lo
svolgimento dell’Assemblea e guardiamo con speranza ai prossimi
passi del cammino verso la piena comunione grazie alla recezione dei
frutti del cammino ecumenico nelle pratiche ecclesiali.
41. In ogni luogo della terra, i Cristiani vivono fianco a fianco
con persone che non sono battezzate e servono Dio praticando una
diversa religione. Per loro preghiamo in modo solenne nella liturgia
del Venerdì Santo, con loro collaboriamo e lottiamo per costruire un
mondo migliore, e insieme a loro supplichiamo l’unico Dio di
liberare il mondo dai mali che lo affliggono. Il dialogo, l’incontro
e lo scambio di doni tipici di una Chiesa sinodale sono chiamati ad
aprirsi alle relazioni con altre tradizioni religiose, con
l’obiettivo di «stabilire amicizia, pace, armonia e condividere
valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e
amore» (Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’India, Response of
the Church in India to the present day challenges, 9
marzo 2016, citato in FT 271). In alcune regioni, i Cristiani che si
impegnano nella costruzione di rapporti fraterni con persone di
altre religioni subiscono persecuzioni. L’Assemblea li incoraggia a
perseverare nel loro impegno con speranza.
42. La pluralità delle religioni e delle culture, la multiformità
delle tradizioni spirituali e teologiche, la varietà dei doni dello
Spirito e dei compiti nella comunità, così come le diversità di età,
sesso e appartenenze sociali all’interno della Chiesa sono un invito
a ciascuno a riconoscere e assumere la propria parzialità,
rinunciando alla pretesa di mettersi al centro e aprendosi
all’accoglienza di altre prospettive. Ciascuno è portatore di un
contributo peculiare e indispensabile per completare l’opera comune.
La Chiesa sinodale può essere descritta ricorrendo all’immagine
dell’orchestra: la varietà degli strumenti è necessaria per dare
vita alla bellezza e all’armonia della musica, al cui interno la
voce di ciascuno mantiene i propri tratti distintivi a servizio
della missione comune. Si manifesta così l’armonia che lo Spirito
opera nella Chiesa, lui che è l’armonia in persona (cfr. S. Basilio,
Sul Salmo 29,1; Sullo Spirito Santo XVI, 38).
La spiritualità sinodale
43. La sinodalità è innanzi tutto una disposizione spirituale che
permea la vita quotidiana dei Battezzati e ogni aspetto della
missione della Chiesa. Una spiritualità sinodale scaturisce
dall’azione dello Spirito Santo e richiede l’ascolto della Parola di
Dio, la contemplazione, il silenzio e la conversione del cuore. Come
ha affermato Papa Francesco in apertura di questa Seconda Sessione,
«lo Spirito Santo è guida sicura, e nostro primo compito è imparare
a distinguere la Sua voce, perché Egli parla in tutti e in tutte le
cose» (Intervento
alla Prima Congregazione Generale della Seconda Sessione della XVI
Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 2
ottobre 2024). Una spiritualità sinodale esige anche ascesi, umiltà,
pazienza e disponibilità a perdonare ed essere perdonati. Accoglie
con gratitudine e umiltà la varietà dei doni e dei compiti
distribuiti dallo Spirito Santo per il servizio dell’unico Signore
(cfr. 1Cor 12,4-5). Lo fa senza ambizione o invidia, né desiderio di
dominio o di controllo, coltivando gli stessi sentimenti di Cristo
Gesù, che «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil
2,7). Ne riconosciamo il frutto quando la vita quotidiana della
Chiesa è contrassegnata da unità e armonia nella pluriformità.
Nessuno può procedere da solo su un cammino di autentica
spiritualità. Abbiamo bisogno di sostegno, compresa la formazione e
l’accompagnamento spirituale, come singoli e come comunità.
44. Il rinnovamento della comunità cristiana è possibile solo
riconoscendo il primato della grazia. Se manca la profondità
spirituale personale e comunitaria, la sinodalità si riduce a
espediente organizzativo. Siamo chiamati non solo a tradurre in
processi comunitari i frutti di un’esperienza spirituale personale,
ma a fare esperienza di come la pratica del comandamento nuovo
dell’amore reciproco sia luogo e forma di incontro con Dio. In
questo senso la prospettiva sinodale, mentre attinge al ricco
patrimonio spirituale della Tradizione, contribuisce a rinnovarne le
forme: una preghiera aperta alla partecipazione, un discernimento
vissuto insieme, un’energia missionaria che nasce dalla condivisione
e si irradia come servizio.
45. La conversazione nello Spirito è uno strumento che, pur con i
suoi limiti, risulta fecondo per consentire l’ascolto e il
discernimento di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). La
sua pratica ha suscitato gioia, stupore e gratitudine ed è stata
vissuta come un percorso di rinnovamento che trasforma gli
individui, i gruppi, la Chiesa. La parola “conversazione” esprime
qualcosa di più del semplice dialogo: intreccia in modo armonico
pensiero e sentimento e genera un mondo vitale condiviso. Per questo
si può dire che nella conversazione è in gioco la conversione. Si
tratta di un dato antropologico che si ritrova in popoli e culture
diversi, accomunate dalla pratica di un radunarsi solidale per
trattare e decidere le questioni vitali per la comunità. La grazia
porta a compimento questa esperienza umana: conversare “nello
Spirito” significa vivere l’esperienza della condivisione nella luce
della fede e nella ricerca del volere di Dio, in un’atmosfera
evangelica entro cui lo Spirito Santo può far udire la Sua voce
inconfondibile.
46. In ogni fase del processo sinodale è risuonato il bisogno di
guarigione, riconciliazione e ricostruzione della fiducia
all’interno della Chiesa, in particolare in seguito ai troppi
scandali legati ai diversi tipi di abusi, e della società. La Chiesa
è chiamata a mettere al centro della propria vita e della propria
azione il fatto che in Cristo, attraverso il Battesimo, siamo
affidati l’uno all’altro. Il riconoscimento di questa realtà
profonda si trasforma in un dovere sacro che ci rende capaci di
riconoscere gli errori e ricostruire la fiducia. Percorrere questo
cammino è un atto di giustizia, un impegno missionario del Popolo di
Dio nel nostro mondo e un dono che dobbiamo invocare dall’alto. Il
desiderio di continuare a camminare su questa strada è frutto del
rinnovamento sinodale.
Sinodalità come profezia sociale
47. Praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa
una voce profetica nel mondo di oggi. «La Chiesa sinodale è come uno
stendardo innalzato tra le nazioni (cfr. Is 11,12)» (Francesco,
Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione
del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). Viviamo in
un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una
crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di
governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia, da
crescenti tendenze autocratiche e dittatoriali, dal predominio del
modello di mercato senza riguardo per la vulnerabilità delle persone
e della creazione, e dalla tentazione di risolvere i conflitti con
la forza piuttosto che con il dialogo. Pratiche autentiche di
sinodalità permettono ai Cristiani di elaborare una cultura capace
di profezia critica nei confronti del pensiero dominante e offrire
così un contributo peculiare alla ricerca di risposte a molte delle
sfide che le società contemporanee devono affrontare e alla
costruzione del bene comune.
48. Il modo sinodale di vivere le relazioni è una forma di
testimonianza nei confronti della società. Inoltre risponde al
bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno
di una comunità concreta. È una sfida al crescente isolamento delle
persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha
spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca,
all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune.
Allo stesso modo, sfida un comunitarismo sociale esagerato che
soffoca le persone e non permette loro di essere soggetti del
proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di tutti,
specialmente dei poveri, si pone in netto contrasto con un mondo in
cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli
emarginati, le minoranze e la terra, nostra casa comune. Sinodalità
ed ecologia integrale assumono entrambe la prospettiva delle
relazioni e insistono sulla necessità della cura dei legami: per
questo si corrispondono e si integrano nel modo di vivere la
missione della Chiesa nel mondo contemporaneo.
Parte II
- Sulla barca, insieme
La conversione delle
relazioni
Si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di
Galilea,
i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io
vado a pescare». Gli
dissero: «Veniamo anche noi con te» (Gv 21,2-3).
49. Il lago di Tiberiade è il luogo in cui tutto era iniziato.
Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni avevano lasciato la barca e le
reti per andare dietro a Gesù. Dopo la Pasqua, si riparte da quel
lago. Nella notte, sulla riva risuona un dialogo: «Io vado a
pescare». «Veniamo anche noi con te». Anche il percorso sinodale è
iniziato così: abbiamo udito l’invito del Successore di Pietro e
l’abbiamo accolto; ci siamo messi in movimento con lui e dietro di
lui. Insieme abbiamo pregato, riflettuto, faticato e dialogato. Ma
soprattutto abbiamo sperimentato che sono le relazioni a sostenere
la vitalità della Chiesa, animando le sue strutture. Una Chiesa
sinodale missionaria ha bisogno di rinnovare le une e le altre.
Relazioni nuove
50. Lungo tutto il cammino del Sinodo e a tutte le latitudini è
emersa la richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le
relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle
comunità, tra tutti i Cristiani, tra gruppi sociali, tra le
religioni, con la creazione. Molti hanno espresso la sorpresa di
essere interpellati e la gioia di poter far sentire la loro voce
nella comunità; non è mancato anche chi ha condiviso la sofferenza
di sentirsi escluso o giudicato anche a causa della propria
situazione matrimoniale, identità e sessualità. Il desiderio di
relazioni più autentiche e significative non esprime soltanto
l’aspirazione di appartenere a un gruppo coeso, ma corrisponde a una
profonda consapevolezza di fede: la qualità evangelica dei rapporti
comunitari è decisiva per la testimonianza che il Popolo di Dio è
chiamato a rendere nella storia. «Da questo tutti sapranno che siete
miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Le
relazioni rinnovate dalla grazia e l’ospitalità offerta agli ultimi
secondo l’insegnamento di Gesù sono il segno più eloquente
dell’azione dello Spirito Santo nella comunità dei discepoli. Per
essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione
relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura
delle relazioni non è una strategia o lo strumento per una maggiore
efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato
in Gesù e nello Spirito. Quando le nostre relazioni, pur nella loro
fragilità, fanno trasparire la grazia di Cristo, l’amore del Padre,
la comunione dello Spirito, noi confessiamo con la vita la fede in
Dio Trinità.
51. È ai Vangeli che dobbiamo guardare per tracciare la mappa
della conversione che ci è richiesta, imparando a fare nostri gli
atteggiamenti di Gesù. I Vangeli ce lo «presentano costantemente in
ascolto delle persone che gli si fanno incontro lungo le strade
della Terra Santa» (DTC 11). Che si trattasse di uomini o di donne,
di ebrei o di pagani, di dottori della legge o di pubblicani, di
giusti o di peccatori, di mendicanti, di ciechi, di lebbrosi o di
malati, Gesù non ha mandato via nessuno senza fermarsi ad ascoltare
e senza entrare in dialogo. Ha rivelato il volto del Padre venendo
incontro a ognuno lì dove si trova la sua storia e la sua libertà.
Dall’ascolto dei bisogni e della fede delle persone che incontrava
sgorgavano parole e gesti che rinnovavano la loro vita, aprendo la
strada a relazioni risanate. Gesù è il Messia che «fa udire i sordi
e fa parlare i muti» (Mc 7,37). A noi Suoi discepoli chiede di
comportarci allo stesso modo e ci dona, con la grazia dello Spirito
Santo, la capacità di farlo, modellando il nostro cuore sul Suo:
solo «il cuore rende possibile qualsiasi legame autentico, perché
una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di
superare la frammentazione dell’individualismo» (DN 17). Quando ci
mettiamo in ascolto dei fratelli e delle sorelle, partecipiamo
all’atteggiamento con cui Dio in Gesù Cristo viene incontro ad
ognuno.
52. L’esigenza di conversione nelle relazioni riguarda
inequivocabilmente quelle tra uomini e donne. Il dinamismo
relazionale è iscritto nella nostra condizione di creature. La
differenza sessuale costituisce la base della relazionalità umana.
«Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio
e femmina li creò» (Gen 1,27). Nel progetto di Dio questa differenza
originaria non comporta disuguaglianza tra uomo e donna. Nella nuova
creazione, essa viene riletta alla luce della dignità del Battesimo:
«Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di
Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è
maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal
3,27-28). Come Cristiani siamo chiamati ad accogliere e rispettare,
nei diversi modi e nei diversi contesti in cui si esprime, questa
differenza che è dono di Dio e fonte di vita. Diamo testimonianza al
Vangelo quando cerchiamo di vivere relazioni che rispettano l’uguale
dignità e la reciprocità tra uomini e donne. Le ricorrenti
espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione
e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo
sinodale, rivelano quanto spesso non riusciamo a farlo.
In una pluralità di contesti
53. La chiamata al rinnovamento delle relazioni nel Signore Gesù
risuona nella pluralità dei contesti in cui i Suoi discepoli vivono
e realizzano la missione della Chiesa. Ciascuno di questi contesti
ha peculiari ricchezze di cui è indispensabile tenere conto, legate
al pluralismo delle culture. Tutti però, pur con modalità diverse,
portano i segni di logiche relazionali distorte e talvolta opposte a
quelle del Vangelo. Lungo la storia, le chiusure relazionali si sono
solidificate in strutture di peccato (cfr. SRS 36), che influenzano
il modo in cui le persone pensano e agiscono. In particolare,
generano blocchi e paure, che abbiamo bisogno di guardare in faccia
e attraversare per poterci incamminare sulla strada della
conversione relazionale.
54. Trovano radice in questa dinamica i mali che affliggono il
nostro mondo, a partire dalle guerre e dai conflitti armati, e
dall’illusione che una pace giusta si possa ottenere con la forza
delle armi. Altrettanto letale è la convinzione che tutto il creato,
perfino le persone, possano essere sfruttati a piacimento per
ricavarne profitto. Ne sono conseguenza le molte e diverse barriere
che dividono le persone, anche nelle comunità cristiane, e limitano
le possibilità di alcuni rispetto a quelle di cui godono altri: le
disuguaglianze tra uomini e donne, il razzismo, la divisione in
caste, la discriminazione delle persone con disabilità, la
violazione dei diritti delle minoranze di ogni genere, la mancata
disponibilità ad accogliere i migranti. Anche la relazione con la
terra, nostra sorella e madre (cfr. LS 1), porta i segni di una
frattura che mette a repentaglio la vita di innumerevoli comunità,
in particolare nelle regioni più impoverite, se non di interi popoli
e forse dell’umanità tutta. La chiusura più radicale e drammatica è
quella nei confronti della stessa vita umana, che conduce allo
scarto dei bambini, fin dal grembo materno, e degli anziani.
55. Tanti mali che affliggono il nostro mondo si manifestano
anche nella Chiesa. La crisi degli abusi, nelle sue diverse e
tragiche manifestazioni, ha portato sofferenze indicibili e spesso
durature alle vittime e ai sopravvissuti, e alle loro comunità. La
Chiesa deve ascoltare con particolare attenzione e sensibilità la
voce delle vittime e dei sopravvissuti agli abusi sessuali,
spirituali, economici, istituzionali, di potere e di coscienza da
parte di membri del clero o di persone con incarichi ecclesiali.
L’ascolto è un elemento fondamentale del cammino verso la
guarigione, il pentimento, la giustizia e la riconciliazione. In
un’epoca che conosce una crisi globale di fiducia e incoraggia le
persone a vivere nella diffidenza e nel sospetto, la Chiesa deve
riconoscere le proprie mancanze, chiedere umilmente perdono,
prendersi cura delle vittime, darsi strumenti di prevenzione e
sforzarsi di ricostruire la fiducia reciproca nel Signore.
56. L’ascolto di chi patisce esclusione ed emarginazione rafforza
la nostra consapevolezza: farsi carico del peso di queste relazioni
ferite perché il Signore, il Vivente, le risani fa parte della
missione della Chiesa. Solo così essa può essere «come il
sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). Al tempo stesso,
l’apertura al mondo permette di scoprire che in ogni angolo del
pianeta, in ogni cultura e in ogni gruppo umano, lo Spirito ha
sparso i semi del Vangelo. Essi portano frutto nella capacità di
vivere relazioni sane, di coltivare la fiducia reciproca e il
perdono, di vincere la paura del diverso e dare vita a comunità
accoglienti, di promuovere un’economia attenta alle persone e al
pianeta, di riconciliarsi dopo un conflitto. La storia ci consegna
un retaggio di conflitti motivati anche in nome dell’appartenenza
religiosa, minando la credibilità delle religioni stesse. Fonte di
sofferenza è lo scandalo della divisione tra comunioni cristiane,
l’inimicizia tra fratelli e sorelle che hanno ricevuto lo stesso
Battesimo. La rinnovata esperienza di slancio ecumenico che
accompagna il cammino sinodale, uno dei segni della conversione
relazionale, apre alla speranza.
Carismi, vocazioni e ministeri per la
missione
57. I Cristiani, personalmente o in forma associata, sono
chiamati a far fruttificare i doni che lo Spirito elargisce in vista
della testimonianza e dell’annuncio del Vangelo. «Vi sono diversi
carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno
solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che
opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione
particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12, 4-7). Nella
comunità cristiana, tutti i Battezzati sono arricchiti di doni da
condividere, ciascuno secondo la propria vocazione e la propria
condizione di vita. Le diverse vocazioni ecclesiali sono infatti
espressioni molteplici e articolate dell’unica chiamata battesimale
alla santità e alla missione. La varietà di carismi, che ha origine
nella libertà dello Spirito Santo, è finalizzata all’unità del Corpo
ecclesiale di Cristo (cfr. LG 32) e alla missione nei diversi luoghi
e culture (cfr. LG 12). Questi doni non sono proprietà esclusiva di
chi li riceve e li esercita, né possono essere motivo di
rivendicazione per sé o per un gruppo. Anche con un’adeguata
pastorale vocazionale, essi sono chiamati a contribuire sia alla
vita della comunità cristiana, sia allo sviluppo della società nelle
sue molteplici dimensioni.
58. Ogni Battezzato risponde alle esigenze della missione nei
contesti in cui vive e opera a partire dalle proprie inclinazioni e
capacità, manifestando così la libertà dello Spirito nell’elargire i
propri doni. È grazie a questo dinamismo nello Spirito che il Popolo
di Dio, mettendosi in ascolto della realtà in cui vive, può scoprire
nuovi ambiti di impegno e nuove forme per adempiere la propria
missione. I Cristiani, che a diverso titolo – in famiglia e in altri
stati di vita, sul posto di lavoro e nelle professioni, nell’impegno
civico o politico, sociale o ecologico, nell’elaborazione di una
cultura ispirata dal Vangelo come nell’evangelizzazione della
cultura dell’ambiente digitale – percorrono le vie del mondo e nei
loro ambienti di vita annunciano il Vangelo, sono sostenuti dai doni
dello Spirito.
59. Alla Chiesa essi chiedono di non essere lasciati soli, ma di
sentirsi inviati e sostenuti. Chiedono di essere nutriti dal pane
della Parola e dell’Eucaristia, oltre che dai legami fraterni della
comunità. Chiedono che il loro impegno sia riconosciuto per quello
che è: azione di Chiesa in forza del Vangelo, non opzione privata.
Chiedono infine che la comunità accompagni coloro che, per la loro
testimonianza, sono stati attirati dal Vangelo. In una Chiesa
sinodale missionaria, sotto la guida dei loro Pastori, le comunità
saranno capaci di inviare e sostenere coloro che hanno inviato. Si
concepiranno quindi principalmente a servizio della missione che i
Fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita
familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle
attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità
organizzative.
60. In forza del Battesimo, uomini e donne godono di pari dignità
nel Popolo di Dio. Eppure, le donne continuano a trovare ostacoli
nell’ottenere un riconoscimento più pieno dei loro carismi, della
loro vocazione e del loro posto nei diversi ambiti della vita della
Chiesa, a scapito del servizio alla comune missione. Le Scritture
attestano il ruolo di primo piano di molte donne nella storia della
salvezza. A una donna, Maria di Magdala, è stato affidato il primo
annuncio della Risurrezione; nel giorno di Pentecoste, nel Cenacolo
era presente Maria, la Madre di Dio, insieme a molte altre donne che
avevano seguito il Signore. È importante che i relativi passi della
Scrittura trovino adeguato spazio all’interno dei lezionari
liturgici. Alcuni snodi cruciali della storia della Chiesa
confermano l’apporto essenziale di donne mosse dallo Spirito. Le
donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le
chiese e sono spesso le prime testimoni della fede nelle famiglie.
Sono attive nella vita delle piccole comunità cristiane e nelle
Parrocchie; gestiscono scuole, ospedali e centri di accoglienza;
sono a capo di iniziative di riconciliazione e di promozione della
dignità umana e della giustizia sociale. Le donne contribuiscono
alla ricerca teologica e sono presenti in posizioni di
responsabilità nelle istituzioni legate alla Chiesa, nelle Curie
diocesane e nella Curia Romana. Ci sono donne che svolgono ruoli di
autorità o sono a capo di comunità. Questa Assemblea invita a dare
piena attuazione a tutte le opportunità già previste dal diritto
vigente relativamente al ruolo delle donne, in particolare nei
luoghi dove esse restano inattuate. Non ci sono ragioni che
impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non
si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la
questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta
aperta e occorre proseguire il discernimento a riguardo. L’Assemblea
invita inoltre a prestare maggiore attenzione al linguaggio e alle
immagini utilizzate nella predicazione, nell’insegnamento, nella
catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa,
dando maggiore spazio all’apporto di donne sante, teologhe e
mistiche.
61. All’interno della comunità cristiana, un’attenzione
particolare va riservata ai bambini: non hanno solo bisogno di
essere accompagnati nell’avventura della crescita, ma hanno molto da
donare alla comunità dei credenti. Quando gli apostoli discutono tra
loro su chi sia il più grande, Gesù mette al centro un bambino,
presentandolo come criterio per entrare nel Regno (cfr. Mc 9,33-37).
La Chiesa non può essere sinodale senza il contributo dei bambini,
portatori di un potenziale missionario da valorizzare. La loro voce
è necessaria alla comunità: dobbiamo ascoltarla e impegnarci perché
tutti nella società la ascoltino, soprattutto coloro che hanno
responsabilità politiche e educative. Una società che non sa
accogliere e custodire i bambini è una società malata; la sofferenza
che molti di loro patiscono per la guerra, la povertà e l’abbandono,
l’abuso e la tratta è uno scandalo che richiede il coraggio della
denuncia e l’impegno della solidarietà.
62. Anche i giovani hanno un contributo da dare al rinnovamento
sinodale della Chiesa. Essi sono particolarmente sensibili ai valori
della fraternità e della condivisione, mentre respingono
atteggiamenti paternalistici o autoritari. A volte il loro
atteggiamento verso la Chiesa si presenta come una critica, ma
spesso assume la forma positiva di un impegno personale per una
comunità accogliente e impegnata a lottare contro l’ingiustizia
sociale e per la cura della casa comune. La richiesta di «camminare
insieme nel quotidiano», avanzata dai giovani nel Sinodo loro
dedicato nel 2018, corrisponde esattamente all’orizzonte di una
Chiesa sinodale. Per questo è fondamentale assicurare loro un
accompagnamento premuroso e paziente; in particolare merita di
essere ripresa la proposta, emersa grazie al loro contributo, di
«un’esperienza di accompagnamento in vista del discernimento», che
preveda la vita fraterna condivisa con educatori adulti, un impegno
apostolico da vivere insieme a servizio dei più bisognosi,
un’offerta di spiritualità radicata nella preghiera e nella vita
sacramentale (cfr.
Documento finale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo
dei Vescovi, “I Giovani, la Fede ed il Discernimento Vocazionale”,
161).
63. Nella promozione della corresponsabilità per la missione di
tutti i Battezzati, riconosciamo le capacità apostoliche delle
persone con disabilità che si sentono chiamate e inviate come
soggetti attivi di evangelizzazione. Vogliamo valorizzare il
contributo che proviene dall’immensa ricchezza di umanità che
portano con sé. Riconosciamo le loro esperienze di sofferenza,
emarginazione, discriminazione, a volte patite anche dentro la
comunità cristiana, per atteggiamenti paternalistici di
commiserazione. Per favorire la loro partecipazione alla vita e alla
missione della Chiesa si propone la creazione di un Osservatorio
ecclesiale della disabilità.
64. Tra le vocazioni da cui è arricchita la Chiesa spicca quella
dei coniugi. Il Concilio Vaticano II ha insegnato che «essi
possiedono nel loro stato di vita e nel loro ordine il proprio dono
di grazia in mezzo al Popolo di Dio» (LG 11). Il sacramento del
matrimonio assegna una peculiare missione che riguarda allo stesso
tempo la vita della famiglia, l’edificazione della Chiesa e
l’impegno nella società. In particolare, negli anni recenti è
cresciuta la consapevolezza che le famiglie sono soggetti e non sono
solo destinatari della pastorale familiare. Per questo hanno bisogno
di incontrarsi e fare rete, anche grazie all’aiuto delle istituzioni
ecclesiali dedicate all’educazione dei bambini e dei ragazzi.
Nuovamente l’Assemblea esprime vicinanza e sostegno a coloro che
vivono una condizione di solitudine come scelta di fedeltà alla
Tradizione e al magistero della Chiesa in materia matrimoniale e di
etica sessuale, in cui riconoscono una fonte di vita.
65. Nel corso dei secoli, i doni spirituali hanno dato origine
anche a varie espressioni di vita consacrata. Fin dagli albori la
Chiesa ha riconosciuto l’azione dello Spirito nella vita di quegli
uomini e donne che hanno scelto di seguire Cristo sulla via dei
consigli evangelici, consacrandosi al servizio di Dio tanto nella
contemplazione quanto in molteplici forme di servizio. La vita
consacrata è chiamata a interpellare la Chiesa e la società con la
propria voce profetica. Nella loro secolare esperienza, le famiglie
religiose hanno maturato sperimentate pratiche di vita sinodale e di
discernimento comunitario, imparando ad armonizzare i doni
individuali e la missione comune. Ordini e Congregazioni, Società di
vita apostolica, Istituti secolari, come pure Associazioni,
Movimenti e Nuove Comunità hanno uno speciale apporto da dare alla
crescita della sinodalità nella Chiesa. Oggi molte comunità di vita
consacrata sono un laboratorio di interculturalità che costituisce
una profezia per la Chiesa e per il mondo. Al tempo stesso, la
sinodalità invita – e talvolta sfida – i Pastori delle Chiese
locali, così come i responsabili della vita consacrata e delle
Aggregazioni ecclesiali a rinforzare le relazioni in modo da dare
vita a uno scambio di doni a servizio della comune missione.
66. La missione coinvolge tutti i Battezzati. Il primo compito di
Laici e Laiche è permeare e trasformare le realtà temporali con lo
spirito del Vangelo (cfr. LG 31.33; AA 5-7). Il processo sinodale,
sostenuto da uno stimolo di Papa Francesco (cfr.
Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Spiritus Domini,
10 gennaio 2021), ha sollecitato le Chiese locali a rispondere con
creatività e coraggio ai bisogni della missione, discernendo tra i
carismi alcuni che è opportuno prendano una forma ministeriale,
dotandosi di criteri, strumenti e procedure adeguate. Non tutti i
carismi devono essere configurati come ministeri, né tutti i
Battezzati devono essere ministri, né tutti i ministeri devono
essere istituiti. Perché un carisma sia configurato come ministero è
necessario che la comunità identifichi una vera necessità pastorale,
accompagnata da un discernimento realizzato dal Pastore insieme alla
comunità sull’opportunità di creare un nuovo ministero. Come frutto
di tale processo l’autorità competente assume la decisione. In una
Chiesa sinodale missionaria, si sollecita la promozione di forme più
numerose di ministeri laicali, che cioè non richiedono il sacramento
dell’Ordine, non solo in ambito liturgico. Possono essere istituiti
o non istituiti. Va anche avviata una riflessione su come affidare i
ministeri laicali in un tempo in cui le persone si spostano da un
luogo a un altro con crescente facilità, precisando tempi e ambiti
del loro esercizio.
67. Tra i molti servizi ecclesiali, l’Assemblea ha riconosciuto
il contributo all’intelligenza della fede e al discernimento offerto
dalla teologia nella varietà delle sue espressioni. Teologi e
teologhe aiutano il Popolo di Dio a sviluppare una comprensione
della realtà illuminata dalla Rivelazione e a elaborare risposte
idonee e linguaggi appropriati per la missione. Nella Chiesa
sinodale e missionaria «il carisma della teologia è chiamato a
svolgere un servizio specifico [...]. Insieme con l’esperienza di
fede e la contemplazione della verità del Popolo fedele e con la
predicazione dei Pastori, contribuisce alla penetrazione sempre più
profonda del Vangelo. Inoltre, “come per qualsiasi altra vocazione
cristiana, anche il ministero del teologo, oltre ad essere
personale, è anche comunitario e collegiale”» (CTI, n. 75),
soprattutto quando è svolto in forma di insegnamento affidato con
una missione canonica nelle istituzioni accademiche ecclesiastiche.
«La sinodalità ecclesiale impegna dunque i teologi a fare teologia
in forma sinodale, promuovendo tra loro la capacità di ascoltare,
dialogare, discernere e integrare la molteplicità e varietà delle
istanze e degli apporti» (ibid.). In questa linea, è urgente
favorire, attraverso opportune forme istituzionali, il dialogo tra i
Pastori e coloro che sono impegnati nella ricerca teologica.
L’Assemblea invita le istituzioni teologiche a proseguire la ricerca
volta a chiarire e approfondire il significato della sinodalità e
accompagnare la formazione nelle Chiese locali.
Il ministero ordinato a servizio
dell’armonia
68. Come tutti i ministeri della Chiesa, l’episcopato, il
presbiterato e il diaconato sono al servizio dell’annuncio del
Vangelo e dell’edificazione della comunità ecclesiale. Il Concilio
Vaticano II ha ricordato che il ministero ordinato di istituzione
divina «viene esercitato in ordini diversi da coloro che già in
antico vengono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi» (LG 28). In
questo contesto, il Concilio Vaticano II ha affermato la
sacramentalità dell’episcopato (cfr. LG 21), ha recuperato la realtà
comunionale del presbiterato (cfr. LG 28) e ha aperto la strada al
ripristino dell’esercizio permanente del diaconato nella Chiesa
Latina (cfr. LG 29).
Il ministero del Vescovo: comporre in unità i doni dello Spirito
69. Compito del Vescovo è presiedere una Chiesa locale,
come principio visibile di unità al suo interno e vincolo di
comunione con tutte le Chiese. L’affermazione del Concilio secondo
cui «con la Consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del
sacramento dell’Ordine» (LG 21) consente di comprendere l’identità
del Vescovo nella trama delle relazioni sacramentali con Cristo e
con la «porzione del Popolo di Dio» (CD 11) che gli è affidata e che
è chiamato a servire in nome di Cristo Buon Pastore. Chi è ordinato
Vescovo non viene caricato di prerogative e compiti che deve
svolgere da solo. Piuttosto riceve la grazia e il compito di
riconoscere, discernere e comporre in unità i doni che lo Spirito
effonde sui singoli e sulle comunità, operando all’interno del
legame sacramentale con i Presbiteri e i Diaconi, con lui
corresponsabili del servizio ministeriale nella Chiesa locale. Nel
fare questo realizza ciò che è più proprio e specifico della sua
missione nel contesto della sollecitudine per la comunione delle
Chiese.
70. Quello del Vescovo è un servizio nella, con e per la comunità
(cfr. LG 20), svolto tramite l’annuncio della Parola, la presidenza
della celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti. Per questo
l’Assemblea sinodale auspica che il Popolo di Dio abbia maggiore
voce nella scelta dei Vescovi. Raccomanda inoltre che l’Ordinazione
del Vescovo avvenga nella Diocesi cui è destinato come Pastore e non
nella Diocesi di origine, come spesso avviene, e che i principali
consacranti siano scelti tra i Vescovi della Provincia
ecclesiastica, compreso, per quanto possibile, il Metropolita.
Apparirà così meglio che colui che diviene Vescovo contrae un legame
con la Chiesa cui è destinato, assumendo pubblicamente di fronte ad
essa gli impegni del suo ministero. Ugualmente è importante che,
soprattutto durante le visite pastorali, possa trascorrere del tempo
con i Fedeli, per ascoltarli in vista del suo discernimento. Ciò
aiuterà a far sperimentare la Chiesa come famiglia di Dio. La
costitutiva relazione del Vescovo con la Chiesa locale non appare
oggi con sufficiente chiarezza nel caso dei Vescovi titolari, ad
esempio i Rappresentanti pontifici o coloro che prestano servizio
nella Curia Romana. Su questo tema sarà opportuno continuare a
riflettere.
71. Anche i Vescovi hanno bisogno di essere accompagnati e
sostenuti nel loro ministero. Il Metropolita può rivestire un ruolo
di promozione della fraternità tra Vescovi di Diocesi limitrofe.
Lungo il percorso sinodale è emersa l’esigenza di offrire ai Vescovi
percorsi di formazione continua anche nei contesti locali. È stata
richiamata la necessità di precisare il ruolo dei Vescovi ausiliari
e di ampliare i compiti che il Vescovo può delegare. Andrà
valorizzata anche l’esperienza dei Vescovi emeriti nella loro nuova
modalità di essere a servizio del Popolo di Dio. È importante
aiutare i Fedeli a non coltivare attese eccessive ed irrealistiche
nei confronti del Vescovo, ricordando che anch’egli è un fratello
fragile, esposto alla tentazione, bisognoso come tutti di aiuto. Una
visione idealizzata del Vescovo non facilita il suo delicato
ministero, che è invece sostenuto da una partecipazione di tutto il
Popolo di Dio alla missione in una Chiesa veramente sinodale.
Con il Vescovo: Presbiteri e Diaconi
72. In una Chiesa sinodale i Presbiteri sono chiamati a vivere il
proprio servizio in un atteggiamento di vicinanza alle persone, di
accoglienza e di ascolto di tutti, aprendosi a uno stile sinodale. I
Presbiteri «costituiscono insieme col loro Vescovo un unico
Presbiterio» (LG 28) e collaborano con lui nel discernere i carismi
e nell’accompagnare e guidare la Chiesa locale, con una particolare
attenzione al servizio dell’unità. Sono chiamati a vivere la
fraternità presbiterale e a camminare insieme nel servizio
pastorale. Del presbiterio fanno parte anche i Presbiteri membri di
Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, che lo
arricchiscono con la peculiarità del loro carisma. Essi, così come i
Presbiteri che provengono da Chiese Orientali sui iuris,
celibi o sposati, i Presbiteri fidei donum e quelli che
provengono da altre nazioni aiutano il clero locale ad aprirsi agli
orizzonti della Chiesa intera, mentre i Presbiteri diocesani aiutano
gli altri confratelli a inserirsi nella storia di una Diocesi
concreta, con le sue tradizioni e ricchezze spirituali. In questo
modo anche nel presbiterio si realizza un vero scambio di doni in
vista della missione. Anche i Presbiteri hanno bisogno di essere
accompagnati e sostenuti, soprattutto nelle prime tappe del
ministero e in momenti di debolezza e di fragilità.
73. Servi dei misteri di Dio e della Chiesa (cfr. LG 41), i
Diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio, ma per il ministero»
(LG 29). Lo esercitano nel servizio della carità, nell’annuncio e
nella liturgia, mostrando in ogni contesto sociale ed ecclesiale in
cui sono presenti la relazione tra Vangelo annunciato e vita vissuta
nell’amore, e promuovendo nella Chiesa intera una coscienza e uno
stile di servizio verso tutti, specialmente i più poveri. Le
funzioni dei Diaconi sono molteplici, come mostrano la Tradizione,
la preghiera liturgica e la prassi pastorale. Esse andranno
specificate in risposta ai bisogni di ogni Chiesa locale, in
particolare per risvegliare e sostenere l’attenzione di tutti nei
confronti dei più poveri, nel quadro di una Chiesa sinodale
missionaria e misericordiosa. Il ministero diaconale rimane ancora
sconosciuto a molti Cristiani, anche perché, pur essendo stato
ripristinato dal Vaticano II nella Chiesa Latina come grado proprio
e permanente (cfr. LG 29), non è stato ancora accolto in tutte le
aree geografiche. L’insegnamento del Concilio andrà ulteriormente
approfondito, anche sulla base di una verifica delle molteplici
esperienze in atto, ma offre già solide motivazioni alle Chiese
locali per non tardare nel promuovere il diaconato permanente in
modo più generoso, riconoscendo in questo ministero un prezioso
fattore di maturazione di una Chiesa serva alla sequela del Signore
Gesù che si è fatto servo di tutti. Questo approfondimento potrà
aiutare anche a comprendere meglio il significato dell’Ordinazione
diaconale di coloro che diventeranno Presbiteri.
La collaborazione fra i Ministri ordinati all’interno della Chiesa sinodale
74. Più volte, nel corso del processo sinodale, è stata espressa
gratitudine nei confronti di Vescovi, Presbiteri e Diaconi per la
gioia, l’impegno e la dedizione con cui svolgono il loro servizio.
Sono state ascoltate anche le difficoltà che i Pastori incontrano
nel loro ministero, legate soprattutto a un senso di isolamento, di
solitudine, oltre che dall’essere sopraffatti dalle richieste di
soddisfare ogni bisogno. L’esperienza del Sinodo può aiutare
Vescovi, Presbiteri e Diaconi a riscoprire la corresponsabilità
nell’esercizio del ministero, che richiede anche la collaborazione
con gli altri membri del Popolo di Dio. Una distribuzione più
articolata dei compiti e delle responsabilità, un discernimento più
coraggioso di ciò che appartiene in proprio al Ministero ordinato e
di ciò che può e deve essere delegato ad altri, ne favorirà
l’esercizio in modo spiritualmente più sano e pastoralmente più
dinamico in ciascuno dei suoi ordini. Questa prospettiva non
mancherà di avere un impatto sui processi decisionali caratterizzati
da uno stile più chiaramente sinodale. Aiuterà anche a superare il
clericalismo inteso come uso del potere a proprio vantaggio e
distorsione dell’autorità della Chiesa che è servizio al Popolo di
Dio. Esso si esprime soprattutto negli abusi sessuali, economici, di
coscienza e di potere da parte dei Ministri della Chiesa. «Il
clericalismo, favorito sia dagli stessi Sacerdoti sia dai Laici,
genera una scissione nel Corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a
perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo» (Francesco,
Lettera al Popolo di Dio, 20 agosto 2018).
Insieme per la missione
75. In risposta alle esigenze della comunità e della missione,
lungo la sua storia la Chiesa ha dato vita ad alcuni ministeri,
distinti da quelli ordinati. Tali ministeri sono la forma che i
carismi assumono quando sono pubblicamente riconosciuti dalla
comunità e da coloro che hanno la responsabilità di guidarla e sono
messi in modo stabile a servizio della missione. Alcuni sono più
specificatamente volti al servizio della comunità cristiana. Di
particolare rilevanza sono i ministeri istituiti, che vengono
conferiti dal Vescovo, una volta nella vita, con un rito specifico,
dopo un appropriato discernimento e un’adeguata formazione dei
candidati. Non si tratta di un semplice mandato o di un’assegnazione
di compiti; il conferimento del ministero è un sacramentale che
plasma la persona e definisce il suo modo di partecipare alla vita e
alla missione della Chiesa. Nella Chiesa Latina si tratta del
ministero del lettore e dell’accolito (cfr. Francesco,
Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Spiritus Domini,
10 gennaio 2021), e di quello del catechista (cfr. Francesco,
Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Antiquum
ministerium, 10 maggio 2021). I termini e le modalità del
loro esercizio devono essere definiti da un mandato della legittima
autorità. Compete alle Conferenze episcopali stabilire le condizioni
personali che i candidati devono soddisfare ed elaborare gli
itinerari formativi per l’accesso a questi ministeri.
76. A questi si affiancano ministeri non istituiti ritualmente,
ma esercitati con stabilità su mandato dell’autorità competente,
come, ad esempio, il ministero di coordinare una piccola comunità
ecclesiale, di guidare la preghiera della comunità, di organizzare
azioni caritative, ecc., che ammettono una grande varietà a seconda
delle caratteristiche della comunità locale. Ne sono un esempio i
catechisti che da sempre in molte regioni dell’Africa sono
responsabili di comunità prive di Presbiteri. Anche se non esiste un
rito prescritto, è opportuno rendere pubblico l’affidamento
attraverso un mandato davanti alla comunità per favorirne
l’effettivo riconoscimento. Esistono anche ministeri straordinari,
come il ministero straordinario della comunione, la presidenza delle
celebrazioni domenicali in attesa di Presbitero, l’amministrazione
di alcuni sacramentali o altri. Gli ordinamenti canonici latino e
orientale prevedono già che, in alcuni casi, i Fedeli laici, uomini
o donne, possano essere anche ministri straordinari del Battesimo.
Nell’ordinamento canonico latino, il Vescovo (con l’autorizzazione
della Santa Sede) può delegare l’assistenza ai matrimoni a Fedeli
laici, uomini o donne. Sulla base delle esigenze dei contesti
locali, si valuti la possibilità di allargare e rendere stabili
queste opportunità di esercizio ministeriale da parte di Fedeli
laici. Infine, ci sono i servizi spontanei, che non hanno bisogno di
ulteriori condizioni o riconoscimenti espliciti. Dimostrano che
tutti i Fedeli, in vario modo, partecipano alla missione attraverso
i loro doni e carismi.
77. Ai Fedeli laici, uomini e donne, occorre offrire maggiori
opportunità di partecipazione, esplorando anche ulteriori forme di
servizio e ministero in risposta alle esigenze pastorali del nostro
tempo, in uno spirito di collaborazione e corresponsabilità
differenziata. Dal processo sinodale emergono in particolare alcune
esigenze concrete a cui dare risposta in modo adeguato ai diversi
contesti:
a) una più ampia partecipazione di Laici e Laiche ai processi
di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi
decisionali (elaborazione e presa delle decisioni);
b) un più ampio accesso di Laici e Laiche a posizioni di
responsabilità nelle Diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche,
compresi Seminari, Istituti e Facoltà teologiche, in linea con
le disposizioni già esistenti;
c) un maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno alla
vita e ai carismi di Consacrate e Consacrati e il loro impiego
in posizioni di responsabilità ecclesiale;
d) l’aumento del numero di Laici e Laiche qualificati che
svolgono il ruolo di giudice nei processi canonici;
e) un effettivo riconoscimento della dignità e il rispetto
dei diritti di coloro che lavorano come dipendenti della Chiesa
e delle sue istituzioni.
78. Il processo sinodale ha rinnovato la consapevolezza che
l’ascolto è una componente essenziale di ogni aspetto della vita
della Chiesa: l’amministrazione dei sacramenti, in particolare
quello della Riconciliazione, la catechesi, la formazione e
l’accompagnamento pastorale. In questo quadro, l’Assemblea ha
dedicato attenzione alla proposta di istituire un ministero
dell’ascolto e dell’accompagnamento, mostrando una varietà di
orientamenti. Alcuni si sono espressi favorevolmente, perché tale
ministero costituirebbe un modo profetico di sottolineare
l’importanza di ascolto e accompagnamento nella comunità. Altri
hanno affermato che ascolto e accompagnamento sono compito di tutti
i Battezzati, senza che ci sia necessità di un ministero specifico.
Altri ancora evidenziano la necessità di un approfondimento, ad
esempio del rapporto tra questo eventuale ministero e
l’accompagnamento spirituale, il counseling pastorale e la
celebrazione del sacramento della Riconciliazione. È emersa anche la
proposta che l’eventuale ministero dell’ascolto e
dell’accompagnamento sia destinato in modo particolare
all’accoglienza di chi è ai margini della comunità ecclesiale, di
chi ritorna dopo essersi allontanato, di chi è in ricerca della
verità e desidera essere aiutato a incontrare il Signore. Rimane
dunque l’esigenza di proseguire il discernimento a riguardo. I
contesti locali dove questa esigenza è maggiormente sentita potranno
promuovere una sperimentazione ed elaborare possibili modelli su cui
discernere.
Parte
III – «Gettate la rete»
La conversione dei
processi
Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No».
Allora egli
disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e
troverete». La gettarono e non
riuscivano più a tirarla su per la grande
quantità di pesci (Gv 21, 5-6).
79. La pesca non ha dato frutto ed è ormai ora di rientrare a
riva. Ma risuona una Voce, autorevole, che invita a fare qualcosa
che i discepoli da soli non avrebbero fatto, che indica una
possibilità che i loro occhi e la loro mente non riuscivano a
intuire: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e
troverete». Nel corso del processo sinodale, abbiamo cercato di
ascoltare questa Voce e di accogliere quanto ci diceva. Nella
preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il
discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e
l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito
delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla
Parola che ci indica le vie della missione.
80. Queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi
decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede
l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto
sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le
decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di
Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita
l’autorità. Questa visione integrale evidenzia che ciascuna di
queste pratiche dipende dalle altre e le sostiene, a servizio della
capacità della Chiesa di svolgere la propria missione. Impegnarsi in
processi decisionali imperniati sul discernimento ecclesiale e
assumere una cultura della trasparenza, del rendiconto e della
valutazione richiede una adeguata formazione non solo tecnica, ma
capace di esplorarne i fondamenti teologici, biblici e spirituali.
Tutti i Battezzati hanno bisogno di questa formazione alla
testimonianza, alla missione, alla santità e al servizio, che mette
in risalto la corresponsabilità. Assume forme particolari per coloro
che svolgono incarichi di responsabilità o a servizio del
discernimento ecclesiale.
Il discernimento ecclesiale per la
missione
81. Per promuovere relazioni capaci di sostenere e orientare la
missione della Chiesa, è esigenza prioritaria esercitare la sapienza
evangelica che ha permesso alla comunità apostolica di Gerusalemme
di sigillare il risultato del primo evento sinodale con le parole:
«È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). È il
discernimento che possiamo qualificare come “ecclesiale” in quanto
esercitato dal Popolo di Dio in vista della missione. Lo Spirito,
che il Padre ha mandato nel nome di Gesù e che insegna ogni cosa
(cfr. Gv 14,26), guida in ogni tempo i credenti «a tutta la
verità» (Gv 16,13). Per la Sua presenza e la Sua azione continua, la
«Tradizione, che viene dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa» (DV
8). Invocando la Sua luce, il Popolo di Dio, partecipe della
funzione profetica di Cristo (cfr. LG 12), «cerca di
discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni,
cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo,
quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS
11). Tale discernimento si avvale di tutti i doni di saggezza che il
Signore distribuisce nella Chiesa e si radica nel sensus fidei
comunicato dallo Spirito a tutti i Battezzati. In questo spirito
si deve ricomprendere e riorientare la vita della Chiesa sinodale
missionaria.
82. Il discernimento ecclesiale non è una tecnica organizzativa,
ma una pratica spirituale da vivere nella fede. Esso richiede
libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca, apertura
alla novità e abbandono alla volontà di Dio. Non è mai
l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si
risolve nella semplice somma di pareri individuali; ciascuno,
parlando secondo coscienza, si apre all’ascolto di ciò che altri in
coscienza condividono, così da cercare insieme di riconoscere «ciò
che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Prevedendo l’apporto di
tutte le persone coinvolte, il discernimento ecclesiale è allo
stesso tempo condizione ed espressione privilegiata della
sinodalità, in cui si vivono insieme comunione, missione e
partecipazione. Quanto più tutti sono ascoltati, tanto più il
discernimento è ricco. Per questo è fondamentale promuovere un’ampia
partecipazione ai processi di discernimento, con una particolare
cura per il coinvolgimento di coloro che si trovano ai margini della
comunità cristiana e della società.
83. L’ascolto della Parola di Dio è il punto di partenza e il
criterio di ogni discernimento ecclesiale. Le Sacre Scritture,
infatti, attestano che Dio ha parlato al Suo Popolo, fino a darci in
Gesù la pienezza di tutta la Rivelazione (cfr. DV 2), e indicano i
luoghi in cui possiamo ascoltare la sua voce. Dio comunica con noi
anzitutto nella liturgia, perché è Cristo stesso che parla «quando
nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (SC 7). Dio parla
attraverso la Tradizione vivente della Chiesa, il suo magistero, la
meditazione personale e comunitaria delle Scritture e le pratiche
della pietà popolare. Dio continua a manifestarsi attraverso il
grido dei poveri e gli eventi della storia dell’umanità. Ancora, Dio
comunica con il Suo Popolo attraverso gli elementi della creazione,
la cui stessa esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è
riempita dalla presenza dello Spirito che dà la vita. Infine, Dio
parla anche nella coscienza personale di ciascuno, che è «il nucleo
più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con
Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (GS 16). Il
discernimento ecclesiale esige la continua cura e formazione delle
coscienze e la maturazione del sensus fidei, così da non
trascurare nessuno dei luoghi in cui Dio parla e viene incontro al
Suo Popolo.
84. I passaggi del discernimento ecclesiale possono articolarsi
in diversi modi, a seconda dei luoghi e delle tradizioni. Anche
sulla base dell’esperienza sinodale, è possibile identificare alcuni
elementi chiave che non dovrebbero mancare:
a) la presentazione chiara dell’oggetto del discernimento e
la messa a disposizione di informazioni e strumenti adeguati per
la sua comprensione;
b) un tempo conveniente per prepararsi con la preghiera,
l’ascolto della Parola di Dio e la riflessione sul tema;
c) una disposizione interiore di libertà rispetto ai propri
interessi, personali e di gruppo, e l’impegno per la ricerca del
bene comune;
d) un ascolto attento e rispettoso della parola di ciascuno;
e) la ricerca di un consenso il più ampio possibile, che
emergerà attraverso ciò che più “fa ardere i cuori” (cfr. Lc
24,32), senza nascondere i conflitti e senza cercare compromessi
al ribasso;
f) la formulazione da parte di chi guida il processo del
consenso raggiunto e la sua presentazione a tutti i
partecipanti, perché manifestino se vi si riconoscono o meno.
Sulla base del discernimento, maturerà la decisione opportuna che
impegna l’adesione di tutti, anche quando il proprio parere non è
stato accolto, e un tempo di recezione nella comunità, che potrà
portare a successive verifiche e valutazioni.
85. Il discernimento si svolge sempre all’interno di un contesto
concreto, di cui occorre conoscere il meglio possibile le
complessità e le peculiarità. Perché il discernimento sia
effettivamente “ecclesiale” occorre avvalersi dei mezzi necessari,
fra i quali un’adeguata esegesi dei testi biblici, tale da aiutare a
interpretarli e a comprenderli evitando approcci parziali o
fondamentalistici; una conoscenza dei Padri della Chiesa, della
Tradizione e degli insegnamenti magisteriali, secondo il loro
diverso grado di autorità; gli apporti delle diverse discipline
teologiche; i contributi delle scienze umane, storiche, sociali e
amministrative, senza le quali non è possibile conoscere seriamente
il contesto nel quale e in vista del quale avviene il discernimento.
86. Nella Chiesa esiste una grande varietà di approcci al
discernimento e di metodologie consolidate. Questa varietà è una
ricchezza: con gli opportuni adattamenti ai diversi contesti, la
pluralità di approcci può rivelarsi feconda. In vista della comune
missione, è importante che entrino in un dialogo cordiale, senza
disperdere le specificità di ciascuno e senza arroccamenti
identitari. Nelle Chiese locali, a partire dalle piccole comunità
ecclesiali e dalle Parrocchie, è fondamentale offrire opportunità di
formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento
ecclesiale per la missione, in particolare tra quanti ricoprono
ruoli di responsabilità. Altrettanto importante è curare la
formazione di figure di accompagnatori o facilitatori, il cui
apporto si rivela assai spesso cruciale nello svolgimento dei
processi di discernimento.
L’articolazione dei processi
decisionali
87. Nella Chiesa sinodale «tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei
suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni» (CTI, n. 68)
per la missione. Favorire la più ampia partecipazione possibile di tutto il
Popolo di Dio ai processi decisionali è la via più efficace per promuovere una
Chiesa sinodale. Se è vero, infatti, che la sinodalità definisce il modo di
vivere e operare che qualifica la Chiesa, essa indica al
tempo stesso una pratica essenziale nel compimento della sua
missione: discernere, raggiungere il consenso, decidere attraverso
l’esercizio delle diverse strutture e istituzioni di sinodalità.
88.La comunità dei discepoli convocata e inviata dal Signore non
è un soggetto uniforme e amorfo. È il Suo Corpo dalle molte e
diverse membra, soggetto storico comunitario in cui accade come
«germe e inizio» il Regno di Dio a servizio del suo avvento in tutta
la famiglia umana (cfr. LG 5). Già i Padri della Chiesa riflettono
sulla natura comunionale della missione del Popolo di Dio attraverso
un triplice “niente senza” (nihil sine): «niente senza il
Vescovo» (S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Tralliani,
2,2), «niente senza il vostro consiglio [dei Presbiteri e Diaconi] e
senza il consenso del Popolo» (S. Cipriano di Cartagine, Lettera
ai Fratelli Presbiteri e Diaconi, 14,4). Dove s’infrange
questa logica del nihil sine si oscura l’identità della
Chiesa e se ne inibisce la missione.
89. Si colloca in tale quadro di riferimento ecclesiologico l’impegno a
promuovere la partecipazione sulla base di una corresponsabilità differenziata. Ogni membro
della comunità va rispettato, valorizzandone le capacità e i doni in vista della
decisione condivisa. Sono necessarie forme di mediazione istituzionale più o
meno articolate in rapporto all’ampiezza della comunità. Il diritto vigente già prevede organismi di partecipazione a diversi livelli,
di cui il Documento si occuperà più avanti.
90. Per favorirne il funzionamento, pare opportuna una riflessione
sull’articolazione dei processi decisionali. Quest’ultima d’abitudine prevede
una fase di elaborazione o istruzione «attraverso un lavoro comune di
discernimento, consultazione e cooperazione» (CTI, n. 69), che informa e
sostiene la successiva presa di decisione, che spetta all’autorità competente.
Fra le due fasi non vi è competizione o contrasto, ma con la loro articolazione
concorrono a che le decisioni prese siano frutto dell’obbedienza da parte di
tutti a ciò che Dio vuole per la Sua Chiesa. Occorre per questo promuovere
procedure che rendano effettiva la reciprocità tra l’assemblea e chi la
presiede, in un clima di apertura allo Spirito e vicendevole fiducia, alla
ricerca di un consenso possibilmente unanime. Il processo deve anche prevedere
la fase dell’attuazione della decisione e quella della sua valutazione, in cui
le funzioni dei soggetti coinvolti tornano ad articolarsi con nuove modalità.
91. Vi sono casi in cui già il diritto vigente prescrive che, prima di prendere
una decisione, l’autorità è obbligata a procedere a una consultazione.
L’autorità pastorale ha il dovere di ascoltare coloro che
partecipano alla consultazione e, di conseguenza, non può più agire
come se non li avesse ascoltati. Non si discosterà, pertanto, dal
frutto della consultazione, quando è concorde, senza una ragione che
risulti prevalente (cfr. CIC, can. 127, § 2, 2°; CCEO, can. 934, § 2, 3°)
e che va opportunamente espressa. Come in ogni comunità che vive secondo giustizia, nella Chiesa l’esercizio
dell’autorità non consiste nell’imposizione di una volontà arbitraria. Nei vari
modi in cui viene esercitata, è sempre a servizio della comunione e
dell’accoglienza della verità di Cristo, nella quale e verso la quale lo Spirito
Santo ci guida nei diversi tempi e contesti (cfr. Gv 14,16).
92. In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio
Episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile, in quanto radicata nella
struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo a servizio dell’unità e
del rispetto della legittima diversità (cfr. LG 13). Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo
consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto
dagli organismi di partecipazione, non può essere ignorato. Risulta dunque
inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa
la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale
che decide in virtù del suo ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente
nel Codice di diritto canonico, che parla di voto “solamente consultivo” (tantum
consultivum), deve essere riesaminata per eliminare possibili ambiguità. Appare opportuna una revisione della normativa canonica in chiave
sinodale, che chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra
consultivo e deliberativo, e illumini le responsabilità di coloro che nelle
diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali.
93. La cura per l’ordinato svolgimento e una chiara assunzione della
responsabilità dei partecipanti sono fattori cruciali per la fecondità dei
processi decisionali nelle modalità qui prospettate:
a) spetta in particolare all’autorità: definire con chiarezza l’oggetto
della consultazione e della deliberazione, nonché il soggetto a cui compete
l’assunzione della decisione; identificare coloro che devono essere consultati,
anche in ragione di competenze specifiche o del coinvolgimento nella questione;
fare in modo che tutti i partecipanti abbiano effettivo accesso alle
informazioni rilevanti, in modo da poter formulare il proprio parere a ragion
veduta;
b) coloro che esprimono il proprio parere in una consultazione,
singolarmente o come membri di un organo collegiale, si assumono la
responsabilità di: offrire un parere sincero e onesto, in scienza e coscienza;
rispettare la confidenzialità delle informazioni ricevute; offrire una
formulazione chiara del proprio avviso, identificandone i punti principali, in
modo che l’autorità, qualora dovesse decidere in modo difforme dal parere
ricevuto, possa spiegare come ne ha tenuto conto nella sua deliberazione;
c) una volta che l’autorità competente ha formulato la decisione, avendo
rispettato il processo di consultazione e chiaramente espresso le motivazioni
alla sua base, tutti, in ragione del vincolo di comunione che unisce i
Battezzati, sono tenuti a rispettarla e metterla in atto, anche quando non
corrisponde al proprio punto di vista, fatto salvo il dovere di partecipare con
onestà anche alla fase della valutazione. Resta sempre possibile fare appello
all’autorità superiore, nei modi stabiliti dal diritto.
94. Una corretta e risoluta attuazione sinodale dei processi
decisionali contribuirà al progresso del Popolo di Dio in una
prospettiva partecipativa, in particolare attraverso le mediazioni
istituzionali previste dal diritto canonico, in primo luogo gli
organismi di partecipazione. Senza cambiamenti concreti a breve termine, la visione di una Chiesa
sinodale non sarà credibile e questo allontanerà quei membri del Popolo di Dio
che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza. Spetta alle Chiese
locali trovare modalità appropriate per dare attuazione a questi cambiamenti.
Trasparenza, rendiconto,
valutazione
95. La presa di decisione non conclude il processo decisionale.
Esso va accompagnato e seguito da pratiche di rendiconto e
valutazione, in uno spirito di trasparenza ispirata da criteri
evangelici. Rendere conto del proprio ministero alla comunità
appartiene alla tradizione più antica, risalente alla Chiesa
apostolica. Ce ne offre un esempio il cap. 11 degli Atti degli
Apostoli: quando Pietro rientra a Gerusalemme dopo aver
battezzato Cornelio, un pagano, «i fedeli circoncisi lo
rimproveravano dicendo: «Sei entrato in casa di uomini non
circoncisi e hai mangiato insieme con loro!”» (At 11,2-3). Pietro
risponde con un racconto che rende conto delle ragioni del suo
operato.
96. In particolare, per quanto riguarda la trasparenza, è emersa
la necessità di illuminarne il significato collegandola a una serie
di termini come verità, lealtà, chiarezza, onestà, integrità,
coerenza, rifiuto dell’opacità, dell’ipocrisia e dell’ambiguità,
assenza di secondi fini. Sono stati richiamati la beatitudine
evangelica dei puri di cuore (cfr. Mt 5,8), il comando di essere
«semplici come le colombe» (Mt 10,16) e le parole dell’apostolo
Paolo: «Abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza
comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma
annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni
coscienza umana, al cospetto di Dio» (2Cor 4,2). Si fa dunque
riferimento a un atteggiamento di fondo, radicato nella Scrittura,
piuttosto che a una serie di procedure o requisiti di tipo
amministrativo o gestionale. La trasparenza, nel suo corretto senso
evangelico, non compromette il rispetto della riservatezza e della
confidenzialità, la tutela delle persone, della loro dignità e dei
loro diritti anche nei confronti di pretese indebite dell’autorità
civile. Tutto questo però non potrà mai giustificare pratiche
contrarie al Vangelo o diventare un pretesto per aggirare o
insabbiare azioni di contrasto al male. In ogni caso, per quanto
riguarda il segreto confessionale «il sigillo sacramentale è
indispensabile e nessun potere umano ha giurisdizione, né può
rivendicarla su di esso» (Francesco,
Discorso ai Partecipanti al XXX Corso sul Foro Interno organizzato
dalle Penitenzieria Apostolica, 29 marzo 2019).
97. L’atteggiamento della trasparenza, nel senso appena indicato,
costituisce un presidio di quella fiducia e credibilità di cui una
Chiesa sinodale, attenta alle relazioni, non può fare a meno. Quando
la fiducia viene violata, a patirne le conseguenze sono le persone
più deboli e vulnerabili. Dove la Chiesa gode di fiducia, pratiche
di trasparenza, rendiconto e valutazione contribuiscono a
consolidarla, e sono un elemento ancora più critico dove la
credibilità della Chiesa deve essere ricostruita. Questo è
particolarmente importante nella tutela dei minori e delle persone
vulnerabili (safeguarding).
98. Queste pratiche contribuiscono ad assicurare la fedeltà della
Chiesa alla propria missione. La loro mancanza è una delle
conseguenze del clericalismo e allo stesso tempo lo alimenta. Esso
si fonda sull’assunto implicito che coloro che hanno autorità nella
Chiesa non debbano rendere conto delle loro azioni e delle loro
decisioni, come se fossero isolati o al di sopra del resto del
Popolo di Dio. Non si deve fare appello a trasparenza e rendiconto
solo quando si tratta di abusi sessuali, finanziari e di altro
genere. Essi riguardano anche lo stile di vita dei Pastori, i piani
pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la
Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per
quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue
istituzioni.
99. Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, il rendiconto
deve diventare pratica consueta a tutti i livelli. Tuttavia, chi
ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo
ed è chiamato a renderne conto a Dio e al Suo Popolo. Se nel corso
dei secoli si è conservata la pratica del rendere conto ai
superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto che l’autorità
è chiamata a dare alla comunità. Le istituzioni e le procedure
consolidate nell’esperienza della vita consacrata (come i capitoli,
le visite canoniche, ecc.), possono essere una fonte di ispirazione
a questo riguardo.
100. Appaiono ugualmente necessarie strutture e forme di
valutazione regolare del modo in cui sono esercitate le
responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione non
costituisce un giudizio sulle persone: essa permette piuttosto di
mettere in luce gli aspetti positivi e le aree di possibile
miglioramento dell’agire di chi ha responsabilità ministeriali, e
aiuta la Chiesa a imparare dall’esperienza, a ricalibrare i piani di
azione e a rimanere attenta alla voce dello Spirito Santo,
focalizzando l’attenzione sui risultati delle decisioni in rapporto
alla missione.
101. Oltre a osservare quanto già previsto dalle norme canoniche
in materia di criteri e meccanismi di controllo, compete alle Chiese
locali, e soprattutto ai loro raggruppamenti, costruire in modo
sinodale forme e procedure efficaci di rendiconto e valutazione,
appropriate alla varietà dei contesti, a partire dal quadro
normativo civile, dalle legittime attese della società e dalle
effettive disponibilità di competenze in materia. In questo lavoro
occorre privilegiare metodologie di valutazione partecipativa,
valorizzare le competenze di quanti, in particolare Laici, hanno
maggiori dimestichezze con i processi di rendiconto e valutazione, e
operare un discernimento delle buone pratiche già presenti nella
società civile locale, adattandole ai contesti ecclesiali. Il modo
in cui a livello locale sono attuati i processi di rendiconto e
valutazione rientrino nell’ambito della relazione presentata in
occasione delle visite ad limina.
102. In particolare, in forme appropriate ai diversi contesti,
pare necessario garantire quanto meno:
a) un effettivo funzionamento dei Consigli degli affari
economici;
b) il coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio, in
particolare dei membri più competenti, nella pianificazione
pastorale ed economica;
c) la predisposizione e la pubblicazione (appropriata al
contesto locale e con effettiva accessibilità) di un rendiconto
economico annuale, per quanto possibile certificato da revisori
esterni, che renda trasparente la gestione dei beni e delle
risorse finanziarie della Chiesa e delle sue istituzioni;
d) la predisposizione e la pubblicazione di un rendiconto
annuale sullo svolgimento della missione, che comprenda anche
una illustrazione delle iniziative intraprese in materia di
safeguarding (tutela dei minori e delle persone vulnerabili)
e di promozione dell’accesso di persone laiche a posizioni di
autorità e della loro partecipazione ai processi decisionali,
specificando la proporzione in rapporto al genere;
e) procedure di valutazione periodica dello svolgimento di
tutti i ministeri e incarichi all’interno della Chiesa.
Abbiamo bisogno di renderci conto che non si tratta di un impegno
burocratico fine a se stesso, ma di uno sforzo comunicativo che si
rivela un potente mezzo educativo in vista del cambiamento della
cultura, oltre a permettere di dare maggiore visibilità a molte
iniziative di valore che fanno capo alla Chiesa e alle sue
istituzioni, che restano troppo spesso nascoste.
Sinodalità e organismi di
partecipazione
103. La partecipazione dei Battezzati ai processi decisionali,
così come le pratiche di rendiconto e valutazione si svolgono
attraverso mediazioni istituzionali, innanzi tutto gli organismi di
partecipazione che a livello di Chiesa locale il diritto canonico
già prevede. Nella Chiesa Latina si tratta di: Sinodo diocesano
(cfr. CIC, can. 466), Consiglio presbiterale (cfr. CIC, can. 500, §
2), Consiglio pastorale diocesano (cfr. CIC, can. 514, § 1),
Consiglio pastorale parrocchiale (cfr. CIC, can. 536), Consiglio
diocesano e parrocchiale per gli affari economici (cfr. CIC, cann.
493 e 537). Nelle Chiese Orientali Cattoliche si tratta di:
Assemblea eparchiale (cfr. CCEO, cann. 235 ss.), Consiglio
eparchiale per gli affari economici (cfr. CCEO, cann. 262 ss.),
Consiglio presbiterale (cfr. CCEO, can. 264), Consiglio pastorale
eparchiale (cfr. CCEO, cann. 272 ss.), Consigli parrocchiali (cfr.
CCEO, can. 295). I componenti ne fanno parte sulla base del proprio
ruolo ecclesiale secondo le loro responsabilità differenziate a
vario titolo (carismi, ministeri, esperienza o competenza, ecc.).
Ognuno di questi organismi partecipa al discernimento necessario per
l’annuncio inculturato del Vangelo, la missione della comunità nel
proprio ambiente e la testimonianza dei Battezzati che la
compongono. Concorre anche ai processi decisionali nelle forme
stabilite e costituisce un ambito per la rendicontazione e la
valutazione, dovendo a sua volta valutare e rendere conto del
proprio operato. Gli organismi di partecipazione costituiscono uno
degli ambiti più promettenti su cui agire per una rapida attuazione
degli orientamenti sinodali, che conduca a cambiamenti percepibili
in breve tempo.
104. Una Chiesa sinodale si basa sull’esistenza, sull’efficienza
e sulla vitalità effettiva, e non solo nominale, di questi organismi
di partecipazione, nonché sul loro funzionamento in conformità alle
disposizioni canoniche o alle legittime consuetudini e sul rispetto
degli statuti e dei regolamenti che li disciplinano. Per questa
ragione siano resi obbligatori, come richiesto in tutte le tappe del
processo sinodale, e possano svolgere pienamente il loro ruolo, non
in modo puramente formale, in forma appropriata ai diversi contesti
locali.
105. Nella medesima linea, risulta opportuno intervenire sul
funzionamento di questi organismi, a partire dall’adozione di una
metodologia di lavoro sinodale. La conversazione nello Spirito, con
opportuni adattamenti, può costituire un punto di riferimento.
Particolare attenzione va prestata alle modalità di designazione dei
membri. Quando non è prevista l’elezione, si attui una consultazione
sinodale che esprima il più possibile la realtà della comunità o
della Chiesa locale e l’autorità proceda alla nomina sulla base dei
suoi esiti, rispettando l’articolazione tra consultazione e
deliberazione sopra descritta. Occorre anche prevedere che i
componenti dei Consigli pastorali diocesani e parrocchiali abbiano
la facoltà di proporre temi da inserire all’ordine del giorno, in
analogia con quanto accade per i componenti del Consiglio
presbiterale.
106. Uguale attenzione richiede la composizione degli organismi di
partecipazione, in modo da favorire un maggiore coinvolgimento delle donne, dei
giovani e di coloro che vivono in condizioni di povertà o emarginazione.
Inoltre, è fondamentale che in questi organismi siedano Battezzati impegnati
nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle
dinamiche sociali, con una riconosciuta disposizione apostolica e missionaria,
non solo persone impegnate nell’organizzazione della vita e dei servizi interni
alla comunità. In questo modo il discernimento ecclesiale beneficerà di una
maggiore apertura, capacità di analisi della realtà e pluralità di prospettive.
Sulla base delle necessità dei diversi contesti, potrà essere opportuno
prevedere la partecipazione di rappresentati di altre Chiese e Comunioni
cristiane, in analogia a quanto accade nell’Assemblea sinodale, o dei
rappresentanti di altre religioni presenti sul territorio. Le Chiese locali e i
loro raggruppamenti possono più facilmente indicare alcuni criteri per la
composizione degli organismi di partecipazione appropriati a ciascun contesto.
107. L’Assemblea ha prestato particolare attenzione alle
esperienze di riforma e buone pratiche già in atto, come la
creazione di reti di Consigli pastorali a livello di comunità di
base, Parrocchie e zone, fino al Consiglio pastorale diocesano. Come
modello di consultazione e ascolto, si propone anche lo svolgimento
di assemblee ecclesiali a tutti i livelli con una certa regolarità,
cercando di non limitare la consultazione all’interno della Chiesa
Cattolica, ma aprendosi all’ascolto del contributo di altre Chiese e
Comunioni cristiane e rimanendo attenti alle altre religioni
presenti sul territorio.
108. L’Assemblea propone che il Sinodo diocesano e l’Assemblea
eparchiale siano maggiormente valorizzati come organo per la
regolare consultazione da parte del Vescovo della porzione del
Popolo di Dio che gli è affidata, come luogo di ascolto, di
preghiera, di discernimento, in particolare quando si tratta di
scelte rilevanti per la vita e la missione di una Chiesa locale. Il
Sinodo diocesano può anche costituire un ambito di esercizio di
rendiconto e valutazione: ad esso il Vescovo presenta un resoconto
dell’attività pastorale nei diversi settori, dell’attuazione del
piano pastorale, della recezione dei processi sinodali della Chiesa
intera, delle iniziative in materia di safeguarding,
oltre che dell’amministrazione delle finanze e dei beni temporali.
Si richiede perciò il rafforzamento delle disposizioni canoniche in
materia, in modo da riflettere meglio il carattere sinodale
missionario di ogni Chiesa locale, prevedendo che i Sinodi diocesani
e le Assemblee eparchiali si riuniscano con una cadenza regolare non
eccessivamente rarefatta.
Parte IV
– Una pesca abbondante
La conversione dei legami
Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di
pesci […]. Allora
Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena
di centocinquantatré grossi pesci.
E benché fossero tanti, la rete non si
squarciò (Gv 21,8.11).
109. Le reti gettate sulla parola del Risorto hanno consentito
una pesca abbondante. Tutti collaborano nel trascinare la rete,
Pietro ha un ruolo particolare. Nel Vangelo la pesca è un’azione
svolta insieme: ognuno ha un compito preciso, diverso ma coordinato
con quello degli altri. Così è la Chiesa sinodale, fatta di legami
che uniscono nella comunione e di spazi per la varietà di ogni
popolo e di ogni cultura. In un tempo in cui cambia l’esperienza dei
luoghi in cui la Chiesa è radicata e pellegrina, occorre coltivare
in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci
uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro
e con il Vescovo di Roma.
Radicati e pellegrini
110. L’annuncio del Vangelo, risvegliando la fede nei cuori degli
uomini e delle donne, porta alla fondazione di una Chiesa in un
luogo particolare. La Chiesa non può essere compresa senza il
radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo
dove si forma un’esperienza condivisa di incontro con Dio che salva.
La dimensione locale della Chiesa preserva la ricca diversità delle
espressioni di fede radicate in specifici contesti culturali e
storici e la comunione delle Chiese manifesta la comunione dei
Fedeli all’interno dell’unica Chiesa. La conversione sinodale invita
in questo modo ogni persona ad allargare lo spazio del proprio
cuore, il primo “luogo” in cui risuonano tutte le nostre relazioni,
radicate nel rapporto personale di ciascuno con Cristo Gesù e la Sua
Chiesa. È questa la sorgente e la condizione per ogni riforma in
chiave sinodale dei legami di appartenenza e dei luoghi ecclesiali.
L’azione pastorale non può limitarsi a curare le relazioni fra
persone che si sentono già tra loro in sintonia, ma deve favorire
l’incontro con ogni uomo e ogni donna.
111. L’esperienza del radicamento deve fare i conti con profondi
cambiamenti socioculturali che stanno modificando la percezione dei
luoghi. Il concetto di luogo non può più essere inteso in termini
puramente geografici e spaziali, ma evoca nel nostro tempo
l’appartenenza a una rete di relazioni e a una cultura le cui radici
territoriali sono più dinamiche e flessibili che mai prima d’ora.
L’urbanizzazione è uno dei principali fattori di questo cambiamento:
oggi, per la prima volta nella storia dell’umanità, la maggior parte
della popolazione mondiale vive in contesti urbani. Le grandi città
sono spesso agglomerati umani senza storia e senza identità in cui
le persone vivono come isole. I tradizionali legami territoriali
cambiano significato, rendendo i confini di Parrocchie e Diocesi
meno definiti. La Chiesa è chiamata a vivere in questi contesti,
ricostruendo la vita comunitaria, donando un volto a realtà anonime
e intrecciando relazioni fraterne. A tal fine, oltre a valorizzare
le strutture che si rivelano ancora idonee, è necessaria una
creatività missionaria che esplori nuove forme di pastorale e
individui percorsi concreti di cura. Resta comunque vero che le
realtà rurali, alcune delle quali sono vere periferie esistenziali,
non vanno trascurate e richiedono un’attenzione pastorale specifica,
così come i luoghi dell’emarginazione e dell’esclusione.
112. I nostri tempi sono caratterizzati anche dall’aumento della
mobilità umana, motivato da varie ragioni. Rifugiati e migranti
spesso formano comunità dinamiche, anche nelle loro pratiche
religiose, rendendo multiculturale il luogo in cui si stabiliscono.
Alcuni tra loro mantengono stretti legami con i Paesi d’origine,
soprattutto grazie ai media digitali, e sperimentano una difficoltà
a tessere legami nel nuovo Paese; altri rimangono senza radici.
Anche gli abitanti dei luoghi d’immigrazione sono messi in
discussione dall’accoglienza di chi arriva. Tutti sperimentano
l’impatto provocato dall’incontro con la diversità di provenienza
geografica, culturale e linguistica e sono chiamati a costruire
comunità interculturali. Non va trascurato l’impatto dei fenomeni
migratori sulla vita delle Chiese. Emblematica è in questo senso la
situazione di alcune Chiese Orientali Cattoliche, per il crescente
numero di Fedeli in diaspora; si richiedono nuovi approcci perché
siano mantenuti i legami con la propria Chiesa d’origine, e se ne
creino di nuovi, nel rispetto delle diverse radici spirituali e
culturali.
113. Anche la diffusione della cultura digitale, particolarmente
evidente tra i giovani, sta cambiando profondamente la percezione
dello spazio e del tempo, influenzando le attività quotidiane, le
comunicazioni e le relazioni interpersonali, inclusa la fede. Le
possibilità che la rete offre riconfigurano relazioni, legami e
frontiere. Sebbene oggi si sia più connessi che mai, spesso si
sperimenta solitudine ed emarginazione. I social media,
inoltre, possono essere utilizzati da portatori di interessi
economici e politici che, manipolando le persone, divulgano
ideologie e generano polarizzazioni aggressive. Questa realtà ci
trova impreparati e richiede la scelta di dedicare risorse perché
l’ambiente digitale sia un luogo profetico di missione e di
annuncio. Le Chiese locali incoraggino, sostengano e accompagnino
coloro che sono impegnati nella missione nell’ambiente digitale.
Anche le comunità e i gruppi digitali cristiani, in particolare di
giovani, sono chiamati a riflettere sul modo in cui creano legami di
appartenenza, promuovono l’incontro e il dialogo, offrono formazione
tra pari, sviluppando una modalità sinodale di essere Chiesa. La
rete, costituita da connessioni, offre nuove opportunità per vivere
meglio la dimensione sinodale della Chiesa.
114. Questi sviluppi sociali e culturali chiedono alla Chiesa di
ripensare il significato della sua dimensione “locale” e di mettere
in discussione le sue forme organizzative, al fine di servire meglio
la sua missione. Pur riconoscendo il valore del radicamento in
contesti geografici e culturali concreti, è indispensabile
comprendere il “luogo” come la realtà storica in cui l’esperienza
umana prende forma. È lì, nella trama delle relazioni che vi si
instaurano, che la Chiesa è chiamata a esprimere la propria
sacramentalità (cfr. LG 1) e a svolgere la propria missione.
115. Il rapporto tra luogo e spazio suggerisce anche una
riflessione sulla Chiesa come “casa”. Quando non è intesa come
spazio chiuso, inaccessibile, da difendere a tutti i costi,
l’immagine della casa evoca possibilità di accoglienza, di
ospitalità e inclusione. Il creato stesso è casa comune, nella quale
i membri dell’unica famiglia umana vivono con tutte le altre
creature. Il nostro impegno, sorretto dallo Spirito, è far sì che la
Chiesa sia percepita come casa accogliente, sacramento di incontro e
di salvezza, scuola di comunione per tutti i figli e le figlie di
Dio. La Chiesa è anche Popolo di Dio in cammino con Cristo, al cui
interno ognuno è chiamato a essere pellegrino di speranza. Ne è
segno la pratica tradizionale dei pellegrinaggi. La pietà popolare è
uno dei luoghi di una Chiesa sinodale missionaria.
116. La Chiesa locale, intesa come Diocesi o Eparchia, è l’ambito
fondamentale in cui la comunione in Cristo dei Battezzati si
manifesta nel modo più pieno. In essa la comunità è radunata nella
celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal Vescovo. Ogni Chiesa
locale è articolata al suo interno e, allo stesso tempo, è in
relazione con le altre Chiese locali.
117. Una delle principali articolazioni della Chiesa locale che
la storia ci consegna è la Parrocchia. La comunità parrocchiale, che
si incontra nella celebrazione dell’Eucaristia, è luogo privilegiato
di relazioni, accoglienza, discernimento e missione. I cambiamenti
nella concezione e nel modo di vivere il rapporto con il territorio
chiedono di ricomprenderne la configurazione. Ciò che la
caratterizza è essere una proposta di comunità su base non elettiva.
Vi si radunano persone di diversa generazione, professione,
provenienza geografica, classe sociale e condizione di vita. Per
rispondere alle nuove esigenze della missione è chiamata ad aprirsi
a forme inedite di azione pastorale che tengano conto della mobilità
delle persone e del “territorio esistenziale” in cui si sviluppa la
loro vita. Promuovendo in modo particolare l’Iniziazione Cristiana e
offrendo accompagnamento e formazione, sarà capace di sostenere le
persone nelle diverse fasi della vita e nel compimento della loro
missione nel mondo. Apparirà così più chiaramente che la Parrocchia
non è centrata su se stessa, ma orientata alla missione e chiamata a
sostenere l’impegno di tante persone che in modi diversi vivono e
testimoniano la loro fede nella professione e nell’attività sociale,
culturale, politica. In molte regioni del mondo le piccole comunità
cristiane o comunità ecclesiali di base sono il terreno su cui
possono fiorire intense relazioni di prossimità e reciprocità,
offrendo l’occasione di vivere concretamente la sinodalità.
118. Riconosciamo agli Istituti di vita consacrata, alle Società
di vita apostolica, così come ad Associazioni, Movimenti e Nuove
Comunità, la capacità di radicarsi nel territorio e al tempo stesso
di collegare luoghi e ambiti diversi, anche a livello nazionale o
internazionale. Spesso è la loro azione, assieme a quella di tante
singole persone e gruppi informali, a portare il Vangelo nei luoghi
più diversi: ospedali, carceri, case per anziani, centri di
accoglienza per migranti, minori, emarginati e vittime della
violenza; luoghi educativi e di formazione, scuole e università, in
cui si incontrano giovani e famiglie; luoghi della cultura, della
politica e dello sviluppo umano integrale dove si immaginano e si
costruiscono nuove forme di vivere insieme. Guardiamo con
gratitudine anche i monasteri, luoghi di convocazione e di
discernimento, profezia di un “oltre” che riguarda tutta la Chiesa e
ne orienta il cammino. È responsabilità specifica del Vescovo
diocesano o eparchiale animare questa molteplicità e curare i legami
di unità. Istituti e aggregazioni sono chiamati ad agire in sinergia
con la Chiesa locale, partecipando al dinamismo della sinodalità.
119. Anche la valorizzazione dei luoghi “intermedi” tra Chiesa
locale e Chiesa universale – come la Provincia ecclesiastica e i
raggruppamenti di Chiese a base nazionale o continentale – può
favorire una più significativa presenza della Chiesa nei luoghi del
nostro tempo. L’accresciuta mobilità e le odierne interconnessioni
rendono fluidi i confini tra le Chiese e spesso chiedono di pensare
e agire all’interno di un «vasto territorio socio-culturale», in
cui, esclusa ogni forma di «falso particolarismo», la vita cristiana
sia «commisurata al genio e all’indole di ciascuna cultura» (AG 22).
Scambio di doni
120. Camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù
nella diversità dei carismi e dei ministeri, così come nello scambio
di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza dell’amore e
della misericordia di Dio in Cristo che accompagna, sostiene e
orienta nel soffio dello Spirito Santo il cammino dell’umanità verso
il Regno. Lo scambio di doni coinvolge tutte le dimensioni della
vita della Chiesa. Costituita in Cristo come il Popolo di Dio da
tutti i popoli della terra e articolata dinamicamente nella
comunione delle Chiese locali, dei loro raggruppamenti, delle Chiese
sui iuris in seno alla Chiesa una e cattolica, essa vive la
sua missione favorendo ed accogliendo «tutte le ricchezze, le
risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che hanno di buono e
accogliendole le purifica, le consolida e le eleva» (LG 13).
L’esortazione dell’apostolo Pietro – «da bravi amministratori della
multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri
il dono che ha ricevuto» (1Pt 4,10) – si può senz’altro applicare a
ciascuna Chiesa locale. Un esempio paradigmatico e ispiratore di
questo scambio di doni, che chiede oggi di essere vissuto e
rivisitato con particolare cura a causa delle mutate e pressanti
circostanze storiche, è quello tra le Chiese di tradizione latina e
le Chiese Orientali Cattoliche. Un significativo orizzonte di novità
e di speranza in cui si possono realizzare forme di scambio dei
doni, di ricerca del bene comune e di impegno coordinato su
questioni sociali di rilevanza globale è quello che va profilandosi,
ad esempio, in grandi ambiti geografici sovranazionali e
interculturali come l’Amazzonia, il bacino del fiume Congo, il Mar
Mediterraneo.
121. La Chiesa, a livello locale e nella sua unità cattolica, si propone come
una rete di relazioni attraverso cui circola ed è promossa la profezia della
cultura dell’incontro, della giustizia sociale, dell’inclusione dei gruppi
marginali, della fraternità tra i popoli, della cura della casa comune.
L’esercizio concreto di questa profezia chiede che i beni di ogni Chiesa siano
condivisi in spirito di solidarietà, senza paternalismo e assistenzialismo, nel
rispetto delle diverse identità e nella promozione di una sana reciprocità, con
l’impegno – dove necessario – a curare le ferite della memoria e a intraprendere
cammini di riconciliazione. Lo scambio di doni e la condivisione delle risorse
tra Chiese locali di diverse regioni favoriscono l’unità della Chiesa, creando
legami tra le comunità cristiane coinvolte. Occorre mettere a fuoco le
condizioni da garantire perché i Presbiteri che vengono in aiuto alle Chiese
povere di clero non siano solo un rimedio funzionale, ma una risorsa per la
crescita della Chiesa che li invia e di quella che li riceve. Analogamente
occorre operare perché gli aiuti economici non degenerino in assistenzialismo,
ma promuovano solidarietà evangelica e siano gestiti in modo trasparente e
affidabile.
122. Lo scambio dei doni ha un significato cruciale anche nel
cammino verso la piena e visibile unità tra tutte le Chiese e
Comunioni cristiane e, del resto, rappresenta un segno efficace di
quell’unità, nella fede e nell’amore di Cristo, che promuove la
credibilità e l’incidenza della missione cristiana (cfr. Gv 17,21).
San Giovanni Paolo II ha applicato questa espressione al dialogo
ecumenico: «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In
qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (UUS 28). È stato
nell’impegno a incarnare l’unico Vangelo nella diversità dei
contesti culturali, delle circostanze storiche e delle sfide sociali
che le diverse tradizioni cristiane, in ascolto della Parola di Dio
e della voce dello Spirito Santo, hanno generato nel corso dei
secoli frutti copiosi di santità, di carità, di spiritualità, di
teologia, di solidarietà a livello sociale e culturale. È venuto il
momento di fare tesoro di queste preziose ricchezze: con generosità,
con sincerità, senza pregiudizi, con gratitudine al Signore, con
apertura reciproca, facendone dono gli uni agli altri senza
presumere che siano nostra esclusiva proprietà. Anche l’esempio dei
santi e testimoni della fede di altre Chiese e Comunioni cristiane è
un dono che possiamo ricevere, inserendo la loro memoria nel nostro
calendario liturgico, in particolare per i martiri.
123. Nel
Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la
convivenza comune, sottoscritto da Papa Francesco e dal
Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb ad Abu Dhabi il 4 febbraio
2019, si dichiara la volontà di «adottare la cultura del dialogo
come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza
reciproca come metodo e criterio». Non si tratta di un’aspirazione
velleitaria o di un aspetto opzionale nel cammino del Popolo di Dio
nell’oggi della storia. Su questa strada una Chiesa sinodale
s’impegna a camminare, nei diversi luoghi in cui vive, con i
credenti di altre religioni e con le persone di altre convinzioni,
condividendo gratuitamente la gioia del Vangelo e accogliendo con
gratitudine i loro rispettivi doni: per costruire insieme, da
fratelli e sorelle tutti, in spirito di mutuo scambio e aiuto (cfr.
GS 40), la giustizia, la fraternità, la pace e il dialogo
interreligioso. In alcune regioni, piccole comunità di vicinato, in
cui le persone si incontrano a prescindere dall’appartenenza
religiosa, offrono un ambiente propizio per un triplice dialogo:
della vita, dell’azione e della preghiera.
Legami per l’unità: Conferenze
episcopali e Assemblee ecclesiali
124. L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il
criterio ispiratore delle relazioni tra le Chiese. Esso coniuga
l’attenzione ai legami che formano l’unità di tutta la Chiesa con il
riconoscimento e l’apprezzamento delle particolarità legate al
contesto in cui vive ogni Chiesa locale, con la sua storia e la sua
tradizione. L’adozione di uno stile sinodale permette alle Chiese di
muoversi con ritmi diversi. Le differenze di ritmo possono essere
valorizzate come espressione di una legittima diversità e come
opportunità di scambio di doni e di arricchimento reciproco. Questo
orizzonte comune richiede di discernere, identificare e promuovere
strutture e pratiche concrete per essere una Chiesa sinodale in
missione.
125. Le Conferenze episcopali esprimono e realizzano la
collegialità dei Vescovi per favorire la comunione tra le Chiese e
rispondere in modo più efficace ai bisogni della vita pastorale.
Sono uno strumento fondamentale per creare legami, condividere
esperienze e buone pratiche tra le Chiese, adattare la vita
cristiana e l’espressione della fede alle diverse culture. Hanno
anche un ruolo importante nello sviluppo della sinodalità, con il
coinvolgimento dell’intero Popolo di Dio. Sulla base di quanto
emerso durante il processo sinodale, si propone:
a) di raccogliere i frutti della riflessione sullo statuto teologico e
giuridico delle Conferenze episcopali;
b) di precisare l’ambito della competenza dottrinale e disciplinare delle
Conferenze episcopali. Senza compromettere l’autorità del Vescovo nella Chiesa a
lui affidata né mettere a rischio l’unità e la cattolicità della Chiesa,
l’esercizio collegiale di tale competenza può favorire l’insegnamento autentico
dell’unica fede in un modo adeguato e inculturato nei diversi contesti,
individuando le opportune espressioni liturgiche, catechetiche, disciplinari,
pastorali, teologiche e spirituali (cfr. AG 22);
c) di procedere a una valutazione dell’esperienza del reale funzionamento
delle Conferenze episcopali, dei rapporti tra gli episcopati e con la Santa
Sede, per individuare le riforme concrete da attuare. Le visite ad limina
Apostolorum potranno essere un’occasione propizia per tale valutazione;
d) di fare in modo che tutte le Diocesi siano parte di una Provincia
ecclesiastica e di una Conferenza episcopale (cfr. CD 40);
e) di specificare il vincolo ecclesiale che le decisioni prese da una
Conferenza episcopale generano, rispetto alla propria Diocesi, per ciascun
Vescovo che ha partecipato a quelle stesse decisioni.
126. Nel processo sinodale le sette Assemblee ecclesiali
continentali, svoltesi a inizio 2023, hanno rappresentato una novità
rilevante e sono un’eredità da valorizzare come modo efficace di
attuare l’insegnamento conciliare sul valore «di ogni grande
territorio socio-culturale» nella ricerca di «una più profonda
sistemazione di tutto l’ambito della vita cristiana» (AG 22).
Occorrerà chiarirne meglio lo statuto teologico e canonico, così
come quello dei raggruppamenti continentali di Conferenze
episcopali, per poter metterne a frutto le potenzialità per
l’ulteriore sviluppo di una Chiesa sinodale. Compete in particolare
ai Presidenti dei raggruppamenti continentali di Conferenze
episcopali incoraggiare e sostenere la prosecuzione di questa
esperienza.
127. Nelle Assemblee ecclesiali (regionali, nazionali,
continentali) i membri, che esprimono e rappresentano la varietà del
Popolo di Dio (Vescovi compresi), partecipano al discernimento che
permetterà ai Vescovi, collegialmente, di assumere le decisioni alle
quali sono tenuti in forza del ministero loro affidato. Questa
esperienza mostra come la sinodalità permette di articolare
concretamente il coinvolgimento di tutti (il santo Popolo di
Dio) e il ministero di alcuni (il Collegio dei Vescovi) nel
processo delle decisioni relative alla missione della Chiesa. Si
propone che il discernimento possa includere, in forme adeguate alla
diversità dei contesti, spazi di ascolto e di dialogo con gli altri
Cristiani, i rappresentanti di altre religioni, le istituzioni
pubbliche, le organizzazioni della società civile e la società nel
suo complesso.
128. A causa di particolari situazioni sociali e politiche,
alcune Conferenze episcopali hanno difficoltà nel partecipare ad
Assemblee continentali o organismi ecclesiali sovra-nazionali. Sarà
cura della Santa Sede aiutarle, promuovendo il dialogo e la
reciproca fiducia con gli Stati, perché sia data loro la possibilità
di entrare in relazione con altre Conferenze episcopali, nella
prospettiva dello scambio dei doni.
129. Per realizzare una «salutare “decentralizzazione”» (EG 16) e
un’efficace inculturazione della fede, è necessario non solo
riconoscere il ruolo delle Conferenze episcopali, ma anche
rivalutare l’istituzione dei Concili particolari, sia provinciali
sia plenari, la cui celebrazione periodica è stata un obbligo per
gran parte della storia della Chiesa e che sono previsti dal diritto
vigente nell’ordinamento latino (cfr. CIC, cann. 439-446). Essi
dovrebbero essere convocati periodicamente. La procedura per il
riconoscimento delle conclusioni dei Concili particolari da parte
della Santa Sede (recognitio) dovrebbe essere riformata, per
incoraggiare la loro tempestiva pubblicazione, indicando termini
temporali precisi o, nel caso di questioni puramente pastorali o
disciplinari (non riguardanti direttamente questioni di fede, morale
o disciplina sacramentale), introducendo una presunzione giuridica,
equivalente al consenso tacito.
Il servizio del Vescovo di Roma
130. Il processo sinodale ha aiutato a rivisitare alla luce della
sinodalità anche i modi di esercizio del ministero del Vescovo di
Roma. La sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le
dimensioni comunitaria (tutti), collegiale (alcuni) e
personale (uno) di ogni Chiesa locale e dell’intera Chiesa.
In questa prospettiva, il ministero petrino risulta insito nella
dinamica sinodale, così come la dimensione comunitaria, che include
tutto il Popolo di Dio, e quella collegiale del ministero episcopale
(cfr. CTI, n. 64).
131. Possiamo perciò comprendere la portata dell’affermazione
conciliare secondo cui «nella comunione ecclesiale esistono
legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni
proprie, salvo restando il primato della cattedra di Pietro che
presiede alla comunione universale della carità, garantisce le
legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo
non nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al servizio» (LG 13). Il
Vescovo di Roma, principio e fondamento di unità della Chiesa (cfr.
LG 23), è il garante della sinodalità: a lui spetta convocare la
Chiesa in Sinodo, presiederlo e confermarne i risultati. Come
Successore di Pietro, ha un ruolo unico nel salvaguardare il
deposito della fede e della morale, assicurando che i processi
sinodali siano fecondi per l’unità e la testimonianza. Insieme al
Vescovo di Roma, il Collegio episcopale ha un ruolo insostituibile
nel pascere la Chiesa tutta (cfr. LG 22-23) e nel promuovere la
sinodalità in tutte le Chiese locali.
132. In quanto garante dell’unità nella diversità, il Vescovo di
Roma assicura la salvaguardia dell’identità delle Chiese Orientali
Cattoliche, nel rispetto delle loro secolari tradizioni teologiche,
canoniche, liturgiche, spirituali e pastorali. Queste Chiese sono
dotate di proprie strutture sinodali deliberative: Sinodo dei
vescovi della Chiesa patriarcale e arcivescovile maggiore (cfr.
CCEO, cann. 102 ss., 152), Concilio provinciale (cfr. CCEO, can.
137), Consiglio dei Gerarchi (cfr. CCEO, cann. 155, § 1, 164 ss.) e,
infine, Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris
(cfr. CCEO, can. 322). In quanto Chiese sui iuris in piena
comunione con il Vescovo di Roma, esse conservano la loro identità
orientale e la loro autonomia. Nel quadro della sinodalità, è
opportuno rivisitare insieme la storia per sanare le ferite del
passato e approfondire i modi in cui vivere la comunione, che
comportino anche un adattamento nelle relazioni tra le Chiese
Orientali Cattoliche e la Curia Romana. Le relazioni tra Chiesa
Latina e Chiese Orientali Cattoliche devono essere caratterizzate da
uno scambio di doni, dalla collaborazione e dall’arricchimento
reciproco.
133. Per incrementare tali relazioni, l’Assemblea sinodale
propone di istituire un Consiglio dei Patriarchi, Arcivescovi
Maggiori e Metropoliti delle Chiese Orientali Cattoliche presieduto
dal Papa, che sia espressione di sinodalità e strumento per
promuovere la comunione e la condivisione del patrimonio liturgico,
teologico, canonico e spirituale. L’esodo di molti Fedeli orientali
in regioni di rito latino rischia di compromettere la loro identità.
Per affrontare questa situazione, andranno elaborati strumenti e
norme volti a rafforzare al massimo la collaborazione tra Chiesa
Latina e Chiese Orientali Cattoliche. L’Assemblea sinodale
raccomanda il dialogo sincero e la fraterna collaborazione tra
Vescovi latini e orientali, per assicurare una miglior assistenza
pastorale per i Fedeli orientali sprovvisti di Presbiteri di rito
proprio e per garantire, con la giusta autonomia, il coinvolgimento
dei Vescovi orientali nelle Conferenze episcopali. Propone infine al
Santo Padre di convocare un Sinodo Speciale per promuovere il
consolidamento e la rifioritura delle Chiese Orientali Cattoliche.
134. La riflessione in merito all’esercizio del ministero petrino
in chiave sinodale va condotta nella prospettiva della «salutare
“decentralizzazione”» (EG 16), sollecitata da Papa Francesco e
richiesta da molte Conferenze episcopali. Nella formulazione che ne
dà la Costituzione Apostolica
Praedicate Evangelium, essa comporta «di lasciare alla
competenza dei Pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del
“loro proprio compito di maestri” e di Pastori le questioni che
conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina
e di comunione della Chiesa, sempre agendo con quella
corresponsabilità che è frutto ed espressione di quello specifico
mysterium communionis che è la Chiesa» (PE II, 2). Per procedere
in questa direzione, si potrebbe individuare attraverso uno studio
teologico e canonico quali materie debbano essere riservate al Papa
(reservatio papalis) e quali possano essere restituite ai
Vescovi nelle loro Chiese o raggruppamenti di Chiese, nella linea
del recente Motu Proprio
Competentias quasdam decernere (15 febbraio 2022). Esso
infatti assegna «alcune competenze, circa disposizioni codiciali
volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa tutta, alla
potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali
locali» sulla base della «dinamica ecclesiale della comunione»
(Preambolo). Anche l’elaborazione della normativa canonica da parte
di chi ne ha il compito e l’autorità, dovrebbe avere stile sinodale
e maturare come frutto di un discernimento ecclesiale.
135. La Costituzione Apostolica
Praedicate Evangelium ha configurato in senso sinodale e
missionario il servizio della Curia Romana, insistendo sul fatto che
essa «non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al
servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della
natura di ciascuno» (PE I, 8). La sua attuazione dovrà promuovere
una maggiore collaborazione tra i Dicasteri e favorire l’ascolto
delle Chiese locali. Prima di pubblicare documenti normativi
importanti, i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione
delle Conferenze episcopali e degli organismi corrispondenti delle
Chiese Orientali Cattoliche. Nella logica della trasparenza e del
rendiconto, delineata precedentemente, potrebbero eventualmente
essere previste forme di valutazione periodica dell’operato della
Curia. Tale valutazione, in prospettiva sinodale missionaria,
potrebbe riguardare anche i Rappresentanti pontifici. Le visite
ad limina Apostolorum sono il momento più alto delle relazioni
dei Pastori delle Chiese locali con il Vescovo di Roma e con i suoi
più stretti collaboratori nella Curia Romana. Molti Vescovi
desiderano che si riveda la forma in cui si realizzano, in modo da
renderle sempre di più occasioni di scambio aperto e ascolto
reciproco. È importante per il bene della Chiesa favorire la mutua
conoscenza e i legami di comunione tra i membri del Collegio dei
Cardinali, tenuto conto anche della loro diversità di provenienza e
di cultura. La sinodalità deve ispirare la loro collaborazione al
ministero petrino e il loro discernimento collegiale nei Concistori
ordinari e straordinari.
136. Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a
livello della Chiesa tutta spicca certamente il Sinodo dei Vescovi,
che la Costituzione Apostolica
Episcopalis communio ha trasformato da evento a processo
ecclesiale. Istituito da San Paolo VI come un’assemblea di Vescovi
convocata per partecipare, mediante il consiglio, alla sollecitudine
del Romano Pontefice per tutta la Chiesa, è ora, nella forma di un
processo per fasi, espressione e strumento della relazione
costitutiva tra l’intero Popolo di Dio, il Collegio dei Vescovi e il
Papa. L’intero Popolo santo di Dio, i Vescovi a cui sono affidate le
sue singole porzioni e il Vescovo di Roma partecipano infatti a
pieno titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria
funzione. Questa partecipazione è resa manifesta dall’Assemblea
sinodale riunita intorno al Papa, che, nella sua composizione,
mostra la cattolicità della Chiesa. In particolare, come ha spiegato
Papa Francesco, la composizione di questa XVI Assemblea Generale
Ordinaria è «più che un fatto contingente. Essa esprime una modalità
di esercizio del ministero episcopale coerente con la Tradizione
viva delle Chiese e con l’insegnamento del Concilio Vaticano II» (Intervento
alla Prima Congregazione Generale della Seconda Sessione della XVI
Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 2
ottobre 2024). Il Sinodo dei Vescovi, conservando la sua natura
episcopale, ha visto e potrà vedere anche in futuro nella
partecipazione di altri membri del Popolo di Dio «la forma che è
chiamato ad assumere l’esercizio dell’autorità episcopale in una
Chiesa consapevole di essere costitutivamente relazionale e per
questo sinodale» (ibid.) per la missione.
Nell’approfondimento dell’identità del Sinodo dei Vescovi, è
essenziale che nel processo sinodale e nelle Assemblee appaia e si
realizzi concretamente l’articolazione tra il coinvolgimento di
tutti (il santo Popolo di Dio), il ministero di alcuni
(il Collegio dei Vescovi) e la presidenza di uno (il
Successore di Pietro).
137. Tra i frutti più significativi del Sinodo 2021-2024 vi è
l’intensità dello slancio ecumenico. La necessità di trovare «una
forma di esercizio del Primato che […] si apra a una situazione
nuova» (UUS 95) è una sfida fondamentale sia per una Chiesa sinodale
missionaria sia per l’unità dei Cristiani. Il Sinodo si rallegra
della recente pubblicazione del Dicastero per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità
nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica “Ut unum sint”,
che offre spunti per un ulteriore approfondimento. Il documento
mostra che la promozione dell’unità dei Cristiani è un aspetto
essenziale del ministero del Vescovo di Roma e che il cammino
ecumenico ne ha favorito una comprensione più approfondita. Le
proposte concrete che esso contiene circa una rilettura o un
commento ufficiale delle definizioni dogmatiche del Concilio
Vaticano I sul primato, una più chiara distinzione tra le diverse
responsabilità del Papa, la promozione della sinodalità e la ricerca
di un modello di unità basato su un’ecclesiologia di comunione,
offrono prospettive promettenti per il cammino ecumenico.
L’Assemblea sinodale auspica che questo documento serva da base per
ulteriori riflessioni con gli altri Cristiani, «evidentemente
insieme», sull’esercizio del ministero di unità del Vescovo di Roma
come «un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri»
(UUS 95).
138. La ricchezza rappresentata dalla partecipazione
all’Assemblea sinodale dei Delegati fraterni, provenienti da altre
Chiese e Comunioni cristiane, ci invita a prestare più attenzione
alle pratiche sinodali dei nostri partner ecumenici, sia in Oriente
sia in Occidente. Il dialogo ecumenico è fondamentale per sviluppare
la comprensione della sinodalità e dell’unità della Chiesa. Esso ci
spinge a immaginare pratiche sinodali ecumeniche, fino a forme di
consultazione e discernimento su questioni di interesse condiviso e
urgente, come potrebbe essere la celebrazione di un Sinodo ecumenico
sull’evangelizzazione. Ci invita anche a rendere conto
reciprocamente di ciò che siamo, di ciò che facciamo e di ciò che
insegniamo. Alla radice di questa possibilità vi è il fatto che
siamo uniti nell’unico Battesimo, da cui scaturiscono l’identità del
Popolo di Dio e il dinamismo di comunione, partecipazione e
missione.
139. Nel 2025, anno giubilare, ricorre anche l’anniversario del
primo Concilio Ecumenico, in cui il Simbolo della fede che unisce
tutti i Cristiani è stato formulato in modo sinodale. La
preparazione e la commemorazione congiunta del 1700° anniversario
del Concilio di Nicea dovrebbe essere un’occasione per approfondire
e confessare insieme la fede cristologica e per mettere in pratica
forme di sinodalità tra i Cristiani di tutte le tradizioni. Sarà
anche l’occasione per avviare iniziative audaci per una data comune
della Pasqua, in modo da poter celebrare nello stesso giorno la
risurrezione del Signore, come provvidenzialmente avverrà proprio
nel 2025, e dare così una maggior forza missionaria all’annuncio di
Colui che è la vita e la salvezza del mondo intero.
Parte V – «Anch’io mando voi»
Formare un Popolo di
discepoli missionari
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io
mando
voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv
20, 21-22).
140. La sera di Pasqua, Cristo consegna ai discepoli il dono
messianico della Sua pace e li rende partecipi della Sua missione.
La Sua pace è pienezza dell’essere, armonia con Dio, con i fratelli
e le sorelle, e con il creato; la missione è annunciare il Regno di
Dio, offrendo a ogni persona, nessuno escluso, la misericordia e
l’amore del Padre. Il gesto delicato che accompagna le parole del
Risorto rievoca quanto Dio fece in principio. Ora, nel Cenacolo, con
il soffio dello Spirito prende inizio la nuova creazione: nasce un
Popolo di discepoli missionari.
141. Perché il santo Popolo di Dio possa testimoniare a tutti la
gioia del Vangelo, crescendo nella pratica della sinodalità, ha
bisogno di un’adeguata formazione: anzitutto alla libertà di figli e
figlie di Dio nella sequela di Gesù Cristo, contemplato nella
preghiera e riconosciuto nei poveri. La sinodalità, infatti, implica
una profonda coscienza vocazionale e missionaria, fonte di uno stile
rinnovato nelle relazioni ecclesiali, di nuove dinamiche
partecipative e di discernimento ecclesiale, e di una cultura della
valutazione, che non possono instaurarsi senza l’accompagnamento di
processi formativi mirati. La formazione allo stile sinodale della
Chiesa promuoverà la consapevolezza che i doni ricevuti nel
Battesimo sono talenti da far fruttificare per il bene di tutti: non
possono essere nascosti o restare inoperosi.
142. La formazione dei discepoli missionari comincia con
l’Iniziazione Cristiana e si radica in essa. Nella storia di ognuno
c’è l’incontro con molte persone e gruppi o piccole comunità che
hanno contribuito a introdurci nella relazione con il Signore e
nella comunione della Chiesa: genitori e familiari, padrini e
madrine, catechisti e educatori, animatori della liturgia e
operatori nell’ambito della carità, Diaconi, Presbiteri e lo stesso
Vescovo. Talvolta, concluso il percorso dell’Iniziazione, il legame
con la comunità s’indebolisce e la formazione viene trascurata.
Essere discepoli missionari del Signore non è però un traguardo
raggiunto una volta per tutte. Implica conversione continua,
crescita nell’amore «fino a raggiungere la misura della pienezza di
Cristo» (Ef 4,13) e apertura ai doni dello Spirito per una
testimonianza viva e gioiosa della fede. Per questo è
importante riscoprire come la celebrazione domenicale
dell’Eucaristia formi i Cristiani: «La pienezza della nostra
formazione è la conformazione a Cristo […]: non si tratta di un
processo mentale, astratto, ma di diventare Lui» (DD 41). Per molti
Fedeli, l’Eucaristia domenicale è l’unico contatto con la Chiesa:
curarne la celebrazione nel modo migliore, con particolare riguardo
all’omelia e alla «attiva partecipazione» (SC 14) di tutti, è
decisivo per la sinodalità. Nella Messa, infatti, essa accade come
grazia donata dall’alto, prima che come esito dei nostri sforzi:
sotto la presidenza di uno e grazie al ministero di alcuni,
tutti possono partecipare alla duplice mensa della Parola e
del Pane. Il dono della comunione, missione e partecipazione – i tre
assi portanti della sinodalità – si realizza e si rinnova in ogni
Eucaristia.
143. Una delle richieste emerse con maggiore forza e da ogni
parte lungo il processo sinodale è che la formazione sia integrale,
continua e condivisa. Il suo scopo non è solo l’acquisizione di
conoscenze teoriche, ma la promozione di capacità di apertura e
incontro, di condivisione e collaborazione, di riflessione e
discernimento in comune, di lettura teologica delle esperienze
concrete. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della persona
(intellettuale, affettiva, relazionale e spirituale) e comprendere
esperienze concrete opportunamente accompagnate. Altrettanto marcata
è stata l’insistenza sulla necessità di una formazione a cui
prendano parte insieme uomini e donne, Laici, Consacrati, Ministri
ordinati e Candidati al Ministero ordinato, permettendo così di
crescere nella conoscenza e stima reciproca e nella capacità di
collaborare. Ciò richiede la presenza di formatori idonei e
competenti, capaci di confermare con la vita quanto trasmettono con
la parola: solo così la formazione sarà realmente generativa e
trasformativa. Non va trascurato, inoltre, il contributo che le
discipline pedagogiche possono dare alla predisposizione di percorsi
formativi ben mirati, attenti ai processi di apprendimento in età
adulta e all’accompagnamento dei singoli e delle comunità. Dobbiamo
dunque investire nella formazione dei formatori.
144. La Chiesa ha già molti luoghi e risorse per la formazione di
discepoli missionari: le famiglie, le piccole comunità, le
Parrocchie, le Aggregazioni ecclesiali, i Seminari, le Comunità
religiose, le Istituzioni accademiche, ma anche i luoghi del
servizio e di lavoro con la marginalità, le esperienze missionarie e
di volontariato. In tutti questi ambiti la comunità esprime la sua
capacità di educare nel discepolato e di accompagnare nella
testimonianza, in un incontro che spesso fa interagire persone di
generazioni diverse, dai più giovani agli anziani. Nella Chiesa
nessuno è puramente destinatario della formazione: tutti siamo
soggetti attivi e abbiamo qualcosa da donare agli altri. Anche la
pietà popolare è tesoro prezioso della Chiesa, che ammaestra
l’intero Popolo di Dio in cammino.
145. Tra le pratiche formative che possono ricevere nuovo impulso
dalla sinodalità, particolare attenzione va data alla catechesi
perché, oltre a declinarsi negli itinerari dell’Iniziazione
Cristiana, sia sempre più “in uscita” ed estroversa. Comunità di
discepoli missionari sapranno praticarla nel segno della
misericordia e avvicinarla all’esperienza di ognuno, portandola fino
alle periferie esistenziali, senza in questo smarrire il riferimento
al
Catechismo della Chiesa Cattolica. Essa potrà così divenire
un “laboratorio di dialogo” con uomini e donne del nostro tempo
(cfr. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, 54), e
illuminare la loro ricerca di senso. In molte Chiese i catechisti
costituiscono la risorsa fondamentale per l’accompagnamento e la
formazione; in altre il loro servizio deve essere maggiormente
apprezzato e sostenuto dalla comunità, uscendo da una logica di
delega, che contraddice la sinodalità. Considerata la portata dei
fenomeni migratori, è importante che la catechesi promuova la
conoscenza vicendevole tra le Chiese dei Paesi di origine e di
accoglienza.
146. Oltre agli ambienti e alle risorse specificamente pastorali,
la comunità cristiana è presente in numerose altre istituzioni
formative come la scuola, la formazione professionale, l’università,
la formazione all’impegno sociale e politico, il mondo dello sport,
della musica e dell’arte. Pur nella diversità dei contesti
culturali, che determinano pratiche e tradizioni molto differenti
tra loro, le istituzioni formative di ispirazione cattolica sono
spesso a contatto con persone che non frequentano altri ambienti
ecclesiali. Ispirate dalle pratiche della sinodalità, possono
diventare un laboratorio di relazioni amicali e partecipative, in un
contesto in cui la testimonianza di vita, le competenze e
l’organizzazione educativa sono soprattutto laicali e coinvolgono
prioritariamente le famiglie. In particolare, la scuola e
l’università di ispirazione cattolica assolvono un ruolo importante
nel dialogo tra fede e cultura e nell’educazione morale ai valori,
offrendo una formazione orientata a Cristo, icona della vita in
pienezza. Quando riescono a farlo, si rivelano capaci di promuovere
un’alternativa ai modelli dominanti, spesso ispirati
all’individualismo e alla competizione, assumendo così anche un
ruolo profetico. In alcuni contesti, sono l’unico ambiente in cui
ragazzi e giovani vengono in contatto con la Chiesa. Quando è
ispirata al dialogo interculturale e interreligioso, la loro azione
educativa è apprezzata anche da persone di altre tradizioni
religiose come forma di promozione umana.
147. La formazione sinodale condivisa per tutti i Battezzati
costituisce l’orizzonte entro cui comprendere e praticare la
formazione specifica necessaria per i singoli ministeri e per le
diverse forme di vita. Perché ciò avvenga è necessario che questa si
attui come scambio di doni tra vocazioni diverse (comunione),
nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di
coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata
(partecipazione). Questa richiesta, emersa con forza dal processo
sinodale, esige non di rado un impegnativo cambio di mentalità e una
rinnovata impostazione degli ambienti e dei processi formativi.
Implica soprattutto la disponibilità interiore a lasciarsi
arricchire dall’incontro con fratelli e sorelle nella fede,
superando pregiudizi e visioni di parte. La dimensione ecumenica
della formazione non può che favorire questo cambio di mentalità.
148. Lungo il processo sinodale, è stata ampiamente espressa la
richiesta che i percorsi di discernimento e formazione dei Candidati
al ministero ordinato siano configurati in stile sinodale. Significa
che devono prevedere una presenza significativa di figure femminili,
un inserimento nella vita quotidiana delle comunità e l’educazione a
collaborare con tutti nella Chiesa e a praticare il discernimento
ecclesiale. Ciò implica un investimento coraggioso di energie per la
preparazione dei formatori. L’Assemblea chiede una revisione della
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis che recepisca
le istanze maturate nel Sinodo, traducendole in indicazioni precise
per una formazione alla sinodalità. I percorsi formativi sappiano
destare nei candidati la passione per la missione ad gentes.
Non meno necessaria è la formazione dei Vescovi, perché possano
assumere sempre meglio la loro missione di comporre in unità i doni
dello Spirito ed esercitare in stile sinodale l’autorità loro
conferita. Lo stile sinodale della formazione implica che la
dimensione ecumenica sia presente in tutti gli aspetti dei percorsi
verso il ministero ordinato.
149. Nella formazione del Popolo di Dio alla sinodalità è
necessario prendere in considerazione anche alcuni ambiti specifici,
su cui il processo sinodale ha richiamato insistentemente
l’attenzione. Il primo riguarda l’impatto dell’ambiente digitale sui
processi di apprendimento, la capacità di concentrazione, la
percezione di sé e del mondo, la costruzione delle relazioni
interpersonali. La cultura digitale costituisce una dimensione
cruciale della testimonianza della Chiesa nella cultura
contemporanea, nonché un campo missionario emergente. Per questo è
necessario prendersi cura che il messaggio cristiano sia presente in
rete in modi affidabili, che non ne distorcano il contenuto in modo
ideologico. Sebbene il digitale abbia un grande potenziale per
migliorare la nostra vita, può anche causare danni e ferite,
attraverso bullismo, disinformazione, sfruttamento sessuale e
dipendenza. È importante che le istituzioni educative della Chiesa
aiutino ragazzi e adulti a sviluppare competenze critiche per
navigare in sicurezza sul web.
150. Un altro ambito di grande rilievo è la promozione in tutti
gli ambienti ecclesiali di una cultura della tutela (safeguarding),
per rendere le comunità luoghi sempre più sicuri per i minori e le
persone vulnerabili. È già cominciato il lavoro per dotare le
strutture della Chiesa di regolamenti e procedure giuridiche che
consentano la prevenzione degli abusi e risposte tempestive a
comportamenti non appropriati. Occorre proseguire questo impegno,
offrendo una formazione specifica e continua adeguata a quanti
operano a contatto con i minori e con gli adulti più deboli, perché
agiscano con competenza e sappiano cogliere i segnali, spesso
silenziosi, di chi sta vivendo un dramma e ha bisogno di aiuto.
L’accoglienza e il sostegno delle vittime è un compito delicato e
indispensabile, che richiede grande umanità e va portato avanti con l’aiuto di persone qualificate. Tutti dobbiamo
lasciarci scuotere dalla loro sofferenza e praticare quella prossimità che,
attraverso scelte concrete, le sollevi, le aiuti e prepari un futuro diverso per
tutti. I processi di safeguarding devono essere costantemente monitorati
e valutati. Le vittime e i sopravvissuti devono essere accolti e sostenuti con
grande sensibilità.
151. Anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace
e la giustizia, della cura della casa comune e del dialogo interculturale e
interreligioso devono conoscere maggiore diffusione nel Popolo di Dio, perché
l’azione dei discepoli missionari incida nella costruzione di un mondo più
giusto e fraterno. L’impegno per la difesa della vita e dei diritti della
persona, per il giusto ordinamento della società, per la dignità del lavoro, per
un’economia equa e solidale, per l’ecologia integrale fanno parte della missione
evangelizzatrice che la Chiesa è chiamata a vivere e incarnare nella storia.
Conclusione
Un banchetto per tutti i
popoli
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane.
[…] Gesù
disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava
domandargli: «Chi sei?»,
perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò,
prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce (Gv 21, 9.12.13).
152. Il racconto della pesca miracolosa termina con un banchetto. Il Risorto ha
chiesto ai discepoli di obbedire alla sua parola, di gettare le reti e tirarle a
riva; è Lui però che prepara la mensa e invita a mangiare. Ci sono pani e pesci
per tutti, come quando li aveva moltiplicati per la folla affamata. C’è
soprattutto lo stupore e l’incanto della Sua presenza, così chiara e lucente da
non richiedere domande. Mangiando con i Suoi, dopo che essi lo avevano
abbandonato e rinnegato, il Risorto apre di nuovo lo spazio della comunione e
imprime per sempre nei discepoli il marchio di una misericordia che spalanca al
futuro. Per questo, i testimoni della Pasqua si qualificheranno così: «Noi che
abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At
10,41).
153. Nei pasti consumati dal Risorto con i discepoli trova compimento l’immagine
del banchetto del profeta Isaia che ha ispirato il lavoro dell’Assemblea
sinodale: una mensa sovrabbondante e prelibata preparata dal Signore sulla cima
del monte, simbolo di convivialità e di comunione, destinata a tutti i popoli
(cfr. Is 25,6-8). La tavola che il Signore prepara ai Suoi dopo la Pasqua
è il segno che il banchetto escatologico è già iniziato. Anche se solo in cielo
avrà la sua pienezza, la mensa della grazia e della misericordia è già imbandita
per tutti e la Chiesa ha la missione di portare questo splendido annuncio in un
mondo che cambia. Mentre si nutre nell’Eucaristia del Corpo e del Sangue del
Signore, sa di non poter dimenticare i poveri, gli ultimi, gli esclusi, coloro
che non conoscono l’amore e sono privi di speranza, né coloro che non credono in
Dio o non si riconoscono in nessuna religione istituita. Li porta al Signore
nella preghiera per poi uscire a incontrarli, con la creatività e l’audacia che
lo Spirito ispira. Così la sinodalità della Chiesa diventa profezia sociale,
ispira nuovi cammini anche per la politica e per l’economia, collabora con tutti
coloro che credono nella fraternità e nella pace in uno scambio di doni con il
mondo.
154. Vivendo il processo sinodale abbiamo preso nuova coscienza che la salvezza
da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si
testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla
rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che
lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano il desiderio di rapporti
autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di
condivisione, di varietà e intreccio tra diverse forme di vita. Tutto viene
dall’armonia e tende all’armonia, anche quando soffre la ferita devastante del
male. Il significato ultimo della sinodalità è la testimonianza che la Chiesa è
chiamata a dare di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Armonia di amore che si
effonde fuori di sé per donarsi al mondo. Camminando in stile sinodale,
nell’intreccio delle nostre vocazioni, carismi e ministeri, e andando incontro a
tutti per portare la gioia del Vangelo, possiamo vivere la comunione che salva:
con Dio, con l’umanità intera e con tutta la creazione. In questo modo, grazie
alla condivisione, inizieremo già adesso a sperimentare il banchetto di vita che
Dio offre a tutti i popoli.
155. Alla Vergine Maria, che porta lo splendido titolo di
Odigitria, Colei che indica e guida il cammino, affidiamo i
risultati di questo Sinodo. Lei, Madre della Chiesa, che nel
Cenacolo ha aiutato la comunità nascente ad aprirsi alla novità di
Pentecoste, ci insegni a essere un Popolo di discepoli missionari
che camminano insieme: una Chiesa sinodale.
* Il Documento
finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo
dei Vescovi è stato approvato durante la 17 a
Congregazione Generale, il 26 ottobre 2024, con il voto
favorevole di oltre i due terzi dei Membri dell’Assemblea
presenti alla votazione. I risultati del voto sono
consultabili sul sito
www.vatican.va. La versione ufficiale del testo è quella
in lingua italiana. In vista della pubblicazione, sono stati
effettuati interventi redazionali per assicurare la
correttezza e la fluidità linguistica, oltre all’accuratezza
delle citazioni.
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