[DE - EN - ES - FR - IT - KO - PT - RU] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE LA SINODALITÀ NELLA VITA E NELLA MISSIONE DELLA CHIESA NOTA PRELIMINARE Nel corso del suo Nono quinquennio, la Commissione Teologica Internazionale ha condotto uno studio riguardante la sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Il lavoro è stato sviluppato in una apposita Sottocommissione, presieduta da Mons. Mario Ángel Flores Ramos e composta dai seguenti membri: Suor Prudence Allen, R.S.M., Suor Alenka Arko, della Comunità Loyola, Mons. Antonio Luiz Catelan Ferreira, Mons. Piero Coda, Rev.do Carlos María Galli, Rev.do Gaby Alfred Hachem, Prof. Héctor Gustavo Sánchez Rojas, S.C.V., Rev.do Nicholaus Segeja M’hela, P. Gerard Francisco P. Timoner III, O.P Le discussioni generali su questo tema si sono svolte sia nel corso dei vari incontri della Sottocommissione che durante le Sessioni Plenarie della Commissione stessa, tenutesi negli anni 2014-2017. Il presente testo è stato approvato in forma specifica dalla maggioranza dei membri della Commissione nel corso della Sessione Plenaria del 2017, per mezzo di un voto scritto. É stato, in seguito, sottoposto all’approvazione del suo Presidente, Sua Ecc. Luis F. Ladaria, S.I., Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale, dopo aver ricevuto parere favore dal Santo Padre Francesco, in data 2 marzo 2018, ne ha autorizzato la pubblicazione. INTRODUZIONE IL KAIRÓS DELLA SINODALITÀ 1. «Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»[1]: questo l’impegno programmatico proposto da Papa Francesco nella commemorazione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte del Beato Paolo VI. La sinodalità infatti – ha sottolineato – «è dimensione costitutiva della Chiesa», così che «quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “sinodo”»[2]. 2. Il presente documento intende offrire alcune linee utili all’approfondimento teologico del significato di quest’impegno insieme a qualche orientamento pastorale circa le implicazioni che ne derivano per la missione della Chiesa. Nell’introduzione si richiamano i dati etimologici e concettuali necessari a chiarire in forma preliminare il contenuto e l’uso della parola “sinodalità”, per poi contestualizzare la pregnanza e la novità dell’insegnamento che ci è offerto in proposito dal Magistero nel solco del Concilio Vaticano II. Sinodo, Concilio, sinodalità 3. “Sinodo” è parola antica e veneranda nella Tradizione della Chiesa, il cui significato richiama i contenuti più profondi della Rivelazione. Composta dalla preposizione σύν, con, e dal sostantivo ὁδός, via, indica il cammino fatto insieme dal Popolo di Dio. Rinvia pertanto al Signore Gesù che presenta se stesso come «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), e al fatto che i cristiani, alla sua sequela, sono in origine chiamati «i discepoli della via» (cfr. At 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22). Nel greco ecclesiastico esprime l’essere convocati in assemblea dei discepoli di Gesù e in alcuni casi è sinonimo della comunità ecclesiale[3]. San Giovanni Crisostomo, ad esempio, scrive che Chiesa è «nome che sta per cammino insieme (σύνoδος)»[4]. La Chiesa infatti – spiega – è l’assemblea convocata per rendere grazie e lode a Dio come un coro, una realtà armonica dove tutto si tiene (σύστημα), poiché coloro che la compongono, mediante le loro reciproche e ordinate relazioni, convergono nell’ἁγάπη e nella ὁμονοία (il medesimo sentire). 4. Con un significato specifico, sin dai primi secoli, vengono designate con la parola “sinodo” le assemblee ecclesiali convocate a vari livelli (diocesano, provinciale o regionale, patriarcale, universale) per discernere, alla luce della Parola di Dio e in ascolto dello Spirito Santo, le questioni dottrinali, liturgiche, canoniche e pastorali che via via si presentano. Il greco σύνoδος viene tradotto in latino con sýnodus o concilium. Concilium, nell’uso profano, indica un'assemblea convocata dalla legittima autorità. Benché le radici di “sinodo” e di “concilio” siano diverse, il significato è convergente. Anzi, “concilio” arricchisce il contenuto semantico di “sinodo” richiamando l’ebraicoקָהָל – (qahal) l'assemblea convocata dal Signore – e la sua traduzione nel greco ἐκκλησία, che designa nel Nuovo Testamento la convocazione escatologica del Popolo di Dio in Cristo Gesù. Nella Chiesa cattolica la distinzione nell’uso delle parole “concilio” e “sinodo” è recente. Nel Vaticano II sono sinonime nel designare l’assise conciliare[5]. Una precisazione è introdotta nel Codex Iuris Canonici della Chiesa latina (1983), dove si distingue tra Concilio particolare (plenario o provinciale)[6] e Concilio ecumenico[7], da un lato, Sinodo dei Vescovi[8] e Sinodo diocesano[9], dall’altro[10]. 5. Nella letteratura teologica, canonistica e pastorale degli ultimi decenni si è profilato l’uso di un sostantivo di nuovo conio, “sinodalità”, correlato all’aggettivo “sinodale”, entrambi derivati dalla parola “sinodo”. Si parla così della sinodalità come “dimensione costitutiva” della Chiesa e tout court di “Chiesa sinodale”. Questa novità di linguaggio, che chiede un’attenta messa a punto teologica, attesta un’acquisizione che viene maturando nella coscienza ecclesiale a partire dal Magistero del Vaticano II e dall’esperienza vissuta, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, dall’ultimo Concilio sino a oggi. Comunione, sinodalità, collegialità 6. Benché il termine e il concetto di sinodalità non si ritrovino esplicitamente nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, si può affermare che l’istanza della sinodalità è al cuore dell’opera di rinnovamento da esso promossa. L’ecclesiologia del Popolo di Dio sottolinea infatti la comune dignità e missione di tutti i Battezzati, nell’esercizio della multiforme e ordinata ricchezza dei loro carismi, delle loro vocazioni, dei loro ministeri. Il concetto di comunione esprime in questo contesto la sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella sinassi eucaristica la sua fonte e il suo culmine[11]. Esso designa la res del Sacramentum Ecclesiae: l’unione con Dio Trinità e l’unità tra le persone umane che si realizza mediante lo Spirito Santo in Cristo Gesù[12]. La sinodalità, in questo contesto ecclesiologico, indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice. 7. Mentre il concetto di sinodalità richiama il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa, il concetto di collegialità precisa il significato teologico e la forma di esercizio del ministero dei Vescovi a servizio della Chiesa particolare affidata alla cura pastorale di ciascuno e nella comunione tra le Chiese particolari in seno all’unica e universale Chiesa di Cristo, mediante la comunione gerarchica del Collegio episcopale col Vescovo di Roma. La collegialità, pertanto, è la forma specifica in cui la sinodalità ecclesiale si manifesta e si realizza attraverso il ministero dei Vescovi sul livello della comunione tra le Chiese particolari in una regione e sul livello della comunione tra tutte le Chiese nella Chiesa universale. Ogni autentica manifestazione di sinodalità esige per sua natura l’esercizio del ministero collegiale dei Vescovi. Una soglia di novità nel solco del Vaticano II 8. I frutti del rinnovamento propiziato dal Vaticano II nella promozione della comunione ecclesiale, della collegialità episcopale, della coscienza e della prassi sinodale sono stati ricchi e preziosi. Molti tuttavia restano i passi da compiere nella direzione tracciata dal Concilio[13]. Oggi, anzi, la spinta a realizzare una pertinente figura sinodale di Chiesa, benché sia ampiamente condivisa e abbia sperimentato positive forme di attuazione, appare bisognosa di principi teologici chiari e di orientamenti pastorali incisivi. 9. Di qui la soglia di novità che Papa Francesco invita a varcare. Nel solco tracciato dal Vaticano II e percorso dai suoi predecessori, egli sottolinea che la sinodalità esprime la figura di Chiesa che scaturisce dal Vangelo di Gesù e che è chiamata a incarnarsi oggi nella storia, in fedeltà creativa alla Tradizione. In conformità all’insegnamento della Lumen gentium, Papa Francesco rimarca in particolare che la sinodalità «ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico»[14] e che, in base alla dottrina del sensus fidei fidelium[15], tutti i membri della Chiesa sono soggetti attivi di evangelizzazione[16]. Ne consegue che la messa in atto di una Chiesa sinodale è presupposto indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero Popolo di Dio. La sinodalità inoltre è al cuore dell’impegno ecumenico dei cristiani: perché rappresenta un invito a camminare insieme sulla via verso la piena comunione e perché offre – correttamente intesa – una comprensione e un’esperienza della Chiesa in cui possono trovare posto le legittime diversità nella logica di un reciproco scambio di doni alla luce della verità. Obiettivo e articolazione del documento 10. Il presente documento s’impegna nei due primi capitoli a rispondere all’esigenza di approfondire il significato teologico della sinodalità nella prospettiva dell’ecclesiologia cattolica in sintonia con l’insegnamento del Vaticano II. Nel primo, si risale alle fonti normative della Sacra Scrittura e della Tradizione per mettere in luce il radicamento della figura sinodale della Chiesa nel dispiegarsi storico della Rivelazione e per evidenziare i fondamentali connotati e gli specifici criteri teologici che ne definiscono il concetto e ne regolano la pratica. Nel secondo, si propongono i fondamenti teologali della sinodalità in conformità alla dottrina ecclesiologica del Vaticano II, articolandoli con la prospettiva del Popolo di Dio pellegrino e missionario e con il mistero della Chiesa comunione, con riferimento alle proprietà distintive dell’unità, santità, cattolicità e apostolicità della Chiesa. Da ultimo si approfondisce il rapporto tra la partecipazione di tutti i membri del Popolo di Dio alla missione della Chiesa e l’esercizio dell’autorità dei Pastori. Il terzo e il quarto capitolo, su questa base, intendono offrire alcuni orientamenti pastorali: il terzo, in riferimento all’attuazione concreta della sinodalità ai vari livelli, nella Chiesa particolare, nella comunione tra le Chiese particolari in una regione, nella Chiesa universale; il quarto, in riferimento alla conversione spirituale e pastorale e al discernimento comunitario e apostolico richiesti per un’autentica esperienza di Chiesa sinodale, apprezzandone i positivi riflessi nel cammino ecumenico e nella diaconia sociale della Chiesa. CAPITOLO 1 LA SINODALITÀ NELLA SCRITTURA, NELLA TRADIZIONE, NELLA STORIA 11. Le fonti normative della vita sinodale della Chiesa nella Scrittura e nella Tradizione attestano che al cuore del disegno divino di salvezza risplende la vocazione all’unione con Dio e all’unità in Lui di tutto il genere umano che si compie in Gesù Cristo e si realizza attraverso il ministero della Chiesa. Esse offrono le linee di fondo necessarie per il discernimento dei principi teologici che debbono animare e regolare la vita, le strutture, i processi e gli eventi sinodali. Su questa base, si tratteggiano le forme di sinodalità sviluppate nella Chiesa nel corso del primo millennio e poi, nel secondo millennio, nella Chiesa cattolica, richiamando alcuni dati circa la prassi sinodale vissuta nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali. 1.1. L’insegnamento della Scrittura 12. L’Antico Testamento attesta che Dio ha creato l’essere umano, uomo e donna, a sua immagine e somiglianza come un essere sociale chiamato a collaborare con Lui camminando nel segno della comunione, custodendo l’universo e orientandolo alla sua meta (Gen 1,26-28). Sin dal principio, il peccato insidia la realizzazione del progetto divino, infrangendo la rete ordinata di relazioni in cui si esprimono la verità, la bontà e la bellezza della creazione e offuscando nel cuore dell’essere umano la sua vocazione. Ma Dio, nella ricchezza della sua misericordia, conferma e rinnova l’alleanza per ricondurre sul sentiero dell’unità ciò che è stato disperso, risanando la libertà dell’uomo e indirizzandola ad accogliere e vivere il dono dell’unione con Dio e dell’unità con i fratelli nella casa comune del creato (cfr. ad es. Gen 9,8-17; 15; 17; Es 19–24; 2Sam 7,11). 13. Nell’attuazione del suo disegno, Dio convoca Abramo e la sua discendenza (cfr. Gen 12,1-3; 17,1-5; 22,16-18). Questa convocazione (קָהָל/עֵדָה – il primo termine spesso tradotto in greco con ἐκκλησία), sancita nel Patto di alleanza al Sinai (cfr. Es 24,6-8; 34,20ss.), dà rilievo e dignità di interlocutore di Dio al Popolo liberato dalla schiavitù, che nel cammino dell’esodo si raduna attorno al suo Signore per celebrarne il culto e viverne la Legge riconoscendosi sua esclusiva proprietà (cfr. Dt 5,1-22; Gs 8; Ne 8,1-18). La קָהָל/עֵדָה è la forma originaria in cui si manifesta la vocazione sinodale del Popolo di Dio. Nel deserto, Dio ordina il censimento delle tribù d’Israele, a ciascuno assegnando il suo posto (cfr. Nm 1–2). Al centro dell’assemblea, unica guida e pastore, vi è il Signore che si fa presente attraverso il ministero di Mosè (cfr. Nm 12; 15–16; Gs 8,30-35) a cui altri vengono associati in modo subordinato e collegiale: i Giudici (cfr. Es 18,25-26), gli Anziani (cfr. Nm 11,16-17.24-30), i Leviti (cfr. Nm 1,50-51). L’assemblea del Popolo di Dio comprende non solo gli uomini (cfr. Es 24,7-8), ma anche le donne e i bambini come pure i forestieri (cfr. Gs 8,33.35). Essa è il partner convocato dal Signore ogni volta che Egli rinnova l’alleanza (cfr. Dt 27-28; Gs 24; 2 Re 23; Neh 8). 14. Il messaggio dei Profeti inculca nel Popolo di Dio l’esigenza di camminare lungo le traversie della storia in fedeltà all’alleanza. I Profeti invitano perciò alla conversione del cuore verso Dio e alla giustizia nei rapporti con il prossimo, specie i più poveri, gli oppressi, gli stranieri, a testimonianza tangibile della misericordia del Signore (cfr. Ger 37,21; 38,1). Perché ciò si realizzi, Dio promette di donare un cuore e uno spirito nuovi (cfr. Ez 11,19) e di aprire dinnanzi al suo Popolo un nuovo esodo (cfr. Ger 37–38): allora Egli stipulerà un’alleanza nuova, non più incisa su tavole di pietra ma sui cuori (cfr. Ger 31,31-34). Essa si dilaterà su orizzonti universali, poiché il Servo del Signore radunerà le genti (cfr. Is 53), e sarà sigillata dall’effusione dello Spirito del Signore su tutti i membri del suo Popolo (cfr. Gl 3,1-4). 15. Dio realizza l’alleanza nuova che ha promesso in Gesù di Nazaret, il Messia e Signore, il quale rivela con il suo kérygma, la sua vita e la sua persona che Dio è comunione di amore che con la sua grazia e misericordia vuole abbracciare nell’unità l’umanità intera. Egli è il Figlio di Dio, dall’eternità proiettato nell’amore verso il seno del Padre (cfr. Gv 1,1.18), fatto uomo nella pienezza dei tempi (cfr. Gv 1,14; Gal 4,4) per portare a compimento il divino disegno della salvezza (cfr. Gv 8,29; 6,39; 5,22. 27). Non agendo mai da solo, Gesù realizza in tutto il volere del Padre: il quale, dimorando in Lui, compie Egli stesso la sua opera mediante il Figlio che ha inviato nel mondo (cfr. Gv 14,10). Il disegno del Padre si compie escatologicamente nella pasqua di Gesù, quand’Egli dona la sua vita per riprenderla nuova nella risurrezione (cfr. Gv 10,17) e parteciparla quale vita filiale e fraterna ai suoi discepoli nell’effusione «senza misura» dello Spirito Santo (cfr. Gv 3,34). La pasqua di Gesù è il nuovo esodo che raduna in unità (συναγάγῃ εἰς ἕν) tutti coloro che nella fede credono in Lui (cfr. Gv 11,52) e che Egli conforma a sé mediante il Battesimo e l’Eucaristia. L’opera della salvezza è l’unità da Gesù chiesta al Padre nell’imminenza della passione: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi uno in noi perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). 16. Gesù è il pellegrino che proclama la buona novella del Regno di Dio (cfr. Lc 4,14-15; 8,1; 9,57; 13,22; 19,11) annunciando «il cammino di Dio» (cfr. Lc 20,21) e tracciandone la direzione (Lc 9,51-19,28). È anzi Egli stesso «la via» (cfr. Gv 14,6) che porta al Padre, comunicando agli uomini nello Spirito Santo (cfr. Gv 16,13) la verità e la vita della comunione con Dio e coi fratelli. Vivere la comunione secondo la misura del comandamento nuovo di Gesù significa camminare insieme nella storia come Popolo di Dio della nuova alleanza in corrispondenza al dono ricevuto (cfr. Gv 15,12-15). Un’icona viva della Chiesa come Popolo di Dio, guidato lungo la via dal Signore risorto che lo illumina con la sua Parola e lo nutre con il Pane della vita, è tratteggiata dall’evangelista Luca nel racconto dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35). 17. Il Nuovo Testamento fa uso di un termine specifico per esprimere il potere di comunicare la salvezza che Gesù ha ricevuto dal Padre e che, nella forza (δύναμις) dello Spirito Santo, esercita su tutte le creature: ἐξουσία (autorità). Essa consiste nella comunicazione della grazia che rende «figli di Dio» (cfr. Gv 1,12). Tale ἐξουσία gli Apostoli ricevono dal Signore risorto, che li invia ad ammaestrare le genti battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e insegnando loro ad osservare tutto ciò che Egli ha comandato (cfr. Mt 28,19-20). Di essa sono resi partecipi, in virtù del Battesimo, tutti i membri del Popolo di Dio che, avendo ricevuto «l’unzione dello Spirito Santo» (cfr. 1Gv 2,20.27), sono ammaestrati da Dio (cfr. Gv 6,45) e guidati «alla verità tutta intera» (cfr. Gv 16,13). 18. L’ἐξουσία del Signore risorto si esprime nella Chiesa attraverso la pluralità dei doni spirituali (τα πνευματικά) o carismi (τα χαρίσματα) che lo Spirito elargisce in seno al Popolo di Dio per l’edificazione dell’unico Corpo di Cristo. Nel loro esercizio va rispettata una τάξις oggettiva, in modo che essi possano svilupparsi in armonia e portare il frutto cui sono destinati a favore di tutti (cfr. 1Cor 12,28-30; Ef 4,11-13). Il primo posto tra essi è quello degli Apostoli – tra cui un ruolo peculiare e preminente è attribuito da Gesù a Simon Pietro (cfr. Mt 16,18s., Gv 21,15 ss.): ad essi infatti è confidato il ministero di guidare la Chiesa in fedeltà al depositum fidei (1Tim 6,20; 2Tim 1,12.14). Ma il termine χάρισμα evoca anche la gratuità e la pluriformità della libera iniziativa dello Spirito che a ciascuno elargisce il proprio dono in vista dell’utilità comune (cfr. 1Cor 12,4-11; 29-30; Ef 4,7). Nella logica, sempre, della mutua sottomissione e del mutuo servizio (cfr. 1Cor 12,25): poiché il dono supremo e regolatore di tutti è la carità (cfr. 1Cor 12,31). 19. Gli Atti degli Apostoli attestano alcuni importanti momenti nel cammino della Chiesa apostolica in cui il Popolo di Dio è chiamato all’esercizio comunitario del discernimento della volontà del Signore risorto. Il protagonista che guida e orienta questo cammino è lo Spirito Santo, effuso sulla Chiesa il giorno di Pentecoste (cfr. At 2,2-3). È responsabilità dei discepoli, nell’esercizio dei loro rispettivi ruoli, mettersi in ascolto della sua voce per discernere la via da seguire (cfr. At 5,19-21; 8,26.29.39; 12,6-17; 13,1-3; 16,6-7.9-10; 20,22). Ne sono esempio la scelta dei «sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza», cui gli Apostoli confidano l’incarico di «servire alle mense» (cfr. At 6,1-6), e il discernimento della cruciale questione della missione presso i Gentili (cfr. At 10). 20. Tale questione viene trattata in quello che la tradizione ha chiamato “Concilio apostolico di Gerusalemme” (cfr. At 15; e anche Gal 2,1-10). Vi si può riconoscere il prodursi di un evento sinodale in cui la Chiesa apostolica, in un momento decisivo del suo cammino, vive la sua vocazione alla luce della presenza del Signore risorto in vista della missione. Questo evento, lungo i secoli, sarà interpretato come la figura paradigmatica dei Sinodi celebrati dalla Chiesa. Il racconto descrive con precisione la dinamica dell’evento. Di fronte alla questione rilevante e controversa che la interpella, la comunità di Antiochia decide di rivolgersi «agli Apostoli e agli Anziani» (15,2) della Chiesa di Gerusalemme, inviando presso di loro Paolo e Barnaba. La comunità di Gerusalemme, gli Apostoli e gli Anziani prontamente si riuniscono (15,4) per esaminare la situazione. Paolo e Barnaba riferiscono quanto accaduto. Segue una vivace e aperta discussione (ἐκζητήσωσιν: 15,7a). Si ascoltano, in particolare, la testimonianza autorevole e la professione di fede di Pietro (15,7b-12). Giacomo interpreta gli avvenimenti alla luce della parola profetica (cfr. Am 9,11-12: At 15,14-18) che attesta la volontà salvifica universale di Dio, che ha scelto «tra le genti un popolo» (ἐξ ἐϑνῶν λαόν; 15,14), e formula la decisione offrendo alcune regole di comportamento (15,19-21). Il suo discorso attesta una visione della missione della Chiesa saldamente radicata nel disegno di Dio e allo stesso tempo aperta al suo farsi presente nello svolgersi progressivo della storia della salvezza. Si scelgono infine alcuni inviati affinché rechino la lettera che trasmette la decisione presa con le prescrizioni sulla prassi da seguire (15,23-29), lettera che viene consegnata e letta alla comunità di Antiochia che se ne rallegra (15,30-31). 21. Tutti sono attori nel processo, benché diversificato sia il loro ruolo e contributo. La questione viene presentata a tutta la Chiesa di Gerusalemme (πᾶν τὸ πλῆϑος; 15,12), che è presente in tutto il suo svolgimento ed è coinvolta nella decisione finale (ἔδοξε τοῖς ἀποστόλοις καὶ τοῖς πρεσβυτέροις σὺν ὅλῃ τῇἐκκλησία; 15,22). Ma sono interpellati in prima istanza gli Apostoli (Pietro e Giacomo, che prendono la parola) e gli Anziani, che esercitano con autorità il loro specifico ministero. La decisione viene presa da Giacomo, guida della Chiesa di Gerusalemme, in virtù dell’azione dello Spirito Santo che guida il cammino della Chiesa assicurandone la fedeltà al Vangelo di Gesù: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi» (15,28). Essa viene recepita e fatta propria da tutta l’assemblea di Gerusalemme (15,22) e poi da quella di Antiochia (15,30-31). L’iniziale diversità di opinioni e la vivacità del dibattito sono indirizzati, nel reciproco ascolto dello Spirito Santo attraverso la testimonianza dell’azione di Dio e lo scambio del proprio giudizio, a quel consenso e unanimità (ὁμοϑυμαδόν, cfr. 15,25) che è il frutto del discernimento comunitario a servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa. 22. Lo svolgimento del Concilio di Gerusalemme mostra dal vivo il cammino del Popolo di Dio come una realtà compaginata e articolata dove ognuno ha un posto e un ruolo specifico (cfr. 1Cor 12,12-17; Rm 12,4-5; Ef 4,4). L’apostolo Paolo, alla luce della sinassi eucaristica, evoca l’immagine della Chiesa quale Corpo di Cristo, a esprimere sia l’unità dell’organismo sia la diversità delle sue membra. Come infatti nel corpo umano tutte le membra sono necessarie nella loro specificità, così nella Chiesa tutti godono della stessa dignità in virtù del Battesimo (cfr. Gal 3,28, 1Cor 12,13) e tutti devono portare il loro contributo per adempiere il disegno della salvezza «a misura del dono di Cristo» (Ef 4,7). Tutti, dunque, sono corresponsabili della vita e della missione della comunità e tutti sono chiamati ad operare secondo la legge della mutua solidarietà nel rispetto degli specifici ministeri e carismi, in quanto ognuno di essi attinge la sua energia dall’unico Signore (cfr. 1Cor 15,45). 23. La meta del cammino del Popolo di Dio è la nuova Gerusalemme, avvolta dallo splendore irradiante della gloria di Dio, in cui si celebra la liturgia celeste. Il libro dell’Apocalisse vi contempla «l’Agnello, in piedi, come immolato» che ha riscattato per Dio con il suo sangue «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» e ha fatto di loro, «per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra»; alla liturgia celeste partecipano gli angeli e «miriadi di miriadi e migliaia di migliaia» con tutte le creature del cielo e della terra (cfr. Ap 5,6.9.11.13). Allora si adempirà la promessa che racchiude il senso più profondo del divino disegno di salvezza: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”» (Ap 21,3). 1.2. Le testimonianze dei Padri e la Tradizione nel I millennio 24. La perseveranza sulla via dell’unità attraverso la diversità dei luoghi e delle culture, delle situazioni e dei tempi, è la sfida cui il Popolo è chiamato a rispondere per camminare nella fedeltà al Vangelo gettandone il seme nell’esperienza dei diversi popoli. La sinodalità si dispiega sin dall’inizio quale garanzia e incarnazione della fedeltà creativa della Chiesa alla sua origine apostolica e alla sua vocazione cattolica. Essa si esprime in una forma che è unitaria nella sostanza, ma che via via si esplicita, alla luce dell’attestazione scritturistica, nello sviluppo vivente della Tradizione. Tale unitaria forma conosce pertanto differenti declinazioni a seconda dei diversi momenti storici e nel dialogo con le diverse culture e situazioni sociali. 25. All’inizio del II secolo, la testimonianza di Ignazio d’Antiochia descrive la coscienza sinodale delle diverse Chiese locali che si riconoscono in solido espressione dell’unica Chiesa. Nella lettera che indirizza alla comunità di Efeso, egli afferma che tutti i suoi membri sono σύνοδοι, compagni di viaggio, in virtù della dignità battesimale e dell’amicizia con Cristo[17]. Sottolinea inoltre l’ordine divino che compagina la Chiesa[18], chiamata a intonare la lode dell’unità a Dio Padre in Cristo Gesù[19]: il collegio dei Presbiteri è il consiglio del Vescovo[20] e tutti i membri della comunità, ciascuno per la propria parte, sono chiamati a edificarla. La comunione ecclesiale è prodotta e si manifesta nella sinassi eucaristica presieduta dal Vescovo, alimentando la coscienza e la speranza che alla fine della storia Dio raccoglierà nel suo Regno tutte le comunità che ora la vivono e la celebrano nella fede[21]. Fedeltà alla dottrina apostolica e celebrazione dell’Eucaristia sotto la guida del Vescovo, successore degli Apostoli, esercizio ordinato dei diversi ministeri e primato della comunione nel reciproco servizio a lode e gloria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo: ecco i tratti distintivi della vera Chiesa. Cipriano di Cartagine, erede e interprete a metà del III secolo di questa Tradizione, formula il principio episcopale e sinodale che ne deve reggere la vita e la missione a livello locale e a livello universale: se è vero che nella Chiesa locale non va fatto nihil sine episcopo, è altrettanto vero che non va fatto nihil sine consilio vestro (dei Presbiteri e Diaconi) et sine consensu plebis[22], sempre tenendo ferma la regola secondo cui episcopatus unus est cuius a singulis in solidum pars tenetur[23]. 26. A partire dal IV secolo, si formano provincie ecclesiastiche che manifestano e promuovono la comunione tra le Chiese locali e che hanno alla loro testa un Metropolita. In vista di deliberazioni comuni si realizzano dei sinodi provinciali quali strumenti specifici di esercizio della sinodalità ecclesiale. Il 6° can. del concilio di Nicea (325) riconosce alle sedi di Roma, Alessandria e Antiochia una preminenza (πρεσβεία) e una primazia a livello regionale[24]. Al Concilio di Costantinopoli I (381) la sede di Costantinopoli viene aggiunta alla lista delle sedi principali. Il 3º can. riconosce al Vescovo di questa città una presidenza d’onore dopo il Vescovo di Roma[25], titolo confermato dal 28º can. del concilio di Calcedonia (451)[26], quando la sede di Gerusalemme è associata alla lista. Questa pentarchia è considerata in Oriente forma e garanzia dell’esercizio della comunione e della sinodalità tra queste cinque sedi apostoliche. La Chiesa in Occidente, riconoscendo il ruolo dei Patriarcati in Oriente, non considera la Chiesa di Roma come un Patriarcato tra gli altri, ma le attribuisce un specifico primato in seno alla Chiesa universale. 27. Il canone apostolico 34 risalente alla fine del III secolo, ben conosciuto in Oriente, statuisce che ogni decisione che oltrepassa la competenza del Vescovo della Chiesa locale dev’essere assunta sinodalmente: «I Vescovi di ciascuna nazione (ἔϑνος) debbono riconoscere colui che è il primo (πρότος) tra di loro, e considerarlo il loro capo (κεφαλή), e non far nulla di importante senza il suo consenso (γνώμη) (…) ma il primo (πρώτος) non può far nulla senza il consenso di tutti»[27]. L’azione sinodale in concordia (ὁμόνοια) così posta in essere dalla Chiesa è rivolta alla glorificazione di Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo. Il ruolo del πρώτος, a livello provinciale e metropolitano (e poi patriarcale), è quello di convocare e presiedere il Sinodo sui rispettivi livelli per affrontare le questioni comuni ed emanare le risoluzioni necessarie in virtù dell’autorità (ἐξουσία) del Signore espressa dai Vescovi riuniti sinodalmente. 28. Benché nei Sinodi, celebrati periodicamente a partire dal III secolo a livello diocesano e provinciale, vengano trattate questioni di disciplina, culto e dottrina sorte in ambito locale, ferma è la convinzione che le decisioni prese sono espressione della comunione con tutte le Chiese. Tale sentire ecclesiale, attestante la coscienza che ogni Chiesa locale è espressione della Chiesa una e cattolica, si manifesta attraverso la comunicazione delle lettere sinodali, le raccolte dei canoni sinodali trasmesse alle altre Chiese, la richiesta del riconoscimento reciproco tra le diverse sedi, lo scambio delle delegazioni che spesso comporta viaggi faticosi e pericolosi. La Chiesa di Roma sin dal principio gode di singolare considerazione, in virtù del martirio ivi subito dagli apostoli Pietro – di cui il suo Vescovo è riconosciuto come il successore[28] – e Paolo. La fede apostolica in essa saldamente custodita, il ministero autorevole esercitato dal suo Vescovo a servizio della comunione tra le Chiese, la ricca prassi di vita sinodale in essa attestata ne fanno il punto di riferimento per tutte le Chiese, che anche le si rivolgono per dirimere le controversie[29], fungendo essa così da sede d’appello[30]. La sede romana diventa inoltre in Occidente il prototipo di organizzazione delle altre Chiese a livello sia amministrativo sia canonico. 29. Nel 325 si celebra a Nicea il primo Concilio ecumenico, convocato dall’imperatore. Esso vede la presenza dei Vescovi provenienti da diverse regioni dell’Oriente e dei Legati del Vescovo di Roma. La sua professione di fede e le sue decisioni canoniche sono riconosciute nel loro valore normativo per tutta la Chiesa, nonostante la travagliata recezione, come del resto avverrà anche in altre occasioni lungo la storia. Nel Concilio di Nicea per la prima volta, attraverso l’esercizio sinodale del ministero dei Vescovi, si esprime istituzionalmente sul livello universale l’ἐξουσία del Signore risorto che guida e orienta nello Spirito Santo il cammino del Popolo di Dio. Analoga esperienza si realizza nei successivi Concili ecumenici del primo millennio, attraverso i quali si staglia normativamente l’identità della Chiesa una e cattolica. In essi si esplicita progressivamente la coscienza che è essenziale per l’esercizio dell’autorità del Concilio ecumenico la συμφωνία dei capi delle diverse Chiese, la συνεργεία del Vescovo di Roma, la συνφρόνησης degli altri Patriarchi e l’accordo del suo insegnamento con quello dei Concili precedenti[31]. 30. Quanto al modus procedendi, i Sinodi del primo millennio a livello locale, da un lato si rifanno alla Tradizione apostolica, dall’altro risultano segnati, nelle loro procedure concrete, dal contesto culturale in cui si svolgono[32]. Nel caso del Sinodo di una Chiesa locale, in linea di principio, nel rispetto dei rispettivi ruoli, vi partecipa l’intera comunità in tutte le sue componenti[33]. Nei Sinodi provinciali, i partecipanti sono i Vescovi delle diverse Chiese, ma possono essere invitati a offrire il loro contributo anche Presbiteri e Monaci. Ai Concili ecumenici celebrati nel primo millennio partecipano i soli Vescovi. Sono soprattutto i Sinodi diocesani e provinciali a forgiare la prassi sinodale diffusa nel primo millennio. 1.3. Lo sviluppo della prassi sinodale nel II millennio 31. Con l’inizio del II millennio la prassi sinodale assume via via forme procedurali diverse in Occidente e in Oriente, in particolare dopo la rottura della comunione tra la Chiesa di Costantinopoli e la Chiesa di Roma (sec. XI) e la caduta dei territori ecclesiastici pertinenti ai Patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme sotto il controllo politico dell’Islam. Nelle Chiese d’Oriente prosegue la prassi sinodale in conformità alla Tradizione dei Padri, in particolare sul livello dei Sinodi patriarcali e metropolitani, ma vengono celebrati anche Sinodi straordinari con la partecipazione dei Patriarchi e dei Metropoliti. A Costantinopoli si consolida l’attività di un Sinodo permanente (Σύνoδος ἐνδημούσα), conosciuto dal IV sec. anche ad Alessandria e Antiochia, con assemblee regolari per esaminare le questioni liturgiche, canoniche e pratiche e con diverse forme procedurali nel periodo bizantino e, dopo il 1454, nel periodo ottomano. La prassi del Sinodo permanente è viva sino ad oggi nelle Chiese Ortodosse. 32. Nella Chiesa cattolica la riforma gregoriana e la lotta per la libertas Ecclesiae contribuiscono all’affermazione dell’autorità primaziale del Papa. La quale, se da un lato libera i Vescovi dalla subordinazione all’Imperatore, dall’altro, se non ben intesa rischia di indebolire la coscienza delle Chiese locali. Il Sinodo Romano, che fin dal V secolo fungeva da consiglio del Vescovo di Roma e a cui prendevano parte, oltre ai Vescovi della provincia romana anche Vescovi presenti nell’Urbe al momento della celebrazione, insieme ai Presbiteri e ai Diaconi, diventa il modello dei Concili del Medioevo. Essi, presieduti dal Papa o da un suo Legato, non sono assemblee esclusivamente di Vescovi ed ecclesiastici, ma espressioni della christianitas occidentale in cui siedono con ruoli diversi, accanto alle autorità ecclesiastiche (Vescovi, Abati e Superiori degli Ordini religiosi), anche le autorità civili (rappresentanti dell’Imperatore, dei Re e grandi dignitari) e i periti teologi e canonisti. 33. Sul livello delle Chiese locali, anche a seguito della vasta prassi sinodale esercitata nell’Impero Romano d’Occidente instaurato da Carlo Magno, i Sinodi perdono il loro carattere prettamente ecclesiale e assumono la forma di Sinodi regi o nazionali, cui partecipano i Vescovi e altre autorità ecclesiastiche sotto la presidenza del Re. Non mancano, nel corso del Medioevo, esempi di rivitalizzazione della prassi sinodale nel senso più ampio del termine. Così, ad esempio, ad opera dei Monaci di Cluny. Un contributo a tener viva la prassi sinodale lo offrono anche i Capitoli delle Chiese cattedrali così come le nuove comunità di vita religiosa, in particolare gli Ordini mendicanti[34]. 34. Un caso singolare si produce, sulla fine del Medioevo, in occasione dello Scisma d’Occidente (1378-1417), con la simultanea presenza di due e poi persino di tre pretendenti al titolo papale. La soluzione dell’intricata questione viene prodotta dal Concilio di Costanza (1414-1418), attraverso l’applicazione del diritto ecclesiastico di emergenza previsto dalla canonistica medievale, procedendo all’elezione del Papa legittimo. Si fa però strada in questa situazione la tesi conciliarista mirante a instaurare la superiorità di un regime conciliare permanente sull’autorità primaziale del Papa. Il conciliarismo nella sua giustificazione teologica e nella sua configurazione pratica viene giudicato non conforme al legato della Tradizione. Consegna tuttavia una lezione alla storia della Chiesa: i pericoli di scisma sempre in agguato non si possono scongiurare e la continua riforma in capite et membris della Chiesa non si può realizzare senza un corretto esercizio di quella prassi sinodale che, nel solco della Tradizione, chiede come sua garanzia propria l’autorità primaziale del Papa. 35. Un secolo dopo, la Chiesa cattolica, in risposta alla crisi innescata dalla riforma protestante, celebra il Concilio di Trento. È il primo Concilio della modernità che si qualifica per alcune caratteristiche: non ha più la figura di un Concilio della christianitas come nel Medioevo, vede la partecipazione dei Vescovi insieme ai Superiori degli Ordini religiosi e delle Congregazioni monastiche, mentre i legati dei Principi, pur partecipando alle sedute, non hanno diritto di voto. Il Concilio stabilisce la norma della celebrazione dei Sinodi diocesani ogni anno e di quelli provinciali ogni tre anni, contribuendo a trasmettere l’impulso della riforma tridentina a tutta la Chiesa. Esempio e modello ne è l’azione di San Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, che convoca lungo il suo ministero 5 Sinodi provinciali e 11 diocesani. Analoga iniziativa in America è intrapresa da San Turibio de Mogrovejo, Vescovo di Lima, che convoca 3 Concili provinciali e 13 Sinodi diocesani, cui si aggiungono i tre Concili provinciali in Messico nello stesso secolo. I Sinodi diocesani e provinciali celebrati a seguito del Concilio di Trento non miravano, secondo la cultura del tempo, al coinvolgimento attivo di tutto il Popolo di Dio – la congregatio fidelium –, ma a trasmetterne e metterne in atto le norme e disposizioni. La reazione apologetica alla critica dell’autorità ecclesiastica da parte della riforma protestante e alla sua contestazione da parte di numerosi filoni del pensiero moderno, accentuò la visione gerarcologica della Chiesa come societas perfecta et inaequalium, giungendo a identificare nei Pastori, con al vertice il Papa, la Ecclesia docens e nel resto del Popolo di Dio la Ecclesia discens. 36. Le Comunità ecclesiali nate dalla riforma protestante promuovono una forma specifica di prassi sinodale, nel contesto di un’ecclesiologia e di una dottrina e pratica sacramentale e ministeriale che si discostano dalla Tradizione cattolica. Il governo sinodale della comunità ecclesiale, cui partecipa un certo numero di fedeli in forza del sacerdozio comune derivante dal Battesimo, è ritenuta la struttura più consona alla vita della Comunità cristiana secondo la confessione luterana. Tutti i fedeli sono chiamati a prender parte all’elezione dei ministri e a curarsi della fedeltà all’insegnamento del Vangelo e dell’ordinamento ecclesiastico. In genere, questa prerogativa viene esercitata dai governanti civili, dando vita in passato a un regime di stretto legame con lo Stato. Nelle Comunità ecclesiali di tradizione riformata si afferma la dottrina dei quattro ministeri (pastori, dottori, presbiteri, diaconi) di Giovanni Calvino, secondo la quale la figura del presbitero rappresenta la dignità e i poteri conferiti a tutti i fedeli col Battesimo. I presbiteri, insieme ai pastori, sono per questo i responsabili della comunità locale, mentre la prassi sinodale prevede la presenza assembleare dei dottori, degli altri ministri e di una maggioranza di fedeli laici. La prassi sinodale resta una costante nella vita della Comunione Anglicana a tutti i livelli – locale, nazionale e sovranazionale. L’espressione secondo cui essa è synodically governed, but episcopally led, non intende semplicemente indicare una divisione tra potere legislativo (proprio dei Sinodi, cui partecipano tutte le componenti del Popolo di Dio) e potere esecutivo (specifico dei Vescovi), ma piuttosto la sinergia tra il carisma e l’autorità personale dei Vescovi, da una parte, e, dall’altra, il dono dello Spirito Santo riversato sull’intera comunità. 37. Il Concilio Vaticano I (1869-1870) sancisce la dottrina del primato e dell’infallibilità del Papa. Il primato del Vescovo di Roma, per cui «nel beato Pietro è stabilito il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione», viene presentato dal Concilio come il ministero posto a garanzia dell’unità e indivisibilità dell’episcopato a servizio della fede del Popolo di Dio[35]. La formula secondo cui le definizioni ex cathedra del Papa sono irreformabili «per se stesse e non in virtù del consenso della Chiesa»[36] «non rende il consensus Ecclesiae superfluo» ma afferma l’esercizio dell’autorità che è propria del Papa in virtù del suo specifico ministero[37]. Lo attesta la consultazione, condotta attraverso i Vescovi presso tutto il Popolo di Dio, voluta dal Beato Pio IX in vista della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione[38], prassi seguita da Pio XII in riferimento alla definizione del dogma dell’Assunzione di Maria[39]. 38. La necessità di un pertinente e consistente rilancio della prassi sinodale nella Chiesa cattolica si annuncia già nel XIX secolo grazie all’opera di alcune voci profetiche come Johann Adam Möhler (1796-1838), Antonio Rosmini (1797-1855) e John Henry Newman (1801-1890), che si richiamano alle fonti normative della Scrittura e della Tradizione, preannunciando il rinnovamento propiziato dai movimenti biblico, liturgico e patristico. Essi sottolineano come primaria e fondante, nella vita della Chiesa, la dimensione della comunione che implica un’ordinata prassi sinodale ai vari livelli, con la valorizzazione del sensus fidei fidelium in intrinseca relazione con il ministero specifico dei Vescovi e del Papa. Anche il profilarsi di un nuovo clima nelle relazioni ecumeniche con le altre Chiese e Comunità ecclesiali e di un più attento discernimento delle istanze avanzate dalla coscienza moderna in ordine alla partecipazione di tutti i cittadini alla gestione della cosa pubblica, spingono a una rinnovata e approfondita esperienza e presentazione del mistero della Chiesa nella sua intrinseca dimensione sinodale. 39. Non va dimenticato il nascere e il progressivo consolidarsi, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, di una nuova istituzione che, senza ancora godere di un profilo canonico preciso, vede radunarsi i Vescovi di una stessa nazione in Conferenze Episcopali: segno del risvegliarsi di una interpretazione collegiale dell’esercizio del ministero episcopale in riferimento a uno specifico territorio e in considerazione delle mutate condizioni geopolitiche. Nello stesso spirito, alla vigilia del XX secolo si celebra a Roma, convocato da Leone XIII, un Concilio plenario latinoamericano, che vede la partecipazione dei Metropoliti delle province ecclesiastiche del Continente (1899). Sul fronte della teologia e dell’esperienza ecclesiale cresce intanto la coscienza che «la Chiesa non s’identifica con i suoi Pastori, che la Chiesa intera, per l’opera dello Spirito Santo, è il soggetto o “l’organo” della Tradizione, e che i laici hanno un ruolo attivo nella trasmissione della fede apostolica»[40]. 40. Il Concilio ecumenico Vaticano II riprende il disegno del Vaticano I e lo integra nella prospettiva di un complessivo “aggiornamento”, assumendo i guadagni maturati nei decenni precedenti e componendoli in una ricca sintesi alla luce della Tradizione. La Costituzione dogmatica Lumen gentium illustra una visione della natura e della missione della Chiesa come comunione in cui vengono tracciati i presupposti teologici per un pertinente rilancio della sinodalità: la concezione misterica e sacramentale della Chiesa; la sua natura di Popolo di Dio pellegrinante nella storia verso la patria celeste, in cui tutti i membri sono insigniti in virtù del Battesimo della stessa dignità di figli di Dio e investiti della stessa missione; la dottrina della sacramentalità dell’episcopato e della collegialità in comunione gerarchica col Vescovo di Roma. Il Decreto Christus Dominus mette in rilievo la soggettività della Chiesa particolare e sollecita i Vescovi a esercitare la cura pastorale della Chiesa loro affidata in comunione col presbiterio, giovandosi dell’aiuto di uno specifico senato o consiglio di presbiteri e formulando l’invito a che in ogni Diocesi si costituisca un Consiglio pastorale, del quale facciano parte Presbiteri, Religiosi e Laici. Si esprime inoltre l’auspicio, sul livello della comunione tra le Chiese locali in una regione, che la veneranda istituzione dei Sinodi e dei Concili provinciali riprenda nuovo vigore, e si invita a promuovere l’istituto delle Conferenze Episcopali. Nel Decreto Orientalium Ecclesiarum si valorizzano l’istituzione patriarcale e la sua forma sinodale in relazione alle Chiese cattoliche orientali. 41. In ordine alla rivitalizzazione della prassi sinodale sul livello della Chiesa universale, il Beato Paolo VI istituisce il Sinodo dei Vescovi. Si tratta di un «consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa universale», soggetto direttamente e immediatamente alla potestà del Papa, cui «spetta il compito di dare informazioni e consigli» e che «potrà anche godere di potestà deliberativa, quando questa gli sia stata conferita dal Romano Pontefice»[41]. Tale istituzione ha l’obiettivo di continuare a far giungere al Popolo di Dio i benefici della comunione vissuta durante il Concilio. San Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo dell’anno 2000, traccia un bilancio del cammino compiuto per incarnare in conformità all’insegnamento del Vaticano II l’essenza stessa del mistero della Chiesa attraverso le diverse strutture di comunione. Molto si è fatto – sottolinea – ma «molto resta da fare per esprimere al meglio la potenzialità di questi strumenti di comunione... (e)rispondere con prontezza ed efficacia ai problemi che la Chiesa deve affrontare nei cambiamenti così rapidi del nostro tempo»[42]. Negli ormai oltre cinquant’anni trascorsi dall’ultimo Concilio ad oggi è maturata la coscienza della natura comunionale della Chiesa in fasce sempre più ampie del Popolo di Dio e positive esperienze di sinodalità si sono prodotte a livello diocesano, regionale e universale. In particolare, si sono svolte 14 Assemblee generali ordinarie del Sinodo dei Vescovi, si sono consolidate l’esperienza e l’attività delle Conferenze Episcopali e si sono celebrate ovunque assemblee sinodali. Sono stati inoltre costituiti Consigli che hanno favorito la comunione e la cooperazione fra le Chiese locali e gli Episcopati per tracciare linee pastorali a livello regionale e continentale. CAPITOLO 2 VERSO UNA TEOLOGIA DELLA SINODALITÀ 42. L’insegnamento della Scrittura e della Tradizione attesta che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa, che attraverso di essa si manifesta e configura come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore risorto. Nel capitolo 1 si è evidenziato, in particolare, il carattere esemplare e normativo del Concilio di Gerusalemme (At 15,4-29). Esso mostra in atto, a fronte di una sfida decisiva per la Chiesa delle origini, il metodo del discernimento comunitario e apostolico che è espressione della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo[43]. La sinodalità non designa una semplice procedura operativa, ma la forma peculiare in cui la Chiesa vive e opera. In questa prospettiva, alla luce dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, questo capitolo mette a tema i fondamenti e contenuti teologali della sinodalità. 2.1. I fondamenti teologali della sinodalità 43. La Chiesa è de Trinitate plebs adunata[44] chiamata e abilitata come Popolo di Dio a indirizzare il suo cammino nella missione «al Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito Santo»[45]. La Chiesa partecipa così, in Cristo Gesù e mediante lo Spirito Santo, alla vita di comunione della SS.ma Trinità destinata ad abbracciare l’intera umanità[46]. Nel dono e nell’impegno della comunione si trovano la sorgente, la forma e lo scopo della sinodalità in quanto essa esprime lo specifico modus vivendi et operandi del Popolo di Dio nella partecipazione responsabile e ordinata di tutti i suoi membri al discernimento e alla messa in opera delle vie della sua missione. Nell’esercizio della sinodalità si traduce infatti in concreto la vocazione della persona umana a vivere la comunione che si realizza, attraverso il dono sincero di sé, nell’unione con Dio e nell’unità coi fratelli e le sorelle in Cristo[47]. 44. Per attuare il disegno della salvezza Gesù risorto ha comunicato il dono dello Spirito Santo agli Apostoli (cfr. Gv 20,22). Il giorno di Pentecoste lo Spirito di Dio è stato effuso su tutti coloro che, provenendo da ogni dove, ascoltano e accolgono il kérygma, prefigurando la convocazione universale di tutti i popoli nell’unico Popolo di Dio (cfr. At 2,11). Lo Spirito Santo, dall’intimo dei cuori, anima e plasma la comunione e la missione della Chiesa, Corpo di Cristo e Tempio vivo dello Spirito (cfr. Gv 2,21; 1Cor 2,1-11). «Credere che la Chiesa è Santa e Cattolica e Una e Apostolica è inseparabile dalla fede in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo»[48]. 45. La Chiesa è una perché ha la sua sorgente, il suo modello e la sua meta nell’unità della Santissima Trinità (cfr. Gv 17,21-22). Essa è il Popolo di Dio pellegrinante sulla terra per riconciliare tutti gli uomini nell’unità del Corpo di Cristo mediante lo Spirito Santo (cfr. 1Cor 12,4). La Chiesa è santa perché è opera della SS.ma Trinità (cfr. 2Cor 13,13): santificata dalla grazia di Cristo, che le si è consegnato come Sposo alla Sposa (cfr. Ef 5,23) e vivificata dall’amore del Padre effuso nei cuori mediante lo Spirito Santo (cfr. Rm 5,5). In essa si realizza la communio sanctorum nel suo duplice significato di comunione con le realtà sante (sancta) e di comunione tra le persone santificate (sancti)[49]. Così, il Popolo santo di Dio cammina verso la perfezione della santità che è la vocazione di tutti i suoi membri, accompagnato dall’intercessione di Maria SS.ma, dei Martiri e dei Santi, essendo costituito e inviato come sacramento universale di unità e di salvezza. La Chiesa è cattolica perché custodisce l’integrità e la totalità della fede (cfr. Mt 16,16) ed è inviata per radunare in un solo Popolo santo tutti i popoli della terra (cfr. Mt 28,19). È apostolica perché edificata sopra il fondamento degli Apostoli (cfr. Ef 2,20), perché fedelmente trasmette la loro fede e perché è ammaestrata, santificata e governata dai loro successori (cfr. At 20,19). 46. L’azione dello Spirito nella comunione del Corpo di Cristo e nel cammino missionario del Popolo di Dio è il principio della sinodalità. Egli infatti, essendo il nexus amoris nella vita di Dio Trinità, comunica questo stesso amore alla Chiesa che si edifica come κοινωνία τοῦἁγίου πνεύματος (2Cor 13,13). Il dono dello Spirito Santo, unico e medesimo in tutti i Battezzati, si manifesta in molte forme: l’uguale dignità dei Battezzati; la vocazione universale alla santità[50]; la partecipazione di tutti i fedeli all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo; la ricchezza dei doni gerarchici e carismatici[51]; la vita e la missione di ogni Chiesa locale. 47. Il cammino sinodale della Chiesa è plasmato e alimentato dall’Eucaristia. Essa è «il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per le Chiese locali e per i fedeli cristiani».[52] La sinodalità ha la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione liturgica e in forma singolare nella partecipazione piena, consapevole e attiva alla sinassi eucaristica[53]. La comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo fa sì che, «benché siamo molti, siamo un solo Pane e un solo Corpo, poiché tutti partecipiamo di un solo Pane» (1Cor 11,17). L’Eucaristia rappresenta e realizza visibilmente l’appartenenza al Corpo di Cristo e la coappartenenza tra i cristiani (1Cor 12,12). Attorno alla mensa eucaristica si costituiscono e si incontrano nell’unità dell’unica Chiesa le diverse Chiese locali. La sinassi eucaristica esprime e realizza il “noi” ecclesiale della communio sanctorum in cui i fedeli sono resi partecipi della multiforme grazia divina. L’Ordo ad Synodum, dai Concili di Toledo del VII secolo al Caerimoniale Episcoporum promulgato nel 1984, manifesta la natura liturgica dell’assemblea sinodale prevedendo al suo inizio e come suo centro la celebrazione dell’Eucaristia e l’intronizzazione del Vangelo. 48. Il Signore effonde il suo Spirito in ogni luogo e in ogni tempo sul Popolo di Dio per renderlo partecipe della sua vita, nutrendolo con l’Eucaristia e guidandolo in comunione sinodale. «L’essere veramente “sinodale” quindi è l’avanzare in armonia sotto l’impulso dello Spirito»[54]. Benché i processi e gli eventi sinodali abbiano un inizio, uno sviluppo e una conclusione, la sinodalità descrive in forma specifica il cammino storico della Chiesa in quanto tale, ne anima le strutture, ne indirizza la missione. Le dimensioni trinitaria e antropologica, cristologica, pneumatologica ed eucaristica del disegno divino di salvezza che si attua nel mistero della Chiesa descrivono l’orizzonte teologico entro il quale la sinodalità si è stagliata e attuata attraverso i secoli. 2.2. Il cammino sinodale del Popolo di Dio pellegrino e missionario 49. La sinodalità manifesta il carattere “pellegrino” della Chiesa. L’immagine del Popolo di Dio, convocato di tra le nazioni (At 2, 1-9; 15,14), esprime la sua dimensione sociale, storica e missionaria, che corrisponde alla condizione e alla vocazione dell’essere umano quale homo viator. Il cammino è l’immagine che illumina l’intelligenza del mistero di Cristo come la Via che conduce al Padre[55]. Gesù è la Via di Dio verso l’uomo e di questi verso Dio[56]. L’evento di grazia con cui Egli s’è fatto pellegrino, piantando la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14), si prolunga nel cammino sinodale della Chiesa. 50. La Chiesa cammina con Cristo, per mezzo di Cristo e in Cristo. Egli, il Viandante, la Via e la Patria, dona il suo Spirito d’amore (Rm 5,5) perché in Lui possiamo seguire la «via più perfetta» (1Cor 12,31). La Chiesa è chiamata a ricalcare le orme del suo Signore finché Egli ritorni (1Cor 11,26). È il Popolo della Via (At 9,2; 18,25; 19,9) verso il Regno celeste (Fil 3,20). La sinodalità è la forma storica del suo camminare in comunione sino al riposo finale (Eb 3,7-4,44). La fede, la speranza e la carità guidano e informano il pellegrinaggio dell’assemblea del Signore «in vista della città futura» (Eb 3,14). I cristiani sono «gente di passaggio e stranieri» nel mondo (1Pt 2,11), insigniti del dono e della responsabilità di annunciare a tutti il Vangelo del Regno. 51. Il Popolo di Dio è in cammino sino alla fine dei tempi (Mt 28,20) e sino ai confini della terra (At 1,8). La Chiesa vive attraverso lo spazio nelle diverse Chiese locali e cammina attraverso il tempo dalla pasqua di Gesù sino alla sua parusía. Essa costituisce un singolare soggetto storico in cui è già presente e operante il destino escatologico dell’unione definitiva con Dio e dell’unità della famiglia umana in Cristo[57]. La forma sinodale del suo cammino esprime e promuove l’esercizio della comunione in ognuna delle Chiese locali pellegrine e tra di esse nell’unica Chiesa di Cristo. 52. La dimensione sinodale della Chiesa implica la comunione nella Tradizione viva della fede delle diverse Chiese locali tra loro e con la Chiesa di Roma, sia in senso diacronico – antiquitas – sia in senso sincronico – universitas. La trasmissione e la ricezione dei Simboli della fede e delle decisioni dei Sinodi locali, provinciali e, in modo specifico e universale, dei Concili ecumenici, ha espresso e garantito in modo normativo la comunione nella fede professata dalla Chiesa ovunque, sempre e da tutti (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est)[58]. 53. La sinodalità è vissuta nella Chiesa a servizio della missione. Ecclesia peregrinans natura sua missionaria est[59], essa esiste per evangelizzare[60]. Tutto il Popolo di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo[61]. In esso, ogni Battezzato è convocato per essere protagonista della missione poiché tutti siamo discepoli missionari. La Chiesa è chiamata ad attivare in sinergia sinodale i ministeri e i carismi presenti nella sua vita per discernere le vie dell’evangelizzazione in ascolto della voce dello Spirito. 2.3. La sinodalità espressione dell’ecclesiologia di comunione 54. La Costituzione dogmatica Lumen gentium offre i principi essenziali per una pertinente intelligenza della sinodalità nella prospettiva dell’ecclesiologia di comunione. L’ordine dei suoi primi capitoli esprime un importante guadagno nell’autocoscienza della Chiesa. La sequenza: Mistero della Chiesa (cap. 1), Popolo di Dio (cap. 2), Costituzione gerarchica della Chiesa (cap. 3), sottolinea che la Gerarchia ecclesiastica è posta a servizio del Popolo di Dio affinché la missione della Chiesa si attualizzi in conformità al divino disegno della salvezza, nella logica della priorità del tutto sopra le parti e del fine sopra i mezzi. 55. La sinodalità esprime l’essere soggetto di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. I credenti sono σύνoδοι, compagni di cammino, chiamati a essere soggetti attivi in quanto partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo[62] e destinatari dei diversi carismi elargiti dallo Spirito Santo[63] in vista del bene comune. La vita sinodale testimonia una Chiesa costituita da soggetti liberi e diversi, tra loro uniti in comunione, che si manifesta in forma dinamica come un solo soggetto comunitario il quale, poggiando sulla pietra angolare che è Cristo e sulle colonne che sono gli Apostoli, viene edificato come tante pietre vive in una «casa spirituale» (cfr. 1Pt 2,5), «dimora di Dio nello Spirito» (Ef 2,22). 56. Tutti i fedeli sono chiamati a testimoniare ed annunciare la Parola di verità e di vita, in quanto sono membri del Popolo di Dio profetico, sacerdotale e regale in virtù del Battesimo[64]. I Vescovi esercitano la loro specifica autorità apostolica nell’insegnare, nel santificare e nel governare la Chiesa particolare affidata alla loro cura pastorale a servizio della missione del Popolo di Dio. L’unzione dello Spirito Santo si manifesta nel sensus fidei dei fedeli[65]. «In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente»[66]. Tale connaturalità si esprime nel «sentire cum Ecclesia: sentire, provare e percepire in armonia con la Chiesa. È richiesto non soltanto ai teologi, ma a tutti i fedeli; unisce tutti i membri del Popolo di Dio nel loro pellegrinaggio. È la chiave del loro “camminare insieme”»[67]. 57. Assumendo la prospettiva ecclesiologica del Vaticano II, Papa Francesco tratteggia l’immagine di una Chiesa sinodale come «una piramide rovesciata» che integra il Popolo di Dio, il Collegio Episcopale e in esso, col suo specifico ministero di unità, il Successore di Pietro. In essa, il vertice si trova al di sotto della base. «La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. (…) Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la “roccia” (cfr. Mt 16,18), colui che deve “confermare” i fratelli nella fede (cfr. Lc 22,32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti»[68]. 2.4. La sinodalità nel dinamismo della comunione cattolica 58. La sinodalità è un’espressione viva della cattolicità della Chiesa comunione. Nella Chiesa Cristo è presente come il Capo unito al suo Corpo (Ef 1,22-23) così che essa da Lui riceve la pienezza dei mezzi di salvezza. La Chiesa è cattolica anche perché inviata a tutti gli uomini per riunire l’intera famiglia umana nella ricchezza plurale delle sue espressioni culturali, sotto la signoria del Cristo e nell’unità del suo Spirito. Il cammino sinodale ne esprime e promuove la cattolicità in questo duplice senso: esibisce la forma dinamica in cui la pienezza della fede è condivisa da tutti i membri del Popolo di Dio e ne propizia la comunicazione a tutti gli uomini e a tutti i popoli. 59. In quanto cattolica, la Chiesa realizza l’universale nel locale e il locale nell’universale. La particolarità della Chiesa in un luogo si realizza in seno alla Chiesa universale e la Chiesa universale si manifesta e realizza nelle Chiesi locali e nella loro comunione reciproca e con la Chiesa di Roma. «Una Chiesa particolare, che si separasse volontariamente dalla Chiesa universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio (…). La Chiesa toto orbe diffusa diventerebbe un’astrazione se non prendesse corpo e vita precisamente attraverso le Chiese particolari. Solo una permanente attenzione ai due poli della Chiesa ci consentirà di percepire la ricchezza di questo rapporto»[69]. 60. L’intrinseca correlazione di questi due poli si può esprimere come mutua inabitazione dell’universale e del locale nell’unica Chiesa di Cristo. Nella Chiesa in quanto cattolica la varietà non è mera coesistenza ma compenetrazione nella mutua correlazione e dipendenza: una pericoresis ecclesiologica nella quale la comunione trinitaria incontra la sua immagine ecclesiale. La comunione delle Chiese tra loro nell’unica Chiesa universale illumina il significato ecclesiologico del “noi” collegiale dell’episcopato raccolto nell’unità cum Petro et sub Petro. 61. Le Chiese locali sono soggetti comunitari che realizzano in modo originale l’unico Popolo di Dio nei differenti contesti culturali e sociali e condividono i loro doni in un interscambio reciproco per promuovere «vincoli di intima comunione»[70]. La varietà delle Chiese locali – con le loro discipline ecclesiastiche, i loro riti liturgici, i loro patrimoni teologici, i loro doni spirituali e le loro norme canoniche – «mostra molto chiaramente la cattolicità della Chiesa indivisa»[71]. Il ministero di Pietro, centrum unitatis, «protegge le differenze legittime e simultaneamente veglia affinché le divergenze servano all’unità invece di danneggiarla»[72]. Il ministero petrino è posto al servizio dell’unità della Chiesa e a garanzia della particolarità di ogni Chiesa locale. La sinodalità descrive il cammino da seguire per promuovere la cattolicità della Chiesa nel discernimento delle vie da percorrere insieme nella Chiesa universale e distintamente in ogni Chiesa particolare. 2.5. La sinodalità nella traditio della comunione apostolica 62. La Chiesa è apostolica in un triplice senso: in quanto è stata ed è continuamente edificata sul fondamento degli Apostoli (cfr. Ef 2,20); in quanto conserva e trasmette, con l’assistenza dello Spirito Santo, i loro insegnamenti (cfr. At 2,42; 2Tm 1,13-14); in quanto continua a essere guidata dagli Apostoli mediante il collegio dei Vescovi, loro successori e Pastori della Chiesa (At 20,28)[73]. Concentriamo qui l’attenzione sul rapporto tra la vita sinodale della Chiesa e il ministero apostolico che si attualizza nel ministero dei Vescovi in comunione collegiale e gerarchica tra loro e con il Vescovo di Roma. 63. La Lumen gentium insegna che Gesù ha costituto i Dodici «a modo di collegio (collegium), cioè di un ceto (coetus) stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro»[74]. Afferma che la successione episcopale si attua mediante la consacrazione dei Vescovi che loro conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine e li inserisce nella comunione collegiale e gerarchica con il capo e gli membri del collegio[75]. Dichiara pertanto che il ministero episcopale, in corrispondenza e derivazione dal ministero apostolico, ha forma collegiale e gerarchica. Illustra il vincolo tra la sacramentalità dell’episcopato e la collegialità episcopale superando l’interpretazione che svincolava il ministero episcopale dalla sua radice sacramentale e ne indeboliva la dimensione collegiale attestata dalla Tradizione.[76]. Essa integra così, nel quadro dell’ecclesiologia della comunione e della collegialità, la dottrina del Vaticano I sul Vescovo di Roma quale «principio e fondamento visibile della comunione dei vescovi e della moltitudine dei fedeli»[77]. 64. Sul fondamento della dottrina del sensus fidei del Popolo di Dio e della collegialità sacramentale dell’episcopato in comunione gerarchica con il Papa, si può approfondire la teologia della sinodalità. La dimensione sinodale della Chiesa esprime il carattere di soggetto attivo di tutti i Battezzati e insieme lo specifico ruolo del ministero episcopale in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di Roma. Questa visione ecclesiologica invita a promuovere il dispiegarsi della comunione sinodale tra “tutti”, “alcuni” e “uno”. A diversi livelli e in diverse forme, sul piano delle Chiese particolari, su quello dei loro raggruppamenti a livello regionale e su quello della Chiesa universale, la sinodalità implica l’esercizio del sensus fidei della universitas fidelium (tutti), il ministero di guida del collegio dei Vescovi, ciascuno con il suo presbiterio (alcuni), e il ministero di unità del Vescovo e del Papa (uno). Risultano così coniugati, nella dinamica sinodale, l’aspetto comunitario che include tutto il Popolo di Dio, la dimensione collegiale relativa all’esercizio del ministero episcopale e il ministero primaziale del Vescovo di Roma. Questa correlazione promuove quella singularis conspiratio tra i fedeli e i Pastori[78] che è icona della eterna conspiratio vissuta nella Santa Trinità. Così la Chiesa «tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio»[79]. 65. Il rinnovamento della vita sinodale della Chiesa richiede di attivare processi di consultazione dell’intero Popolo di Dio. «La pratica di consultare i fedeli non è nuova nella vita della Chiesa. Nella Chiesa del Medioevo si utilizzava un principio del diritto romano: Quod omnes tangit, ab omibus tractari et approbari debet (ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti). Nei tre campi della vita della Chiesa (fede, sacramenti, governo), la tradizione univa a una struttura gerarchica un regime concreto di associazione e di accordo, e si riteneva che fosse una prassi apostolica o una tradizione apostolica»[80]. Questo assioma non va inteso nel senso del conciliarismo a livello ecclesiologico né del parlamentarismo a livello politico. Aiuta piuttosto a pensare ed esercitare la sinodalità nel seno della comunione ecclesiale. 66. Nella visione cattolica e apostolica della sinodalità vi è reciproca implicazione tra la communio fidelium, la communio episcoporum e la communio ecclesiarum. Il concetto di sinodalità è più ampio di quello di collegialità, perché include la partecipazione di tutti nella Chiesa e di tutte le Chiese. La collegialità esprime propriamente l’assurgere e l’esprimersi della comunione del Popolo di Dio nel ceto episcopale, e cioè nel collegio dei Vescovi cum Petro e sub Petro, e attraverso di essa la comunione tra tutte le Chiese. La nozione di sinodalità implica quella di collegialità, e viceversa, in quanto le due realtà, essendo distinte, si sostengono e si autenticano a vicenda. L’insegnamento del Vaticano II a proposito della sacramentalità dell’episcopato e della collegialità rappresenta una premessa teologica fondamentale per una corretta e integrale teologia della sinodalità. 2.6. Partecipazione e autorità nella vita sinodale della Chiesa 67. Una Chiesa sinodale è una Chiesa partecipativa e corresponsabile. Nell’esercizio della sinodalità essa è chiamata ad articolare la partecipazione di tutti, secondo la vocazione di ciascuno, con l’autorità conferita da Cristo al Collegio dei Vescovi con a capo il Papa. La partecipazione si fonda sul fatto che tutti i fedeli sono abilitati e chiamati a mettere a servizio gli uni degli altri i rispettivi doni ricevuti dallo Spirito Santo. L’autorità dei Pastori è un dono specifico dello Spirito di Cristo Capo per l’edificazione dell’intero Corpo, non una funzione delegata e rappresentativa del popolo. Su questo punto è opportuno fare due precisazioni. 68. La prima si riferisce al significato e al valore della consultazione di tutti nella Chiesa. La distinzione tra voto deliberativo e voto consultivo non deve portare a una sottovalutazione dei pareri e dei voti espressi nelle diverse assemblee sinodali e nei diversi consigli. L’espressione votum tantum consultivum, per designare il peso delle valutazioni e delle proposte in tali sede avanzate, risulta inadeguata se la si comprende secondo la mens del diritto civile nelle sue diverse espressioni[81]. La consultazione che si esprime nelle assemblee sinodali è infatti diversamente qualificata, perché i membri del Popolo di Dio che vi partecipano rispondono alla convocazione del Signore, ascoltano comunitariamente ciò che lo Spirito dice alla Chiesa attraverso la Parola di Dio che risuona nell’attualità e interpretano con gli occhi della fede i segni dei tempi. Nella Chiesa sinodale tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni pastorali più conformi al volere di Dio. Per giungere a formulare le proprie decisioni, i Pastori debbono dunque ascoltare con attenzione i desideri (vota) dei fedeli. Il diritto canonico prevede che essi, in casi specifici, debbano operare solo dopo aver sollecitato e acquisito i diversi pareri secondo le formalità giuridicamente determinate[82]. 69. La seconda precisazione riguarda la funzione di governo propria dei Pastori[83]. Non si dà esteriorità né separazione tra la comunità e i suoi Pastori – che sono chiamati ad agire in nome dell’unico Pastore –, ma distinzione di compiti nella reciprocità della comunione. Un sinodo, un’assemblea, un consiglio non può prendere decisioni senza i legittimi Pastori. Il processo sinodale deve realizzarsi in seno a una comunità gerarchicamente strutturata. In una Diocesi, ad esempio, è necessario distinguere tra il processo per elaborare una decisione (decision-making) attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione, e la presa di decisione pastorale (decision-taking) che compete all’autorità del Vescovo, garante dell’apostolicità e cattolicità. L’elaborazione è un compito sinodale, la decisione è una responsabilità ministeriale. Un pertinente esercizio della sinodalità deve contribuire a meglio articolare il ministero dell’esercizio personale e collegiale dell’autorità apostolica con l’esercizio sinodale del discernimento da parte della comunità. 70. In sintesi, alla luce delle sue fonti normative e dei suoi fondamenti teologali, richiamati nei capitoli 1 e 2, si può abbozzare una descrizione articolata della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa.
a) La sinodalità designa innanzi tutto lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa. Tale modus vivendi et operandi si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione.
b) La sinodalità designa poi, in senso più specifico e determinato dal punto di vista teologico e canonico, quelle strutture e quei processi ecclesiali in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a livello istituzionale, in modo analogo, sui vari livelli della sua realizzazione: locale, regionale, universale. Tali strutture e processi sono a servizio del discernimento autorevole della Chiesa, chiamata a individuare la direzione da seguire in ascolto dello Spirito Santo.
c) La sinodalità designa infine l’accadere puntuale di quegli eventi sinodali in cui la Chiesa è convocata dall’autorità competente e secondo specifiche procedure determinate dalla disciplina ecclesiastica, coinvolgendo in modi diversi, sul livello locale, regionale e universale, tutto il Popolo di Dio sotto la presidenza dei Vescovi in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di Roma, per il discernimento del suo cammino e di particolari questioni, e per l’assunzione di decisioni e orientamenti al fine di adempiere alla sua missione evangelizzatrice.
CAPITOLO 3 L’ATTUAZIONE DELLA SINODALITÀ: SOGGETTI, STRUTTURE, PROCESSI, EVENTI SINODALI 71. L’intelligenza teologica della sinodalità nella prospettiva ecclesiologica del Concilio Vaticano II invita a riflettere sulle modalità concrete della sua attuazione. Si tratta di recensire, a grandi linee, ciò che è attualmente previsto dall’ordinamento canonico per evidenziarne il significato e le potenzialità e darvi nuovo impulso, discernendo al contempo le prospettive teologiche di un suo pertinente sviluppo. Il presente capitolo prende le mosse dalla vocazione sinodale del Popolo di Dio per poi descrivere le strutture sinodali a livello locale, regionale e universale, menzionando i diversi soggetti implicati nei processi e negli eventi sinodali. 3.1. La vocazione sinodale del Popolo di Dio 72. L’intero Popolo di Dio è interpellato dalla sua originaria vocazione sinodale. La circolarità tra il sensus fidei di cui sono insigniti tutti i fedeli, il discernimento operato ai diversi livelli di realizzazione della sinodalità e l’autorità di chi esercita il ministero pastorale dell’unità e del governo descrive la dinamica della sinodalità. Tale circolarità promuove la dignità battesimale e la corresponsabilità di tutti, valorizza la presenza dei carismi diffusi dallo Spirito Santo nel Popolo di Dio, riconosce il ministero specifico dei Pastori in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di Roma, garantendo che i processi e gli eventi sinodali si svolgano in fedeltà al depositum fidei e in ascolto dello Spirito Santo per il rinnovamento della missione della Chiesa. 73. In questa prospettiva, risulta essenziale la partecipazione dei fedeli laici. Essi sono l’immensa maggioranza del Popolo di Dio e si ha molto da imparare dalla loro partecipazione alle diverse espressioni della vita e della missione delle comunità ecclesiali, della pietà popolare e della pastorale d’insieme, così come dalla loro specifica competenza nei vari ambiti della vita culturale e sociale[84]. Per questo è indispensabile la loro consultazione nel dare avvio ai processi di discernimento nella cornice delle strutture sinodali. Occorre dunque superare gli ostacoli rappresentati dalla mancanza di formazione e di spazi riconosciuti in cui i fedeli laici possano esprimersi e agire, e da una mentalità clericale che rischia di tenerli ai margini della vita ecclesiale[85]. Ciò chiede un impegno prioritario nell’opera di formazione a una coscienza ecclesiale matura, che si deve tradurre a livello istituzionale in una regolare pratica sinodale. 74. Va inoltre valorizzato con decisione il principio della co-essenzialità tra doni gerarchici e doni carismatici nella Chiesa sulla base dell’insegnamento del Concilio Vaticano II[86]. Esso implica il coinvolgimento nella vita sinodale della Chiesa delle comunità di vita consacrata, dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali. Tutte queste realtà, spesso sorte per impulso di carismi donati dallo Spirito Santo per il rinnovamento della vita e della missione della Chiesa, possono offrire esperienze significative di articolazione sinodale della vita di comunione e dinamiche di discernimento comunitario poste in essere al loro interno, insieme a stimoli nell’individuare nuove vie dell’evangelizzazione. In alcuni casi, esse propongono anche esempi d’integrazione tra le diverse vocazioni ecclesiali nella prospettiva dell’ecclesiologia di comunione. 75. Nella vocazione sinodale della Chiesa, il carisma della teologia è chiamato a svolgere un servizio specifico mediante l’ascolto della Parola di Dio, l’intelligenza sapienziale, scientifica e profetica della fede, il discernimento evangelico dei segni dei tempi, il dialogo con la società e le culture a servizio dell’annuncio del Vangelo. Insieme con l’esperienza di fede e la contemplazione della verità del Popolo fedele e con la predicazione dei Pastori, la teologia contribuisce alla penetrazione sempre più profonda del Vangelo[87]. Inoltre, «come per qualsiasi altra vocazione cristiana, anche il ministero del teologo, oltre ad essere personale, è anche comunitario e collegiale»[88]. La sinodalità ecclesiale impegna dunque i teologi a fare teologia in forma sinodale, promuovendo tra loro la capacità di ascoltare, dialogare, discernere e integrare la molteplicità e varietà delle istanze e degli apporti. 76. La dimensione sinodale della Chiesa si deve esprimere attraverso la messa in atto e il governo di processi di partecipazione e di discernimento capaci di manifestare il dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali. La vita sinodale si esprime in strutture istituzionali e in processi che conducono, attraverso diverse fasi (preparazione, celebrazione, ricezione), a eventi sinodali in cui la Chiesa è convocata a seconda dei vari livelli di attuazione della sua costitutiva sinodalità. Quest’impegno necessita di attento ascolto dello Spirito Santo, di fedeltà alla dottrina della Chiesa e al contempo di creatività per individuare e rendere operativi gli strumenti più adatti alla partecipazione ordinata di tutti, allo scambio dei rispettivi doni, alla lettura incisiva dei segni dei tempi, all’efficace progettazione nella missione. A tal fine, l’attuazione della dimensione sinodale della Chiesa deve integrare e aggiornare il patrimonio dell’antico ordinamento ecclesiastico con le strutture sinodali sorte per impulso del Vaticano II e dev’essere aperta alla creazione di nuove strutture[89]. 3.2 La sinodalità nella Chiesa particolare 77. Il primo livello di esercizio della sinodalità si attua nella Chiesa particolare. In essa si realizza «una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il Popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri»[90]. I legami di storia, linguaggio e cultura, che in essa plasmano la comunicazione interpersonale e le sue espressioni simboliche, ne delineano il volto peculiare, favoriscono nella sua vita concreta l’esercizio di uno stile sinodale e costituiscono la base per un’efficace conversione missionaria. Nella Chiesa particolare la testimonianza cristiana s’incarna in specifiche situazioni umane e sociali, permettendo un’incisiva attivazione delle strutture sinodali a servizio della missione. Come ha sottolineato Papa Francesco, «soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col “basso” e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale»[91].
3.2.1 Il Sinodo Diocesano e l’Assemblea Eparchiale
78. Il Sinodo diocesano nelle Chiese di rito latino e l’Assemblea Eparchiale nelle Chiese di rito orientale[92] rappresentano il «vertice delle strutture di partecipazione della Diocesi», tra esse occupando «un posto di primario rilievo»[93]. Costituiscono infatti l’evento di grazia in cui il Popolo di Dio che vive in una Chiesa particolare è convocato e si raduna nel nome di Cristo, sotto la presidenza del Vescovo, per discernere le sfide pastorali, cercare insieme le vie da percorrere nella missione e cooperare attivamente nel prendere le opportune decisioni in ascolto dello Spirito. 79. Essendo al contempo «atto di governo e evento di comunione»[94], il Sinodo diocesano e l’Assemblea Eparchiale rinnovano e approfondiscono la coscienza di corresponsabilità ecclesiale del Popolo di Dio e sono chiamati a profilare in concreto la partecipazione di tutti suoi membri alla missione secondo la logica di “tutti”, “alcuni” e “uno”. La partecipazione di “tutti” va attivata attraverso la consultazione nel processo di preparazione del Sinodo, allo scopo di raggiungere tutte le voci che sono espressione del Popolo di Dio nella Chiesa particolare. I partecipanti alle assemblee e sinodi a titolo di ufficio, di elezione o di nomina episcopale, sono gli “alcuni” cui è confidato il compito della celebrazione del Sinodo Diocesano o dell’Assemblea Eparchiale. È essenziale che, nel loro insieme, i sinodali offrano un’immagine significativa ed equilibrata della Chiesa particolare, riflettendo la diversità di vocazioni, di ministeri, di carismi, di competenze, di estrazione sociale e di provenienza geografica. Il Vescovo, successore degli Apostoli e Pastore del suo gregge che convoca e presiede il Sinodo della Chiesa particolare[95], è chiamato a esercitarvi con l’autorità che gli è propria il ministero dell’unità e della guida.
3.2.2 Altre strutture a servizio della vita sinodale nella Chiesa particolare
80. Nella Chiesa particolare sono previsti in forma permanente diversi organismi deputati a coadiuvare in vario modo il ministero del Vescovo nell’ordinaria guida pastorale della Diocesi: la Curia diocesana, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei canonici e il Consiglio per gli affari economici. Su indicazione del Concilio Vaticano II sono stati istituiti il Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale diocesano[96] quali ambiti permanenti di esercizio e di promozione della comunione e della sinodalità. 81. Il Consiglio presbiterale è presentato dal Concilio Vaticano II come «consiglio o senato dei sacerdoti rappresentanti del presbiterio» avente la finalità di «aiutare il Vescovo nel governo della Diocesi». Il Vescovo, infatti, è chiamato ad ascoltare i presbiteri, a consultarli e dialogare con loro «circa le necessità pastorali e il bene della Diocesi»[97]. Esso si inserisce in modo specifico nel dinamismo sinodale complessivo della Chiesa particolare, facendosi animare dal suo spirito e configurandosi secondo il suo stile. Il Consiglio pastorale diocesano è deputato a offrire un contributo qualificato alla pastorale d’insieme promossa dal Vescovo e dal suo presbiterio, divenendo all’occasione anche luogo di decisioni sotto la specifica autorità del Vescovo[98]. A motivo della sua natura, del ritmo di frequenza delle sue riunioni, della procedura e degli obiettivi del suo impegno, il Consiglio pastorale diocesano si propone come la struttura permanente più propizia all’attuazione della sinodalità nella Chiesa particolare. 82. In diverse Chiese particolari, per dare impulso all’attuazione del Vaticano II, si svolgono anche con una certa regolarità Assemblee per esprimere e promuovere la comunione e la corresponsabilità e per contribuire alla pianificazione della pastorale integrata e alla sua valutazione. Tali Assemblee hanno un significato importante nel cammino sinodale della comunità ecclesiale come cornice e preparazione ordinaria all’attuazione del Sinodo diocesano.
3.2.3 La sinodalità nella vita della parrocchia
83. La parrocchia è la comunità dei fedeli che realizza in forma visibile, immediata e quotidiana il mistero della Chiesa. In parrocchia si apprende a vivere da discepoli del Signore all’interno di una rete di relazioni fraterne nelle quali si sperimenta la comunione nella diversità delle vocazioni e delle generazioni, dei carismi, dei ministeri e delle competenze, formando una comunità concreta che vive in solido la sua missione e il suo servizio, nell’armonia del contributo specifico di ciascuno. 84. In essa sono previste due strutture di profilo sinodale: il Consiglio pastorale parrocchiale e il Consiglio per gli affari economici, con la partecipazione laicale nella consultazione e nella pianificazione pastorale. Appare in tal senso necessario rivedere la normativa canonica che attualmente soltanto suggerisce la costituzione del Consiglio pastorale parrocchiale rendendola obbligatoria, come ha fatto l’ultimo Sinodo della Diocesi di Roma[99]. L’attuazione di una effettiva dinamica sinodale nella Chiesa particolare chiede inoltre che il Consiglio pastorale diocesano e i Consigli pastorali parrocchiali lavorino in modo coordinato e siano opportunamente valorizzati[100]. 3.3 La sinodalità nelle Chiese particolari a livello regionale 85. Il livello regionale nell’esercizio della sinodalità è quello vissuto nei raggruppamenti di Chiese particolari presenti in una stessa regione: una Provincia, come avveniva soprattutto nei primi secoli della Chiesa, o un Paese, un Continente o parte di esso. Si tratta di raggruppamenti «organicamente congiunti», «in unione di fraterna carità per promuovere il loro bene comune», mossi «da amoroso impegno per l’universale missione»[101]. La comunanza delle origini storiche, l’omogeneità culturale, la necessità di far fronte ad analoghe sfide nella missione fanno sì che essi rendano presente in forma originale il Popolo di Dio nelle diverse culture e nei diversi contesti. L’esercizio della sinodalità a questo livello promuove il cammino comune delle Chiese particolari, ne rafforza i legami spirituali e istituzionali, ne favorisce lo scambio di doni e ne sintonizza le scelte pastorali[102]. In particolare, il discernimento sinodale può ispirare e incoraggiare scelte comuni per «favorire nuovi processi di evangelizzazione della cultura»[103]. 86. Sin dai primi secoli, in Oriente come in Occidente, le Chiese fondate da un Apostolo o da un suo collaboratore hanno svolto un ruolo specifico nell’ambito della loro Provincia o Regione, in quanto il loro Vescovo è stato riconosciuto rispettivamente come Metropolita o Patriarca. Ciò ha comportato la nascita di specifiche strutture sinodali. In esse, i Patriarchi, i Metropoliti e i Vescovi delle singole Chiese sono espressamente chiamati a promuovere la sinodalità[104], il cui impegno diventa ancora più consistente attraverso la maturazione della coscienza della collegialità episcopale che deve esprimersi anche livello regionale. 87. Nella Chiesa cattolica di rito latino sono strutture sinodali a livello regionale: i Concili Particolari provinciali e generali, le Conferenze Episcopali e i diversi raggruppamenti delle stesse, anche a livello continentale; nella Chiesa cattolica di rito orientale: il Sinodo Patriarcale e il Sinodo Provinciale, l’Assemblea dei Gerarchi di diversi Chiese orientali sui iuris[105] e il Concilio dei Patriarchi cattolici d’Oriente. Papa Francesco ha definito queste strutture ecclesiali istanze intermedie della collegialità e ha ricordato che l’auspicio del Vaticano II a «che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale»[106].
3.3.1 I Concili Particolari
88. I Concili particolari celebrati sul livello regionale costituiscono la struttura specifica di esercizio della sinodalità in un raggruppamento di Chiese particolari[107]. Essi infatti contemplano la partecipazione del Popolo di Dio nei processi di discernimento e di decisione, così da esprimere non solo la comunione collegiale tra i Vescovi, «ma anche quella con tutte le componenti della porzione di Popolo di Dio loro affidata» e di conseguenza «la comunione tra le Chiese», facendone il «luogo adatto per le decisioni più importanti, specialmente quelle riguardanti la fede»[108]. Il CIC, oltre a riaffermare l’ambito di pertinenza del discernimento sinodale ivi esercitato nella dottrina e nel regime, ne sottolinea il carattere pastorale[109].
3.3.2 Le Conferenze Episcopali
89. Le Conferenze Episcopali nell’ambito di un Paese o di una regione sono un istituto recente sorto nel contesto dell’affermarsi degli Stati nazionali e come tali sono state valorizzate dal Concilio Vaticano II[110] nella prospettiva dell’ecclesiologia di comunione. Esse, manifestando la collegialità episcopale, hanno quale fine principale la cooperazione tra i Vescovi per il bene comune delle Chiese loro affidate a servizio della missione nelle rispettive nazioni. La loro rilevanza ecclesiologica è stata richiamata da Papa Francesco, che ha invitato a studiarne le attribuzioni anche in ambito dottrinale[111]. Tale approfondimento va eseguito riflettendo sulla natura ecclesiologica delle Conferenze Episcopali, sul loro statuto canonico, sulle loro attribuzioni concrete in riferimento all’esercizio della collegialità episcopale e all’attuazione di una più articolata vita sinodale sul livello regionale. In questa prospettiva, occorre prestare attenzione alle esperienze maturate negli ultimi decenni nonché alle tradizioni, alla teologia e al diritto delle Chiese orientali[112]. 90. La rilevanza delle Conferenze Episcopali in ordine alla promozione del cammino sinodale del Popolo di Dio risiede nel fatto che «i singoli Vescovi rappresentano la propria Chiesa»[113]. Lo sviluppo di una metodologia efficacemente partecipativa, con opportune procedure di consultazione dei fedeli e di ricezione delle diverse esperienze ecclesiali nelle fasi di elaborazione degli orientamenti pastorali emanati dalle Conferenze Episcopali, con la partecipazione di laici come esperti, va nella direzione di una valorizzazione di queste strutture di collegialità episcopale a servizio dell’attuazione della sinodalità. Importanti, in vista dell’attivazione di processi sinodali sul livello nazionale, sono anche i Convegni ecclesiali promossi dalle Conferenze Episcopali: come ad esempio quello decennale della Chiesa in Italia[114]. 91. Sul livello della Chiesa universale, una procedura più precisa nella preparazione delle Assemblee del Sinodo dei Vescovi può consentire alle Conferenze Episcopali di contribuire con maggior efficacia ai processi sinodali coinvolgenti l’intero Popolo di Dio, attraverso la consultazione dei fedeli laici e di esperti nella fase di preparazione.
3.3.3. I patriarcati nelle Chiese orientali cattoliche
92. Nelle Chiese orientali cattoliche, il Patriarcato costituisce una struttura sinodale che esprime la comunione tra le Chiese di una stessa provincia o regione che hanno lo stesso patrimonio teologico, liturgico, spirituale e canonico[115]. Nei Sinodi Patriarcali, l’esercizio della collegialità e della sinodalità esige l’armonia tra il Patriarca e gli altri Vescovi in quanto rappresentanti delle loro Chiese. Il Patriarcato promuove l’unità nella diversità e la cattolicità attraverso la comunione dei fedeli in seno a una stessa Chiesa patriarcale, in comunione con il Vescovo di Roma e la Chiesa universale.
3.3.4 I Consigli regionali delle Conferenze Episcopali e dei Patriarchi delle Chiese cattoliche orientali
93. Le medesime ragioni che hanno presieduto alla nascita delle Conferenze Episcopali a livello nazionale hanno portato alla creazione di Consigli, a livello macro-regionale e continentale, di diverse Conferenze Episcopali e, nel caso delle Chiese cattoliche di rito orientale, dell’Assemblea dei Gerarchi delle Chiese sui iuris e del Consiglio dei Patriarchi delle Chiese cattoliche d’Oriente. Tali strutture favoriscono l’attenzione all’inculturazione del Vangelo nei diversi contesti, tenendo conto della sfida della globalizzazione, e contribuiscono a manifestare «la bellezza del volto multiforme della Chiesa» nella sua unità cattolica[116]. Il loro significato ecclesiologico e il loro statuto canonico vanno ulteriormente approfonditi, tenendo conto del fatto che essi possono promuovere processi di partecipazione sinodale in una «determinata regione geoculturale»[117], a partire dalle specifiche condizioni di vita e di cultura che connotano le Chiese particolari che vi fanno parte. 3.4 La sinodalità nella Chiesa universale 94. La sinodalità quale dimensione costitutiva della Chiesa si esprime sul livello della Chiesa universale nella circolarità dinamica di consensus fidelium, collegialità episcopale e primato del Vescovo di Roma. Poggiando su questo fondamento, la Chiesa è interpellata di tempo in tempo da circostanze e sfide concrete per rispondere alle quali, in fedeltà al depositum fidei e con apertura creativa alla voce dello Spirito, è chiamata ad attivare l’ascolto di tutti i soggetti che insieme formano il Popolo di Dio per convergere nel discernimento della verità e nel cammino della missione. 95. In questo contesto ecclesiologico si staglia il ministero specifico del Vescovo di Roma in ordine all’esercizio della sinodalità sul livello universale. «Sono persuaso – ha detto Papa Francesco – che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese»[118]. 96. Il Collegio episcopale svolge un ministero insostituibile nell’esercizio della sinodalità sul livello universale. Esso infatti, in quanto intrinsecamente in sé comprende il suo Capo, il Vescovo di Roma, e agisce in comunione gerarchica con lui, è «soggetto di suprema potestà su tutta la Chiesa»[119].
3.4.1 Il Concilio Ecumenico
97. Il Concilio ecumenico è l’evento straordinario più pieno e solenne in cui si esprimono la collegialità episcopale e la sinodalità ecclesiale sul livello della Chiesa universale: per questa ragione, il Vaticano II lo designa Sacrosancta Synodus[120]. In esso si esprime l’esercizio dell’autorità del Collegio episcopale unito al suo Capo, il Vescovo di Roma, a servizio di tutta la Chiesa[121]. La formula “una cum Patribus” impiegata dal Beato Paolo VI nella promulgazione dei documenti del Vaticano II manifesta l’intima comunione del Collegio con il Papa che lo presiede quale soggetto del ministero pastorale sulla Chiesa universale. 98. Il Concilio Ecumenico costituisce la specifica forma di rappresentazione della Chiesa una e cattolica in quanto comunione delle Chiese particolari, poiché «tutti [i vescovi] insieme col Papa rappresentano la Chiesa universale»[122]. La rappresentazione in esso dell’intero Popolo di Dio attraverso il Collegio episcopale, con il Vescovo di Roma a capo, deriva dal fatto che l’ordinazione episcopale conferisce al Vescovo la presidenza di una Chiesa particolare inserendolo sacramentalmente nella successione apostolica e nel Collegio Episcopale. Così, il Concilio Ecumenico è l’attuazione suprema della sinodalità ecclesiale nella comunione dei Vescovi col Papa in quanto rappresentazione della comunione tra le Chiese particolari attraverso i loro Pastori, convocati in unum per il discernimento del cammino della Chiesa universale.
3.4.2 Il Sinodo dei Vescovi
99. Il Sinodo dei Vescovi, istituito dal Beato Paolo VI come struttura sinodale permanente, costituisce una delle eredità più preziose del Vaticano II. I Vescovi che lo compongono rappresentano tutto l'Episcopato cattolico[123], così che il Sinodo dei Vescovi manifesta la partecipazione del Collegio episcopale, in comunione gerarchica col Papa, alla sollecitudine per la Chiesa universale[124]. Esso è chiamato a essere «espressione della collegialità episcopale all'interno di una Chiesa tutta sinodale»[125]. 100. Ogni assemblea sinodale si sviluppa secondo fasi successive: preparatoria, celebrativa e attuativa. La storia della Chiesa testimonia l’importanza del processo consultivo al fine di acquisire il parere dei Pastori e dei fedeli. Papa Francesco ha indicato una linea maestra di tale perfezionamento nell’ascolto più ampio e attento del sensus fidei del Popolo di Dio grazie alla messa in atto di procedure di consultazione sul livello delle Chiese particolari, in modo che il Sinodo dei Vescovi «sia il punto di convergenza del dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa»[126]. Attraverso il processo di consultazione del Popolo di Dio, la rappresentazione ecclesiale dei Vescovi e la presidenza del Vescovo di Roma, il Sinodo dei Vescovi è una struttura privilegiata di attuazione e di promozione della sinodalità e a tutti i livelli nella vita della Chiesa. Attraverso la consultazione il processo sinodale ha il suo punto di partenza nel Popolo di Dio e attraverso la fase di attuazione inculturata ha in esso il suo punto di arrivo. Il Sinodo dei Vescovi non è l’unica forma possibile di partecipazione del Collegio dei Vescovi alla sollecitudine pastorale per la Chiesa universale. Lo sottolinea il CIC: «Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere i modi con cui il Collegio dei Vescovi può esercitare collegialmente il suo ufficio per la Chiesa universale»[127].
3.4.3 Le strutture a servizio dell’esercizio sinodale del primato
101. Il Collegio dei Cardinali, in origine composto da Presbiteri e Diaconi della Chiesa di Roma e dai Vescovi delle Diocesi suburbicarie, costituisce storicamente il Consiglio sinodale del Vescovo di Roma, per assisterlo nell’esercizio del suo specifico ministero. Questa funzione si è sviluppata nel corso dei secoli. Nella sua attuale configurazione, esso riflette il volto della Chiesa universale, assiste il Papa nel suo ministero a favore di essa e a questo fine è convocato in Concistoro. Tale funzione viene esercitata in forma singolare quando è convocato in Conclave per eleggere il Vescovo di Roma. 102. A servizio permanente del ministero del Papa a favore della Chiesa universale è costituita la Curia Romana[128], che per sua natura è intimamente relazionata alla collegialità episcopale e alla sinodalità ecclesiale. Nel chiederne la riforma alla luce dell’ecclesiologia di comunione, il Vaticano II ha posto l’accento su alcuni elementi atti a favorire l’incremento della sinodalità, fra i quali: l’inclusione di Vescovi diocesani per «rappresentare al sommo Pontefice la mentalità, i desideri e le necessità di tutte le Chiese» e la consultazione dei fedeli laici «affinché anch'essi svolgano nella vita della Chiesa il ruolo che loro conviene»[129]. CAPITOLO 4 LA CONVERSIONE PER UNA RINNOVATA SINODALITÀ 103. La sinodalità è ordinata ad animare la vita e la missione evangelizzatrice della Chiesa in unione e sotto la guida del Signore Gesù che ha promesso: «dove sono due o treriuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro»(Mt 18,20), «ecco Io sono con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Il rinnovamento sinodale della Chiesa passa senz’altro attraverso la rivitalizzazione delle strutture sinodali, ma si esprime innanzi tutto nella risposta alla gratuita chiamata di Dio a vivere come suo Popolo che cammina nella storia verso il compimento del Regno. Di tale risposta si prendono in rilievo in questo capitolo alcune specifiche espressioni: la formazione alla spiritualità di comunione e la pratica dell’ascolto, del dialogo e del discernimento comunitario; la rilevanza per il cammino ecumenico e per una diakonia profetica nella costruzione di un ethos sociale fraterno, solidale e inclusivo. 4.1 Per il rinnovamento sinodale della vita e della missione della Chiesa 104. «Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione»[130]. Nel compimento della sua missione, la Chiesa è dunque chiamata a una costante conversione che è anche una «conversione pastorale e missionaria», consistente in un rinnovamento di mentalità, di attitudini, di pratiche e di strutture, per essere sempre più fedele alla sua vocazione[131]. Una mentalità ecclesiale plasmata dalla coscienza sinodale accoglie con gioia e promuove la grazia in virtù della quale tutti i Battezzati sono abilitati e chiamati a essere discepoli missionari. La grande sfida per la conversione pastorale che ne consegue per la vita della Chiesa oggi è intensificare la mutua collaborazione di tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici, evitando in ogni caso la tentazione di «un eccessivo clericalismo che mantiene i fedeli laici al margine delle decisioni»[132]. 105. La conversione pastorale per l’attuazione della sinodalità esige che alcuni paradigmi spesso ancora presenti nella cultura ecclesiastica siano superati, perché esprimono una comprensione della Chiesa non rinnovata dalla ecclesiologia di comunione. Tra essi: la concentrazione della responsabilità della missione nel ministero dei Pastori; l’insufficiente apprezzamento della vita consacrata e dei doni carismatici; la scarsa valorizzazione dell’apporto specifico e qualificato, nel loro ambito di competenza, dei fedeli laici e tra essi delle donne. 106. Nella prospettiva della comunione e dell’attuazione della sinodalità, si possono segnalare alcune fondamentali linee di orientamento nell’azione pastorale:
a. l’attivazione, a partire dalla Chiesa particolare e a tutti i livelli, della circolarità tra il ministero dei Pastori, la partecipazione e corresponsabilità dei laici, gli impulsi provenienti dai doni carismatici secondo la circolarità dinamica tra “uno”, “alcuni” e “tutti”;
b. l’integrazione tra l’esercizio della collegialità dei Pastori e la sinodalità vissuta da tutto il Popolo di Dio come espressione della comunione tra le Chiese particolari nella Chiesa universale;
c. l’esercizio del ministero petrino di unità e di guida della Chiesa universale da parte del Vescovo di Roma nella comunione con tutte le Chiese particolari, in sinergia con il ministero collegiale dei Vescovi e il cammino sinodale del Popolo di Dio;
d. l’apertura della Chiesa cattolica verso le altre Chiese e Comunità ecclesiali nell’impegno irreversibile a camminare insieme verso la piena unità nella diversità riconciliata delle rispettive tradizioni;
e. la diaconia sociale e il dialogo costruttivo con gli uomini e le donne delle diverse confessioni religiose e convinzioni per realizzare insieme una cultura dell’incontro.
4.2. La spiritualità della comunione e la formazione alla vita sinodale 107. L’ethos della Chiesa Popolo di Dio convocato dal Padre e guidato dallo Spirito Santo a formare in Cristo «il sacramento, e cioè il segno e lo strumento, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[133] si sprigiona e si alimenta dalla conversione personale alla spiritualità di comunione[134]. Tutti i membri della Chiesa sono chiamati ad accoglierla come dono e impegno dello Spirito che va esercitato nella docilità alle sue mozioni, per educarsi a vivere nella comunione la grazia ricevuta nel Battesimo e portata a compimento dall’Eucaristia: il transito pasquale dall’”io” individualisticamente inteso al “noi” ecclesiale, dove ogni “io”, essendo rivestito di Cristo (cfr. Gal 2,20), vive e cammina con i fratelli e le sorelle come soggetto responsabile e attivo nell’unica missione del Popolo di Dio. Di qui l’esigenza che la Chiesa divenga «la casa e la scuola della comunione»[135]. Senza conversione del cuore e della mente e senza allenamento ascetico all’accoglienza e all’ascolto reciproco a ben poco servirebbero gli strumenti esterni della comunione, che potrebbero anzi trasformarsi in semplici maschere senza cuore né volto. «Se la saggezza giuridica, ponendo precise regole alla partecipazione, manifesta la struttura gerarchica della Chiesa e scongiura tentazioni di arbitrio e pretese ingiustificate, la spiritualità della comunione conferisce un’anima al dato istituzionale con un’indicazione di fiducia e di apertura che pienamente risponde alla dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio»[136]. 108. Le stesse disposizioni richieste per vivere e maturare il sensus fidei, di cui tutti i credenti sono insigniti, si richiedono per esercitarlo nel cammino sinodale. Si tratta di un punto essenziale nella formazione allo spirito sinodale, dal momento che viviamo in un ambiente culturale dove le esigenze del Vangelo e anche le virtù umane non sono spesso oggetto di apprezzamento e di adeguata educazione[137]. Tra queste disposizioni vanno ricordate: la partecipazione alla vita della Chiesa centrata nell’Eucaristia e nel Sacramento della Riconciliazione; l’esercizio dell’ascolto della Parola di Dio per entrare in dialogo con essa e tradurla in vita; l’adesione al Magistero nei suoi insegnamenti di fede e di morale; la coscienza d’esser membra gli uni degli altri come Corpo di Cristo e di essere inviati ai fratelli, a partire dai più poveri ed emarginati. Si tratta di atteggiamenti compendiati nella formula sentire cum Ecclesia: quel «sentire, sperimentare e percepire in armonia con la Chiesa» che «unisce tutti i membri del Popolo di Dio nel suo pellegrinaggio» ed è «la chiave del suo “camminare insieme”»[138]. In concreto, si tratta di far emergere la spiritualità di comunione «come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità»[139]. 109. La sinassi eucaristica è la sorgente e il paradigma della spiritualità di comunione. In essa si esprimono gli elementi specifici della vita cristiana chiamati a plasmare l’affectus sinodalis.
a. L’invocazione della Trinità. La sinassi eucaristica principia dall’invocazione della SS.ma Trinità. Convocata dal Padre, in virtù dell’Eucaristia la Chiesa diventa nell’effusione dello Spirito Santo il sacramento vivente di Cristo: «Dove sono due o più riuniti nel mio Nome, ivi sono Io in mezzo ad essi» (cfr. Mt 18,19). L’unità della SS.ma Trinità nella comunione delle tre divine Persone si manifesta nella comunità cristiana chiamata a vivere «l’unione nella verità e nella carità»[140], attraverso l’esercizio dei rispettivi doni e carismi ricevuti dallo Spirito Santo, in vista del bene comune.
b. La riconciliazione. La sinassi eucaristica propizia la comunione attraverso la riconciliazione con Dio e con i fratelli. La confessio peccati celebra l’amore misericordioso del Padre ed esprime la volontà di non seguire la via della divisione causata dal peccato ma il cammino dell’unità: «Quando presenti la tua offerta all’altare e ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi presenta la tua offerta» (Mt 5,23-24). Gli eventi sinodali implicano il riconoscimento delle proprie fragilità e la richiesta del reciproco perdono. La riconciliazione è il cammino per vivere la nuova evangelizzazione.
c. L’ascolto della Parola di Dio. Nella sinassi eucaristica si ascolta la Parola per accoglierne il messaggio e di esso illuminare il cammino. S’impara ad ascoltare la voce di Dio meditando la Scrittura, specialmente il Vangelo, celebrando i Sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, accogliendo i fratelli, specialmente i poveri. Chi esercita il ministero pastorale ed è chiamato a spezzare il pane della Parola insieme al Pane eucaristico, deve conoscere la vita della comunità per comunicare il messaggio di Dio nel qui e nell’ora che essa vive. La struttura dialogica della liturgia eucaristica è il paradigma del discernimento comunitario: prima di ascoltarsi gli uni gli altri, i discepoli debbono ascoltare la Parola.
d. La comunione. L’Eucaristia «crea comunione e propizia la comunione» con Dio e con i fratelli[141]. Generata dal Cristo mediante lo Spirito Santo, la comunione è partecipata da uomini e donne che, avendo la stessa dignità di Battezzati, ricevono dal Padre ed esercitano con responsabilità diverse vocazioni – che scaturiscono dal Battesimo, dalla Confermazione, dall’Ordine sacro e da specifici doni dello Spirito Santo – per formare un solo Corpo dalle molte membra. La ricca e libera convergenza di questa pluralità nell’unità è ciò che va attivato negli eventi sinodali.
e. La missione. Ite, missa est. La comunione realizzata dall’Eucaristia urge alla missione. Chi partecipa del Corpo di Cristo è chiamato a condividerne l’esperienza gioiosa con tutti. Ogni evento sinodale spinge la Chiesa a uscire dall’accampamento (cfr. Eb 13,13) per portare Cristo agli uomini che sono in attesa della sua salvezza. Sant’Agostino afferma che dobbiamo «avere un cuor solo e un’anima sola nel cammino verso Dio»[142]. L’unità della comunità non è vera senza questo télos interiore che la guida lungo i sentieri del tempo verso la meta escatologica di «Dio tutto in tutti» (cfr. 1Cor 15,28). Occorre sempre farsi interpellare dalla domanda: come possiamo essere in verità Chiesa sinodale se non viviamo “in uscita” verso tutti per andare insieme verso Dio?
4.3. L’ascolto e il dialogo per il discernimento comunitario 110. La vita sinodale della Chiesa si realizza grazie all’effettiva comunicazione di fede, di vita e di impegno missionario attivata tra tutti i suoi membri. In essa si esprime la communio sanctorum che vive di preghiera, prende alimento dai Sacramenti, fiorisce nell’amore reciproco e verso tutti, cresce nella partecipazione alle gioie e alle prove della Sposa di Cristo. Nel cammino sinodale la comunicazione è chiamata a esplicitarsi attraverso l’ascolto comunitario della Parola di Dio per conoscere «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,29). «Una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta (…) Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: ciascuno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo»[143]. 111. Il dialogo sinodale implica il coraggio tanto nel parlare quanto nell’ascoltare. Non si tratta d’ingaggiarsi in un dibattito in cui un interlocutore cerca di sopravanzare gli altri o controbatte le loro posizioni con argomenti contundenti, ma di esprimere con rispetto quanto si avverte in coscienza suggerito dallo Spirito Santo come utile in vista del discernimento comunitario, aperti al tempo stesso a cogliere quanto nelle posizioni degli altri è suggerito dal medesimo Spirito «per il bene comune» (cfr. 1Cor 12,7). Il criterio secondo cui «l’unità prevale sul conflitto» vale in forma specifica per l’esercizio del dialogo, per la gestione delle diversità di opinioni e di esperienze, per imparare «uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita», rendendo possibile lo sviluppo di «una comunione nelle differenze»[144]. Il dialogo offre infatti l’opportunità di acquisire nuove prospettive e nuovi punti di vista per illuminare l’escussione del tema in oggetto. Si tratta di esercitare «un modo relazionale di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella visione dell’altro e visione comune su tutte le cose»[145]. Per il Beato Paolo VI il vero dialogo è una comunicazione spirituale[146] che richiede attitudini specifiche: l’amore, il rispetto, la fiducia e la prudenza[147], in «un clima di amicizia, di più, di servizio»[148]. Perché la verità – sottolinea Benedetto XVI – «è logos che crea dialogos e, perciò, comunicazione e comunione»[149]. 112. Attitudine essenziale nel dialogo sinodale è l’umiltà, che propizia l’obbedienza di ciascuno alla volontà di Dio e la reciproca obbedienza in Cristo[150]. L’apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi, ne illustra il significato e la dinamica in rapporto alla vita di comunione per «avere lo stesso sentire (φρόνησης), la stessa ἁγάπη, essendo un’anima sola e pensando in uno» (2,2). Egli prende di mira due tentazioni che minano alla base la vita della comunità: lo spirito di parte (ἐριθεία) e la vanagloria (κενοδοξία) (2,3a). L’atteggiamento da avere è invece l’umiltà (ταπεινοφροσύνῃ): sia ritenendo gli altri superiori a se stessi, sia mettendo al primo posto il bene e l’interesse comune (2,3b-4). Paolo richiama in merito Colui nel quale per la fede si è costituiti comunità: «pensate e agite tra voi ciò che (è) anche in Cristo Gesù» (2,5). La φρόνησης dei discepoli dev’essere quella che si riceve dal Padre nell’essere in Cristo. La kenosi di Cristo (2,7-10) è la forma radicale della sua obbedienza al Padre e per i discepoli è la chiamata a sentire, pensare e discernere insieme con umiltà la volontà di Dio nella sequela del Maestro e Signore. 113. L’esercizio del discernimento è al cuore dei processi e degli eventi sinodali. Così è sempre stato nella vita sinodale della Chiesa. L’ecclesiologia di comunione e la specifica spiritualità e prassi che ne discendono, coinvolgendo nella missione l’intero Popolo di Dio, fanno sì che diventa «oggi più che mai necessario (…) educarsi ai principi e ai metodi di un discernimento non solo personale ma anche comunitario»[151]. Si tratta d’individuare e percorrere come Chiesa, mediante l’interpretazione teologale dei segni dei tempi sotto la guida dello Spirito Santo, il cammino da seguire a servizio del disegno di Dio escatologicamente realizzato in Cristo[152] che vuole realizzarsi in ogni kairós della storia[153]. Il discernimento comunitario permette di scoprire una chiamata che Dio fa udire in una situazione storica determinata[154]. 114. Il discernimento comunitario implica l’ascolto attento e coraggioso dei «gemiti dello Spirito» (cfr. Rm 8, 26) che si fanno strada attraverso il grido, esplicito o anche muto, che sale dal Popolo di Dio: «ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama»[155]. I discepoli di Cristo debbono essere «dei contemplativi della Parola e dei contemplativi del Popolo di Dio»[156]. Il discernimento si deve svolgere in uno spazio di preghiera, di meditazione, di riflessione e dello studio necessario per ascoltare la voce dello Spirito; attraverso un dialogo sincero, sereno e obiettivo con i fratelli e le sorelle; con attenzione alle esperienze e ai problemi reali di ogni comunità e di ogni situazione; nello scambio dei doni e nella convergenza di tutte le energie in vista dell’edificazione del Corpo di Cristo e dell’annuncio del Vangelo; nel crogiuolo della purificazione degli affetti e dei pensieri che rende possibile l’intelligenza della volontà del Signore; nella ricerca della libertà evangelica da qualsiasi ostacolo che possa affievolire l’apertura allo Spirito. 4.4. Sinodalità e cammino ecumenico 115. Il Vaticano II insegna che la Chiesa cattolica, in cui sussiste la Chiesa una e universale di Cristo[157], si riconosce unita per molte ragioni con tutti coloro che sono battezzati[158] e che «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse (le diverse Chiese e Comunità ecclesiali) come mezzi di salvezza, la cui efficacia deriva dalla medesima pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica»[159]. Di qui l’impegno dei fedeli cattolici a camminare insieme con gli altri cristiani verso la piena e visibile unità nella presenza del Signore Crocefisso e Risorto: l’unico in grado di rimarginare le ferite inflitte al suo Corpo lungo la storia e di riconciliare con il dono dello Spirito le differenze secondo la verità nell’amore. L’impegno ecumenico descrive un cammino che coinvolge tutto il Popolo di Dio e chiede la conversione del cuore e la reciproca apertura per distruggere i muri di diffidenza che da secoli separano tra loro i cristiani, per scoprire, condividere e gioire delle molte ricchezze che ci uniscono come doni dell’unico Signore in virtù dell’unico Battesimo: dalla preghiera all’ascolto della Parola e all’esperienza del reciproco amore in Cristo, dalla testimonianza del Vangelo al servizio dei poveri ed emarginati, dall’impegno per una vita sociale giusta e solidale a quello per la pace e il bene comune. 116. Occorre registrare con gioia il fatto che il dialogo ecumenico è giunto in questi anni a riconoscere nella sinodalità una dimensione rivelativa della natura della Chiesa e costitutiva della sua unità nella molteplicità delle sue espressioni. Si tratta della convergenza sulla nozione della Chiesa come koinonia, che si realizza in ogni Chiesa locale e nella sua relazione con le altre Chiese, attraverso specifiche strutture e processi sinodali. Nel dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, il recente Documento di Chieti afferma che la comunione ecclesiale, affondando le radici nella SS.ma Trinità[160], ha sviluppato nel primo millennio, in Oriente e in Occidente, delle «strutture di sinodalità inseparabilmente legate con il primato»[161], la cui eredità teologica e canonica «costituisce il necessario riferimento (...) per guarire la ferita della loro divisione all’inizio del terzo millennio»[162]. Il documento di Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese The Church. Towards a Common Vision sottolinea che «sotto la guida dello Spirito Santo, tutta la Chiesa è sinodale/conciliare, a tutti i livelli della vita ecclesiale: locale, regionale e universale. La sinodalità o conciliarità riflette il mistero della vita trinitaria di Dio, e le strutture della Chiesa la esprimono al fine di realizzare la vita della comunità come comunione»[163]. 117. Il consenso su questa visione della Chiesa permette di focalizzare l’attenzione, con serenità e oggettività, sugli importanti nodi teologici che restano da sciogliere. Si tratta, in primo luogo, della questione concernente il rapporto tra la partecipazione alla vita sinodale di tutti i battezzati, in cui lo Spirito di Cristo suscita e alimenta il sensus fidei e la conseguente competenza e responsabilità nel discernimento della missione, e l’autorità propria dei Pastori, derivante da uno specifico carisma conferito sacramentalmente; e, in secondo luogo, dell’interpretazione della comunione tra le Chiese locali e la Chiesa universale espressa attraverso la comunione tra i loro Pastori con il Vescovo di Roma, con la determinazione di quanto pertiene alla legittima pluralità delle forme espressive della fede nelle diverse culture e di quanto inerisce alla sua identità perenne e alla sua unità cattolica. In tale contesto, l’attuazione della vita sinodale e l’approfondimento del suo significato teologico costituiscono una sfida e un’opportunità di grande rilievo nel prosieguo del cammino ecumenico. È nell’orizzonte della sinodalità infatti che, con fedeltà creativa al depositum fidei e in coerenza con il criterio della hierarchia veritatum[164], si fa promettente quello «scambio di doni» di cui ci si può mutuamente arricchire camminando verso l’unità come armonia riconciliata delle inesauribili ricchezze del mistero di Cristo che si riflettono nella bellezza del volto della Chiesa. 4.5. Sinodalità e diaconia sociale 118. Il Popolo di Dio cammina nella storia per condividere con tutti il lievito, il sale, la luce del Vangelo. Per questo, «l’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo»[165] nella compagnia con i fratelli e le sorelle delle diverse religioni, convinzioni e culture che cercano la verità e s’impegnano a costruire la giustizia, per aprire il cuore e la mente di tutti a riconoscere la presenza di Cristo che cammina al nostro fianco. Le iniziative d’incontro, dialogo e collaborazione si accreditano come tappe preziose in questo pellegrinaggio comune e il cammino sinodale del Popolo di Dio si rivela scuola di vita per acquisire l’ethos necessario a praticare senza irenismi e compromessi il dialogo con tutti. Oggi poi, quando la presa di coscienza dell’interdipendenza tra i popoli obbliga a pensare al mondo come alla casa comune, la Chiesa è chiamata a manifestare che la cattolicità che la qualifica e la sinodalità in cui essa si esprime sono fermento di unità nella diversità e di comunione nella libertà. È questo un contributo di fondamentale rilievo che la vita e la conversione sinodale del Popolo di Dio può offrire alla promozione di una cultura dell’incontro e della solidarietà, del rispetto e del dialogo, dell’inclusione e dell’integrazione, della gratitudine e della gratuità. 119. La vita sinodale della Chiesa si offre, in particolare, come diaconia nella promozione di una vita sociale, economica e politica dei popoli nel segno della giustizia, della solidarietà e della pace. «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini»[166]. La pratica del dialogo e la ricerca di soluzioni condivise ed efficaci in cui ci s’impegna a costruire la pace e la giustizia sono un’assoluta priorità in una situazione di crisi strutturale delle procedure della partecipazione democratica e di sfiducia nei suoi principi e valori ispirativi, col pericolo di derive autoritarie e tecnocratiche. In questo contesto, è impegno prioritario e criterio di ogni azione sociale del Popolo di Dio l’imperativo di ascoltare il grido dei poveri e quello della terra[167], richiamando con urgenza, nella determinazione delle scelte e dei progetti della società, il posto e il ruolo privilegiato dei poveri, la destinazione universale dei beni, il primato della solidarietà, la cura della casa comune. CONCLUSIONE CAMMINARE INSIEME NELLA PARRESIA DELLO SPIRITO 120. «Camminare insieme – insegna Papa Francesco – è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito. Respiro e passo sinodale rivelano ciò che siamo e il dinamismo di comunione che anima le nostre decisioni. Solo in questo orizzonte possiamo rinnovare davvero la nostra pastorale e adeguarla alla missione della Chiesa nel mondo di oggi; solo così possiamo affrontare la complessità di questo tempo, riconoscenti per il percorso compiuto e decisi a continuarlo con parresia»[168]. 121. La parresìa nello Spirito chiesta al Popolo di Dio nel cammino sinodale è la fiducia, la franchezza e il coraggio di «entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di Dio» per «annunciare che nel mondo c’è un sacramento di unità e perciò l’umanità non è destinata allo sbando e allo smarrimento»[169]. L’esperienza vissuta e perseverante della sinodalità è per il Popolo di Dio fonte della gioia promessa da Gesù, fermento di vita nuova, pedana di lancio per una nuova fase di impegno missionario. Maria, Madre di Dio e della Chiesa, che «radunava i discepoli per invocare lo Spirito Santo (cfr. At 1,14), e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste»[170], accompagni il pellegrinaggio sinodale del Popolo di Dio, additando la meta e insegnando lo stile bello, tenero e forte di questa nuova tappa dell’evangelizzazione.
[3] Cfr. G. Lampe A Patristic Greek Lexicon, Oxford, Clarendon Press, 1968, 1334-1335.
[10] Nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (1990) si menzionano da una parte il Concilio ecumenico (CCEO 50), e dall’altra il Sinodo dei Vescovi (CCEO 46,1), il Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale (CCEO 102), il Sinodo dei Vescovi della Chiesa arcivescovile maggiore (CCEO 152), il Sinodo metropolitano (CCEO 133, 1) e il Sinodo permanente della Curia patriarcale (CCEO 114, 1).
[11] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su Alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione (28 maggio 1992), che afferma, richiamando il Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr. Lumen gentium 4,8,13-15,18,21, 24-25; Dei Verbum 10; Gaudium et spes 32; Unitatis redintegratio 2-4, 14-15, 17-19, 22) e la Relazione finale della II Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985 (cfr. II,C,1): «Il concetto di comunione (koinonía), già messo in luce nei testi del Concilio Vaticano II, è molto adeguato per esprimere il nucleo profondo del Mistero della Chiesa e può essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica».
[12] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 21 novembre 1964, 1.
[13] Cfr. San Giovanni Paolo II, Lett. ap. al termine del grande Giubileo dell’anno duemila, Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 44: AAS 93 (2001) 298.
[17] Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, IX, 2; F.X. Funk (ed.), Patres apostolici, I, Tübingen, 1901, p. 220.
[18] Ignazio di Antiochia, Ad Smyrnaeos, VIII,1-2 (Funk, I, p. 282); Ad Ephesios, V, 1 (Funk, I, p. 216); III, 1 (p. 216); Ad Trallianos, IX, 1 (Funk, I, p. 250).
[19] Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, IV (Funk, I, p. 216).
[20] Ignazio di Antiochia, Ad Trallianos, III, 1 (Funk, I, p. 244).
[21] Didaché, IX, 4; Funk, I, p. 22. Questa prassi fu in seguito in certo modo istituzionalizzata. Cfr. Ignazio di Antiochia, Ad Smyrnaeos, VIII, 1-2 (Funk, I, p. 282); Cipriano, Epistula 69, 5 (CSEL III, 2; p. 720); De catholicae ecclesiae unitate, 23 (CSEL III, 1; p. 230-231); Giovanni Crisostomo, In Ioannem homiliae. 46 (PG 59, 260); Agostino, Sermo 272 (PL 38, 1247 s.).
[22] Cipriano, Epistula, 14, 4 (CSEL III, 2; p. 512).
[23] Cipriano, De catholicae ecclesiae unitate, 5 (CSEL III, 1; p. 214).
[24] Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 2002, pp. 8-9.
[25] Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 2002, p. 32.
[26] Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 2002, pp. 99-100.
[27] Canoni degli apostoli (Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio I, 35).
[28] Cfr. già nel II secolo, Ignazio di Antiochia, Ad Romanos, IV, 3 (Funk, I, p. 256-258); Ireneo, Adversus haereses, III, 3,2 (SCh 211, p. 32).
[29] Cfr. Clemente Romano, 1 Clementis, V, 4-5 (Funk, I, p. 104-106).
[30] Cfr. Sinodo di Sardica (343), can. 3 e 5, DH 133-134.
[31] Cfr. Concilio Ecumenico di Nicea II, DH 602.
[32] In Africa è attestata la prassi del Senato Romano e dei Concilia municipalia (cfr. per esempio il Concilio di Cartagine del 256). In Italia si fa uso dei metodi procedurali conosciuti nella prassi del governo imperiale (cfr. il Concilio di Aquilea del 381). Nel Regno dei Visigoti e poi in quello dei Franchi lo svolgimento dei Sinodi tende a rispecchiare la prassi politica ivi conosciuta (cfr. Ordo de celebrando Concilio del sec. VII).
[33] Sulla presenza dei laici nei sinodi locali cfr. Origene, Dialogus cum Heraclius, IV, 24 (SCh 67; p. 62); per la prassi in uso nell’Africa del Nord cfr. Cipriano, Epistula 17, 3 (CSEL III, 2; p. 522); Epistula 19, 2 (CSEL III, 2; p. 525-526); Epistula 30, 5 (CSEL III, 2; p. 552-553). Quanto al sinodo di Cartagine del 256 si afferma «praesente etiam plebis maxima parte» (Sententiae episcoporum numero LXXXVII, CSEL III, 1; p. 435-436). L’Epistula 17, 3 testimonia che Cipriano intende prendere la decisione in accordo con tutta la plebs, riconoscendo al tempo stesso il valore peculiare del consenso dei coepiscopi.
[34] I loro conventi sono raccolti in province e sottoposti a un Superiore generale la cui giurisdizione si estende su tutti i membri dell’Ordine. I Superiori dell’Ordine inoltre – quello generale, quelli provinciali e quelli dei singoli conventi – sono eletti dai rappresentanti dei membri dell’Ordine per un determinato periodo e sono coadiuvati nell’esercizio della loro autorità da un Capitolo o Consiglio.
[35] Concilio Ecumenico Vaticano I, Cost. dogm. De Ecclesia Christi, Pastor aeternus, DH 3059. Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 18.
[36] Concilio Ecumenico Vaticano I, Cost. dogm. Pastor aeternus, DH 3074; Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 25.
[37] «Ciò che viene escluso – spiega il documento della CTI, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, al n. 40 – è la teoria secondo la quale una tale definizione richiederebbe questo consenso, antecedente o conseguente, come condizione per essere autorevole».
[44] Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 2-4; Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 7 dicembre 1965, 2-4.
[46] Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 4, 8, 13-15, 18, 21, 24-25; Cost. dogm. Dei Verbum, 10; Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, 32; Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, 21 novembre 1964, 2-4, 14-15, 17-18, 22.
[52] Missale Romanum, Istruzione Generale, 16.
[54] J. Ratzinger, “Le funzioni sinodali della Chiesa: l’importanza della comunione tra i Vescovi”, in L’Osservatore romano, 24 gennaio 1996, 4.
[55] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, 2; III, prol.
[58] Cfr. Vincenzo di Lérins, Commonitorium II, 5;CCSL64, 25-26, p. 149.
[76] Ibid., 22a: «Come san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, in eguale ragione (pari ratione) il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono uniti tra loro»
[81] Cfr. F. Coccopalmerio, La “consultività” del Consiglio pastorale parrocchiale e del Consiglio per gli affari economici della parrocchia, in “Quaderni di Diritto ecclesiale”, 1 (1988) 60-65.
[82] Il CIC stabilisce che quando un Superiore necessita del consenso e del consiglio di un Collegium o di un Coetus deve convocarlo o consultarlo conforme al diritto (can. 127 § 1; can. 166; cfr. cann. 166-173). Perché l’atto sia valido deve sollecitare il parere di tutti (can. 127 § 1).
[92] Cfr. CIC, cann. 460-468; CCEO, cann. 235-243. Nella Tradizione orientale il termine “Sinodo” è attribuito alle Assemblee episcopali; cfr. Congregazione per i Vescovi – Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Istruzione sui Sinodi diocesani (1977); Id., Direttorio Apostolorum Successores sul ministero dei Vescovi (2004), 166-176.
[98] Cfr. San Giovanni Paolo II, Es. ap. sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, Christifideles laici, 30 dicembre 1988, 25, AAS 81 (1989) 437.
[99] Libro del Sinodo della Diocesi di Roma – secondo Sinodo Diocesano, 1993, p. 102.
[104] «Tale ufficio di Capo della Provincia ecclesiastica, stabile nei secoli, è un segno distintivo della sinodalità nella Chiesa» (Francesco, Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, Criterii, V: AAS 107 [2015] 960). Nelle Chiese cattoliche di rito orientale, l’istituzione metropolitana conosce due figure: la Provincia entro la Chiesa patriarcale e la Chiesa metropolitana sui iuris (cfr. CCEO, rispettivamente cann. 133-139 e 155-173); lo ius se regendi di queste ultime è nota specifica della sinodalità e può costituire un stimolo per tutta la Chiesa (cfr. UR 16; OE 3 e 5).
[105] La Chiesa latina è menzionata nel canone 322 del CCEO. Si tratta dunque di una forma ampia di sinodalità interrituale.
[107] Il CIC del 1917 prevedeva la celebrazione del Concilio provinciale almeno una volta ogni 20 anni (can. 283); l’attuale suggerisce che sia celebrato «ogni volta che paia opportuno» (can. 440).
[108] San Giovanni Paolo II, Es. ap. post-sinodale sul Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo Pastores gregis, 16 ottobre 2003, 62.
[131] Cfr. Francesco, Es. ap. Evangelii Gaudium, 25-33, AAS 105 (2013), 1030-1034; V Conferenza Generale dell’episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento conclusivo di Aparecida, 365-372.
[133] Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1. «Nel suo pellegrinaggio in questo mondo, la Chiesa, una e santa, costantemente è stata caratterizzata da una tensione, talvolta dolorosa, all’unità (…). Il Concilio Vaticano II si è impegnato a realizzare, forse come mai prima, questa misteriosa e comune dimensione della Chiesa»: Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, La vita fraterna in comunità “Congregavit nos in unum Christi amor”, 2 febbraio 1994, 9.
[141] San Giovanni Paolo II, Lett. enc. sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, 40, AAS 95 (2003) 460.
[142] Agostino d’Ippona, Regola, I, 3, PL 32, 1378.
[145] Francesco, Lett. enc. sulla Fede Lumen fidei, 29 giugno 2013, 27, AAS 105 (2013) 571.
[150] Cfr. Benedetto da Norcia, Regola, 72,6.
[151] San Giovanni Paolo II, Convegno ecclesiale di Palermo 1995, riportato dalla Nota pastorale della CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1996, n. 32.
[160] Cfr. Joint International Commission for Theological Dialogue between the Roman Catholic Church And the Orthodox Church, Synodality and Primacy during the First Millenium: towards a common understanding in service to the unity of the Church, Chieti, 21 settembre 2016, 1.
[163] Commissione fede e costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, La Chiesa: verso una visione comune (2013) 53.
[167] Cfr. Francesco, Lett. enc. sulla cura della casa comune Laudato sì, 24 maggio 2015, 49, AAS 107 (2015) 866.
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