Congregazione per il Clero DIRETTORIO nuova edizione
SOMMARIO
Il fenomeno della “secolarizzazione”, cioè la tendenza a vivere la vita in una proiezione orizzontale, mettendo da parte o neutralizzando, pur accettando volentieri il discorso religioso, la dimensione del trascendente, da diversi decenni coinvolge senza esclusione tutti i battezzati, in una misura tale da impegnare coloro che hanno il compito, per mandato divino, di guidare la Chiesa a prendere decisa posizione. Uno dei suoi effetti più rilevanti è l’allontanamento dalla pratica religiosa, con un rifiuto sia del depositum fidei così come è autenticamente insegnato dal Magistero cattolico, sia dell’autorità e del ruolo dei sacri ministri, chiamati a sé da Cristo (Mc 3,13-19) a cooperare al suo piano di salvezza e condurre gli uomini all’obbedienza della fede (cf. Sir 48,10; Eb 4,1-11; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 144ss.). Tale allontanamento, a volte consapevole, altre volte è indotto da forme abitudinarie subdolamente imposte dalla cultura dominante con l’intento di scristianizzare la società civile. Da qui il particolare impegno profuso da Benedetto XVI fin dalle prime battute del suo pontificato, e volto a una rivalutazione della dottrina cattolica come sistemazione organica della sapienza autenticamente rivelata da Dio e che ha in Cristo il suo compimento, dottrina il cui valore veritativo è alla portata dell’intelligenza di tutti gli uomini (cf. CCC, n. 27ss). Se è vero che la Chiesa esiste, vive e si perpetua nel tempo per mezzo della missione evangelizzatrice (cf. Concilio Vaticano II, decreto Ad Gentes), appare chiaro che per essa l’effetto più deleterio causato dalla dilagante secolarizzazione è la crisi del ministero sacerdotale che da una parte si manifesta nella sensibile riduzione delle vocazioni, e dall’altra nella diffusione di uno spirito di vera e propria perdita di senso soprannaturale della missione sacerdotale; forme, queste, di inautenticità che non poche volte, nelle degenerazioni più estreme, hanno fatto conoscere situazioni di gravi sofferenze. Per questo motivo, la riflessione sul futuro del sacerdozio coincide con il futuro dell’evangelizzazione e perciò della Chiesa stessa. Nel 1992, il Beato Giovanni Paolo II, con l’Esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis, aveva già messo ampiamente in luce quanto stiamo dicendo, e aveva spinto successivamente a prendere in seria considerazione il problema attraverso una serie di interventi e iniziative. Inoltre, a questo proposito, va senza dubbio ricordato in modo del tutto singolare l’Anno Sacerdotale 2009-2010, significativamente celebrato in concomitanza con il 150° anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci e dei sacerdoti in cura d’anime. Sono state queste le ragioni fondamentali che, dopo lunga serie di consultazioni, ci spinsero a redigere, nel 1994, la prima edizione del Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri, uno strumento atto a fare luce e ad essere da guida nell’impegno di rinnovamento spirituale dei sacri ministri, apostoli sempre più disorientati, immersi in un mondo difficile e continuamente mutevole. La proficua esperienza dell’Anno Sacerdotale (la cui eco è ancora vicina), la promozione di una «nuova evangelizzazione», le ulteriori e preziose indicazioni del magistero di Benedetto XVI e, purtroppo, le dolorose ferite che hanno tormentato la Chiesa per la condotta di alcuni suoi ministri, ci hanno esortati a ripensare una nuova edizione del Direttorio, che potesse essere più congeniale al momento storico presente, pur mantenendo sostanzialmente inalterato lo schema del documento originale, nonché, naturalmente, l’insegnamento perenne della teologia e della spiritualità del sacerdozio cattolico. Già nella sua breve Introduzione ne apparivano chiare le intenzioni: «È sembrato opportuno richiamare quegli elementi dottrinali fondamentali che sono al centro dell’identità, della spiritualità e della formazione permanente dei presbiteri, perché aiutino ad approfondire il significato dell’essere sacerdote e ad accrescere la sua esclusiva relazione con Gesù Cristo Capo e Pastore: il che necessariamente andrà a beneficio di tutto l’essere ed agire del presbitero. […] Questo Direttorio è un documento di edificazione e di santificazione dei sacerdoti in un mondo, per molti versi, secolarizzato e indifferente». Vale la pena riconsiderare alcuni temi tradizionali che sono stati via via messi in ombra o talvolta apertamente respinti, a beneficio di una visione funzionalistica del sacerdote come “professionista del sacro”, o di una concezione “politica” che gli dà dignità e valore solo se attivo nel sociale. Tutto questo ha sovente mortificato la dimensione più connotativa, e che si potrebbe definire “sacramentale”, ovvero del ministro che, mentre elargisce i tesori della grazia divina, egli stesso è di Cristo, e pur restando nei limiti di una umanità ferita dal peccato, è misteriosa presenza nel mondo. Anzitutto il rapporto del sacerdote con Dio-Trinità. La rivelazione di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo è legata alla manifestazione di Dio come l’Amore che crea e che salva. Ora, se la redenzione è una specie di creazione e un suo prolungamento (infatti la si dichiara «nuova»), allora il sacerdote, ministro della redenzione, essendo nel suo essere fonte di vita nuova, diviene per ciò stesso strumento della nuova creazione. È già questo sufficiente per riflettere sulla grandezza del ministro ordinato, indipendentemente dalle sue capacità e dai suoi talenti, dai suoi limiti e dalle sue miserie. È questo che induce Francesco d’Assisi a dichiarare nel suo Testamento: «E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri». Quel Corpo e quel Sangue che rigenerano l’umanità. Un altro punto importante su cui comunemente poco si insiste, ma da cui procedono tutte le implicazioni pratiche, è quello della dimensione ontologica della preghiera, in cui occupa un ruolo speciale la Liturgia delle Ore. Si accentua spesso come essa sia, sul piano liturgico una sorta di prolungamento del sacrificio eucaristico (Sal 49: «Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora»), e su quello giuridico un dovere imprescindibile. Ma nella visione teologica del sacerdozio ordinato come partecipazione ontologica alla “capitalità” di Cristo, la preghiera del ministro sacro, a prescindere dalla sua condizione morale, è a tutti gli effetti preghiera di Cristo, con la medesima dignità e la medesima efficacia. Inoltre essa, con l’autorità che i Pastori hanno ricevuto dal Figlio di Dio di “impegnare” il Cielo sulle questioni decise sulla terra a beneficio della santificazione dei credenti (Mt 18,18), soddisfa pienamente il comando del Signore di pregare sempre, in ogni momento, senza stancarsi (cf. Lc 18,1; 21,36). È questo un punto su cui è bene insistere. «Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta» (Gv 9,31). Ora, chi più di Cristo in persona onora il Padre e compie perfettamente la sua volontà? Se dunque il sacerdote agisce in persona Christi in ogni sua attività di partecipazione alla redenzione – con le debite differenze: nell’insegnamento, nella santificazione, nel guidare i fedeli a salvezza – niente della sua natura peccatrice può offuscare la potenza della sua preghiera. Questo, ovviamente, non deve indurci a minimizzare l’importanza di una sana condotta morale del ministro (come di ogni battezzato, del resto), la cui misura deve essere invece la santità di Dio (cf. Lv 20,8; 1Pt 1,15-16); piuttosto, serve a sottolineare come la salvezza viene da Dio e come Egli ha bisogno dei sacerdoti per perpetuarla nel tempo, e come non occorrano complicate pratiche ascetiche o particolari forme di espressione spirituale perché tutti gli uomini possano godere, anche attraverso la preghiera dei pastori, scelti per loro, degli effetti benefici del sacrificio di Cristo. Ancora una volta si insiste sull’importanza della formazione del sacerdote che deve essere integrale, senza privilegiare un aspetto a discapito di un altro. L’essenza della formazione cristiana, in ogni caso, non può essere intesa come un “addestramento” che tocchi le facoltà spirituali umane (intelligenza e volontà) nel loro, per così dire, manifestarsi esteriore. Essa è trasformazione dell’essere stesso dell’uomo, e ogni cambiamento ontologico non può che essere Dio stesso a compierlo, per mezzo dello Spirito il cui compito, come recita il Credo, è quello di «dare la vita». “Formare” significa dare l’aspetto di qualcosa, o, nel nostro caso, di Qualcuno: «Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Rm 8,28-29). La formazione specifica del sacerdote, dunque, poiché egli è, come abbiamo detto sopra, una sorta di “co-creatore”, richiede un abbandono del tutto singolare all’opera dello Spirito Santo, evitando, pur nella valorizzazione dei propri talenti, di cadere nel pericolo dell’attivismo, del ritenere che l’efficacia della propria azione pastorale dipenda dalla personale bravura. Un punto questo che, ben considerato, può certamente dare fiducia a quanti, in un mondo ampiamente secolarizzato e sordo alle istanze della fede, facilmente potrebbero scivolare nello scoraggiamento, e da questo nella mediocrità pastorale, nella tiepidezza e, in ultimo, nella messa in discussione di quella missione che avevano in principio accolto con tanto sincero entusiasmo. La buona conoscenza delle scienze umane (in particolare della filosofia e della bioetica) per affrontare a testa alta le sfide del laicismo; la valorizzazione e l’uso dei mezzi di comunicazione di massa in ausilio all’efficacia dell’annuncio della Parola; la spiritualità eucaristica come specificità della spiritualità sacerdotale (l’Eucarestia è sacramento di Cristo che si fa dono incondizionato e totale d’amore al Padre e ai fratelli, e tale deve essere anche colui che di Cristo-dono ne è partecipazione) e dalla quale dipende il senso del celibato (da più voci avversato perché mal compreso); il rapporto con la gerarchia ecclesiastica e la fraternità sacerdotale; l’amore a Maria, Madre dei sacerdoti, il cui ruolo nell’economia salvifica è di primo piano, come elemento, non decorativo o opzionale, bensì essenziale. Questi ed altri i temi successivamente affrontati in questo Direttorio, in un paradigma chiaro e completo, utile a purificare idee equivoche o distorte sull’identità e la funzione del ministro di Dio nella Chiesa e nel mondo, e che soprattutto può realmente essere di aiuto ad ogni presbitero a sentirsi orgogliosamente membro speciale di quel meraviglioso piano d’amore di Dio che è la salvezza del genere umano. Mauro Card. Piacenza + Celso Morga Iruzubieta
Benedetto XVI, nel suo discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il Clero, il 12 marzo 2010, ha ricordato che «il tema dell’identità sacerdotale […] è determinante per l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel presente e nel futuro». Queste parole segnalano una delle questioni centrali per la vita della Chiesa qual è la comprensione del ministero ordinato. Alcuni anni fa, prendendo spunto dalla ricca esperienza della Chiesa sul ministero e la vita dei presbiteri, condensata in diversi documenti del Magistero[1] ed in particolare nei contenuti dell’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis,[2] questo Dicastero aveva offerto il Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri.[3] La pubblicazione di questo documento rispondeva allora ad un’esigenza fondamentale: «il prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione, che investe tutto il popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una nuova espressione per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti radicalmente e integralmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale»[4]. Il citato Direttorio costituì, nel 1994, una risposta a questa esigenza e anche alle richieste avanzate da numerosi Vescovi sia durante il Sinodo del 1990, sia in occasione della consultazione generale dell’Episcopato promossa da questo Dicastero. Dopo l’anno 1994, il Magistero del Beato Giovanni Paolo II è stato ricco di contenuti sul sacerdozio; un tema che, a sua volta, Papa Benedetto XVI ha approfondito con i suoi numerosi insegnamenti. L’Anno Sacerdotale 2009-2010 è stato un tempo particolarmente propizio per meditare sul ministero sacerdotale e promuovere un autentico rinnovamento spirituale dei sacerdoti. Infine, con il passaggio di competenza sui Seminari dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica a questo Dicastero, Benedetto XVI ha inteso dare una indicazione chiara sul legame inscindibile tra identità sacerdotale e formazione dei chiamati al ministero sacro. Pertanto, è sembrato doveroso curare una versione aggiornata del Direttorio, che raccogliesse il ricco Magistero più recente[5]. Ovviamente, la nuova redazione rispetta in generale lo schema del documento originale, che fu molto ben accolto nella Chiesa, specialmente dagli stessi sacerdoti. Nel delineare i diversi contenuti, si erano tenuti presenti sia i suggerimenti dell’intero Episcopato mondiale, appositamente consultato, sia quanto emerso nel corso dei lavori della Congregazione plenaria, svoltasi in Vaticano nell’ottobre 1993, sia, infine, le riflessioni di non pochi teologi, canonisti ed esperti in materia, provenienti da diverse aree geografiche ed inseriti nelle attuali situazioni pastorali. Nell’aggiornamento del Direttorio, si è cercato di porre l’ac-cento sugli aspetti più rilevanti dell’insegnamento magisteriale sul ministero sacro sviluppatosi dal 1994 fino ai nostri giorni, con riferimenti a documenti essenziali del Beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Si sono pure mantenute le indicazioni pratiche utili per intraprendere iniziative, evitando tuttavia di entrare in quei dettagli che soltanto le legittime prassi locali e le condizioni reali di ciascuna Diocesi e Conferenza Episcopale potranno utilmente suggerire alla prudenza ed allo zelo dei Pastori. Nell’attuale clima culturale, conviene ricordare che l’identità del sacerdote, come uomo di Dio, non è superata e non potrà mai esserlo. È sembrato opportuno richiamare quegli elementi dottrinali fondamentali che sono al centro dell’identità, della vita spirituale e della formazione permanente dei presbiteri, perché aiutino ad approfondire il significato dell’essere sacerdote e ad accrescere la sua esclusiva relazione con Gesù Cristo Capo e Pastore: il che necessariamente andrà a beneficio di tutto l’essere ed agire del presbitero. D’altronde, così come già si diceva nell’Introduzione della prima edizione del Direttorio, neppure in questa versione aggiornata s’intende offrire un’esposizione esaustiva sul sacerdozio ordinato, né ci si limita ad una pura e semplice ripetizione di quanto già autenticamente dichiarato dal Magistero della Chiesa; s’intende piuttosto rispondere ai principali interrogativi, di ordine dottrinale, disciplinare e pastorale, posti ai sacerdoti dalle sfide della nuova evangelizzazione, in vista della quale Papa Benedetto XVI ha voluto istituire un apposito Pontificio Consiglio [6]. Così, per esempio, si è voluto porre speciale enfasi sulla dimensione cristologica dell’identità del presbitero nonché sulla comunione, l’amicizia e la fraternità sacerdotali, considerati come beni vitali data la loro incidenza sulla esistenza del sacerdote. Lo stesso può dirsi della vita spirituale del presbitero, in quanto fondata sulla Parola e sui Sacramenti, specialmente sull’Eucarestia. Infine, si offrono alcuni consigli per un’ade-guata formazione permanente, intesa come un aiuto per approfondire il significato dell’essere sacerdote e così vivere con gioia e responsabilità la propria vocazione. Questo Direttorio è un documento di edificazione e di santificazione dei sacerdoti in un mondo, per molti versi, secolarizzato ed indifferente. Il testo è principalmente destinato, attraverso i Vescovi, a tutti i presbiteri della Chiesa latina, anche se molti dei suoi contenuti possono essere di giovamento per i presbiteri di altri riti. Le direttive in esso contenute riguardano, in particolare, i presbiteri del clero secolare diocesano, sebbene molte di esse, con i dovuti adattamenti, debbano tener conto anche i presbiteri membri di Istituti di vita consacrata e di Società di vita apostolica. Ma, come già accennato nelle battute iniziali, questa nuova edizione del Direttorio rappresenta un aiuto per i formatori dei Seminari e i candidati al ministero ordinato. Il Seminario rappresenta il momento e il luogo dove crescere e portare a maturazione la conoscenza del mistero di Cristo, e con essa, la consapevolezza che, se sul piano esteriore l’autenticità del nostro amore per Dio si misura sull’amore che abbiamo verso i fratelli (cf. 1Gv 4,20-21), su quello interiore l’amore alla Chiesa è vero solo se è effetto di un legame intenso ed esclusivo con Cristo. Riflettere sul sacerdozio equivale così a meditare su Colui per il quale si è disposti a lasciare tutto e seguirlo (cf. Mc 10,17-30). In tal modo il progetto formativo si identifica nella sua essenza con la conoscenza del Figlio di Dio, che attraverso la missione profetica, sacerdotale e regale conduce ogni uomo al Padre per mezzo dello Spirito: «Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,11-13). Ci si augura dunque che questa nuova edizione del Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri possa costituire per ogni uomo chiamato a partecipare al sacerdozio di Cristo Capo e Pastore un aiuto nell’approfondimento della propria identità vocazionale e nell’accrescimento della propria vita interiore; un incoraggiamento nel ministero e nella realizzazione della propria formazione permanente, della quale ciascuno è il primo responsabile; un punto di riferimento per un apostolato ricco ed autentico, a beneficio della Chiesa e del mondo intero. Possa Maria far risuonare nei nostri cuori, giorno dopo giorno, e particolarmente quando ci prepariamo per celebrare il Sacrificio dell’altare, il suo invito alle nozze di Cana di Galilea: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Ci affidiamo a Maria, Madre dei sacerdoti, con la preghiera del Papa Benedetto XVI:
Nella sua Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, il Beato Giovanni Paolo II disegna l’identità del sacerdote: «I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l’Eucaristia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell’unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito»[8]. 1. L’intera Chiesa è stata resa partecipe dell’unzione sacerdotale di Cristo nello Spirito Santo. Nella Chiesa, infatti, «tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa (cf. 1Pt 2,5.9)»[9]. In Cristo, tutto il suo Corpo mistico è unito al Padre per lo Spirito Santo, in vista della salvezza di tutti gli uomini. La Chiesa, però, non può portare avanti da sola tale missione: l’intera sua attività necessita intrinsecamente della comunione con Cristo, Capo del suo Corpo. Essa, indissolubilmente unita al suo Signore, da Lui stesso riceve costantemente l’influsso di grazia e di verità, di guida e di sostegno (cf. Col 2,19), perché possa essere per tutti e per ciascuno «il segno e lo strumento dell’intima unione dell’uomo con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[10]. Il sacerdozio ministeriale trova la sua ragion d’essere in questa prospettiva dell’unione vitale ed operativa della Chiesa con Cristo. In effetti, mediante tale ministero, il Signore continua ad esercitare in mezzo al suo Popolo quella attività che soltanto a Lui appartiene in quanto Capo del suo Corpo. Pertanto, il sacerdozio ministeriale rende tangibile l’azione propria di Cristo Capo e testimonia che Cristo non si è allontanato dalla sua Chiesa, ma continua a vivificarla col suo perenne sacerdozio. Per questo motivo, la Chiesa considera il sacerdozio ministeriale come un dono a Lei elargito nel ministero di alcuni suoi fedeli. Tale dono, istituito da Cristo per continuare la sua missione di salvezza, fu conferito inizialmente agli Apostoli e continua nella Chiesa attraverso i Vescovi loro successori i quali, a loro volta, lo trasmettono in grado subordinato ai presbiteri, in quanto cooperatori dell’ordine episcopale; questa è la ragione per cui l’identità di questi ultimi nella Chiesa scaturisce dalla loro conformazione alla missione della Chiesa, la quale, per il sacerdote, si realizza, a sua volta, nella comunione con il proprio Vescovo[11]. «Quella del sacerdote è, pertanto, un’altissima vocazione, che rimane un grande Mistero anche per quanti l’abbiamo ricevuta in dono. I nostri limiti e le nostre debolezze devono indurci a vivere e a custodire con profonda fede tale dono prezioso, con il quale Cristo ci ha configurati a Sé, rendendoci partecipi della Sua Missione salvifica»[12]. 2. Mediante l’ordinazione sacramentale, realizzata per mezzo dell’imposizione delle mani e della preghiera consacratoria da parte del Vescovo, si determina nel presbitero «un legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo Sommo Sacerdote e Buon Pastore»[13]. L’identità del sacerdote, quindi, deriva dalla partecipazione specifica al Sacerdozio di Cristo, per cui l’ordinato diventa, nella Chiesa e per la Chiesa, immagine reale, vivente e trasparente di Cristo Sacerdote, «una ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore»[14]. Attraverso la consacrazione, il sacerdote «riceve in dono un “potere spirituale” che è partecipazione all’autorità con la quale Gesù Cristo, mediante il Suo Spirito, guida la Chiesa»[15]. Questa sacramentale identificazione con il Sommo ed Eterno Sacerdote inserisce specificamente il presbitero nel mistero trinitario e, attraverso il mistero di Cristo, nella comunione ministeriale della Chiesa per servire il Popolo di Dio[16], non come un addetto alle questioni religiose, ma come Cristo, «che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Non stupisce allora che «il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore» sia «la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del presbitero»[17]. Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che ogni sacerdote è unico come persona, e possiede i propri modi di essere. Ognuno è unico ed insostituibile. Dio non cancella la personalità del sacerdote, anzi, la richiede completamente, desiderando servirsene – la grazia, infatti, edifica sulla natura – affinché il sacerdote possa trasmettere le verità più profonde e preziose tramite le sue caratteristiche, che Dio rispetta ed anche gli altri devono rispettare. In comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito 3. Il cristiano, per mezzo del Battesimo, entra in comunione con Dio Uno e Trino che gli comunica la propria vita divina per farlo diventare figlio adottivo nel suo unico Figlio; perciò è chiamato a riconoscere Dio come Padre e, tramite la filiazione divina, a sperimentare la provvidenza paterna che non abbandona mai i suoi figli. Se questo è vero per ogni cristiano, è altrettanto vero che, in forza della consacrazione ricevuta col sacramento dell’Ordine, il sacerdote è posto in una particolare e specifica relazione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo. Infatti, «la nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da lui mandato, Sacerdote Sommo e Buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l’azione dello Spirito Santo. La vita ed il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell’azione dello stesso Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita»[18]. L’identità, il ministero e l’esistenza del presbitero sono, dunque, essenzialmente relazionate con la Santissima Trinità, in vista del servizio sacerdotale alla Chiesa e a tutti gli uomini. Nella dinamica trinitaria della salvezza 4. Il sacerdote, «come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo come origine permanente e sempre nuova della salvezza»[19], si trova inserito nella dinamica trinitaria con una particolare responsabilità. La sua identità scaturisce dal ministerium verbi et sacramentorum, il quale è in relazione essenziale con il mistero dell’amore salvifico del Padre (cf. Gv 17,6-9.24; 1Cor 1,1; 2Cor 1,1), con l’essere sacerdotale di Cristo, che sceglie e chiama personalmente il suo ministro a stare con Lui (cf. Mc 3,15), e con il dono dello Spirito (cf. Gv 20,21), che comunica al sacerdote la forza necessaria per dar vita ad una moltitudine di figli di Dio, convocati nel suo unico Popolo e incamminati verso il Regno del Padre. Intima relazione con la Trinità 5. Da ciò si percepisce la caratteristica essenzialmente relazionale (cf. Gv 17,11.21)[20] dell’identità del sacerdote. La grazia e il carattere indelebile conferiti con la sacramentale unzione dello Spirito Santo[21] pongono dunque il sacerdote in relazione personale con la Trinità giacché costituisce la sorgente dell’essere e dell’agire sacerdotale. Il Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis, sin dal suo esordio, sottolinea la relazione fondamentale tra il sacerdote e la Trinità Santissima, nominando distintamente le tre Persone divine: «La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente vincolata all’ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo. Per questo motivo il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell’iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, Capo della Chiesa. [...] Pertanto, il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo»[22]. Tale relazione, pertanto, deve essere necessariamente vissuta dal sacerdote in maniera intima e personale, in dialogo di adorazione e di amore con le Tre Persone divine, consapevole che il dono ricevuto gli è stato dato per il servizio di tutti. Identità specifica 6. La dimensione cristologica, come quella trinitaria, scaturisce direttamente dal sacramento che configura ontologicamente a Cristo Sacerdote, Maestro, Santificatore e Pastore del suo Popolo[23]. I presbiteri, inoltre, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo come collaboratori dei Vescovi: questa determinazione è propriamente sacramentale e perciò non può essere letta in chiave meramente “organizzativa”. A quei fedeli che, rimanendo innestati nel sacerdozio comune o battesimale, sono eletti e costituiti nel sacerdozio ministeriale, è data una partecipazione indelebile allo stesso ed unico sacerdozio di Cristo nella dimensione pubblica della mediazione e dell’autorità, riguardo alla santificazione, all’insegnamento e alla guida di tutto il Popolo di Dio. Così, se, da una parte, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico sono necessariamente ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo, d’altra parte, essi differiscono essenzialmente tra di loro e non solo di grado[24]. In questo senso, l’identità del sacerdote è nuova rispetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il Battesimo, partecipano già, nel loro insieme, all’unico sacerdozio di Cristo e sono chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra[25]. La specificità del sacerdozio ministeriale, tuttavia, si definisce a partire non da una sua supposta “superiorità” nei confronti del sacerdozio comune, bensì dal servizio, che esso è chiamato a sviluppare a favore di tutti i fedeli, perché questi possano aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa visibile dall’esercizio del sacerdozio ministeriale. In questa sua specifica identità cristologica, il sacerdote deve aver coscienza che la propria vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di Cristo e della Chiesa in un modo nuovo e che questo lo impegna per intero nel ministero pastorale e dà senso alla sua vita[26]. Questa coscienza della sua identità è di particolare importanza nell’attuale contesto culturale secolarizzato dove «il sacerdote appare “estraneo” al sentire comune, proprio per gli aspetti più fondamentali del suo ministero, come quelli di essere uomo del sacro, sottratto al mondo per intercedere a favore del mondo, costituito, in tale missione, da Dio e non dagli uomini (cf. Eb 5,1)»[27]. 7. Tale consapevolezza − fondata sul legame ontologico con Cristo − allontana da concezioni “funzionalistiche” che hanno voluto considerare il sacerdote soltanto quale operatore sociale o gestore di riti sacri «rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo»[28] e riducono la vita del sacerdote a mero compimento di doveri. Tutti gli uomini hanno un naturale anelito religioso, che li distingue da ogni altro essere vivente e che fa di loro cercatori di Dio. Perciò, le persone cercano nel sacerdote l’uomo di Dio presso il quale scoprire la Sua Parola, la Sua Misericordia e il Pane dal cielo che «dà la Vita al mondo» (Gv 6,33): «Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote»[29]. Essendo conscio della sua identità, il sacerdote, davanti allo sfruttamento, alla miseria o all’oppressione, alla mentalità secolarizzata e relativista che mette in dubbio le verità fondamentali della nostra fede, o a tante altre situazioni della cultura post moderna, vedrà occasioni per esercitare il suo specifico ministero di pastore chiamato ad annunciare al mondo il Vangelo. Il presbitero, «scelto fra gli uomini e per gli uomini, viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio» (Eb 5,1). Di fronte alle anime, egli annuncia il mistero di Cristo solo alla luce del quale viene compreso pienamente il mistero dell’uomo[30]. Consacrazione e missione 8. Cristo associa gli Apostoli alla sua stessa missione. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Nella stessa sacra Ordinazione, è ontologicamente presente la dimensione missionaria. Il sacerdote è scelto, consacrato ed inviato per rendere efficacemente attuale questa missione eterna di Cristo[31], di cui diventa autentico rappresentante e messaggero. Non si tratta di una semplice funzione di rappresentanza estrinseca, bensì costituisce un vero strumento di trasmissione della grazia della Redenzione: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,16). Si può quindi dire che la configurazione a Cristo, tramite la consacrazione sacramentale, definisce il sacerdote in seno al Popolo di Dio, facendolo partecipare in modo suo proprio alla potestà santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo, Capo e Pastore della Chiesa[32]. Il sacerdote diventando più simile a Cristo è – grazie a Lui, e non da sé – collaboratore della salvezza dei fratelli: non è più lui che vive ed esiste, ma Cristo in lui (cf. Gal 2,20). Agendo in persona Christi Capitis, il presbitero diventa il ministro delle azioni salvifiche essenziali, trasmette le verità necessarie alla salvezza e pasce il Popolo di Dio, conducendolo verso la santità[33]. Ma la conformazione del sacerdote a Cristo non passa soltanto attraverso l’attività evangelizzatrice, sacramentale e pastorale. Essa si verifica anche nell’oblazione di sé e nell’espiazione, ossia nell’accettare con amore le sofferenze ed i sacrifici propri del ministero sacerdotale[34]. L’Apostolo san Paolo ha espresso questa dimensione qualificante del ministero con la celebre espressione: «Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Carattere sacramentale 9. Nell’Ordinazione presbiterale, il sacerdote ha ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che ha fatto di lui un uomo segnato dal carattere sacramentale per essere per sempre ministro di Cristo e della Chiesa. Rassicurato dalla promessa per cui il Consolatore rimarrà con lui per sempre (cf. Gv 14,16-17), il sacerdote sa che non perderà mai la presenza ed il potere efficace dello Spirito Santo, per poter esercitare il suo ministero e vivere la carità pastorale – fonte, criterio e misura dell’amore e del servizio – come dono totale di sé per la salvezza dei propri fratelli. Questa carità determina nel presbitero il suo stesso modo di pensare, di agire e di comportarsi con gli altri. Comunione personale con lo Spirito Santo 10. È ancora lo Spirito Santo che, nell’Ordinazione, conferisce al sacerdote il compito profetico di annunciare e spiegare, con autorità, la Parola di Dio. Inserito nella comunione della Chiesa con tutto l’ordine sacerdotale, il presbitero verrà guidato dallo Spirito di Verità, che il Padre ha mandato per mezzo di Cristo e che gli insegna ogni cosa, ricordando tutto ciò che Gesù ha detto agli Apostoli. Pertanto il presbitero, con l’aiuto dello Spirito Santo e con lo studio della Parola di Dio nelle Scritture, alla luce della Tradizione e del Magistero[35], scopre la ricchezza della Parola da annunciare alla comunità ecclesiale a lui affidata. Invocazione dello Spirito 11. Il sacerdote è unto dallo Spirito Santo. Questo comporta non solo il dono del segno indelebile conferito dall’unzione, ma il compito di invocare costantemente il Paraclito – dono del Cristo risorto – senza il quale il ministero del presbitero sarebbe sterile. Ogni giorno il sacerdote chiede la luce dello Spirito Santo per imitare Cristo. Mediante il carattere sacramentale e identificando la sua intenzione con quella della Chiesa, il sacerdote è sempre in comunione con lo Spirito Santo nella celebrazione della liturgia, soprattutto dell’Eucaristia e degli altri sacramenti. Infatti, è Cristo che agisce a favore della Chiesa, per mezzo dello Spirito Santo invocato nella sua potenza efficace dal sacerdote celebrante in persona Christi[36]. La celebrazione sacramentale, pertanto, trae la sua efficacia dalla parola di Cristo che l’ha istituita e dalla potenza dello Spirito che la Chiesa invoca mediante l’epiclesi. Ciò è particolarmente evidente nella Preghiera eucaristica, nella quale il sacerdote, invocando la potenza dello Spirito Santo sul pane e sul vino, pronunzia le parole di Gesù affinché si compia la transustanziazione del pane nel corpo “dato” di Cristo e del vino nel sangue “versato” di Cristo e si renda sacramentalmente presente il suo unico sacrificio redentore[37]. Forza per guidare la comunità 12. È, infine, nella comunione dello Spirito Santo, che il sacerdote trova la forza per guidare la comunità a lui affidata e per mantenerla nell’unità voluta dal Signore[38]. La preghiera del sacerdote nello Spirito Santo può modellarsi sulla preghiera sacerdotale di Gesù Cristo (cf. Gv 17). Egli, pertanto, deve pregare per l’unità dei fedeli affinché siano una cosa sola perché il mondo creda che il Padre ha mandato il Figlio per la salvezza di tutti. “Nella” e “di fronte” alla Chiesa 13. Cristo, origine permanente e sempre nuova della salvezza, è il mistero fontale da cui deriva il mistero della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa, chiamata dal suo Sposo ad essere segno e strumento di redenzione. Per mezzo dell’opera affidata agli Apostoli e ai loro Successori, Cristo continua a dare vita alla sua Chiesa. È in essa che il ministero dei presbiteri trova il suo locus naturale ed adempie la sua missione. Attraverso il mistero di Cristo, il sacerdote, esercitando il suo molteplice ministero, è inserito nel mistero della Chiesa, la quale «prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo»[39]. In tal modo, il sacerdote, mentre è nella Chiesa, si trova anche di fronte ad essa[40]. L’espressione eminente di questa collocazione del sacerdote nella e di fronte alla Chiesa, è la celebrazione dell’Eucaristia dove «il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo»[41]. Partecipe della sponsalità di Cristo 14. Il sacramento dell’Ordine, infatti, fa partecipe il sacerdote non solo del mistero di Cristo Sacerdote, Maestro, Capo e Pastore ma, in qualche modo, anche di Cristo «Servo e Sposo della Chiesa»[42]. Questa è il «Corpo» di Lui, che l’ha amata e l’ama al punto da dare se stesso per lei (cf. Ef 5,25); la rigenera e la purifica continuamente per mezzo della Parola di Dio e dei sacramenti (cf. ibid. 5,26); si adopera per renderla sempre più bella (cf. ibid. 5,27) e, infine, la nutre e la tratta con cura (cf. ibid. 5,29). I presbiteri, che – collaboratori dell’Ordine Episcopale – costituiscono con il loro Vescovo un unico presbiterio[43] e partecipano, in grado subordinato, dell’unico sacerdozio di Cristo, in qualche modo partecipano pure, a somiglianza del Vescovo, a quella dimensione sponsale nei riguardi della Chiesa che è bene significata nel rito dell’ordinazione episcopale con la consegna dell’anello[44]. I presbiteri, che «nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande»[45], dovranno essere fedeli alla Sposa e, quasi icone viventi del Cristo Sposo, rendere operante la sua multiforme donazione alla sua Chiesa. Chiamato con atto d’amore soprannaturale, assolutamente gratuito, il sacerdote ama la Chiesa come Cristo l’ha amata, consacrando ad essa tutte le sue energie e donandosi con carità pastorale fino a dare quotidianamente la sua stessa vita. Universalità del sacerdozio 15. Il comando del Signore di andare a tutte le genti (cf. Mt 28,18-20) costituisce un’altra modalità dello stare del sacerdote di fronte alla Chiesa.[46] Inviato – missus – dal Padre per mezzo di Cristo, il sacerdote appartiene «in modo immediato» alla Chiesa universale[47], che ha la missione di annunziare la Buona Novella fino «ai confini della terra» (Atti 1,8)[48]. «Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’or-dinazione, li prepara ad una vastissima e universale missione di salvezza»[49]. Per l’Ordine ed il ministero ricevuto, infatti, tutti i sacerdoti sono associati al Corpo Episcopale e, in comunione gerarchica con esso, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa[50]. Il fatto dell’incardinazione[51] non deve rinchiudere il sacerdote in una mentalità ristretta e particolaristica, ma aprirlo al servizio dell’unica Chiesa di Gesù Cristo. In questo senso, ciascun sacerdote riceve una formazione che gli permette di servire la Chiesa universale e non solo specializzarsi in un unico luogo o in un compito particolare. Questa “formazione per la Chiesa universale” significa essere pronto ad affrontare le più varie circostanze, con la costante disponibilità a servire, senza condizioni, la Chiesa intera[52]. Missionarietà del sacerdozio per una Nuova Evangelizzazione 16. Il presbitero, partecipe della consacrazione di Cristo, viene coinvolto nella sua missione salvifica secondo il suo ultimo comandamento: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20; cf. Mc 16,15-18; Lc 24,47-48; At 1,8). La tensione missionaria è parte costitutiva dell’esistenza del sacerdote – che è chiamato a farsi “pane spezzato per la vita del mondo”–, perché «la prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica»[53]. «I presbiteri in forza del sacramento dell’Ordine sono chiamati a condividere la sollecitudine per la missione: “Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza […]” (Presbyterorum Ordinis, 10). Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo»[54]. Questa esigenza della vita della Chiesa nel mondo contemporaneo dev’essere sentita e vissuta da ogni presbitero. Per questo ogni sacerdote è chiamato ad avere spirito missionario, cioè uno spirito veramente “cattolico” che partendo da Cristo si rivolge a tutti perché «siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4-6). Perciò è importante che egli abbia piena coscienza di questa realtà missionaria del suo sacerdozio, e la viva in piena sintonia con la Chiesa che, oggi come ieri, sente il bisogno di inviare i suoi ministri nei luoghi dove più urgente è la loro missione, specialmente presso i più poveri[55]. Da ciò deriverà anche una più equa distribuzione del clero[56]. A questo proposito, bisogna riconoscere come questi sacerdoti che si rendono disponibili a prestare il loro servizio in altre diocesi o paesi siano un grande dono tanto per la Chiesa particolare dove sono stati inviati quanto per quella che li invia. 17. «Si verifica oggi, tuttavia, una crescente confusione che induce molti a lasciare inascoltato ed inoperante il comando missionario del Signore (cf. Mt 28,19). Spesso si ritiene che ogni tentativo di convincere altri in questioni religiose sia un limite posto alla libertà. Sarebbe lecito solamente esporre le proprie idee ed invitare le persone ad agire secondo coscienza, senza favorire una loro conversione a Cristo ed alla fede cattolica: si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Inoltre, alcuni sostengono che non si dovrebbe annunciare Cristo a chi non lo conosce, né favorire l’adesione alla Chiesa, poiché sarebbe possibile esser salvati anche senza una conoscenza esplicita di Cristo e senza una incorporazione formale alla Chiesa»[57]. Il Servo di Dio Paolo VI si rivolge anche ai sacerdoti nell’affermare: «Non sarà inutile che ciascun cristiano e ciascun evangelizzatore approfondisca nella preghiera questo pensiero: gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna – ciò che San Paolo chiamava “arrossire del Vangelo” (cf. Rm 1,16) – o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo? Perché questo sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che, per bocca dei ministri del Vangelo, vuole far germinare la semente; dipenderà da noi che questa diventi un albero e produca tutto il suo frutto»[58]. Mai come oggi, perciò, il clero deve sentirsi apostolicamente impegnato a unire tutti gli uomini in Cristo, nella sua Chiesa. «Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale»[59]. Non sono, pertanto, ammissibili tutte quelle opinioni che, in nome di un malinteso rispetto delle culture particolari, tendono a snaturare l’azione missionaria della Chiesa, chiamata a compiere lo stesso ministero universale, di salvezza, che trascende e deve vivificare tutte le culture[60]. La dilatazione universale è intrinseca al ministero sacerdotale e pertanto irrinunciabile. 18. Dagli inizi della Chiesa, gli Apostoli hanno obbedito all’ultimo comandamento del Signore risorto. Sulle loro orme, la Chiesa attraverso i secoli «evangelizza sempre e non ha mai interrotto il cammino dell'evangelizzazione»[61]. Essa «tuttavia, si realizza diversamente, secondo le differenti situazioni in cui avviene. In senso proprio c’è la “missio ad gentes” verso coloro che non conoscono Cristo. In senso lato si parla di “evangelizzazione”, per l’aspetto ordinario della pastorale»[62]. L’evangelizzazione è l’azione della Chiesa che proclama la Buona Notizia in vista della conversione, dell’invito alla fede, dell’incontro personale con Gesù, del diventare un suo discepolo nella Chiesa, dell’impegnarsi a pensare come Lui, a giudicare come Lui e a vivere come Lui è vissuto[63]. L’evangelizzazione comincia con l’annuncio del Vangelo e trova il suo ultimo compimento nella santità del discepolo che, quale membro della Chiesa, è diventato evangelizzatore. In tale senso, l’evangelizzazione è l’azione globale della Chiesa, «il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini»[64]. «Il processo evangelizzatore, di conseguenza, è strutturato in tappe o “momenti essenziali”: l'azione missionaria per i non credenti e per quelli che vivono nell'indifferenza religiosa; l'azione catechetico-iniziatica per quelli che optano per il Vangelo e per quelli che necessitano di completare o ristrutturare la loro iniziazione; e l'azione pastorale per i fedeli cristiani già maturi, nel seno della comunità cristiana. Questi momenti non sono però tappe concluse: si reiterano, se necessario, giacché daranno l'alimento evangelico più adeguato alla crescita spirituale di ciascuna persona o della stessa comunità»[65]. 19. «Tuttavia osserviamo un processo progressivo di scristianizzazione e di perdita dei valori umani essenziali che è preoccupante. Gran parte dell'umanità di oggi non trova nell'evangelizzazione permanente della Chiesa il Vangelo, cioè la risposta convincente alla domanda: Come vivere? […] Tutti hanno bisogno del Vangelo; il Vangelo è destinato a tutti e non solo a un cerchio determinato e perciò siamo obbligati a cercare nuove vie per portare il Vangelo a tutti»[66]. Pur preoccupante, tale scristianizzazione non può portarci a dubitare circa la capacità del Vangelo di toccare il cuore dei nostri contemporanei: «Forse, qualcuno si domanderà se l’uomo e la donna della cultura post-moderna, delle società più avanzate, sapranno ancora aprirsi al kerigma cristiano. La risposta deve essere positiva. Il kerigma può essere compreso ed accolto da qualsiasi essere umano, in qualsiasi tempo o cultura. Anche gli ambienti più intellettuali o quelli più semplici possono essere evangelizzati. Dobbiamo, perfino, credere che anche i cosiddetti post-cristiani possano, di nuovo, essere toccati dalla persona di Gesù Cristo»[67]. Già Papa Paolo VI affermava che «le condizioni della società ci obbligano tutti a rivedere i metodi, a cercare con ogni mezzo di studiare come portare all'uomo moderno il messaggio cristiano, nel quale soltanto egli può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana»[68]. Il Beato Giovanni Paolo II ha così presentato il nuovo millennio: «Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza»[69]. É quindi iniziata una “nuova evangelizzazione”, la quale tuttavia non è una «rievangelizzazione»[70] perché l’annuncio «è sempre lo stesso. La croce sta alta sul mondo che volge»[71]. É nuova in quanto «cerchiamo, oltre l’evangelizzazione permanente, mai interrotta, mai da interrompere, una nuova evangelizzazione, capace di farsi sentire da quel mondo, che non trova accesso all'evangelizzazione “classica”»[72]. 20. La nuova evangelizzazione fa riferimento, soprattutto[73] ma non esclusivamente[74], «alle Chiese di antica fondazione»[75], laddove sono tanti coloro che, «sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica dei sacramenti o persino la fede»[76]. I sacerdoti hanno «il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio seguendo il mandato del Signore: “Andate nel mondo intero e predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15)»[77]. Sono «ministri di Cristo Gesù fra le nazioni»[78], «debitori verso tutti, nel senso che a tutti devono comunicare la verità del Vangelo di cui il Signore li fa beneficiare»[79], tanto più quanto «il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è in continuo aumento, anzi dalla fine del Concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione»[80]. Il Beato Giovanni Paolo II affermava solennemente: «Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la missione ad gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli»[81]. 21. I sacerdoti impegnano tutte le loro forze per questa nuova evangelizzazione le quali caratteristiche sono state definite dal Beato Giovanni Paolo II: «nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni»[82]. In primo luogo, «occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: «Guai a me se non annunciassi il Vangelo!» (1Cor 9,16)»[83]. Infatti, «chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo»[84]. Ad immagine degli Apostoli, lo zelo apostolico è frutto dell’esperienza sconvolgente che scaturisce dalla vicinanza con Gesù. «La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi»[85]. Il Signore non cessa di inviare il suo Spirito dalla cui forza dobbiamo lasciarci rigenerare in vista di quel «rinnovato slancio missionario, espressione di una nuova generosa apertura al dono della grazia»[86]. «É essenziale ed indispensabile che il presbitero si decida, molto coscientemente e con determinazione, non soltanto ad accogliere ed evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella parrocchia sia altrove, ma ad “alzarsi ed andare” in cerca, prima di tutto, dei battezzati che, per motivi diversi, non vivono l’appartenenza alla comunità ecclesiale, e anche di tutti coloro che poco, o per niente, conoscono Gesù Cristo»[87]. I sacerdoti si ricordino che non possono impegnarsi solo nella missione. Quali pastori del loro popolo, formino le comunità cristiane alla testimonianza evangelica e all’annuncio della Buona Novella. La «nuova missionarietà non potrà essere demandata ad una porzione di “specialisti”, ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. […] Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani»[88]. La parrocchia non è soltanto luogo ove si fa la catechesi, essa è anche ambiente vivo che deve attuare la nuova evangelizzazione[89], concependosi in “missione permanente”»[90]. Ogni comunità è ad immagine della stessa Chiesa, «chiamata, per sua natura, ad uscire da se stessa in un movimento verso il mondo, per essere segno dell’Emmanuele, del Verbo fattosi carne, del Dio con noi»[91]. «Nella parrocchia i presbiteri avranno bisogno di convocare i membri della comunità, consacrati e laici, per prepararli adeguatamente ed inviarli in missione evangelizzatrice alle singole persone, alle singole famiglie, anche attraverso visite domiciliari, ed a tutti gli ambienti sociali che si trovano sul territorio»[92]. Ricordandosi che la Chiesa è «mistero di comunione e di missione»[93], i pastori porteranno le comunità ad essere testimoni con la loro «fede professata, celebrata, vissuta e pregata»[94] e con il loro entusiasmo[95]. Papa Paolo VI esortava alla gioia: «Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell'angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo»[96]. I fedeli hanno bisogno di essere incoraggiati dai loro pastori affinché non abbiano paura di annunciare la fede con franchezza, tanto più quanto chi evangelizza esperimenta che lo stesso atto missionario è fonte di rinnovamento personale: «La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!»[97]. 22. L’evangelizzazione è anche nuova nei suoi metodi. Stimolato dall’Apostolo che esclamava: «guai a me se non annunciassi il Vangelo!» (1Cor 9,16), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di trasmissione che le scienze e la tecnologia moderna gli offrono[98]. Certamente non tutto dipende da tali mezzi o dalle capacità umane, giacché la grazia divina può raggiungere il suo effetto indipendentemente dall’opera degli uomini; ma, nel piano di Dio, la predicazione della Parola è, normalmente, il canale privilegiato per la trasmissione della fede e per la missione evangelizzatrice. Egli saprà anche coinvolgere i laici nell’evangelizzazione tramite quei mezzi moderni. In ogni caso, la sua partecipazione in questi nuovi ambiti dovrà riflettere sempre speciale carità, senso soprannaturale, sobrietà e temperanza, in modo tale da far sì che tutti si sentano attirati non tanto alla figura del sacerdote, quanto piuttosto alla Persona di Gesù Cristo nostro Signore. 23. La terza caratteristica della nuova evangelizzazione è la novità nella sua espressione. In un mondo che cambia, la coscienza della propria missione di annunciatore del Vangelo, come strumento di Cristo e dello Spirito Santo, dovrà sempre più concretizzarsi pastoralmente in modo che il presbitero possa vivificare, alla luce della Parola di Dio, le diverse situazioni e i diversi ambienti nei quali svolge il suo ministero. Per essere efficace e credibile è perciò importante che il presbitero – nella prospettiva della fede e del suo ministero – conosca, con costruttivo senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli intrecci culturali, le tipologie diffuse attraverso i mezzi di comunicazione che, in larga parte, condizionano le mentalità. Saprà rivolgersi a tutti «senza mai nascondere le esigenze più radicali del messaggio evangelico, ma venendo incontro alle esigenze di ciascuno quanto a sensibilità e linguaggio, secondo l'esempio di Paolo, il quale affermava: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22)»[99]. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha affermato che la Chiesa, «fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione»[100]. Nel rispetto dovuto al cammino sempre diversificato di ciascuna persona e nell'attenzione per le diverse culture in cui il messaggio cristiano deve essere calato, pur restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all'annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, il cristianesimo del terzo millennio porterà così il volto di tante culture, antiche e moderne, i cui specifici valori non sono rinnegati, ma purificati e portati alla loro pienezza[101]. Paternità spirituale 24. La vocazione pastorale dei sacerdoti è grande ed universale: essa è diretta verso tutta la Chiesa e, quindi, è anche missionaria. «Normalmente, essa è legata al servizio di una determinata comunità del Popolo di Dio, in cui ognuno si aspetta attenzione, premura, amore»[102]. Perciò il ministero del sacerdote è anche ministero di paternità[103]. Attraverso la sua dedizione alle anime, tante sono generate alla vita nuova in Cristo. Si tratta di una vera paternità spirituale come esclamava San Paolo: «Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1Cor 4,15). Come Abramo, anche il sacerdote diventa «padre di molti popoli» (Rm 4,18) e trova nella crescita cristiana che gli fiorisce intorno la ricompensa alle fatiche e sofferenze del suo quotidiano servizio. Inoltre, anche sul piano soprannaturale, come su quello naturale, la missione della paternità non finisce con la nascita, ma si estende ad abbracciare tutta la vita: «chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote [...] dopo Dio, il sacerdote è tutto! [...] Lui stesso non si capirà bene che in cielo»[104]. I presbiteri fanno propria vita quelle parole vibranti dell’Apostolo: «Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!» (Gal 4,19). Così vivono con generosità, ogni giorno rinnovata, questo dono della paternità spirituale e ad essa orientano l’adempimento di ogni compito del loro ministero. Autorità come “amoris officium” 25. Un’ulteriore manifestazione del fatto che il sacerdote sta di fronte alla Chiesa è il suo essere guida che conduce alla santificazione dei fedeli affidati al suo ministero, che è essenzialmente pastorale, presentandosi però con quell’autorevolezza che affascina e rende credibile il messaggio (cf. Mt 7,29). Ogni autorità va, infatti, esercitata in spirito di servizio, come amoris officium e dedizione disinteressata per il bene del gregge (cf. Gv 10,11; 13,14)[105]. Questa realtà, da vivere con umiltà e coerenza, può essere soggetta a due opposte tentazioni. La prima è quella di compiere il proprio ministero spadroneggiando sul gregge (cf. Lc 22,24-27; 1Pt 5,1-4); mentre la seconda tentazione è quella di vanificare, secondo una non corretta accezione di comunità, la propria configurazione a Cristo Capo e Pastore. La prima tentazione è stata forte anche per gli stessi discepoli ed ha ricevuto da Gesù una puntuale e ripetuta correzione. Quando questa dimensione viene meno, non è difficile cadere nella tentazione del “clericalismo” con un desiderio di spadroneggiare sui laici che genera sempre antagonismi fra i sacri ministri ed il popolo. Il sacerdote non deve vedere il proprio ruolo ridotto a quello di un semplice dirigente. Egli è il mediatore – il ponte –, colui, cioè, che dovrà sempre ricordare che il Signore e Maestro «non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45); che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli (cf. Gv 13,5) prima di morire in Croce e prima di mandarli in tutto il mondo (cf. Gv 20,21). Così il presbitero, impegnato nella cura del gregge che appartiene al Signore, cercherà di «proteggere il gregge, di nutrirlo e condurlo a Lui, il vero Buon Pastore che desidera la salvezza di tutti. Nutrire il gregge del Signore è pertanto ministero d’amore vigile, che esige totale dedizione fino all’esaurimento delle forze e, se necessario, al sacrificio della vita»[106]. I sacerdoti daranno autentica testimonianza al Signore Risorto, al quale è stato dato «ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18), se lo eserciteranno nell’umile, quanto autorevole, servizio al proprio gregge[107] e nel rispetto dei compiti che Cristo e la Chiesa affidano ai fedeli laici[108] ed ai fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici[109]. Tentazione del democraticismo e dell’egualitarismo 26. A volte succede che, per evitare questa prima deviazione, si cada nella seconda, che tende ad eliminare ogni differenza di ruolo fra i membri del Corpo di Cristo che è la Chiesa, negando in pratica la distinzione fra il sacerdozio comune o battesimale e quello ministeriale[110]. Tra le diverse forme di questa negazione che oggi si notano, si trova il cosiddetto «democraticismo», che porta a non riconoscere l’autorità e la grazia capitale di Cristo presente nei ministri sacri e a snaturare la Chiesa come Corpo Mistico di Cristo. Giova ricordare a questo proposito che la Chiesa riconosce tutti i meriti e i beni che la cultura democratica ha portato con sé nella società civile. D’altra parte, essa stessa si batte con tutti i mezzi a sua disposizione per il riconoscimento dell’uguale dignità di tutti gli uomini. In base alla Rivelazione, il Concilio Ecumenico Vaticano II si è espresso apertamente circa la comune dignità di tutti i battezzati nella Chiesa[111]. Tuttavia è necessario affermare che tanto questa uguaglianza radicale come anche la diversità di condizioni e compiti hanno come fondamento ultimo la natura stessa della Chiesa. Essa, infatti, deve il suo esistere e la sua struttura al disegno salvifico di Dio e contempla se stessa come dono della benevolenza di un Padre, che l’ha liberata mediante l’umiliazione del suo Figlio sulla croce. La Chiesa, pertanto, vuole essere – nello Spirito Santo – totalmente conforme e fedele alla volontà libera e liberante del suo Signore Gesù Cristo. Questo mistero di salvezza fa sì che sia, per sua propria natura, una realtà diversa dalle società umane. Di conseguenza, non è ammissibile nella Chiesa una certa mentalità, che si manifesta talvolta soprattutto in alcuni organismi di partecipazione ecclesiale e che tende sia a confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei fedeli laici, sia a non distinguere l’autorità propria del Vescovo da quella dei presbiteri come collaboratori dei Vescovi, sia a non dare il dovuto ascolto al Magistero universale, esercitato dal Romano Pontefice nella sua funzione primaziale voluta dal Signore. Per molti versi, si tratta di un tentativo di trasferire automaticamente nella Chiesa la mentalità e la prassi esistenti in alcune correnti culturali socio-politiche del nostro tempo senza tener sufficientemente conto che essa deve il suo esistere e la sua struttura al disegno salvifico di Dio in Cristo. Bisogna ricordare a questo proposito che tanto il presbiterio, come il consiglio presbiterale – istituto giuridico auspicato dal Decreto Presbyterorum Ordinis [112] – non sono espressioni del diritto di associazione dei chierici e tanto meno possono essere intesi secondo visioni di stampo sindacalistico che comportano rivendicazioni e interessi di parte, alieni dalla comunione ecclesiale[113]. Distinzione tra sacerdozio comune e quello ministeriale 27. La distinzione tra il sacerdozio comune o battesimale e quello ministeriale, lungi dal comportare separazione o divisione tra i membri della comunità cristiana, armonizza ed unifica la vita della Chiesa, perché «il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro»[114]. Infatti, in quanto Corpo di Cristo, la Chiesa è comunione organica tra tutte le membra, in cui ciascuno serve alla vita dell’insieme se vive pienamente il proprio ruolo e la propria specifica vocazione (cf. 1Cor 12,12ss.)[115]. A nessuno, pertanto, è lecito cambiare ciò che Cristo ha voluto per la sua Chiesa. Essa è indissolubilmente legata al suo Fondatore e Capo che è l’unico a donarle, tramite la potenza dello Spirito Santo, ministri al servizio dei suoi fedeli. Al Cristo che chiama, consacra ed invia, tramite i legittimi Pastori, non può sostituirsi alcuna comunità che, pur in situazioni di particolare necessità, volesse darsi il proprio sacerdote in modo difforme dalle disposizioni della Chiesa: il sacerdozio è una scelta di Gesù e non della comunità (cf. Gv 15,16). La risposta per risolvere i casi di necessità è la preghiera di Gesù: «Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Se a questa preghiera fatta con fede si unirà l’intensa vita di carità della comunità, allora saremo certi che il Signore non mancherà di dare pastori secondo il suo cuore (cf. Ger 3,15)[116]. 28. Occorre anche, per salvaguardare l’ordine stabilito dal Signore Gesù, evitare la cosiddetta “clericalizzazione” del laicato[117], che tende a comprimere il sacerdozio ministeriale del presbitero, al quale solo, dopo il Vescovo, e in virtù del ministero sacerdotale ricevuto con l’ordinazione, si può attribuire in modo proprio ed univoco il termine di «pastore». La qualifica di «pastorale», infatti, si riferisce alla partecipazione al ministero episcopale. Comunione con la Trinità e con Cristo 29. Alla luce di quanto già detto sulla identità, la comunione del sacerdote si realizza innanzitutto con il Padre, origine ultima di ogni potestà; con il Figlio, alla cui missione redentrice partecipa; e con lo Spirito Santo, che gli dona la forza per vivere e realizzare quella carità pastorale che, come «principio interiore e virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero»[118], lo qualifica sacerdotalmente. Una carità pastorale che, lungi da essere ridotta a un insieme di tecniche e metodi diretti all’efficienza funzionale del ministero, fa riferimento piuttosto alla natura propria della missione della Chiesa finalizzata alla salvezza dell’umanità. Infatti, «non si può allora definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa come segno e strumento, in Cristo, dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[119]. Comunione con la Chiesa 30. Da questa fondamentale unione-comunione con Cristo e con la Trinità deriva, per il presbitero, la sua comunione-relazione con la Chiesa nei suoi aspetti di mistero e di comunità ecclesiale[120]. Concretamente, la comunione ecclesiale del presbitero si realizza in diversi modi. Con l’ordinazione sacramentale, infatti, egli entra in speciali legami con il Papa, con il Corpo episcopale, con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri, con i fedeli laici. Comunione Gerarchica 31. La comunione, come caratteristica del sacerdozio, si fonda sull’unicità del Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, che è Cristo[121]. In tale comunione ministeriale prendono forma anche alcuni precisi vincoli in relazione anzitutto con il Papa, con il Collegio Episcopale e con il proprio Vescovo. «Non si dà ministero sacerdotale se non nella comunione con il Sommo Pontefice e con il Collegio Episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi “il filiale rispetto e l’obbedienza” promessi nel rito dell’ordinazione»[122]. Si tratta, dunque, di una comunione gerarchica, cioè di una comunione in quella gerarchia così come questa è strutturata al suo interno. In virtù della partecipazione, in grado subordinato ai Vescovi – che sono investiti di potestà «propria, ordinaria, e immediata, quantunque il loro esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa»[123] –, nell’unico sacerdozio ministeriale, tale comunione implica anche il vincolo spirituale ed organico-strutturale dei presbiteri con tutto l’ordine dei Vescovi e col Romano Pontefice. Ciò viene rafforzato dal fatto che tutto l’ordine dei Vescovi nel suo insieme ed ogni singolo Vescovo debbono essere nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio[124]. Tale Collegio, infatti, è costituito solo dai Vescovi consacrati che sono nella comunione gerarchica col Capo e con i membri di esso. Comunione nella celebrazione eucaristica 32. La comunione gerarchica si trova espressa significativamente nella Prece eucaristica, quando il sacerdote, nel pregare per il Papa, per il Collegio Episcopale e per il proprio Vescovo, non esprime soltanto un sentimento di devozione, ma testimonia l’autenticità della sua celebrazione[125]. La stessa concelebrazione eucaristica, nelle circostanze e condizioni previste[126], quando è presieduta dal Vescovo e con la partecipazione dei fedeli, manifesta l’unità del sacerdozio di Cristo nella pluralità dei suoi ministri, nonché l’unità del sacrificio e del Popolo di Dio[127]. Essa, inoltre, concorre a consolidare la fraternità ministeriale esistente tra i presbiteri[128]. Comunione nell’attività ministeriale 33. Ogni presbitero abbia un profondo, umile e filiale legame di obbedienza e di carità con la persona del Santo Padre ed aderisca al suo ministero petrino di magistero, di santificazione e di governo, con docilità esemplare[129]. Anche l’unione filiale con il proprio Vescovo, è condizione indispensabile per l’efficacia del proprio ministero sacerdotale. Per i pastori più esperti è facile constatare la necessità di evitare ogni forma di soggettivismo nell’esercizio del sacro ministero e di aderire corresponsabilmente ai programmi pastorali. Tale adesione, che comporta il procedere d’accordo con la mente del Vescovo, oltre ad essere espressione di maturità, contribuisce ad edificare quell’unità nella comunione che è indispensabile all’opera di evangelizzazione[130]. Nel pieno rispetto della subordinazione gerarchica, il presbitero si farà promotore di un rapporto schietto con il proprio Vescovo, connotato da sincera fiducia, cordiale amicizia, preghiera per la sua persona e le sue intenzioni, vero sforzo di consonanza e convergenza ideale e programmatica, che nulla toglie all’intelligente capacità di iniziativa personale e all’intraprendenza pastorale[131]. In vista della propria crescita spirituale e pastorale, e per amore del suo gregge, il sacerdote dovrebbe accogliere con gratitudine, e addirittura cercare con regolarità, orientamenti dal Vescovo o dai suoi rappresentanti per lo sviluppo del suo ministero pastorale. È anche una pratica ammirevole chiedere il parere dei sacerdoti più esperti e dei laici qualificati al riguardo dei metodi pastorali più adatti. Comunione nel presbiterio 34. In forza del sacramento dell’Ordine «ciascun sacerdote è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità»[132]. Egli, infatti, è inserito nell’Ordo Presbyterorum costituendo quell’unità che può definirsi una vera famiglia nella quale i legami non vengono dalla carne o dal sangue ma dalla grazia dell’Ordine[133]. L’appartenenza ad un concreto presbiterio[134] avviene sempre nell’ambito di una Chiesa particolare, di un Ordinariato o di una Prelatura personale – cioè, di una “missione episcopale”, non soltanto a motivo dell’incardinazione –, il che non toglie che il presbitero, in quanto anch’egli battezzato, appartenga in maniera immediata alla Chiesa universale: nella Chiesa, nessuno è straniero; tutta la Chiesa, ed ogni diocesi, è famiglia, la famiglia di Dio[135]. Fraternità sacerdotale ed appartenenza al presbiterio sono, pertanto, elementi caratterizzanti del sacerdote. Particolarmente significativo, in merito, è, nell’ordinazione presbiterale, il rito dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo, al quale prendono parte tutti i presbiteri presenti, ad indicare, sia la partecipazione allo stesso grado del ministero, sia che il sacerdote non può agire da solo, ma sempre all’interno del presbiterio, divenendo confratello di tutti coloro che lo costituiscono[136]. «I vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la facoltà [la “sacra potestà”] di agire “in persona di Cristo Capo”, i diaconi la forza di servire il Popolo di Dio nella “diaconia” della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio»[137]. L’incardinazione, autentico vincolo giuridico con valore spirituale 35. L’incardinazione in una determinata «Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un Istituto di vita consacrata o in una Società che ne abbiano la facoltà»[138] costituisce un autentico vincolo giuridico[139] che ha anche valore spirituale, giacché da essa scaturisce «il rapporto con il Vescovo nell’unico presbiterio, la condivisione della sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete condizioni storiche ed ambientali»[140]. Non va dimenticato, a tale proposito, che i sacerdoti secolari non incardinati nella Diocesi e i sacerdoti membri di un Istituto religioso o di una Società di vita apostolica, i quali dimorano nella diocesi ed esercitano, per il suo bene, qualche ufficio, sebbene siano sottoposti ai loro legittimi Ordinari, appartengono a pieno o a diverso titolo al presbiterio di tale diocesi[141] dove «hanno voce sia attiva che passiva per costituire il consiglio presbiterale»[142]. I sacerdoti religiosi, in particolare, in unità di forze, condividono la sollecitudine pastorale offrendo il contributo di specifici carismi e «stimolando con la loro presenza la Chiesa particolare a vivere più intensamente la sua apertura universale»[143]. I presbiteri, poi, incardinati in una diocesi, ma per il servizio di qualche movimento ecclesiale o nuova comunità approvati dalla competente Autorità ecclesiastica[144], siano consapevoli di essere membri del presbiterio della diocesi in cui svolgono il loro ministero e di dover sinceramente collaborare con esso. Il Vescovo di incardinazione, a sua volta, favorisca positivamente il diritto alla propria spiritualità che la legge riconosce a tutti i fedeli[145], rispetti lo stile di vita richiesto dall’appartenenza al movimento e sia pronto, a norma del diritto, a permettere che il presbitero possa prestare il proprio servizio in altre Chiese locali, se questo dovesse far parte del carisma del movimento stesso,[146] impegnandosi in ogni caso a rafforzare la comunione ecclesiale. Presbiterio, luogo di santificazione 36. Il presbiterio è il luogo privilegiato nel quale il sacerdote dovrebbe poter trovare i mezzi specifici di formazione, di santificazione e di evangelizzazione ed essere aiutato a superare i limiti e le debolezze che sono propri della natura umana. Egli, pertanto, farà ogni sforzo per evitare di vivere il proprio sacerdozio in modo isolato e soggettivistico e cercherà di favorire la comunione fraterna dando e ricevendo – da sacerdote a sacerdote – il calore dell’amicizia, dell’assistenza affettuosa, dell’accoglienza, della correzione fraterna[147], ben consapevole che la grazia dell’Ordine «assume ed eleva i rapporti umani, psicologici affettivi, amicali e spirituali [...] e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali, ma anche quelle materiali»[148]. Tutto questo è espresso, oltre che nella Messa crismale – manifestazione della comunione dei presbiteri con il loro Vescovo –, nella liturgia della Messa In Coena Domini del Giovedì Santo, la quale mostra che dalla comunione eucaristica – nata nell’Ultima Cena – i sacerdoti ricevono la capacità di amarsi gli uni gli altri, come il Maestro li ama[149]. Fraterna amicizia sacerdotale 37. Il profondo ed ecclesiale senso del presbiterio non solo non impedisce, ma agevola le responsabilità personali di ogni presbitero nell’espletamento del ministero particolare affidatogli dal Vescovo[150]. La capacità di coltivare e vivere mature e profonde amicizie sacerdotali si rivela fonte di serenità e di gioia nell’esercizio del ministero, sostegno decisivo nelle difficoltà ed aiuto prezioso per l’incremento della carità pastorale, che il presbitero deve esercitare in modo particolare proprio verso quei confratelli in difficoltà che hanno bisogno di comprensione, aiuto e sostegno[151]. La fraternità sacerdotale, espressione della legge della carità, lungi dal ridursi ad un semplice sentimento, diventa per i presbiteri una esistenziale memoria di Cristo ed una testimonianza apostolica di comunione ecclesiale. Vita comune 38. Una manifestazione di questa comunione è anche la vita comune da sempre favorita dalla Chiesa,[152] di recente caldeggiata dagli stessi documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II[153] e del Magistero successivo[154] ed applicata positivamente in non poche diocesi. «La vita comune esprime un aiuto che Cristo dà alla nostra esistenza, chiamandoci, attraverso la presenza dei fratelli, ad una configurazione sempre più profonda alla sua persona. Vivere con altri significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell’umiltà, della penitenza, ma anche della conversione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno. Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum (Sal 133,1)»[155]. Per affrontare uno dei problemi odierni più importanti della vita sacerdotale, cioè, la solitudine del prete, «non si raccomanderà mai abbastanza ai sacerdoti una certa loro vita comune tutta tesa al ministero propriamente spirituale; la pratica di incontri frequenti con fraterni scambi di idee, di consigli e di esperienza tra confratelli; l’impulso alle associazioni che favoriscono la santità sacerdotale»[156]. 39. Tra le diverse forme di vita comune (casa, comunità di mensa, ecc.) si deve ritenere come sovreminente il partecipare comunitariamente alla preghiera liturgica[157]. Le diverse modalità devono essere favorite secondo le possibilità e le convenienze pratiche, senza necessariamente ricalcare, pur lodevoli, modelli propri della vita religiosa. In modo particolare sono da lodare quelle associazioni che favoriscono la fraternità sacerdotale, la santità nell’esercizio del ministero, la comunione col Vescovo e con tutta la Chiesa[158]. Tenuto conto dell’importanza che i sacerdoti vivano nei dintorni dove abita la gente alla quale servono, si auspica che i parroci siano disponibili a favorire la vita comune nella casa parrocchiale con i loro vicari[159], stimandoli effettivamente come loro cooperatori e partecipi della sollecitudine pastorale; da parte loro, i vicari, per costruire la comunione sacerdotale, debbono riconoscere e rispettare l’autorità del parroco[160]. Nei casi dove non ci sia più che un sacerdote in una parrocchia, si consiglia vivamente la possibilità di una vita comune con altri sacerdoti di parrocchie limitrofe[161]. In molti luoghi, l’esperienza di questa vita comune è stata assai positiva perché ha rappresentato un vero aiuto per il sacerdote: si crea un ambiente di famiglia, si può convenientemente avere – ottenuto il permesso dell’Ordinario[162] – una cappella con il Santissimo Sacramento, si può pregare insieme, ecc. Inoltre, come risulta dall’esperienza e dall’insegnamento dei santi, «nessuno può assumere la forza rigenerante della vita comune senza la preghiera […] senza una vita sacramentale vissuta con fedeltà. Se non si entra nel dialogo eterno che il Figlio intrattiene col Padre nello Spirito Santo nessuna autentica vita comune è possibile. Occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri»[163]. Sono molti i casi di sacerdoti che hanno trovato nell’adozione di opportune forme di vita comunitaria un importante aiuto sia per le loro esigenze personali che per l’esercizio del loro ministero pastorale. 40. La vita comune è immagine di quella apostolica vivendi forma di Gesù con i suoi apostoli. Con il dono del sacro celibato per il Regno dei Cieli, il Signore ci ha fatto diventare in modo speciale membri della sua famiglia. In una società segnata fortemente dall’individualismo, il sacerdote ha bisogno di un rapporto personale più profondo e di uno spazio vitale caratterizzato dall’amicizia fraterna dove possa vivere come cristiano e sacerdote: «i momenti di preghiera e di studio in comune, la condivisione delle esigenze della vita e del lavoro sacerdotale sono una parte necessaria della vostra vita»[164]. Così, in questa atmosfera di aiuto reciproco, il sacerdote trova il terreno adatto per perseverare nella vocazione di servizio alla Chiesa: «nella compagnia di Cristo e dei fratelli ciascun sacerdote può trovare le energie necessarie per prendersi cura degli uomini, per farsi carico dei bisogni spirituali e materiali che incontra, per insegnare con parole sempre nuove, dettate dall’amore, le verità eterne della fede di cui hanno sete anche i nostri contemporanei»[165]. Nella preghiera sacerdotale dell’ultima Cena, Gesù ha pregato per l’unità dei suoi discepoli: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola» (Gv 17,21). Ogni comunione nella Chiesa «deriva dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[166]. I sacerdoti siano convinti che la loro comunione fraterna, specialmente nella vita comune, costituisce una testimonianza, secondo quanto il Signore Gesù ha precisato nella sua preghiera al Padre: i discepoli siano una cosa sola perché il mondo «creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21) e sappia «che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,23). «Gesù chiede che la comunità sacerdotale sia riflesso e partecipazione della comunione trinitaria: quale sublime ideale!»[167]. Comunione con i fedeli laici 41. Uomo di comunione, il sacerdote non potrà esprimere il suo amore per il Signore e per la Chiesa senza tradurlo in amore fattivo ed incondizionato per il popolo cristiano, oggetto della sua cura pastorale[168]. Come Cristo, egli deve farsi «quasi sua trasparenza in mezzo al gregge» che gli è affidato[169], ponendosi in relazione positiva con i fedeli laici; riconoscendone la dignità di figli di Dio, ne promuove il ruolo proprio nella Chiesa e, al loro servizio, mette tutto il suo ministero sacerdotale e la sua carità pastorale[170]. Questo atteggiamento di amore e di carità è ben lontano dalla cosiddetta “laicizzazione dei presbiteri”, che porta invece a diluire nei sacerdoti proprio quello che ne costituisce l’identità: i fedeli chiedono ai loro sacerdoti di mostrarsi come tali, sia nell’aspetto esteriore che nella dimensione interiore, in ogni momento, luogo e circostanza. Una preziosa occasione per la missione evangelizzatrice del pastore di anime risulta la tradizionale visita annuale e la benedizione pasquale delle famiglie. Una peculiare manifestazione di questa dimensione nell’edificare la comunità cristiana consiste nel superare ogni atteggiamento particolaristico; infatti, i presbiteri non devono mai porsi al servizio di un’ideologia particolare, cosa che toglierebbe efficacia al loro ministero. Il rapporto del presbitero con i fedeli deve essere sempre essenzialmente sacerdotale. Nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega ai fedeli laici e ai religiosi, il sacerdote compirà ogni sforzo per «suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune ed unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l’edificazione della Chiesa»[171]. Più concretamente, il parroco, ricercando sempre il bene comune nella Chiesa, favorirà le associazioni di fedeli ed i movimenti o le nuove comunità che si propongono finalità religiose[172], accogliendole tutte ed aiutandole a trovare tra di loro unità di intenti, nella preghiera e nell’azione apostolica. Uno dei compiti che richiede particolare attenzione è la formazione dei laici. Il presbitero non si può accontentare che i fedeli abbiano una conoscenza superficiale della fede, ma deve cercare di dare ad essi una solida formazione, perseverando nel suo sforzo attraverso lezioni di teologia, corsi sulla dottrina cristiana, specialmente con lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo Compendio. Tale formazione aiuterà i laici a svolgere pienamente il proprio ruolo di animazione cristiana dell’ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale)[173]. Inoltre, in certi casi, si possono affidare a laici, che abbiano una sufficiente formazione e il desiderio sincero di servire la Chiesa, alcuni compiti – d’accordo con le leggi della Chiesa – che non appartengono esclusivamente al ministero sacerdotale e che costoro possono sviluppare in base alla loro esperienza professionale e personale. In questo modo, il sacerdote sarà più libero nel curare ancor meglio i suoi impegni primari, quali la predicazione, la celebrazione dei Sacramenti e la direzione spirituale. In questo senso, uno dei compiti importanti dei parroci è quello di scoprire tra i fedeli persone con la capacità, le virtù ed una vita cristiana coerente – per esempio, per quanto riguarda il matrimonio –, che possano aiutare efficacemente nelle diverse attività pastorali: preparazione dei bambini per la prima comunione e la prima confessione o dei giovani per la cresima, la pastorale familiare, la catechesi per quelli che stanno per sposarsi, ecc. Senz’altro, la preoccupazione per la formazione di queste persone – che sono modelli per tante altre – ed il fatto di aiutarli nel loro cammino di fede dovrà essere una delle inquietudini principali dei presbiteri. In quanto riunisce la famiglia di Dio e realizza la Chiesa-comunione, il presbitero – conscio del grande dono della sua vocazione – diventa il pontefice, colui che unisce l’uomo a Dio, facendosi fratello degli uomini nell’atto stesso con cui vuole essere loro pastore, padre e maestro[174]. Per l’uomo di oggi, che cerca il senso del suo esistere, egli è Buon Pastore e guida che porta all’incontro con Cristo, incontro che si realizza come annuncio e come realtà già presente, anche se in modo non definitivo, nella Chiesa. In tale modo il presbitero, posto al servizio del Popolo di Dio, si presenterà come esperto in umanità, uomo di verità e di comunione, testimone della sollecitudine dell’Unico Pastore per tutte e per ciascuna delle sue pecorelle. La comunità potrà contare con sicurezza sulla sua disponibilità, sulla sua opera di evangelizzazione e, soprattutto, sul suo amore fedele ed incondizionato. Manifestazione di questo amore sarà principalmente la sua dedizione nella predicazione, nella celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia e del sacramento della penitenza, e nella direzione spirituale, come mezzo per aiutare a discernere i segni della volontà di Dio[175]. Egli, pertanto, eserciterà, mostrandosi in ogni momento sacerdote, la sua missione spirituale con amabilità e fermezza, con umiltà e spirito di servizio[176], piegandosi alla compassione, partecipando alle sofferenze che derivano agli uomini dalle varie forme di povertà, spirituale e materiale, vecchie e nuove. Saprà anche chinarsi con misericordia sul difficile ed incerto cammino di conversione dei peccatori, ai quali riserverà il dono della verità e la paziente ed incoraggiante benevolenza del Buon Pastore, che non rimprovera la pecora smarrita, ma la carica sulle spalle e fa festa per il suo ritorno all’ovile (cf. Lc 15,4-7)[177]. Si tratta di affermare la carità di Cristo come origine e perfetta realizzazione dell’uomo nuovo (cf. Ef 2,15), ossia di ciò che è l’uomo nella sua verità piena. Questa carità si traduce nella vita del presbitero in un’autentica passione che configura espressamente il suo ministero in funzione della generazione del popolo cristiano. Comunione con i membri degli Istituti di vita consacrata 42. Particolare attenzione riserverà alle relazioni con i fratelli e le sorelle impegnati nella vita di speciale consacrazione a Dio in tutte le sue forme, mostrando loro apprezzamento sincero e fattivo spirito di collaborazione apostolica, rispettandone e promuovendone i carismi specifici. Coopererà, inoltre, affinché la vita consacrata appaia sempre più luminosa a vantaggio della Chiesa intera e sempre più persuasiva e attraente per le nuove generazioni. In tale spirito di stima per la vita consacrata, il sacerdote porrà particolare cura per quelle comunità che, per diversi motivi, sono maggiormente bisognose di buona dottrina, di assistenza e di incoraggiamento nella fedeltà e nella ricerca delle vocazioni. Pastorale vocazionale 43. Ogni sacerdote si occuperà con speciale dedizione alla pastorale vocazionale, non mancando di incentivare la preghiera per le vocazioni, di prodigarsi nella catechesi, di curare la formazione dei ministranti, di favorire appropriate iniziative mediante un rapporto personale che faccia scoprire i talenti e sappia individuare la volontà di Dio per una scelta coraggiosa nella sequela di Cristo[178]. In questo lavoro hanno importanza fondamentale le famiglie che si costituiscono come chiese domestiche dove i giovani imparano sin da piccoli a pregare, a crescere nelle virtù, ad essere generosi. I presbiteri devono incoraggiare gli sposi cristiani a configurare il focolare come vera scuola di vita cristiana, a pregare insieme con i figli, a chiedere a Dio che chiami qualcuno a seguirlo da vicino con cuore indiviso (cf. 1Cor 7,32-34), ad essere sempre gioiosi nei confronti delle vocazioni che possano sorgere nella propria famiglia. Questa pastorale dovrà essere fondata primariamente sulla grandezza della chiamata – elezione divina in favore degli uomini –: davanti ai giovani occorre presentare in primo luogo il prezioso e bellissimo dono che comporta seguire Cristo. Per questo, un ruolo importante lo riveste il ministro ordinato attraverso l’esempio della sua fede e della sua vita: la chiara coscienza della propria identità, la coerenza di vita, la trasparente gioia e l’ardore missionario del presbitero costituiscono altrettanti imprescindibili elementi di quella pastorale delle vocazioni che deve integrarsi nella pastorale organica ed ordinaria. Pertanto, la manifestazione gioiosa della sua adesione al mistero di Gesù, il suo atteggiamento di preghiera, la cura e devozione con cui celebra la Santa Messa e i sacramenti irradiano quell’esempio che affascina i giovani. Inoltre, la lunga esperienza della vita della Chiesa ha messo in risalto che bisogna curare con pazienza e costanza, senza scoraggiarsi, la formazione dei giovani fin da quando sono piccoli; così essi avranno quelle necessarie risorse spirituali per rispondere ad una eventuale chiamata di Dio. Per questo è indispensabile – e dovrebbe essere parte di qualsiasi pastorale vocazionale – fomentare in loro la vita di preghiera e l’intimità con Dio, il ricorso ai sacramenti, specialmente all’Eucaristia e alla confessione, la direzione spirituale come aiuto per progredire nella vita interiore. I sacerdoti così susciteranno in modo adeguato e generoso la proposta vocazionale ai giovani che sembrino ben disposti; questo impegno, sebbene debba essere costante, tuttavia si intensificherà specialmente in alcune circostanze, come, ad esempio, in occasione degli esercizi spirituali o della preparazione dei cresimandi o della cura dei ragazzi che servono all’altare. Con il seminario, culla della propria vocazione e palestra di prima esperienza di vita comunionale, il sacerdote manterrà sempre rapporti di cordiale collaborazione e di sincero affetto. É «esigenza insopprimibile della carità pastorale»[179], dell’amore al proprio sacerdozio, che ogni presbitero – assecondando la grazia dello Spirito Santo – si preoccupi di suscitare vocazioni sacerdotali che possano continuarne il ministero a servizio del Signore ed in favore degli uomini. Impegno politico e sociale 44. Il sacerdote, servitore della Chiesa, che per la sua universalità e cattolicità non può legarsi ad alcuna contingenza storica, starà al di sopra di qualsiasi parte politica. Egli non può aver parte attiva in partiti politici o nella conduzione di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell’autorità ecclesiastica competente, lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa e la promozione del bene comune[180]. Infatti, pur essendo queste cose buone in se stesse, tuttavia sono aliene dallo stato clericale, in quanto possono costituire un grave pericolo di rottura della comunione ecclesiale[181]. Come Gesù (cf. Gv 6,15 ss), il presbitero «deve rinunciare ad impegnarsi in forme di politica attiva, specialmente quando essa è di parte, come quasi inevitabilmente avviene, per rimanere l’uomo di tutti in chiave di fraternità spirituale»[182]. Ogni fedele, perciò, deve sempre poter accedere al sacerdote senza sentirsi escluso per alcuna ragione. Il presbitero ricorderà che «non spetta ai Pastori della Chiesa intervenire direttamente nell’azione politica e nell’organizzazione sociale. Questo compito, infatti, fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini»[183]; egli, tuttavia, non mancherà, seguendo i criteri del Magistero, di applicarsi «nello sforzo di formare rettamente la loro coscienza»[184]. Il sacerdote ha quindi una particolare responsabilità di spiegare, promuovere e, se necessario, difendere – sempre seguendo gli orientamenti del diritto e del Magistero della Chiesa – le verità religiose e morali, anche di fronte all’opinione pubblica e addirittura, se si possiede la necessaria preparazione specifica, nell’ampio campo dei mass-media. In una cultura sempre più secolarizzata, in cui la religione è spesso trascurata e considerata come irrilevante o illegittima nel dibattito sociale, o tutt’al più confinata solo nell’intimità delle coscienze, il sacerdote è chiamato a sostenere il significato pubblico e comunitario della fede cristiana, trasmettendola in modo chiaro e convincente, in ogni occasione, al momento opportuno e non opportuno (cf. 2Tm 4,2), e tenendo conto di quel patrimonio di insegnamenti che costituisce la Dottrina Sociale della Chiesa. Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa è un efficace strumento che lo aiuterà a presentare questo insegnamento sociale e mostrarne la ricchezza nel contesto culturale odierno. La riduzione della sua missione a compiti temporali, puramente sociali o politici o comunque alieni alla sua identità, non sarebbe una conquista ma una perdita gravissima per la fecondità evangelica della Chiesa intera. La spiritualità del sacerdote consiste principalmente nel profondo rapporto di amicizia con Cristo, poiché egli è chiamato ad «andare da Lui» (Mc 3,13). In questo senso, nella vita del sacerdote Gesù avrà sempre la preminenza su tutto. Ogni sacerdote agisce in un contesto storico particolare, con le sue varie sfide ed esigenze. Proprio per questo, la garanzia di fecondità del ministero radica in una profonda vita interiore. Se il sacerdote non conta sul primato della grazia, non potrà rispondere alle sfide dei tempi, e ogni piano pastorale, per quanto elaborato possa essere, sarebbe destinato al fallimento.
Saper interpretare i segni dei tempi 45. La vita e il ministero dei sacerdoti si sviluppano sempre nel contesto storico, di volta in volta carico di nuovi problemi e di inedite risorse, nel quale si trova a vivere la Chiesa pellegrina nel mondo. Il sacerdozio non nasce dalla storia, ma dalla immutabile volontà del Signore. Tuttavia esso si confronta con le circostanze storiche e − pur rimanendo sempre identico − si configura, nella concretezza delle scelte, anche attraverso una valutazione evangelica dei “segni dei tempi”. Per tale motivo, i presbiteri hanno il dovere di interpretare tali “segni” alla luce della fede e di sottoporli a prudente discernimento. In ogni caso, non potranno ignorarli, soprattutto se si vuole orientare in modo efficace e pertinente la propria vita al fine di rendere fecondo il loro servizio e la loro testimonianza per il Regno di Dio. Nell’attuale fase della vita della Chiesa, in un contesto sociale contrassegnato da un forte secolarismo, dopo che è stata riproposta a tutti una “misura alta” della vita cristiana ordinaria, quella della santità[185], i presbiteri sono chiamati a vivere con profondità il loro ministero come testimoni di speranza e trascendenza, tenuto conto delle sempre più numerose e delicate esigenze di ordine non solo pastorale, ma anche sociale e culturale, alle quali devono far fronte[186]. Essi, pertanto, sono oggi impegnati nei diversi campi di apostolato che richiedono generosità e dedizione completa, preparazione intellettuale e, soprattutto, una vita spirituale matura e profonda, radicata nella carità pastorale, che è la loro specifica via alla santità e che costituisce anche un autentico servizio ai fedeli nel ministero pastorale. In questo modo, se si sforzeranno per vivere pienamente la propria consacrazione – rimanendo uniti a Cristo e lasciandosi compenetrare dal suo Spirito –, nonostante i loro limiti, potranno realizzare il proprio ministero, aiutati dalla grazia, nella quale porranno la loro fiducia. È ad essa che devono far ricorso, «sapendo di poter così tendere alla perfezione con la speranza di progredire sempre più nella santità»[187]. L’esigenza della conversione per l’ evangelizzazione 46. Da ciò deriva che il sacerdote è coinvolto, in maniera del tutto speciale, nell’impegno dell’intera Chiesa per l’evangelizzazione. Partendo dalla fede in Gesù Cristo, Redentore dell’uomo, ha la certezza che in Lui vi sono «impenetrabili ricchezze» (Ef 3,8), che nessuna cultura e nessuna epoca può esaurire, e alle quali possono attingere sempre gli uomini[188]. É questa, pertanto, l’ora di un rinnovamento della nostra fede in Gesù Cristo, che è lo stesso «ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13,8). Pertanto, «la chiamata alla nuova evangelizzazione è innanzitutto una chiamata alla conversione»[189]. Al tempo stesso, essa è una chiamata a quella speranza, «che poggia sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua Parola, e che ha come certezza incrollabile la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana»[190]. In tale contesto, il sacerdote deve anzitutto ravvivare la sua fede, la sua speranza ed il suo amore sincero al Signore, in modo tale da poterlo offrire alla contemplazione dei fedeli e di tutti gli uomini come veramente è: una Persona viva, affascinante, che ci ama più di tutti perché ha dato la Sua vita per noi; «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Nello stesso tempo, il sacerdote dovrebbe agire mosso da uno spirito accogliente e gioioso, frutto della sua unione con Dio attraverso la preghiera e il sacrificio, che è un elemento essenziale della sua missione evangelizzatrice di farsi tutto a tutti (cf. 1Cor 9,19-23), in modo da guadagnarli a Cristo. Allo stesso modo, consapevole della misericordia immeritata di Dio nella propria vita e nella vita dei suoi confratelli, deve coltivare le virtù dell’umiltà e della misericordia verso tutto il popolo di Dio, specialmente nei riguardi di quelle persone che si sentono estranee alla Chiesa. Il sacerdote, conscio che ogni persona è, in diverso modo, alla ricerca di un amore capace di portarla oltre gli angusti confini della propria debolezza, del proprio egoismo e, sopratutto, della stessa morte, proclamerà che Gesù Cristo è la risposta a tutti questi aneliti. Nella nuova evangelizzazione, il sacerdote è chiamato ad essere l’araldo della speranza[191], che scaturisce anche dalla consapevolezza che egli stesso per primo è stato toccato dal Signore: egli vive in sé la gioia della salvezza che Gesù gli ha offerto. Si tratta di una speranza non solamente intellettuale, ma anche del cuore, perché il presbitero è stato toccato dall’amore di Cristo: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). La sfida delle sette e dei nuovi culti 47. Il proliferare delle sette e dei nuovi culti, nonché la loro diffusione anche fra i fedeli cattolici, costituisce una particolare sfida al ministero pastorale. Alla base di un tale fenomeno ci sono motivazioni complesse. In ogni caso, il ministero dei presbiteri viene sollecitato a rispondere con prontezza ed incisività alla ricerca del sacro ed in modo particolare dell’autentica spiritualità oggi emergente. Di conseguenza, bisogna che il sacerdote sia uomo di Dio e maestro di preghiera. Al tempo stesso, si impone la necessità di far sì che la comunità affidata alle sue cure pastorali sia realmente accogliente in modo che nessun appartenente ad essa possa sentirsi anonimo oppure oggetto di indifferenza. Si tratta di una responsabilità che ricade certamente su ogni fedele ma, in modo del tutto particolare, sul presbitero, che è uomo di comunione. Se egli saprà accogliere con stima e rispetto chiunque lo avvicini, apprezzandone la personalità, allora creerà uno stile di autentica carità che diventerà contagioso e si estenderà gradualmente all’intera comunità. Per vincere la sfida delle sette e dei nuovi culti, è particolarmente importante – oltre al desiderio per la salvezza eterna dei fedeli, che batte nel cuore di ogni sacerdote – una catechesi matura e completa, la quale richiede uno speciale sforzo da parte del ministro di Dio affinché tutti i suoi fedeli conoscano realmente il significato della vocazione cristiana e della fede cattolica. In questo senso, «la misura più semplice, ovvia ed urgente da prendere, quella che potrebbe anche risultare la più efficace, consiste nel trarre il meglio dalle ricchezze del patrimonio spirituale cristiano»[192]. In modo particolare, i fedeli devono essere educati a conoscere bene il rapporto che intercorre tra la loro specifica vocazione in Cristo e l’appartenenza alla sua Chiesa, che devono imparare ad amare filialmente e tenacemente. Tutto questo si realizzerà se il sacerdote, nella sua vita e nel suo ministero, eviterà tutto ciò che potrebbe provocare tiepidezza, freddezza o accettazione parziale della dottrina e delle norme della Chiesa. Senza dubbio, per coloro che cercano risposte tra le molteplici proposte religiose, «il fascino del cristianesimo si farà sentire prima di tutto nella testimonianza dei membri della Chiesa, nella loro fiducia, calma, pazienza ed affetto, e nel loro concreto amore per il prossimo, tutti frutti della loro fede nutriti dall’autentica preghiera personale»[193]. Luci e ombre dell’attività ministeriale 48. È motivo di grande conforto rilevare che, oggi, i presbiteri di tutte le età, e nella stragrande maggioranza svolgono con gioioso impegno, spesso frutto di silenzioso eroismo, il sacro ministero, lavorando fino al limite delle proprie forze senza vedere, alle volte, i frutti del loro lavoro. Per questo loro impegno, essi costituiscono oggi un annuncio vivente di quella grazia divina che, elargita al momento dell’ordinazione, continua a donare forza sempre nuova per il lavoro ministeriale. Assieme a queste luci, che illuminano la vita del sacerdote, non mancano ombre che tendono ad indebolirne la bellezza e a renderne meno efficace l’esercizio del ministero: «nel mondo d’oggi i compiti che gli uomini devono affrontare sono tanti e i problemi che li preoccupano − e che spesso richiedono una soluzione urgente − sono assai disparati; di conseguenza in molte occasioni essi si trovano in condizioni tali che è facile che si disperdano in tante cose diverse. Anche i presbiteri, immersi ed agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla loro missione, possono domandarsi con vera angoscia come fare ad armonizzare la vita interiore con le esigenze dell’azione esterna»[194] Il ministero pastorale è impresa affascinante ma ardua, sempre esposta all’incomprensione e all’emarginazione, e, soprattutto oggi, alla stanchezza, alla sfiducia, all’isolamento e, qualche volta, alla solitudine. Per vincere le sfide che la mentalità secolaristica continuamente pone, il sacerdote avrà cura di riservare il primato assoluto alla vita spirituale, allo stare sempre con Cristo e a vivere con generosità la carità pastorale, intensificando la comunione con tutti e, in primo luogo, con gli altri presbiteri. Come ricordava Benedetto XVI ai sacerdoti, «la relazione con Cristo, il colloquio personale con Cristo è una priorità pastorale fondamentale, è condizione per il nostro lavoro per gli altri! E la preghiera non è una cosa marginale: è proprio “professione” del sacerdote pregare, anche come rappresentante della gente che non sa pregare o non trova il tempo di pregare»[195]. 2.2 Stare con Cristo nella preghiera Primato della vita spirituale 49. Il sacerdote è stato, per così dire, concepito in quella lunga preghiera durante la quale il Signore Gesù ha parlato al Padre dei suoi Apostoli e, certamente, di tutti coloro che nel corso dei secoli sarebbero stati fatti partecipi della Sua stessa missione (cf. Lc 6,12; Gv 17,15-20)[196]. La stessa orazione di Gesù nel Getsemani (cf. Mt 26,36-44), tutta protesa verso il sacrificio sacerdotale del Golgota, manifesta in modo paradigmatico «come il nostro sacerdozio debba essere profondamente vincolato alla preghiera: radicato nella preghiera»[197]. Nati da queste preghiere e chiamati a rinnovare in modo sacramentale ed incruento un Sacrificio che da esse è inseparabile, i presbiteri manterranno vivo il loro ministero con una vita spirituale, alla quale daranno l’assoluta preminenza, evitando di trascurarla a motivo delle diverse attività. Proprio per poter svolgere fruttuosamente il ministero pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in una particolare e profonda sintonia con Cristo Buon Pastore, il quale, solo, resta il protagonista principale di ogni azione pastorale: «Egli [Cristo] pertanto rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a lui [a Cristo] nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il Buon Pastore, nell’esercizio stesso della carità pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l’unità nella loro vita e attività»[198]. Mezzi per la vita spirituale 50. In effetti, tra le gravi contraddizioni della cultura relativista si evidenzia un’autentica disintegrazione della personalità causata dall’oscuramento della verità sull’uomo. Il rischio del dualismo nella vita sacerdotale è sempre in agguato. Tale vita spirituale dev’essere incarnata nell’esistenza di ogni presbitero attraverso la liturgia, la preghiera personale, lo stile di vita e la pratica delle virtù cristiane, che contribuiscono alla fecondità dell’azione ministeriale. La stessa conformazione a Cristo esige al sacerdote di coltivare un clima di amicizia con il Signore Gesù, facendo esperienza di un incontro personale con Lui, e di porsi al servizio della Chiesa, suo Corpo, che egli dimostrerà di amare proprio attraverso l’adempimento fedele e indefesso dei doveri del ministero pastorale[199]. È necessario, pertanto, che nella vita di preghiera del presbitero non manchino mai la celebrazione eucaristica quotidiana[200], con adeguata preparazione e successivo ringraziamento; la confessione frequente[201] e la direzione spirituale già praticata in seminario e spesso prima[202]; la celebrazione integra e fervorosa della Liturgia delle Ore[203], alla quale è quotidianamente tenuto[204]; l’esame della propria coscienza[205]; l’orazione mentale propriamente detta[206]; la lectio divina[207], i prolungati momenti di silenzio e di colloquio, soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali periodici[208]; le preziose espressioni della devozione mariana, come il Rosario[209]; la Via Crucis e gli altri pii esercizi[210]; la fruttuosa lettura agiografica[211]; ecc. Senz’altro, il buon uso del tempo, per amore di Dio e della Chiesa, permetterà al sacerdote di mantenere più facilmente una solida vita di preghiera. Di fatto, si consiglia che il presbitero, con l’aiuto del suo direttore spirituale, cerchi di attenersi con costanza a questo piano di vita che gli permetta di crescere interiormente in un contesto dove le molteplici esigenze della vita lo potrebbero indurre parecchie volte all’attivismo e a trascurare la dimensione spirituale. Ogni anno, come segno di duraturo desiderio di fedeltà, durante la Messa crismale, i presbiteri rinnovino, davanti al Vescovo ed insieme con Lui, le promesse fatte nel momento dell’ordinazione[212]. La cura della vita spirituale, che allontana il nemico della tiepidezza, deve essere sentita come un gioioso dovere da parte dello stesso sacerdote, ma anche come un diritto dei fedeli che cercano in lui, consciamente o inconsciamente, l’uomo di Dio, il consigliere, il mediatore di pace, l’amico fedele e prudente, la guida sicura a cui affidarsi nei momenti più duri della vita per trovare conforto e sicurezza[213]. Benedetto XVI presenta nel suo Magistero un testo altamente significativo sulla lotta alla tiepidezza spirituale che devono condurre anche coloro che sono più vicini al Signore per ragioni di ministero: «Nessuno è così vicino al suo Signore come il servo che ha accesso alla dimensione più privata della sua vita. In questo senso “servire” significa vicinanza, richiede familiarità. Questa familiarità comporta anche un pericolo: quello che il sacro da noi continuamente incontrato divenga per noi abitudine. Si spegne così il timore riverenziale. Condizionati da tutte le abitudini, non percepiamo più il fatto grande, nuovo, sorprendente, che Egli stesso sia presente, ci parli, si doni a noi. Contro questa assuefazione alla realtà straordinaria, contro l’indifferenza del cuore dobbiamo lottare senza tregua, riconoscendo sempre di nuovo la nostra insufficienza e la grazia che vi è nel fatto che Egli si consegni così nelle nostre mani»[214]. Imitare Cristo che prega 51. A causa di numerosi impegni, provenienti in larga misura dall’attività pastorale, la vita dei presbiteri è esposta, oggi più che mai, ad una serie di sollecitazioni che potrebbero condurla verso un crescente attivismo, sottomettendola ad un ritmo, alle volte, frenetico e travolgente. Contro tale tentazione, non bisogna dimenticare che la prima intenzione di Gesù fu quella di convocare intorno a sé degli Apostoli affinché «stessero con lui» (Mc 3,14). Lo stesso Figlio di Dio ha voluto anche lasciarci testimonianza della sua preghiera. Con grande frequenza, infatti, i Vangeli ci presentano Cristo in preghiera: nella rivelazione della sua missione da parte del Padre (cf. Lc 3,21-22), prima della chiamata degli Apostoli (cf. Lc 6,12), nel rendere grazie a Dio nella moltiplicazione dei pani (cf. Mt 14,19; 15,36; Mc 6,41; 8,7; Lc 9,16; Gv 6,11), nella Trasfigurazione sul monte (cf. Lc 9, 28-29), quando risana il sordomuto (cf. Mc 7,34) e riporta in vita Lazzaro (cf. Gv 11,41 ss.), prima della confessione di Pietro (cf. Lc 9,18), quando insegna ai discepoli a pregare (cf. Lc 11,1), e quando questi ritornano dall’aver compiuto la loro missione (cf. Mt 11,25 ss.; Lc 10,21 ss.), nel benedire i fanciulli (cf. Mt 19,13), nel pregare per Pietro (cf. Lc 22,32), ecc. Tutta la sua attività quotidiana derivava dalla preghiera. Così egli si ritirava nel deserto o sul monte a pregare (cf. Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16; Mt 4,1; Mt 14,23), si alzava al mattino presto (cf. Mc 1,35) o trascorreva tutta la notte in orazione con Dio (cf. Mt 14,23.25; Mc 6,46.48; Lc 6,12). Fino al termine della sua vita, nell’ultima Cena (cf. Gv 17,1-26), nell’agonia (cf. Mt 26,36-44 par.) e sulla Croce (cf. Lc 23,34.46; Mt 27,46; Mc 15,34), il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico e il suo esodo pasquale. Risuscitato da morte, vive per sempre e prega per noi (cf. Eb 7,25)[215]. Perciò, la priorità fondamentale del sacerdote è la sua personale relazione con Cristo attraverso l’abbondanza dei momenti di silenzio e di preghiera nei quali coltivare ed approfondire il proprio rapporto con la persona vivente del Signore Gesù. Sull’esempio di san Giuseppe, il silenzio del sacerdote «non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione»[216]. Un silenzio che, come quello del santo Patriarca, «custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza»[217]. Nella comunione della santa Famiglia di Nazareth, il silenzio di Giuseppe si armonizzava con il raccoglimento di Maria, «realizzazione più perfetta» dell’obbedienza della fede[218], la quale «serbava e meditava nel suo cuore tutte le “grandi cose” fatte dall’Onnipotente»[219]. In questo modo, i fedeli vedranno nel sacerdote un uomo appassionato di Cristo, che porta in sé il fuoco del Suo amore; un uomo che si sa chiamato dal Signore ed è pieno di amore per i suoi. Imitare la Chiesa che prega 52. Per rimanere fedele all’impegno di «stare con Gesù», occorre che il presbitero sappia imitare la Chiesa che prega. Nel dispensare la Parola di Dio, che lui stesso ha ricevuto con gioia, il sacerdote sia memore dell’esortazione rivoltagli dal Vescovo il giorno della sua ordinazione: «Per questo, facendo della Parola l’oggetto della tua continua riflessione, credi sempre quel che leggi, insegna quel che credi, realizza nella vita quel che insegni. In questo modo, mentre con la dottrina darai nutrimento al Popolo di Dio e con la buona testimonianza della vita gli sarai di conforto e sostegno, diventerai costruttore del tempio di Dio, che è la Chiesa». Similmente riguardo alla celebrazione dei sacramenti e, in particolare dell’Eucaristia: «Sii dunque consapevole di quel che fai, imita ciò che compi e poiché celebri il mistero della morte e della risurrezione del Signore, porta la morte di Cristo nel tuo corpo e cammina nella sua novità di vita». E, infine, riguardo alla guida pastorale del Popolo di Dio, perché lo conduca fino al Padre: «Per questo non cessare mai di tenere lo sguardo rivolto a Cristo, Pastore buono, che è venuto non per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare quelli che si sono perduti»[220]. Preghiera come comunione 53. Forte dello speciale legame con il Signore, il presbitero saprà affrontare i momenti in cui potrebbe sentirsi solo in mezzo agli uomini, rinnovando con forza il suo stare con Cristo nell’Eucaristia, luogo reale della presenza del suo Signore. Come Gesù, che mentre era solo stava continuamente con il Padre (cf. Lc 3,21; Mc 1,35), anche il presbitero deve essere l’uomo che, nel raccoglimento, nel silenzio e nella solitudine, trova la comunione con Dio[221], per cui potrà dire con S. Ambrogio: «Io non sono mai così poco solo come quando sembro di essere solo»[222]. Accanto al Signore, il presbitero troverà la forza e gli strumenti per riavvicinare gli uomini a Dio, per accendere la loro fede, per suscitare impegno e condivisione. Manifestazione della carità di Cristo 54. La carità pastorale, intimamente connessa all’Eucaristia, costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività pastorali del presbitero e di portare gli uomini alla vita della Grazia. L’attività ministeriale deve essere una manifestazione della carità di Cristo, di cui il presbitero saprà esprimere atteggiamenti e comportamenti, fino alla donazione totale di sé a favore del gregge che gli è stato affidato[223]. Sarà particolarmente vicino ai sofferenti, ai piccoli, ai bambini, alle persone in difficoltà, agli emarginati e ai poveri, portando a tutti l’amore e la misericordia del Buon Pastore. Assimilare la carità pastorale di Cristo, in modo da farla diventare forma della propria vita, è una meta che richiede al sacerdote un’intensa vita eucaristica, così come impegni e sacrifici continui, giacché tale carità non si improvvisa, non conosce soste né può considerarsi raggiunta una volta per sempre. Il ministro di Cristo si sentirà obbligato a vivere e a testimoniare questa realtà sempre e dovunque, anche quando, in ragione dell’età, fosse stato sollevato dagli incarichi pastorali. Oltre il funzionalismo 55. La carità pastorale corre, oggi soprattutto, il pericolo di essere svuotata del suo significato dal cosiddetto funzionalismo. Non è raro, infatti, percepire, anche in alcuni sacerdoti, l’influsso di una mentalità che tende erroneamente a ridurre il sacerdozio ministeriale ai soli aspetti funzionali. ”Fare” il prete, svolgere singoli servizi e garantire alcune prestazioni d’opera sarebbe il tutto dell’esistenza sacerdotale. Ma il sacerdote non esercita soltanto un “lavoro”, dopodiché rimarrebbe libero per se stesso: tale concezione riduttiva dell’identità e del ministero del sacerdote rischia di spingerlo verso un vuoto, che viene spesso riempito da forme di vita non consone al proprio ministero. Il sacerdote, che sa di essere ministro di Cristo e della Chiesa, che opera come appassionato di Cristo con tutte le forze della sua vita al servizio di Dio e degli uomini, troverà nella preghiera, nello studio e nella lettura spirituale la forza necessaria per vincere anche questo pericolo[224]. Fondamento dell’obbedienza 56. L’obbedienza è una virtù di primaria importanza ed è strettamente unita alla carità. Come insegna il Servo di Dio Paolo VI, nella «carità pastorale» si può superare «il rapporto di obbedienza giuridica, affinché la stessa obbedienza sia più volenterosa, leale e sicura»[225]. Lo stesso sacrificio di Gesù sulla Croce acquistò significato salvifico a causa della sua obbedienza e della sua fedeltà alla volontà del Padre. Egli fu «obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). La Lettera agli Ebrei sottolinea anche che Gesù «imparò l’obbedienza da ciò che patì» (Eb 5,8). Si può dire, allora, che l’obbedienza al Padre è nel cuore stesso del Sacerdozio di Cristo. Come per Cristo, anche per il presbitero, l’obbedienza esprime la totale e lieta disponibilità a compiere la volontà di Dio. Per questo il sacerdote riconosce che tale Volontà si palesa anche attraverso le indicazioni dei legittimi Superiori. La disponibilità verso questi ultimi va intesa come vera attuazione della libertà personale, conseguenza di una scelta maturata costantemente al cospetto di Dio nella preghiera. La virtù dell’obbedienza, intrinsecamente richiesta dal sacramento e dalla struttura gerarchica della Chiesa, è esplicitamente promessa dal chierico, prima nel rito di ordinazione diaconale e poi in quello di ordinazione presbiterale. Con essa il presbitero rafforza la sua volontà di comunione, entrando, così, nella dinamica dell’obbedienza di Cristo fattosi Servo obbediente fino alla morte di Croce (cf. Fil 2,7-8)[226]. Nella cultura contemporanea viene sottolineata l’impor-tanza della soggettività e dell’autonomia della singola persona, come intrinseche alla sua dignità. Questa realtà, in se stessa positiva, se assolutizzata e rivendicata al di fuori del suo giusto contesto, assume una valenza negativa[227]. Ciò può manifestarsi anche nell’ambito ecclesiale e nella stessa vita del sacerdote qualora le attività che egli svolge a favore della comunità venissero ridotte ad un fatto puramente soggettivo. In realtà il presbitero è, per la natura stessa del suo ministero, a servizio di Cristo e della Chiesa. Egli, pertanto, si renderà disponibile ad accogliere quanto gli è giustamente indicato dai Superiori e, in modo particolare, se non è legittimamente impedito, deve accettare ed adempiere fedelmente l’incarico che gli è affidato dal suo Ordinario[228]. Il Decreto Presbyterorum Ordinis descrive i fondamenti dell’obbedienza dei sacerdoti a partire dall’opera divina alla quale sono chiamati, mostrando poi la cornice di questa obbedienza: - il mistero della Chiesa: «il ministero sacerdotale, dato che è il ministero della Chiesa stessa, non può essere realizzato se non nella comunione gerarchica di tutto il corpo»[229]; - la fraternità cristiana: «la carità pastorale esige pertanto che i presbiteri, lavorando in questa comunione, con l’obbedienza facciano dono della propria volontà nel servizio di Dio e dei fratelli, ricevendo e mettendo in pratica con spirito di fede le prescrizioni e i consigli del Sommo Pontefice, del loro Vescovo e degli altri superiori, e dando volentieri tutto di sé in ogni incarico che venga loro affidato, anche se umile e povero. Perché con questo atteggiamento custodiscono e rafforzano la necessaria unità con i fratelli nel ministero, specialmente con quelli che il Signore ha costituito reggitori visibili della sua Chiesa, e lavorano per la edificazione del corpo di Cristo, il quale cresce “per ogni articolazione di servizio”»[230]. Obbedienza gerarchica 57. Il presbitero è tenuto ad un «obbligo speciale di rispetto e obbedienza» nei confronti del Sommo Pontefice e del proprio Ordinario[231]. In virtù dell’appartenenza ad un determinato presbiterio, egli è addetto al servizio di una Chiesa particolare, il cui principio e fondamento di unità è il Vescovo[232], che ha su di essa tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l’esercizio del suo ufficio pastorale[233]. La subordinazione gerarchica, richiesta dal sacramento dell’Ordine, trova la sua attuazione ecclesiologico-strutturale in riferimento al proprio Vescovo e al Romano Pontefice, il quale detiene il primato (principatus) della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari[234]. L’obbligo dell’adesione al Magistero in materia di fede e di morale è intrinsecamente legato a tutte le funzioni che il sacerdote deve svolgere nella Chiesa[235]. Il dissenso in questo campo è da considerarsi grave, in quanto produce scandalo e disorientamento tra i fedeli. L’appello alla disobbedienza, specie al Magistero definitivo della Chiesa, non è una via per rinnovare la Chiesa[236]. La sua inesauribile vivacità soltanto può scaturire dal seguire il Maestro, obbediente fino alla croce, alla cui missione si collabora «con la gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore»[237]. Nessuno più del presbitero è consapevole del fatto che la Chiesa ha bisogno di norme che servono a proteggere adeguatamente i doni dello Spirito Santo affidati alla Chiesa; poiché, infatti, la sua struttura gerarchica ed organica è visibile, l’esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della guida e della celebrazione dei sacramenti, deve essere adeguatamente organizzato[238]. In quanto ministro di Cristo e della sua Chiesa, il presbitero si assume generosamente l’impegno di osservare fedelmente tutte e singole le norme, evitando quelle forme di adesione parziale, secondo criteri soggettivi, che creano divisione e si ribaltano, con notevole danno pastorale, anche sui fedeli laici e sulla pubblica opinione. Infatti «le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l’osservanza» e richiedono «che quanto viene comandato dal capo venga osservato nelle membra»[239]. Ubbidendo all’autorità costituita, il sacerdote, fra l’altro, favorirà la mutua carità all’interno del presbiterio e quell’unità che ha il suo fondamento nella verità. Autorità esercitata con carità 58. Affinché l’osservanza dell’obbedienza sia facilitata e possa alimentare la comunione ecclesiale, quanti sono costituiti in autorità – gli Ordinari, i Superiori religiosi, i Moderatori di Società di vita apostolica –, oltre ad offrire il necessario e costante esempio personale, devono esercitare con carità il proprio carisma istituzionale, sia prevenendo, sia richiedendo, nei modi e nei tempi dovuti, l’adesione ad ogni disposizione nell’ambito magisteriale e disciplinare[240]. Tale adesione è fonte di libertà, in quanto non impedisce, ma stimola la matura spontaneità del presbitero, che saprà assumere un atteggiamento pastorale sereno ed equilibrato, creando l’armonia nella quale la genialità personale si fonde in una superiore unità. Rispetto delle norme liturgiche 59. Tra i vari aspetti del problema, oggi maggiormente avvertiti, merita di essere posto in evidenza quello del convinto amore e rispetto delle norme liturgiche. La liturgia è l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo[241], «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù»[242]. Essa costituisce un ambito in cui il sacerdote deve avere particolare consapevolezza di essere ministro, cioè servo, e di dover ubbidire fedelmente alla Chiesa. «Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo»[243]. Egli, pertanto, in tale materia, non aggiungerà, toglierà o muterà alcunché di sua iniziativa[244]. Questo vale in particolar modo per la celebrazione dei sacramenti, che sono per eccellenza atti di Cristo e della Chiesa e che il sacerdote amministra in persona di Cristo Capo e a nome della Chiesa per il bene dei fedeli[245]. Questi hanno un vero diritto a partecipare alle celebrazioni liturgiche così come le vuole la Chiesa e non secondo i gusti personali del singolo ministro e neppure secondo particolarismi rituali non approvati, espressioni di singoli gruppi che tendono a chiudersi all’universalità del Popolo di Dio. Unità nei piani pastorali 60. È necessario che i sacerdoti, nell’esercizio del loro ministero, non solo partecipino responsabilmente alla definizione dei piani pastorali che il Vescovo – con la collaborazione del consiglio presbiterale[246] – determina, ma anche armonizzino con essi le realizzazioni pratiche nella propria comunità. La sapiente creatività e lo spirito di iniziativa propri della maturità dei presbiteri, non solo non verranno mortificati, ma potranno essere adeguatamente valorizzati a tutto vantaggio della fecondità pastorale. Intraprendere strade separate in questo campo può significare infatti indebolimento della stessa opera di evangelizzazione. Importanza e obbligatorietà dell’abito ecclesiastico 61. In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero – uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri – sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l’abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico[247]. Il presbitero dev’essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo[248], la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa. L’abito ecclesiastico è il segno esteriore di una realtà interiore: «infatti, il sacerdote non appartiene più a se stesso, ma, per il sigillo sacramentale ricevuto (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1563, 1582), è “proprietà” di Dio. Questo suo “essere di un Altro” deve diventare riconoscibile da tutti, attraverso una limpida testimonianza. […] Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire ed amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale»[249]. Per questa ragione, il sacerdote, come il diacono transeunte, deve[250]: a) portare o l’abito talare o «un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali»[251]; quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero; la foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi; b) per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non contengono la razionalità necessaria affinché possano diventare legittime consuetudini[252] e devono essere assolutamente rimosse dalla competente autorità[253]. Fatte salve situazioni specifiche, il non uso dell’abito ecclesiastico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa[254]. Inoltre, la veste talare – anche nella forma, nel colore e nella dignità – è specialmente opportuna perché distingue chiaramente i sacerdoti dai laici e fa capire meglio il carattere sacro del loro ministero, ricordando allo stesso presbitero che è sempre e in ogni momento sacerdote, ordinato per servire, per insegnare, per guidare e per santificare le anime, principalmente attraverso la celebrazione dei sacramenti e la predicazione della Parola di Dio. Indossare l’abito clericale funge inoltre da salvaguardia della povertà e della castità. Fedeltà alla Parola 62. Cristo ha affidato agli Apostoli e alla Chiesa la missione di predicare la Buona Novella a tutti gli uomini. Trasmettere la fede è preparare un popolo per il Signore, svelare, annunziare ed approfondire la vocazione cristiana, cioè, la chiamata che Dio rivolge ad ogni uomo nel manifestargli il mistero della salvezza e, al contempo, il posto che egli deve occupare in riferimento a tale mistero, come figlio di adozione nel Figlio[255]. Questo duplice aspetto si evidenzia sinteticamente nel Simbolo della Fede, una delle espressioni più autorevoli di quella fede con cui la Chiesa ha sempre risposto all’appello di Dio[256]. Si pongono allora al ministero presbiterale due esigenze. Vi è, in primo luogo, il carattere missionario della trasmissione della fede. Il ministero della Parola non può essere astratto o lontano dalla vita della gente; al contrario, esso deve far diretto riferimento al senso della vita dell’uomo, di ogni uomo, e, quindi, dovrà entrare nelle questioni più vive che si pongono alla coscienza umana. D’altra parte vi è un’esigenza di autenticità e di conformità con la fede della Chiesa, custode della verità su Dio e sull’uomo. Ciò deve essere fatto con senso di estrema responsabilità, nella consapevolezza che si tratta di una questione della massima importanza in quanto è in gioco la vita dell’uomo ed il senso della sua esistenza. Per un fruttuoso ministero della Parola, tenendo presente tale contesto, il presbitero darà il primato alla testimonianza della vita, che fa scoprire la potenza dell’amore di Dio e rende persuasiva la sua parola. Inoltre, non trascurerà la predicazione esplicita del mistero di Cristo ai credenti, ai non cristiani e ai non credenti; la catechesi, che è l’esposizione ordinata e organica della dottrina della Chiesa; l’applicazione della verità rivelata alla soluzione dei casi concreti[257]. La consapevolezza dell’assoluta necessità di «rimanere» fedeli ed ancorati alla Parola di Dio e alla Tradizione per essere veramente discepoli di Cristo e conoscere la verità (cf. Gv 8,31-32) ha sempre accompagnato la storia della spiritualità sacerdotale ed è stata autorevolmente ribadita anche dal Concilio Ecumenico Vaticano II[258]. Per questo, risulta di grande utilità «l’antica pratica della lectio divina, o “lettura spirituale” della Sacra Scrittura. Essa consiste nel rimanere a lungo sopra un testo biblico, leggendolo e rileggendolo, quasi “ruminandolo” come dicono i Padri, e spremendone, per così dire, tutto il “succo”, perché nutra la meditazione e la contemplazione e giunga ad irrigare come linfa la vita concreta»[259]. Soprattutto per la società contemporanea, contrassegnata in molti Paesi da un materialismo teorico e pratico, dal soggettivismo e dal relativismo culturale, è necessario che il Vangelo sia presentato come «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). I presbiteri, ricordando che «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17), impegneranno tutte le loro energie per corrispondere a questa missione che è primaria nel loro ministero. Essi, infatti, sono non soltanto i testimoni, ma anche gli annunciatori e i trasmettitori della fede[260]. Tale ministero – svolto nella comunione gerarchica – li abilita ad esprimere con autorità la fede cattolica e a dare testimonianza della fede in nome della Chiesa. Il Popolo di Dio, in effetti, «viene adunato innanzitutto per mezzo della Parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti»[261]. Per essere autentica, la Parola deve essere trasmessa senza doppiezza e senza alcuna falsificazione, ma manifestando con franchezza la verità davanti a Dio (cf. 2Cor 4,2). Il presbitero eviterà con responsabile maturità di contraffare, ridurre, distorcere o diluire i contenuti del messaggio divino. Suo compito, infatti, «non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la Parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità»[262]. «Conseguentemente, le sue parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti devono essere sempre più una trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del Vangelo; “solo ‘rimanendo’ nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto discepolo del Signore, conoscerà la verità e sarà veramente libero”»[263]. La predicazione, pertanto, non può ridursi alla comunicazione di pensieri propri, alla manifestazione dell’esperienza personale, a semplici spiegazioni di carattere psicologico[264], sociologico o filantropico; neppure può indulgere eccessivamente al fascino della retorica, così spesso presente nella comunicazione di massa. Si tratta di annunciare una Parola di cui non si può disporre, in quanto è stata data alla Chiesa, affinché la custodisca, la scruti e fedelmente la trasmetta[265]. In ogni modo, è necessario che il sacerdote prepari adeguatamente la sua predicazione attraverso la preghiera, lo studio serio e attualizzato e l’impegno per applicarla concretamente alle condizioni dei destinatari. In modo particolare, come ha ricordato Benedetto XVI, «si ritiene opportuno che, partendo dal lezionario triennale, siano sapientemente proposte ai fedeli omelie tematiche che, lungo l’anno liturgico, trattino i grandi temi della fede cristiana, attingendo a quanto proposto autorevolmente dal Magistero nei quattro ‘pilastri’ del Catechismo della Chiesa Cattolica e nel recente Compendio: la professione della fede, la celebrazione del mistero cristiano, la vita in Cristo, la preghiera cristiana»[266]. Così, le omelie, le catechesi, ecc., potranno essere di vero aiuto ai fedeli per il miglioramento della loro vita di rapporto con Dio e con gli altri. Parola e vita 63. La coscienza della propria missione di annunciatore del Vangelo, come strumento di Cristo e dello Spirito Santo, dovrà sempre più concretizzarsi pastoralmente in modo che il presbitero possa vivificare, alla luce della Parola di Dio, le diverse situazioni e i diversi ambienti nei quali svolge il suo ministero. Per essere efficace e credibile è perciò importante che il presbitero – nella prospettiva della fede e del suo ministero – conosca, con costruttivo senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli intrecci culturali, le tipologie diffuse attraverso i mezzi di comunicazione che, in larga parte, condizionano le mentalità. Stimolato dall’Apostolo che esclamava: «guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di trasmissione che le scienze e la tecnologia moderna gli offrono. Certamente non tutto dipende da tali mezzi o dalle capacità umane, giacché la grazia divina può raggiungere il suo effetto indipendentemente dall’opera degli uomini; ma, nel piano di Dio, la predicazione della Parola è, normalmente, il canale privilegiato per la trasmissione della fede e per la missione evangelizzatrice. Per i tanti che oggi sono fuori o lontani dall’annuncio di Cristo, il presbitero sentirà come particolarmente urgente ed attuale il drammatico interrogativo: «Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?» (Rm 10,14). Per rispondere a tali interrogativi, egli si sentirà personalmente impegnato a coltivare in maniera particolare la Sacra Scrittura con lo studio di una sana esegesi, soprattutto patristica, e con la meditazione fatta secondo i diversi metodi comprovati dalla tradizione spirituale della Chiesa, in modo da ottenerne una comprensione animata dall’amore[267]. È particolarmente importante insegnare a coltivare questo rapporto personale con la Parola di Dio già negli anni di seminario, dove gli aspiranti al sacerdozio sono chiamati a studiare le Scritture per rendersi più «consapevoli del mistero della rivelazione divina ed alimentare un atteggiamento di risposta orante al Signore che parla. Dall’altra parte, anche un’autentica vita di preghiera non potrà che far crescere nell’anima del candidato il desiderio di conoscere sempre di più il Dio che si è rivelato nella sua Parola come amore infinito»[268]. 64. Il presbitero sentirà il dovere di riservare particolare attenzione alla preparazione, sia remota che prossima, dell’omelia liturgica, ai suoi contenuti, facendo eco ai testi liturgici, soprattutto al Vangelo, all’equilibrio tra parte espositiva e applicativa, alla pedagogia e alla tecnica del porgere, fino alla buona dizione, rispettosa della dignità dell’atto e dei destinatari[269]. In particolare, «si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia»[270]. Parola e catechesi 65. Oggi, quando in molti ambienti si diffonde un analfabetismo religioso dove gli elementi fondamentali della fede sono sempre meno noti, la catechesi si rileva come parte fondamentale della missione evangelizzatrice della Chiesa, essendo strumento privilegiato dell’insegnamento e della maturazione della fede[271]. Il presbitero, in quanto collaboratore e per mandato del Vescovo, ha la responsabilità di animare, coordinare e dirigere l’attività catechistica della comunità che gli è affidata. È importante che egli sappia integrare tale attività in un progetto organico di evangelizzazione garantendo, innanzitutto, la comunione della catechesi della propria comunità con la persona del Vescovo, con la Chiesa particolare e con la Chiesa universale[272]. In particolare, egli saprà suscitare la giusta ed opportuna responsabilità e collaborazione nei riguardi della catechesi, sia dei membri degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di vita apostolica, sia dei fedeli laici[273], adeguatamente preparati, mostrando ad essi il riconoscimento e la stima per il compito catechistico. Singolare premura egli porrà nella cura della formazione iniziale e permanente dei catechisti, delle associazioni e dei movimenti. Nella misura del possibile, il sacerdote dovrà essere il catechista dei catechisti, formando con questi una vera comunità di discepoli del Signore che serva come punto di riferimento per i catechizzandi. Così insegnerà loro che il servizio al ministero dell’insegnamento deve misurarsi sulla Parola di Gesù Cristo e non su teorie ed opinioni private: è «la fede della Chiesa della quale siamo servitori»[274]. Maestro[275] ed educatore della fede[276], il presbitero farà sì che la catechesi sia parte privilegiata nella educazione cristiana in famiglia, nell’insegnamento religioso, nella formazione dei movimenti apostolici, ecc., e che essa sia rivolta a tutte le categorie dei fedeli: fanciulli e giovani, adolescenti, adulti, anziani. Egli, inoltre, saprà trasmettere l’insegnamento catechistico facendo uso di tutti quegli aiuti, sussidi didattici e strumenti di comunicazione che possano essere efficaci affinché i fedeli, in modo adatto alla loro indole, capacità, età e alle condizioni pratiche di vita, siano in grado di apprendere più pienamente la dottrina cristiana e di tradurla in pratica nel modo più conveniente[277] A tale scopo, il presbitero avrà come principale punto di riferimento, il Catechismo della Chiesa Cattolica ed il suo Compendio. Tali testi, infatti, costituiscono norma sicura ed autentica dell’insegnamento della Chiesa[278] e perciò se ne deve incoraggiare la lettura e lo studio. Devono essere sempre il punto d’appoggio sicuro ed insostituibile per l’insegnamento dei «contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica»[279]. Come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI, nel Catechismo «infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede»[280]. 2.6 Il sacramento dell’Eucaristia Il Mistero eucaristico 66. Se il servizio della Parola è elemento fondamentale del ministero presbiterale, il cuore e il centro vitale di esso è costituito, senza dubbio, dall’Eucaristia, che è, soprattutto, la presenza reale nel tempo dell’unico ed eterno sacrificio di Cristo[281]. Memoriale sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, ripresentazione reale ed efficace dell’unico Sacrificio redentore, fonte e culmine della vita cristiana e di tutta l’evangelizzazione[282], l’Eucaristia è principio, mezzo e fine del ministero sacerdotale, giacché «tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d’apostolato sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati»[283]. Consacrato per perpetuare il santo Sacrificio, il presbitero manifesta così, nel modo più evidente, la sua identità[284]. Esiste, infatti, un’intima connessione tra la centralità dell’Eucaristia, la carità pastorale e l’unità di vita del presbitero[285], il quale trova in essa le indicazioni decisive per l’itinerario di santità al quale è specificamente chiamato. Se il presbitero presta a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, l’intelligenza, la volontà, la voce e le mani perché, mediante il proprio ministero, possa offrire al Padre il sacrificio sacramentale della redenzione, dovrà fare proprie le disposizioni del Maestro e, come Lui, vivere quale dono per i propri fratelli. Egli dovrà perciò imparare ad unirsi intimamente all’offerta, deponendo sull’altare del sacrificio l’intera vita come segno manifestativo dell’amore gratuito e preveniente di Dio. Celebrare bene l’Eucaristia 67. Il sacerdote è chiamato a celebrare il Santo Sacrificio eucaristico, a meditare costantemente su ciò che esso significa e a trasformare la sua vita in una Eucaristia, il che si manifesta nell’amore al sacrificio quotidiano, soprattutto nell’adempi-mento dei propri doveri di stato. L’amore alla croce conduce il sacerdote a diventare se stesso un’offerta gradevole al Padre per mezzo di Cristo (cf. Rm 12,1). Amare la croce in una società edonistica è uno scandalo, però da una prospettiva di fede, essa è fonte di vita interiore. Il sacerdote deve predicare il valore redentore della croce con il suo stile di vita. È necessario richiamare il valore insostituibile che per il sacerdote ha la celebrazione quotidiana della Santa Messa – “fonte e apice”[286] della vita sacerdotale –, anche quando non vi fosse concorso di alcun fedele[287]. Al riguardo, insegna Benedetto XVI: «Insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai sacerdoti “la celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli”. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione»[288]. Egli la vivrà come il momento centrale della giornata e del ministero quotidiano, frutto di sincero desiderio e occasione di incontro profondo ed efficace con Cristo. Nell’Eucaristia, il sacerdote impara a donarsi ogni giorno, non solo nei momenti di grande difficoltà, ma pure nelle piccole contrarietà quotidiane. Questo apprendimento si riflette nell’amore per prepararsi alla celebrazione del Santo Sacrificio, per viverlo con pietà, senza fretta, avendo cura delle norme liturgiche e delle rubriche, affinché i fedeli percepiscano in questo modo un’autentica catechesi[289]. In una civiltà sempre più sensibile alla comunicazione mediante i segni e le immagini, il sacerdote darà adeguata attenzione a tutto ciò che può esaltare il decoro e la sacralità della celebrazione eucaristica. È importante che, in tale celebrazione, si pongano in giusto risalto la proprietà e la pulizia del luogo, l’architettura dell’altare e del tabernacolo[290], la nobiltà dei vasi sacri, dei paramenti[291], del canto[292], della musica[293], il sacro silenzio[294], l’uso dell’incenso nelle celebrazioni più solenni, ecc., ripetendo quel gesto amorevole di Maria verso il Signore quando «prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3). Tutti questi sono elementi che possono contribuire ad una migliore partecipazione al Sacrificio eucaristico. Infatti, la scarsa attenzione agli aspetti simbolici della liturgia e, ancor di più, la trascuratezza e la fretta, la superficialità e il disordine, ne svuotano il significato e ne indeboliscono la funzione di incremento della fede[295]. Chi celebra male manifesta la debolezza della sua fede e non educa gli altri alla fede. Celebrare bene, invece, costituisce una prima importante catechesi sul Santo Sacrificio. In modo speciale, nella celebrazione eucaristica, le norme liturgiche devono essere osservate con generosa fedeltà. «Esse sono un’espressione concreta dell’autentica ecclesialità dell’Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri. […] Anche nei nostri tempi, l’obbedienza alle norme liturgiche dovrebbe essere riscoperta e valorizzata come riflesso e testimonianza della Chiesa una ed universale, resa presente in ogni celebrazione dell’Eucaristia. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa»[296]. Il sacerdote, allora, pur mettendo a servizio della celebrazione eucaristica tutti i suoi talenti per renderla viva nella partecipazione dei fedeli, deve attenersi al rito stabilito nei libri liturgici approvati dalla competente autorità, senza aggiungere, togliere o mutare alcunché[297]. Così il suo celebrare diventa realmente un celebrare della e con la Chiesa: non fa un “qualcosa di suo”, ma è con la Chiesa in colloquio con Dio. Ciò favorisce anche un’adeguata partecipazione attiva dei fedeli alla sacra liturgia: «L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa participatio. L’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cf. 1Pt 2,4-5.9)»[298]. Gli Ordinari, i Superiori degli Istituti di vita consacrata e i Moderatori delle società di vita apostolica hanno il grave dovere, oltre che di precedere nell’esempio, di vigilare affinché le norme liturgiche riguardanti la celebrazione dell’Eucaristia vengano fedelmente osservate sempre da tutti e in tutti i luoghi. I sacerdoti che celebrano o anche concelebrano sono tenuti ad indossare le vesti sacre prescritte dalle norme liturgiche[299]. Adorazione eucaristica 68. La centralità dell’Eucaristia dovrà apparire non solo dalla degna e sentita celebrazione del Sacrificio, ma altresì dalla frequente adorazione del Sacramento dell’Altare, in modo che il presbitero appaia modello del gregge anche nell’attenzione devota e nell’assidua meditazione fatta alla presenza del Signore nel Tabernacolo. È auspicabile che i presbiteri incaricati della guida di comunità dedichino larghi spazi all’adorazione comunitaria – per esempio, tutti i giovedì, i giorni di preghiera per le vocazioni, ecc. – e riservino al Santissimo Sacramento dell’Altare, anche fuori della Santa Messa, attenzioni ed onori superiori a qualsiasi altro rito e gesto. «La fede e l’amore per l’Eucaristia non possono permettere che la presenza di Cristo nel Tabernacolo rimanga solitaria»[300]. Spinti dall’esempio di fede dei pastori, i fedeli cercheranno occasioni lungo la settimana per recarsi in chiesa ad adorare nostro Signore, presente nel Tabernacolo. Momento privilegiato dell’adorazione eucaristica può essere la celebrazione della Liturgia delle Ore, la quale costituisce un prolungamento, durante la giornata, del sacrificio di lode e di ringraziamento che ha nella Santa Messa il centro e la fonte sacramentale. La Liturgia delle Ore, nella quale il sacerdote, unito a Cristo, è voce della Chiesa per il mondo intero, sarà celebrata, anche comunitariamente, in modo da essere «interprete e veicolo della voce universale che canta la gloria di Dio e chiede la salvezza dell’uomo»[301]. Esemplare solennità a tale celebrazione sarà riservata dai Capitoli canonicali. Si dovrà sempre cercare che la celebrazione comunitaria o quella individuale siano eseguite con amore e desiderio di riparazione, senza cadere in un puro «dovere» da effettuarsi meccanicamente come semplice ed affrettata lettura senza la necessaria attenzione al senso del testo. Intenzioni di Messe 69. «L’Eucaristia è un sacrificio perché ripresenta (rende presente) il sacrificio della croce, perché ne è il memoriale e perché ne applica il frutto»[302]. Ogni celebrazione eucaristica attualizza il sacrificio unico, perfetto e definitivo di Cristo che ha salvato il mondo sulla Croce una volta per tutte. L’Eucaristia è prima di tutto celebrata alla gloria di Dio e in rendimento di grazia per la salvezza dell’umanità. Secondo un’antichissima tradizione, i fedeli chiedono al sacerdote di celebrare la santa Messa affinché «venga anche offerta in riparazione dei peccati dei vivi e dei defunti, e al fine di ottenere da Dio benefici spirituali o temporali»[303]. «È vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli»[304]. Al fine di partecipare a modo loro al sacrificio del Signore, con il dono non solo di loro stessi ma anche di una parte di quanto possiedono, i fedeli associano un’offerta, solitamente pecuniaria, all’intenzione per la quale desiderano che una santa Messa sia applicata. Non si tratta in alcun modo di una rimunerazione, il Sacrificio Eucaristico essendo assolutamente gratuito. «Spinti dal loro senso religioso ed ecclesiale, i fedeli vogliano unire, per una più attiva partecipazione alla celebrazione eucaristica, un loro personale concorso, contribuendo così alle necessità della Chiesa e particolarmente al sostentamento dei suoi ministri»[305]. L’offerta per la celebrazione di sante Messe è da considerarsi «una forma eccellente» di elemosina[306]. Tale uso è «non solo approvato, ma anche incoraggiato dalla Chiesa che lo considera come una specie di segno di unione del battezzato con Cristo, nonché del fedele con il sacerdote, il quale proprio in suo favore svolge il suo ministero»[307]. I sacerdoti devono quindi incoraggiarlo con una catechesi adatta, spiegandone ai fedeli il senso spirituale e la fecondità. Avranno loro stessi cura di celebrare l’Eucaristia con la viva consapevolezza che, in Cristo e con Cristo, sono intercessori davanti a Dio, non solo per applicare in modo generale il Sacrificio della Croce alla salvezza dell’umanità ma anche per presentare alla benevolenza divina l’intenzione particolare affidatagli. Costituisce per loro uno dei modi eccellenti per partecipare attivamente alla celebrazione del memoriale del Signore. I sacerdoti devono essere anche convinti che, «poiché la materia tocca direttamente l’augusto sacramento, ogni anche minima parvenza di lucro o di simonia causerebbe scandalo»[308]. Per ciò la Chiesa ha emanato regole precise al riguardo[309] e punisce con una giusta pena «chi trae illegittimamente profitto dall'elemosina della Messa»[310]. Ogni sacerdote che accetta l’impegno di celebrare una Santa Messa secondo le intenzioni dell’offerente, deve farvi fronte, per un obbligo di giustizia, applicando tante Messe quanto sono le intenzioni[311]. Non è lecito al sacerdote chiedere una somma maggiore di quella determinata con decreto dall’autorità legittima o, se esso non esistesse, corrispondente alla consuetudine vigente nella diocesi. Gli è tuttavia consentito accettare un’offerta minore di quella stabilita e anche maggiore, se è elargita spontaneamente[312]. «Qualsiasi sacerdote deve segnare accuratamente le Messe da celebrare ricevute e quelle che ha applicato»[313]. Il parroco come pure il rettore di una chiesa devono annotarle in un registro speciale[314]. Si può accettare solo le offerte di Messe, che possono essere soddisfatte entro l'anno[315]. «I sacerdoti che ricevono offerte per intenzioni particolari di sante Messe in grande numero […], invece di respingerle, frustrando la pia volontà degli offerenti e distogliendoli dal buon proposito, devono trasmetterle ad altri sacerdoti (cf. C.I.C. can. 955) oppure al proprio Ordinario (cf. C.I.C. can. 956)»[316]. «Nel caso in cui gli offerenti, previamente ed esplicitamente avvertiti, consentano liberamente che le loro offerte siano cumulate con altre in un’unica offerta, si può soddisfarvi con una sola santa Messa, celebrata secondo un’unica intenzione «collettiva». In questo caso è necessario che sia pubblicamente indicato il giorno, il luogo e l’orario in cui tale santa Messa sarà celebrata, non più di due volte per settimana»[317]. Tale eccezione alla vigente legge canonica, qualora si allargasse eccessivamente, verrebbe a costituire un abuso riprovevole[318]. Se il sacerdote celebra più volte nello stesso giorno, trattiene per sé l’offerta di una sola Messa e versa le altre per gli scopi determinati dall’Ordinario[319]. Ogni parroco «ha l’obbligo di applicare la Messa per il popolo affidatogli nelle singole domeniche e feste di precetto»[320]. 2.7 Il Sacramento della Penitenza Ministro della Riconciliazione 70. Dono del Risorto agli Apostoli è lo Spirito Santo per la remissione dei peccati: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22). Cristo ha affidato l’opera sacramentale di Riconciliazione dell’uomo con Dio esclusivamente ai suoi Apostoli e a coloro che succedono loro nella stessa missione. I sacerdoti, allora, per volontà di Cristo, sono gli unici ministri del sacramento della Riconciliazione[321]. Come Cristo, sono inviati a chiamare i peccatori alla conversione e a riportarli al Padre, mediante il giudizio di misericordia. La Riconciliazione sacramentale ristabilisce l’amicizia con Dio Padre e con tutti i suoi figli nella sua famiglia che è la Chiesa, la quale, pertanto, ringiovanisce e viene edificata in tutte le sue dimensioni: universale, diocesana, parrocchiale[322]. Nonostante la triste constatazione della perdita del senso del peccato, che è largamente presente nelle culture del nostro tempo, il sacerdote deve praticare, con gioia e dedizione, il ministero della formazione delle coscienze, del perdono e della pace. Occorre, pertanto, che egli sappia identificarsi, in un certo senso, con questo sacramento e, assumendo l’atteggiamento di Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come buon samaritano, sull’umanità ferita, facendo trasparire la novità cristiana della dimensione medicinale della penitenza, che è in vista della guarigione e del perdono[323]. Dedizione al ministero della Riconciliazione 71. Sia a motivo del suo ufficio[324], sia anche a motivo dell’ordinazione sacramentale, il presbitero dovrà dedicare tempo, anche con giorni, ore stabilite ed energie all’ascolto delle confessioni dei fedeli[325], i quali, come dimostra l’esperienza, si recano volentieri a ricevere questo sacramento laddove sanno e vedono che vi sono sacerdoti disponibili. Inoltre, non si trascuri la possibilità di facilitare ai singoli fedeli il ricorso al sacramento della Riconciliazione e Penitenza anche durante la celebrazione della Santa Messa[326]. Ciò vale ovunque ma, soprattutto, per le chiese cattedrali, per le chiese delle zone maggiormente frequentate, i centri spirituali e i santuari, dove è possibile una fraterna e responsabile collaborazione con i sacerdoti religiosi e con quelli anziani[327]. Non possiamo dimenticare che «la fedele e generosa disponibilità dei sacerdoti all’ascolto delle confessioni, sull’esempio dei grandi Santi della storia, da san Giovanni Maria Vianney a san Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san Pio da Pietrelcina, da san Giuseppe Cafasso a san Leopoldo Mandić, indica a tutti noi come il confessionale possa essere un reale “luogo” di santificazione»[328]. Ogni sacerdote si atterrà alla normativa ecclesiale che difende e promuove il valore della confessione individuale, integra accusa dei peccati nel colloquio diretto con il confessore[329]. «La confessione individuale e integra e l’assoluzione costituiscono l’unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa», e perciò, «tutti coloro cui è demandata in forza dell’ufficio la cura delle anime, sono tenuti all’obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati»[330]. Senz’altro, le assoluzioni sacramentali impartite in forma collettiva, senza che siano osservate le norme stabilite, sono da considerare come gravi abusi[331]. Sulla sede per le confessioni, le norme vengono stabilite dalla Conferenza Episcopale, «garantendo tuttavia che si trovino sempre in un luogo visibile i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene»[332]. Il confessore avrà modo di illuminare la coscienza del penitente con una parola che, per quanto breve, sia appropriata alla sua situazione concreta, in modo da favorire un rinnovato orientamento personale verso la conversione ed incidere profondamente sul suo cammino spirituale, anche attraverso l’imposizione di un’opportuna soddisfazione[333]. Così la confessione potrà essere vissuta anche come momento di direzione spirituale. In ogni caso, il presbitero saprà mantenere la celebrazione della Riconciliazione a livello sacramentale, stimolando il dolore dei peccati, la fiducia nella grazia, ecc. e, allo stesso tempo, superando il pericolo di ridurla ad una attività puramente psicologica o semplicemente formalistica. Ciò si manifesterà, fra l’altro, nel vivere fedelmente la disciplina vigente anche circa il luogo e la sede per le confessioni, che non devono riceversi «fuori del confessionale, se non per giusta causa» [334]. Necessità di confessarsi 72. Come ogni fedele, anche il presbitero ha necessità di confessare i propri peccati e le proprie debolezze. Egli è il primo a sapere che la pratica di questo sacramento lo rafforza nella fede e nella carità verso Dio e i fratelli. Per trovarsi nelle migliori condizioni di mostrare con efficacia la bellezza della Penitenza, è essenziale che il ministro del sacramento offra una testimonianza personale precedendo gli altri fedeli nel fare l’esperienza del perdono. Ciò costituisce anche la prima condizione per la rivalutazione pastorale del sacramento della Riconciliazione: nella confessione frequente, il presbitero impara a comprendere gli altri, e − seguendo l’esem-pio dei Santi − viene spinto a «rimetterlo al centro delle […] preoccupazioni pastorali» [335]. In questo senso, è buona cosa che i fedeli sappiano e vedano che anche i loro sacerdoti si confessano con regolarità[336]. «Tutta l’esistenza sacerdotale subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato da autentica fede e devozione, al sacramento della Penitenza. In un prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe anche la Comunità, di cui egli è pastore»[337]. Direzione spirituale per sé e per gli altri 73. Parallelamente al sacramento della Riconciliazione, il presbitero non mancherà di esercitare il ministero della direzione spirituale[338]. La riscoperta e la diffusione di questa pratica, anche in momenti diversi dall’amministrazione della Penitenza, è un grande beneficio per la Chiesa nel tempo presente[339]. L’atteggiamento generoso e attivo dei presbiteri nel praticarla costituisce anche un’occasione importante per individuare e sostenere le vocazioni al sacerdozio e alle varie forme di vita consacrata. Per contribuire al miglioramento della loro spiritualità è necessario che i presbiteri pratichino essi stessi la direzione spirituale perché «con l’aiuto dell’accompagnamento o consiglio spirituale […] è più facile discernere l’azione dello Spirito Santo nella vita di ognuno»[340]. Ponendo nelle mani di un saggio confratello – strumento dello Spirito Santo – la formazione della loro anima, matureranno la consapevolezza, fin dai primi passi del ministero, dell’importanza di non camminare da soli per le vie della vita spirituale e dell’impegno pastorale. Nel far uso di questo efficace mezzo di formazione, tanto sperimentato nella Chiesa, i presbiteri avranno piena libertà nella scelta della persona che li possa guidare. 74. Un modo fondamentale per il sacerdote di stare dinanzi al Signore è la Liturgia delle Ore: in essa preghiamo da uomini bisognosi del dialogo con Dio, dando voce e supplendo anche a tutti coloro che forse non sanno, non vogliono o non trovano il tempo per pregare. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ricorda che i fedeli «che compiono questa preghiera, adempiono da una parte l’obbligo proprio della Chiesa e dall’altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, celebrando le lodi di Dio, stanno dinanzi al suo trono a nome della Madre Chiesa»[341]. Questa preghiera è «la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo, unito al suo corpo, eleva al Padre»[342]. In questo senso, il sacerdote prolunga e attualizza la preghiera di Cristo Sacerdote. 75. L’obbligo quotidiano di pregare il Breviario (la Liturgia delle Ore), è anche uno degli impegni solenni presi nell’ordinazione diaconale in modo pubblico, che non si può tralasciare senza grave causa. È un obbligo d’amore, che va curato in ogni circostanza, tempi di vacanza inclusi. Il sacerdote ha «l’obbligo di assolvere ogni giorno a tutte le Ore»[343], cioè, le Lodi ed i Vespri, come anche l’Ufficio delle Letture, almeno una delle parti dell’Ora media, e la Compieta. 76. Affinché i sacerdoti possano approfondire il significato della Liturgia delle Ore, si «richiede non soltanto di far concordare la voce con il cuore che prega, ma anche “di procurarsi una più ricca istruzione liturgica e biblica, specialmente riguardo ai Salmi”»[344]. Così occorre interiorizzare la Parola divina, essere attenti a che cosa il Signore “mi” dice con questa Parola, ascoltare poi il commento dei Padri della Chiesa o anche del Concilio Ecumenico Vaticano II, approfondire la vita dei Santi ed anche i discorsi dei Papi, nella seconda Lettura dell’Ufficio delle Letture, e pregare con questa grande invocazione che sono i Salmi, con i quali siamo inseriti nella preghiera della Chiesa. «Nella misura in cui noi abbiamo interiorizzato questa struttura, compreso questa struttura, assimilato le parole della Liturgia, possiamo entrare in questa interiore consonanza e così non solo parlare con Dio come persone singole ma entrare nel “noi” della Chiesa che prega. E così trasformare anche il nostro “io” entrando nel “noi” della Chiesa, arricchendo, allargando questo “io”, pregando con la Chiesa, con le parole della Chiesa, essendo realmente in colloquio con Dio»[345]. Più che recitare il Breviario, si tratta di favorire un atteggiamento di ascolto, di fare anche «esperienza del silenzio»[346]. Infatti, la Parola può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio. Ma allo stesso tempo il sacerdote sa che il nostro tempo non favorisce il raccoglimento. Tante volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa[347]. Per questo il sacerdote deve riscoprire il senso del raccoglimento e della quiete interiore «per accogliere nel cuore la piena risonanza della voce dello Spirito Santo, e per unire più strettamente la preghiera personale con la Parola di Dio e con la voce pubblica della Chiesa»[348]; deve sempre più interiorizzare la propria natura di intercessore[349]. Con l’Eucarestia, alla quale è “ordinato”, il sacerdote diventa l’intercessore qualificato per trattare con Dio con grande semplicità di cuore (simpliciter) le questioni dei suoi fratelli uomini. Il Papa Giovanni Paolo II lo ricordava nel suo discorso per il 30° anniversario della Presbyterorum Ordinis: «L’identità sacerdotale è una questione di fedeltà a Cristo e al popolo di Dio al quale siamo mandati. La coscienza sacerdotale non si limita a qualcosa di personale. È una realtà continuamente esaminata e sentita dagli uomini, poiché il sacerdote è “preso” tra gli uomini e stabilito per intervenire nelle loro relazioni con Dio. [...] Siccome il sacerdote è un mediatore tra Dio e gli uomini, numerose persone si rivolgono a lui chiedendo le sue preghiere. La preghiera, in un certo senso, “crea” il sacerdote, specialmente come pastore. Al contempo ogni sacerdote “crea se stesso” grazie alla preghiera. Penso alla meravigliosa preghiera del Breviario, Officium Divinum, nella quale tutta la Chiesa, per bocca dei suoi ministri, prega con Cristo»[350]. Sacerdote per la comunità 77. Il sacerdote è chiamato a misurarsi con le esigenze tipiche di un altro aspetto del suo ministero, oltre a quelli esaminati. Si tratta della cura per la vita della comunità che gli è affidata e che si esprime soprattutto nella testimonianza della carità. Pastore della comunità – a immagine di Cristo, Buon Pastore, che offre la sua vita tutta intera per la Chiesa –, il sacerdote esiste e vive per essa; per essa prega, studia, lavora e si sacrifica; per essa è disposto a dare la vita, amandola come Cristo, riversando su di essa tutto il suo amore e la sua stima[351], prodigandosi con tutte le forze e senza limiti di tempo per renderla, a immagine della Chiesa Sposa di Cristo, sempre più bella e degna della compiacenza del Padre e dell’amore dello Spirito Santo. Questa dimensione sponsale della vita del presbitero come pastore, farà sì che egli guiderà la sua comunità servendo con dedizione tutti e ciascuno dei suoi membri, illuminando le loro coscienze con la luce della verità rivelata, custodendo autorevolmente l’autenticità evangelica della vita cristiana, correggendo gli errori, perdonando, sanando le ferite, consolando le afflizioni, promuovendo la fraternità[352]. Questo insieme di attenzioni, oltre a garantire una testimonianza di carità sempre più trasparente ed efficace, manifesterà anche la profonda comunione che deve realizzarsi tra il presbitero e la sua comunità, come prolungamento ed attualizzazione della comunione con Dio, con Cristo e con la Chiesa[353]. A imitazione di Gesù, il sacerdote non è chiamato ad essere servito, ma a servire (cf. Mt 20,28). Costantemente deve essere messo in guardia contro la tentazione di abusare, in vista di un guadagno personale, del grande rispetto e deferenza che i fedeli mostrano verso il sacerdozio e la Chiesa. Sentire con la Chiesa 78. Per essere buona guida del suo Popolo, il presbitero sarà anche attento a conoscere i segni dei tempi: da quelli che riguardano la Chiesa universale e il suo cammino nella storia degli uomini, a quelli più vicini alla situazione concreta della singola comunità. Questo discernimento richiede il costante e corretto aggiornamento nello studio delle Scienze sacre con riferimento ai diversi problemi teologici e pastorali e con l’esercizio di una sapiente riflessione sui dati sociali, culturali e scientifici che connotano il nostro tempo. Nello svolgimento del loro ministero, i presbiteri sapranno tradurre questa esigenza in una costante e sincera attitudine a sentire con la Chiesa, cosicché lavoreranno sempre nel vincolo della comunione con il Papa, con i Vescovi, con gli altri confratelli nel sacerdozio, con i diaconi, con gli altri fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici e con tutti i fedeli. I presbiteri mostrino fervente amore verso la Chiesa, che è la madre della nostra esistenza cristiana, e vivano la gioia dell’appartenenza ecclesiale come una testimonianza preziosa per l’intero popolo di Dio. Essi, inoltre, non mancheranno di richiedere, nelle forme legittime e tenendo conto delle capacità di ciascuno, la cooperazione dei fedeli consacrati e dei fedeli laici nell’esercizio della loro attività. Ferma volontà della Chiesa 79. Convinta delle profonde motivazioni teologiche e pastorali che sostengono il rapporto tra celibato e sacerdozio, e illuminata dalla testimonianza che ne conferma anche oggi la validità spirituale ed evangelica in tante esistenze sacerdotali, la Chiesa ha ribadito nel Concilio Ecumenico Vaticano II, e ripetutamente nel successivo Magistero Pontificio, la «ferma volontà di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all’ordinazione sacerdotale nel rito latino»[354]. Il celibato, infatti, è un dono gioioso che la Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta che esso è un bene per se stessa e per il mondo. Motivazione teologico-spirituale del celibato 80. Come ogni valore evangelico, anche il celibato deve essere vissuto quale dono della misericordia divina, novità liberante, particolare testimonianza di radicalismo nella sequela di Cristo e segno della realtà escatologica: «il celibato è un’anticipazione resa possibile dalla grazia del Signore che ci “tira” a sé verso il mondo della risurrezione; ci invita sempre di nuovo a trascendere noi stessi, questo presente, verso il vero presente del futuro, che diventa presente oggi»[355]. «Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti, vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 19,10-12)[356]. Il celibato si rivela come una corrispondenza nell’amore di una persona che lasciando «il padre e la madre, segue Gesù Buon Pastore, in una comunione apostolica, a servizio del Popolo di Dio»[357]. Per vivere con amore e generosità il dono ricevuto, è particolarmente importante che il sacerdote comprenda fin dalla formazione seminaristica la dimensione teologica e la motivazione spirituale della disciplina ecclesiastica sul celibato[358]. Questo, quale dono e carisma particolare di Dio, richiede l’osservanza della continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perché i ministri sacri possano aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini[359]: «il celibato, elevando integralmente l’uomo, contribuisce effettivamente alla sua perfezione»[360]. La disciplina ecclesiastica manifesta, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità, la volontà della Chiesa, e trova la sua ultima ragione nel legame stretto che il celibato ha con l’ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa[361]. La Lettera agli Efesini pone in stretto rapporto l’oblazione sacerdotale di Cristo (cf. 5,25) con la santificazione della Chiesa (cf. 5,26), amata con amore sponsale. Inserito sacramentalmente in questo sacerdozio d’amore esclusivo di Cristo per la Chiesa, sua Sposa fedele, il presbitero esprime con il suo impegno celibatario tale amore, che diventa anche sorgente feconda di efficacia pastorale. Il celibato, pertanto, non è un influsso che dall’esterno ricade sul ministero sacerdotale, né può essere considerato semplicemente un’istituzione imposta per legge, anche perché chi riceve il sacramento dell’Ordine vi si impegna con piena coscienza e libertà[362], dopo una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e l’assidua preghiera. Giunto alla ferma convinzione che Cristo gli concede questo dono per il bene della Chiesa e per il servizio degli altri, il sacerdote lo assume per tutta la vita, rafforzando questa sua volontà nella promessa già fatta durante il rito dell’ordinazione diaconale[363]. Per queste ragioni, la legge ecclesiastica, da una parte conferma il carisma del celibato, mostrando come esso sia in intima connessione col ministero sacro nella sua duplice dimensione di relazione a Cristo e alla Chiesa; dall’altra tutela la libertà di colui che lo assume[364]. Il presbitero, allora, consacrato a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo[365], deve essere ben conscio che ha ricevuto un dono da Dio che, a sua volta, sancito da un preciso vincolo giuridico, genera l’obbligo morale dell’osservanza. Tale vincolo, assunto liberamente, ha carattere teologale e morale, prima che giuridico, ed è segno di quella realtà sponsale che si attua nell’or-dinazione sacramentale. Attraverso il dono del celibato, il presbitero acquista anche quella paternità spirituale, ma reale, che ha dimensione universale e si concretizza, in modo particolare, nei confronti della comunità che gli è affidata[366]. «Sono essi figli del suo spirito, uomini affidati dal Buon Pastore alla sua sollecitudine. Questi uomini sono molti, più numerosi di quanti ne possa abbracciare una semplice famiglia umana. […] Il cuore del sacerdote, per essere disponibile a tale servizio, a tale sollecitudine e amore, deve essere libero. Il celibato è segno di una libertà, che è per il servizio. In virtù di questo segno il sacerdozio gerarchico, ossia “ministeriale”, è – secondo la tradizione della nostra Chiesa – più strettamente “ordinato” al sacerdozio comune dei fedeli»[367]. Esempio di Gesù 81. Il celibato allora, è dono di sé «in» e «con» Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa «in» e «con» il Signore[368]. L’esempio è il Signore stesso, il quale, andando contro quella che si può considerare la cultura dominante del suo tempo, ha scelto liberamente di vivere celibe. Alla sua sequela i discepoli hanno lasciato «tutto» per compiere la missione loro affidata (Lc 18,28-30). Per tale motivo la Chiesa, fin dai tempi apostolici, ha voluto conservare il dono della continenza perpetua dei chierici e si è orientata a scegliere i candidati all’Ordine sacro tra i celibi (cf. 2Ts 2,15; 1Cor 7,5; 9,5; 1Tm 3,2.12; 5,9; Tt 1,6.8)[369]. Il celibato è un dono che si riceve dalla misericordia divina[370], come scelta di libertà e accoglienza grata di una particolare vocazione di amore per Dio e per gli uomini. Esso non deve essere compreso e vissuto come fosse semplicemente un effetto collaterale del presbiterato. Difficoltà e obiezioni 82. Nell’attuale clima culturale, condizionato spesso da una visione dell’uomo carente di valori e, soprattutto, incapace di dare un senso pieno, positivo e liberante alla sessualità umana, si ripresenta spesso la domanda sull’importanza e sul significato del celibato sacerdotale o, quanto meno, sull’opportunità di affermare il suo stretto legame e la sua profonda sintonia con il sacerdozio ministeriale. «In un certo senso, può sorprendere questa critica permanente contro il celibato, in un tempo nel quale diventa sempre più di moda non sposarsi. Ma questo non-sposarsi è una cosa totalmente, fondamentalmente diversa dal celibato, perché il non-sposarsi è basato sulla volontà di vivere solo per se stessi, di non accettare alcun vincolo definitivo, di avere la vita in ogni momento in una piena autonomia, decidere in ogni momento come fare, cosa prendere dalla vita; e quindi un “no” al vincolo, un “no” alla definitività, un avere la vita solo per se stessi. Mentre il celibato è proprio il contrario: è un “si” definitivo, è un lasciarsi prendere in mano da Dio, darsi nelle mani del Signore, nel suo “io”, e quindi è un atto di fedeltà e di fiducia, un atto che suppone anche la fedeltà del matrimonio; è proprio il contrario di questo “no”, di questa autonomia che non vuole obbligarsi, che non vuole entrare in un vincolo»[371]. Il presbitero non annuncia se stesso, «ma dentro e attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote»[372]. Il modello sacerdotale è quello di essere testimone dell’Assoluto: il fatto che in molti ambienti il celibato sia oggi poco compreso o poco apprezzato, non deve portare ad ipotizzare scenari differenti, ma richiede di riscoprire in modo nuovo questo dono dell’amore di Dio per gli uomini. Infatti, il celibato sacerdotale è anche ammirato ed amato da molte persone, non cristiane. Non si può dimenticare che il celibato è vivificato dalla pratica della virtù della castità, che può essere vissuta solo attraverso la coltivazione della purezza con maturità soprannaturale e umana[373], in quanto essenziale al fine di sviluppare il talento della vocazione. Non è possibile amare Cristo e gli altri con un cuore impuro. La virtù della purezza rende capaci di vivere l’indicazione dell’Apostolo: «Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,20). D’altro canto, quando manca questa virtù, tutte le altre dimensioni vengono lese. Se è vero che nel contesto attuale sono varie le difficoltà per vivere la santa purezza, è tanto più vero che il Signore elargisce con abbondanza la sua grazia e offre i mezzi necessari per praticare, con gioia e letizia, questa virtù. È chiaro che, per garantire e custodire questo dono in un clima di sereno equilibrio e di spirituale progresso, devono essere praticate tutte quelle misure che allontanano il sacerdote da possibili difficoltà[374]. È necessario, pertanto, che i presbiteri si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con le persone la cui familiarità può mettere in pericolo la fedeltà al dono oppure suscitare lo scandalo dei fedeli[375]. Nei casi particolari si deve sottostare al giudizio del Vescovo, che ha l’obbligo di impartire norme precise in materia[376]. Come è logico, il sacerdote deve astenersi da ogni condotta ambigua e non dimenticare il prioritario dovere che ha di testimoniare l’amore redentore di Cristo. Sfortunatamente, riguardo a questa materia, alcune situazioni che purtroppo si sono verificate hanno prodotto un grande danno alla Chiesa e alla sua credibilità, sebbene si siano date molte più situazioni del genere nel mondo. L’attuale contesto richiede anche da parte dei presbiteri una sensibilità e prudenza ancora maggiori riguardo alle relazioni con bambini e protetti[377]. In particolare, si devono evitare situazioni che potrebbero dar luogo a mormorazioni (p. es., lasciare entrare bambini da soli nella casa parrocchiale o portare in macchina minori di età). Per quanto riguarda la confessione, sarebbe opportuno che di solito i minori si confessino nel confessionale durante i tempi in cui la chiesa è aperta al pubblico o che, altrimenti, se per qualche ragione fosse necessario agire diversamente, siano rispettate le corrispondenti norme di prudenza. I sacerdoti, poi, non trascurino di seguire quelle regole ascetiche garantite dall’esperienza della Chiesa e ancor più richieste dalle circostanze odierne. Evitino pertanto prudentemente di frequentare luoghi, assistere a spettacoli, praticare letture o frequentare siti internet che costituiscono un’insidia all’osservanza della castità celibataria[378] o perfino occasione e causa di gravi peccati contro la morale cristiana. Nel fare uso, come agenti o come fruitori, dei mezzi di comunicazione sociale, osservino la necessaria discrezione ed evitino tutto quanto possa nuocere alla loro vocazione. Per custodire con amore il dono ricevuto, in un clima di esasperato permissivismo sessuale, i sacerdoti facciano ricorso a tutti quei mezzi naturali e soprannaturali di cui è ricca la tradizione della Chiesa. Da una parte, l’amicizia sacerdotale, la cura di relazioni buone con le persone, l’ascesi e il dominio di sé, la mortificazione; è anche utile incentivare una cultura della bellezza, nei vari campi della vita, che aiuti la lotta nei confronti di tutto ciò che è degradante e nocivo, nutrire certa passione per il proprio ministero apostolico, accettare serenamente una certa solitudine, una sapiente e proficua gestione del tempo libero perché non diventi un tempo vuoto. Parimenti, sono essenziali la comunione con Cristo, una forte pietà eucaristica, la confessione frequente, la direzione spirituale, gli esercizi e i ritiri spirituali, uno spirito di accettazione delle croci della vita quotidiana, la fiducia e l’amore alla Chiesa, la filiale devozione alla Beata Vergine Maria e la considerazione degli esempi dei sacerdoti santi di tutti i tempi[379]. Difficoltà ed obiezioni hanno sempre accompagnato, lungo i secoli, la scelta della Chiesa Latina e di alcune Chiese Orientali di conferire il sacerdozio ministeriale solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della castità nel celibato. La disciplina delle altre Chiese Orientali, che ammettono il sacerdozio uxorato, non è contrapposta a quella della Chiesa Latina. Infatti, le stesse Chiese Orientali esigono comunque il celibato dai Vescovi. Inoltre, non consentono il matrimonio dei sacerdoti e non permettono successive nozze a quelli rimasti vedovi. Si tratta sempre e soltanto dell’ordinazione di uomini già sposati. Le obiezioni che alcuni ancor oggi presentano contro il celibato sacerdotale si fondano spesso su argomenti pretestuosi, come, per esempio, le accuse ad esso rivolte di riflettere uno spiritualismo disincarnato o di comportare diffidenza o disprezzo verso la sessualità; altre volte prendono le mosse dalla considerazione di casi tristi e dolorosi, ma pur sempre particolari, che si tende a generalizzare. Si dimentica, invece, la testimonianza offerta dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti, che vivono il proprio celibato con libertà interiore, con ricche motivazioni evangeliche, con fecondità spirituale, in un orizzonte di fedeltà convinta e gioiosa alla propria vocazione e missione, per non parlare di tanti laici che assumono felicemente un fecondo celibato apostolico. 2.11 Spirito sacerdotale di povertà Povertà come disponibilità 83. La povertà di Gesù ha uno scopo salvifico. Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cf. 2Cor 8,9). La Lettera ai Filippesi mostra il rapporto tra la spoliazione di sé e lo spirito di servizio che deve animare il ministero pastorale. Dice, infatti, san Paolo che Gesù non considerò «un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7). In verità, difficilmente il sacerdote si renderà vero servo e ministro dei suoi fratelli, se sarà preoccupato delle sue comodità e di un eccessivo benessere. Attraverso la condizione di povero, Cristo manifesta che tutto ha ricevuto fin dall’eternità dal Padre e tutto a Lui restituisce fino all’offerta totale della Sua vita. L’esempio di Cristo povero deve portare il presbitero a conformarsi a Lui, nella libertà interiore rispetto a tutti i beni e le ricchezze del mondo[380]. Il Signore ci insegna che il vero bene è Dio e che la vera ricchezza è guadagnare la vita eterna: «Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?» (Mc 8,36-37). Ogni sacerdote è chiamato a vivere la virtù della povertà che consiste essenzialmente nel consegnare il cuore a Cristo, quale vero tesoro, e non alle risorse materiali. Il sacerdote, la cui parte di eredità è il Signore (cf. Nm 18,20)[381], sa che la sua missione, come quella della Chiesa, si svolge in mezzo al mondo e che i beni creati sono necessari per lo sviluppo personale dell’uomo. Egli però userà tali beni con senso di responsabilità, moderazione, retta intenzione e distacco, proprio di chi ha il suo tesoro nei cieli e sa che tutto deve essere usato per l’edificazione del Regno di Dio (cf. Lc 10,7; Mt 10,9-10; 1Cor 9,14; Gal 6,6)[382]. Pertanto, si asterrà da quelle attività lucrative che non sono consone al suo ministero[383]. Inoltre, il presbitero deve evitare di offrire motivi perfino alla più lieve insinuazione riguardo al fatto che egli possa concepire il proprio ministero anche un’opportunità per ricavare benefici, favorire i suoi o cercare posizioni privilegiate. Egli, piuttosto, deve stare in mezzo agli uomini per servire gli altri senza misura, seguendo l’esempio di Cristo, il Buon Pastore (cf. Gv 10,10). Ricordando, inoltre, che il dono che ha ricevuto è gratuito, sia disposto a dare gratuitamente (cf. Mt 10,8; At 8,18-25)[384] e ad impiegare per il bene della Chiesa e per opere di carità quanto riceve in occasione dell’esercizio del suo ufficio, dopo aver provveduto al proprio onesto sostentamento e all’adempimento di tutti i doveri del proprio stato[385]. Il presbitero, infine, pur non assumendo la povertà con una promessa pubblica, è tenuto a condurre una vita semplice e ad astenersi da quanto può avere sapore di vanità[386], abbracciando così la povertà volontaria per seguire più da vicino Cristo[387]. In tutto (abitazione, mezzi di trasporto, vacanze, ecc.) il presbitero elimini ogni tipo di ricercatezza e di lusso[388]. In questo senso, il sacerdote deve combattere ogni giorno per non cadere nel consumismo e nella mollezza di vita, che oggi pervadono la società in molte parti del mondo. Un serio esame di coscienza lo aiuterà a verificare come sia il suo tenore di vita, la sua disponibilità a prendersi cura dei fedeli e a compiere i propri doveri; a domandarsi se i mezzi di cui si serve rispondono ad una vera necessità o se invece egli stia cercando la comodità rifuggendo dal sacrificio. Proprio nella coerenza tra quello che dice e quello che fa, specialmente in riferimento alla povertà, in buona parte si gioca la credibilità e l’efficacia apostolica del sacerdote. Amico dei più poveri, egli riserverà a questi le più delicate attenzioni della sua carità pastorale, con una opzione preferenziale per tutte le povertà vecchie e nuove, tragicamente presenti nel mondo, ricordando sempre che la prima miseria da cui deve essere liberato l’uomo è il peccato, radice ultima di ogni male. Imitare le virtù della Madre 84. Esiste una «relazione essenziale tra la Madre di Gesù e il sacerdozio dei ministri del Figlio», derivante da quella che c’è tra la divina maternità di Maria e il sacerdozio di Cristo[389]. In tale relazione è radicata la spiritualità mariana di ogni presbitero. La spiritualità sacerdotale non può dirsi completa se non prende seriamente in considerazione il testamento di Cristo crocifisso, che volle consegnare la Madre al discepolo prediletto e, tramite lui, a tutti i sacerdoti chiamati a continuare la sua opera di redenzione. Come a Giovanni ai piedi della Croce, così ad ogni presbitero è affidata, in modo speciale, Maria come Madre (cf. Gv 19,26-27). I sacerdoti, che sono tra i discepoli più amati da Gesù crocifisso e risorto, devono accogliere Maria come loro Madre nella propria vita, facendola oggetto di continua attenzione e preghiera. La sempre Vergine diventa allora la Madre che li conduce a Cristo, che fa loro amare autenticamente la Chiesa, che intercede per essi e che li guida verso il Regno dei cieli. 85. Ogni presbitero sa che Maria, perché Madre, è anche la più eminente formatrice del suo sacerdozio, giacché è Lei che sa modellare il suo cuore sacerdotale, proteggerlo dai pericoli, dalle stanchezze, dagli scoraggiamenti e vegliare, con materna sollecitudine, affinché egli possa crescere in sapienza e grazia, davanti a Dio e agli uomini (cf. Lc 2,40). Ma non si è figli devoti se non si sanno imitare le virtù della Madre. A Maria, quindi, il presbitero guarderà per essere ministro umile, obbediente, casto e per testimoniare la carità nella donazione totale al Signore e alla Chiesa[390]. L’Eucaristia e Maria 86. In ogni celebrazione eucaristica, noi riascoltiamo quell’«Ecco tuo figlio!» detto dal Figlio a sua Madre, mentre Egli stesso ripete a noi: «Ecco tua Madre!» (Gv 19,26-27). Vivere l’Eucaristia implica anche ricevere continuamente questo dono: «Maria è donna “eucaristica” con l’intera sua vita. La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero Santissimo. […] Maria è presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche. Se Chiesa ed Eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed Eucaristia»[391]. In questo modo, l’incontro con Gesù nel Sacrificio dell’Altare comporta inevitabilmente l’incontro con Maria, sua Madre. In realtà, «per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre»[392]. Capolavoro del Sacrificio sacerdotale di Cristo, la sempre Vergine Madre di Dio rappresenta la Chiesa nel modo più puro, «senza macchia né ruga», tutta «santa e immacolata» (Ef 5,27). Questa contemplazione della beata Vergine, – a cui si affianca anche San Giuseppe, maestro di vita interiore –, pone dinanzi al presbitero l’ideale a cui tendere nel ministero della propria comunità, affinché pure questa sia «Chiesa tutta gloriosa» (ibid.) mediante il dono sacerdotale della propria vita. Il sacerdote ha un bisogno costante di approfondire la sua formazione. Anche se il giorno della sua ordinazione ha ricevuto il sigillo permanente che lo ha configurato in æternum con Cristo Capo e Pastore, egli è chiamato ad un miglioramento continuo, al fine di essere più efficace nel suo ministero. In questo senso, è fondamentale che i sacerdoti siano consapevoli del fatto che la loro formazione non è finita con gli anni di seminario. Al contrario, dal giorno della sua ordinazione, il sacerdote deve sentire la necessità di perfezionarsi continuamente, per essere sempre più di Cristo Signore. 3.1 Principi Necessità della formazione permanente, oggi 87. Come ha ricordato Benedetto XVI «il tema dell’identità sacerdotale [...] è determinante per l’esercizio del sacerdozio ministeriale nel presente e nel futuro»[393]. Queste parole del Santo Padre costituiscono il punto di riferimento sul quale va impostata la formazione permanente del clero: aiutare ad approfondire il significato dell’essere sacerdote. «Il sacerdote ha come sua relazione fondamentale quella con Gesù Cristo Capo e Pastore»[394] e, in questo senso, la formazione permanente dovrebbe essere un mezzo per accrescere questa “esclusiva” relazione che necessariamente si ripercuote su tutto l’essere e l’agire del presbitero. La formazione permanente è una esigenza che nasce e si sviluppa a partire dalla recezione del sacramento dell’Ordine, con il quale il sacerdote viene non solo «consacrato» dal Padre, «inviato» dal Figlio, ma anche «animato» dallo Spirito Santo. Essa è destinata a coinvolgere e assimilare progressivamente tutta la vita e l’azione del presbitero nella fedeltà al dono ricevuto: «Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani» (2Tm 1,6). Si tratta di una necessità intrinseca allo stesso dono divino[395] che va continuamente «vivificato» perché il presbitero possa rispondere adeguatamente alla sua vocazione. Egli, infatti, in quanto uomo storicamente situato, ha bisogno di perfezionarsi in tutti gli aspetti della sua esistenza umana e spirituale per poter giungere a quella conformazione a Cristo che è il principio unificante di tutto. Le rapide e diffuse trasformazioni ed un tessuto sociale spesso secolarizzato, tipici del mondo contemporaneo, sono altrettanti fattori che rendono assolutamente ineludibile il dovere del presbitero di essere adeguatamente preparato per non diluire la propria identità e per rispondere alle necessità della nuova evangelizzazione. A questo già grave dovere corrisponde un preciso diritto da parte dei fedeli sui quali ricadono positivamente gli effetti della buona formazione e della santità dei sacerdoti[396]. 88. La vita spirituale del sacerdote ed il suo ministero pastorale vanno uniti a quel continuo lavoro su se stessi – corrispondenza all’opera di santificazione dello Spirito Santo − che consente di approfondire e raccogliere in armonica sintesi sia la formazione spirituale, sia quella umana, intellettuale e pastorale. Questo lavoro, che deve iniziare fin dal tempo del seminario, deve essere favorito dai Vescovi ai vari livelli: nazionale, regionale e, soprattutto, diocesano. È motivo di incoraggiamento poter constatare che sono molte le circoscrizioni ecclesiastiche e le Conferenze Episcopali attualmente coinvolte con promettenti iniziative per attuare una vera formazione permanente dei propri sacerdoti. Si auspica che tutte le diocesi possano rispondere a questa necessità. Tuttavia, dove ciò non fosse momentaneamente possibile, è consigliabile che esse si accordino tra di loro o prendano contatto con quelle istituzioni o persone particolarmente preparate a svolgere un compito tanto delicato[397]. Strumento di santificazione 89. La formazione permanente si presenta come mezzo necessario al presbitero per raggiungere il fine della sua vocazione, che è il servizio di Dio e del suo Popolo. Essa, in pratica, consiste nell’aiutare tutti i sacerdoti a rispondere generosamente all’impegno richiesto dalla dignità e dalla responsabilità che Dio ha conferito loro per mezzo del sacramento dell’Ordine; nel custodire, difendere e sviluppare la loro specifica identità e vocazione; nel santificare se stessi e gli altri mediante l’esercizio del sacro ministero. Ciò significa che il presbitero deve evitare qualsiasi dualismo tra spiritualità e ministerialità, origine profonda di talune crisi. È chiaro che per raggiungere queste finalità di ordine soprannaturale, devono essere scoperti ed analizzati i criteri generali sui quali si deve strutturare la formazione permanente dei presbiteri. Tali criteri o principi generali di organizzazione devono essere pensati a partire dalla finalità che ci si è proposti o, per meglio dire, vanno ricercati in essa. Deve essere impartita dalla Chiesa 90. La formazione permanente è un diritto-dovere del presbitero ed impartirla è un diritto-dovere della Chiesa. Esso perciò è stabilito nella legge universale[398]. Infatti, come la vocazione al ministero sacro si riceve nella Chiesa, così solo alla Chiesa compete impartire la specifica formazione secondo la responsabilità propria di tale ministero. La formazione permanente, pertanto, essendo un’attività legata all’esercizio del sacerdozio ministeriale, appartiene alla responsabilità del Papa e dei Vescovi. La Chiesa ha quindi il dovere e il diritto di continuare a formare i suoi ministri, aiutandoli a progredire nella risposta generosa al dono che Dio ha loro concesso. A sua volta, il ministro ha ricevuto anche, come esigenza del dono connesso con l’ordinazione, il diritto di avere l’aiuto necessario da parte della Chiesa per realizzare efficacemente e santamente il suo servizio. Deve essere permanente 91. L’attività di formazione si basa su un’esigenza dinamica, intrinseca al carisma ministeriale, che è in sé stesso permanente ed irreversibile. Essa, pertanto, non può mai essere considerata terminata, né da parte della Chiesa che la impartisce, né da parte del ministro che la riceve. È necessario, quindi, che essa sia pensata e sviluppata in modo che tutti i presbiteri possano riceverla sempre, tenendo conto di quelle possibilità e caratteristiche che si collegano al variare dell’età, della condizione di vita e dei compiti affidati[399]. Deve essere completa 92. Tale formazione deve comprendere ed armonizzare tutte le dimensioni della formazione sacerdotale; deve cioè tendere ad aiutare ogni presbitero: a raggiungere lo sviluppo di una personalità umana maturata nello spirito di servizio agli altri, qualunque sia l’incarico ricevuto; ad essere intellettualmente preparato nelle scienze teologiche in armonia con il Magistero della Chiesa[400] e anche in quelle umane in quanto connesse con il proprio ministero, in modo da svolgere con maggiore efficacia la sua funzione di testimone della fede; a possedere una vita spirituale solida, nutrita dall’intimità con Gesù Cristo e dall’amore per la Chiesa; a svolgere il suo ministero pastorale con impegno e dedizione. In pratica, tale formazione dev’essere completa: umana, spirituale, intellettuale, pastorale, sistematica e personalizzata. Formazione umana 93. La formazione umana è particolarmente importante, giacché «senza un’opportuna formazione umana l’intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario fondamento»[401]; oggettivamente costituisce la piattaforma ed il fondamento sul quale è possibile edificare l’edificio della formazione intellettuale, spirituale e pastorale. Il presbitero non deve dimenticare che «scelto fra gli uomini, [...] resta uno di essi ed è chiamato a servirli donando loro la vita di Dio»[402]. Perciò come fratello tra i suoi fratelli, per santificarsi e per riuscire nella sua missione sacerdotale, egli dovrà presentarsi con un bagaglio di virtù umane che lo rendano degno della stima degli altri. Bisogna ricordare che «per il sacerdote, il quale dovrà accompagnare altri lungo il cammino della vita e fino alla porta della morte, è importante che egli stesso abbia messo in giusto equilibrio cuore e intelletto, ragione e sentimento, corpo e anima, e che sia umanamente “integro”»[403]. In particolare, con lo sguardo fisso su Cristo, il sacerdote dovrà praticare la bontà del cuore, la pazienza, l’amabilità, la forza d’animo, l’amore per la giustizia, l’equilibrio, la fedeltà alla parola data, la coerenza con gli impegni liberamente assunti, ecc[404]. La formazione permanente in questo campo favorisce la crescita nelle virtù umane, aiutando i presbiteri a vivere in ogni momento «l’unità di vita nello svolgimento del ministero»[405], dalla cordialità del tratto, alle ordinarie regole di buon comportamento o alla capacità di stare in ogni contesto. Esiste un nesso fra vita umana e vita spirituale, che dipende dall’unità di anima e di corpo propria della natura umana, ragion per cui, laddove permangono gravi deficit umani, la “struttura” della personalità non è mai al riparo da improvvisi “crolli”. È altresì importante che il sacerdote rifletta sul suo comportamento sociale, sulla correttezza e buona educazione – che nascono anche dalla carità e dall’umiltà –, nelle varie forme di relazioni umane, sui valori dell’amicizia, sulla signorilità del tratto, ecc. Finalmente, nella situazione culturale odierna, questa formazione deve essere impostata anche per contribuire – facendo ricorso, se ci fosse bisogno, all’ausilio delle scienze psicologiche[406]– alla maturazione umana: essa, anche se risulta difficile da precisare nei suoi contenuti, implica, senz’altro, equilibrio ed armonia nell’integrazione delle tendenze e dei valori, stabilità psicologica ed affettiva, prudenza, oggettività nei giudizi, fortezza nel dominio del proprio carattere, sociabilità, ecc. In questo modo, si aiutano i presbiteri, particolarmente i giovani, a crescere nella maturazione umana e affettiva. In quest’ultimo aspetto, si insegnerà anche, con delicatezza, a vivere la castità, insieme con la modestia ed il pudore, in particolare nell’uso prudente della televisione e di internet. Riveste infatti speciale importanza la formazione nell’uso dell’internet e, in generale, delle nuove tecnologie di comunicazione. La sobrietà e la temperanza sono necessarie per evitare ostacoli per la vita d’intimità con Dio. Il mondo web presenta molte potenzialità in vista dell’evangelizzazione, che tuttavia, mal gestite, possono arrecare anche gravi danni alle anime; a volte, sotto pretesti di un migliore sfruttamento del tempo o della necessità di essere informati, si può fomentare una curiosità disordinata che ostacola il sempre necessario raccoglimento dal quale deriva l’efficacia dell’impegno. In questa linea, anche se l’uso dell’internet costituisce un’utile opportunità per portare l’annuncio evangelico a molte persone, il sacerdote dovrà valutare con prudenza e ponderazione il suo coinvolgimento, in modo tale da non sottrarre tempo al suo ministero pastorale in aspetti quali la predicazione della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti, la direzione spirituale ecc., in cui egli è veramente insostituibile. In ogni caso, la sua partecipazione in questi nuovi ambiti dovrà riflettere sempre speciale carità, senso soprannaturale, sobrietà e temperanza, in modo tale da far sì che tutti si sentano attirati non tanto alla figura del sacerdote, quanto piuttosto alla Persona di Gesù Cristo nostro Signore. Formazione spirituale 94. Tenendo presente quanto già ampiamente esposto circa la vita spirituale, ci si limita qui a presentare alcuni mezzi pratici di formazione. Sarebbe necessario innanzitutto approfondire gli aspetti principali dell’esistenza sacerdotale facendo riferimento, in particolare, all’insegnamento biblico, patristico, teologico, ed agiografico, nel quale il presbitero deve continuamente aggiornarsi, non solo tramite le letture di buoni libri, ma anche partecipando a corsi di studio, congressi, ecc[407]. Sessioni particolari potrebbero essere dedicate alla cura della celebrazione dei sacramenti, come anche allo studio di questioni di spiritualità, quali le virtù cristiane e umane, il modo di pregare, il rapporto tra la vita spirituale ed il ministero liturgico, pastorale, ecc. Più concretamente, è auspicabile che ogni presbitero, magari in concomitanza ai periodici esercizi spirituali, elabori un concreto progetto di vita personale, concordato col proprio direttore spirituale, per il quale si segnalano alcuni punti: 1. meditazione quotidiana sulla Parola o su un mistero della fede; 2. quotidiano incontro personale con Gesù nell’Eucaristia, oltre alla devota celebrazione della Santa Messa e alla confessione frequente; 3. devozione mariana (Rosario, consacrazione o affidamento, intimo colloquio); 4. momento formativo dottrinale e agiografico; 5. doveroso riposo; 6. rinnovato impegno sulla messa in pratica degli indirizzi del proprio Vescovo e di verifica della propria convinta adesione al Magistero e alla disciplina ecclesiastica; 7. cura della comunione e dell’amicizia e fraternità sacerdotali. Altri aspetti, quali l’amministrazione del proprio tempo e dei propri beni, il lavoro e la importanza di lavorare insieme agli altri, vanno anch’essi approfonditi. Formazione intellettuale 95. Visto l’enorme influsso che le correnti umanistico-filosofiche hanno sulla cultura moderna, nonché il fatto che i presbiteri non sempre hanno ricevuto adeguata preparazione in tali discipline, anche perché provenienti da indirizzi scolastici diversi, si rende necessario che, negli incontri, siano tenute presenti le più rilevanti tematiche di carattere umanistico e filosofico o che comunque «hanno un rapporto con le scienze sacre, particolarmente in quanto possono essere utili nell’esercizio del ministero pastorale»[408]. Tali tematiche costituiscono anche un valido aiuto per trattare correttamente i principali argomenti di Sacra Scrittura, di teologia fondamentale, dogmatica e morale, di liturgia, di diritto canonico, di ecumenismo, ecc., tenendo presente che l’insegnamento di queste materie non deve sviluppare eccessivamente la problematizzazione né essere solo teorico o informativo, ma deve portare all’autentica formazione, cioè alla preghiera, alla comunione e all’azione pastorale. Inoltre, dedicare un tempo – possibilmente quotidiano − allo studio di manuali o saggi di filosofia, teologia e diritto canonico sarà di grande aiuto per approfondire il sentire cum Ecclesia; in questo compito, il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio costituiscono un prezioso strumento di base. Si faccia in modo che negli incontri sacerdotali i documenti del Magistero siano approfonditi comunitariamente, sotto autorevole guida, in modo da facilitare, nella pastorale diocesana, quell’unità di interpretazione e di prassi che tanto giova all’opera di evangelizzazione. Particolare importanza nella formazione intellettuale va data alla trattazione di temi che hanno oggi maggior rilievo nel dibattito culturale e nella prassi pastorale, come, ad esempio, quelli relativi all’etica sociale, alla bioetica, ecc. Una trattazione speciale deve essere riservata alle questioni poste dal progresso scientifico, particolarmente influente sulla mentalità e sulla vita degli uomini contemporanei. Il presbitero non dovrà esimersi dal mantenersi adeguatamente aggiornato e pronto a dare ragione della sua speranza (cf. 1Pt 3,15) di fronte agli interrogativi che i fedeli – molti di loro di cultura elevata −, possono porre, essendo al corrente del progresso delle scienze, e non mancando di consultare esperti preparati e di sicura dottrina. Di fatto, nel presentare la Parola di Dio, il presbitero deve tener conto della crescita progressiva della formazione intellettuale delle persone e quindi saper adeguarsi al loro livello e a seconda anche dei vari gruppi o luoghi di provenienza. È del massimo interesse studiare, approfondire e diffondere la dottrina sociale della Chiesa. Seguendo la spinta dell’insegnamento magisteriale, è necessario che l’interesse di tutti i sacerdoti e, per mezzo di essi, di tutti i fedeli a favore dei bisognosi non rimanga al livello di pio desiderio, ma si converta in un concreto impegno di vita. «Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna»[409]. Un’esigenza imprescindibile per la formazione intellettuale dei sacerdoti è la conoscenza e l’utilizzazione prudente, nella loro attività ministeriale, dei mezzi di comunicazione sociale. Questi, se bene adoperati, costituiscono un provvidenziale strumento di evangelizzazione, potendo raggiungere non solo una massa enorme di fedeli e di lontani, ma anche incidere profondamente sulla loro mentalità e sul loro modo di agire. A tal proposito, sarebbe opportuno che il Vescovo o la stessa Conferenza Episcopale preparassero programmi e strumenti tecnici atti allo scopo. Allo stesso tempo, il sacerdote deve evitare ogni protagonismo, in modo che non sia lui a brillare davanti agli uomini e alle donne del suo tempo, ma il Signore Gesù. Formazione pastorale 96. Per un’adeguata formazione pastorale, è necessario realizzare incontri aventi come obiettivo principale la riflessione sul piano pastorale della Diocesi. In essi, non dovrebbe mancare anche la trattazione di tutte le questioni attinenti alla vita e alla pratica pastorale dei presbiteri come, per esempio, la morale fondamentale, l’etica nella vita professionale e sociale, ecc. Può essere di particolare interesse l’organizzazione di corsi o seminari sulla pastorale del sacramento della Confessione[410] o su questioni pratiche di direzione spirituale, sia in generale che in situazioni specifiche. La formazione pratica nel campo della liturgia possiede anche una particolare importanza. Si dovrebbe riservare speciale attenzione ad imparare a celebrare bene la Santa Messa − come già notato, l’ars celebrandi è una condizione sine qua non della actuosa partecipatio dei fedeli − ed all’adorazione fuori dalla Messa. Altri temi, particolarmente utili da trattare, possono essere quelli riguardanti la catechesi, la famiglia, le vocazioni sacerdotali e religiose, la conoscenza della vita e della spiritualità dei santi, i giovani, gli anziani, gli infermi, l’ecumenismo, i cosiddetti «lontani», le questioni bioetiche, ecc. È molto importante per la pastorale, nelle attuali circostanze, organizzare cicli speciali per approfondire ed assimilare il Catechismo della Chiesa Cattolica che, soprattutto per i sacerdoti, costituisce un prezioso strumento di formazione sia per la predicazione, sia, in genere, per l’opera di evangelizzazione. Deve essere organica e completa 97. Perché la formazione permanente sia completa, bisogna che essa sia strutturata «non come qualcosa di episodico, ma come una proposta sistematica di contenuti, che si snoda per tappe e si riveste di modalità precise»[411]. Questo comporta la necessità di creare una certa struttura organizzativa che stabilisca opportunamente strumenti, tempi e contenuti per la sua concreta ed adeguata realizzazione. In questo senso sarà utile ritornare nella vita del sacerdote su temi come: la conoscenza delle Scritture nella loro interezza, dei Padri della Chiesa e dei grandi Concili; di ciascuno dei contenuti della fede nella sua unità; di questioni essenziali della teologia morale e della dottrina sociale della Chiesa; di teologia ecumenica e dell’orientamento fondamentale sulle grandi religioni in rapporto con i dialoghi ecumenico, interreligioso ed interculturale; della filosofia e del diritto canonico[412]. A tale organizzazione, deve accompagnarsi l’abitudine dello studio personale, giacché anche i corsi periodici risulterebbero di scarsa utilità se non fossero accompagnati dall’applicazione personale allo studio[413]. Deve essere personalizzata 98. Sebbene si impartisca a tutti, la formazione permanente ha come obiettivo diretto il servizio a ciascuno di coloro che la ricevono. Così, accanto a mezzi collettivi o comuni, devono esistere tutti quegli altri mezzi che tendono a personalizzare la formazione di ognuno. Per questa ragione va favorita, soprattutto tra i responsabili, la coscienza di dover raggiungere ogni sacerdote personalmente, prendendosi cura di ciascuno, non accontentandosi di mettere a disposizione di tutti le diverse opportunità. A sua volta, ogni presbitero deve sentirsi incoraggiato, con la parola e con l’esempio del suo Vescovo e dei suoi fratelli nel sacerdozio, ad assumersi la responsabilità della propria formazione, essendo egli il primo formatore di se stesso[414]. Incontri sacerdotali 99. L’itinerario degli incontri sacerdotali deve avere la caratteristica dell’unitarietà e della progressione per tappe. Tale unitarietà deve convergere nella conformazione a Cristo, di modo che le verità di fede, la vita spirituale e l’attività ministeriale portino alla progressiva maturazione di tutto il presbiterio. Il cammino formativo unitario è scandito da tappe ben definite. Ciò esigerà una specifica attenzione alle diverse fasce di età dei presbiteri, non trascurandone alcuna, come pure una verifica delle tappe compiute, con l’avvertenza di accordare tra loro i cammini formativi comunitari con quelli personali, senza dei quali i primi non potrebbero sortire effetto. Gli incontri dei sacerdoti sono da ritenersi necessari per crescere nella comunione, per una sempre maggiore presa di coscienza e per un’adeguata disamina dei problemi propri di ciascuna fascia di età. Circa i contenuti di tali riunioni, ci si può rifare ai temi eventualmente proposti dalle Conferenze Episcopali nazionali e regionali. In ogni caso, è necessario che essi siano stabiliti in un preciso piano di formazione della diocesi, possibilmente aggiornato ogni anno[415]. La loro organizzazione ed il loro svolgimento potranno essere prudentemente affidati dal Vescovo a Facoltà o Istituti teologici e pastorali, al seminario, ad organismi o federazioni impegnati nella formazione sacerdotale[416], a qualche altro Centro o Istituto specializzato che, a seconda delle possibilità ed opportunità, potrà essere diocesano, regionale o nazionale, purché sia accertata la rispondenza alle esigenze di ortodossia dottrinale, di fedeltà al Magistero e alla disciplina ecclesiastica, nonché la competenza scientifica e l’adeguata conoscenza delle reali situazioni pastorali. Anno Pastorale 100. Sarà cura del Vescovo, anche attraverso eventuali cooperazioni prudentemente scelte, provvedere affinché nell’anno successivo alla ordinazione presbiterale o a quella diaconale, venga programmato un anno cosiddetto pastorale che faciliti il passaggio dalla indispensabile vita di seminario all’esercizio del sacro ministero, procedendo per gradi, facilitando una progressiva ed armonica maturazione umana e specificamente sacerdotale[417]. Durante il corso di questo anno, occorrerà evitare che i neo ordinati siano immessi in situazioni eccessivamente gravose o delicate, così come si dovranno evitare destinazioni nelle quali essi si trovino ad agire lontani dai confratelli. Sarà bene, anzi, nei modi possibili, favorire qualche opportuna forma di vita comune. Questo periodo di formazione potrebbe essere trascorso in una residenza appositamente destinata allo scopo (Casa del Clero) o in un luogo che possa costituire un preciso e sereno punto di riferimento per tutti i sacerdoti che sono alle prime esperienze pastorali. Ciò faciliterà il colloquio ed il confronto con il Vescovo e con i confratelli, la preghiera comune, in particolare la Liturgia delle Ore, nonché l’esercizio di altre fruttuose pratiche di pietà quali l’adorazione eucaristica, il santo Rosario, ecc., lo scambio di esperienze, il reciproco incitamento, il fiorire di sani rapporti di amicizia. È opportuno che il Vescovo indirizzi i neo-sacerdoti a confratelli di vita esemplare e zelo pastorale. La prima destinazione, nonostante le spesso gravi urgenze pastorali, dovrebbe rispondere soprattutto all’esigenza di instradare correttamente i giovani presbiteri. Il sacrificio di un anno potrà allora fruttificare largamente per l’avvenire. Non è superfluo sottolineare il fatto che questo anno, delicato e prezioso, dovrà favorire la maturazione piena della conoscenza fra il presbitero ed il suo Vescovo, che, iniziata in seminario, deve diventare un vero rapporto da figlio a padre. Per quanto attiene alla parte intellettuale, questo anno non dovrà essere tanto un periodo di apprendimento di nuove materie, quanto piuttosto di profonda assimilazione ed interiorizzazione di ciò che è stato studiato nei corsi istituzionali, in modo da favorire la formazione di una mentalità capace di valutare i particolari alla luce del disegno di Dio[418]. In tale contesto, potranno opportunamente strutturarsi lezioni e seminari di prassi della confessione, di liturgia, di catechesi e di predicazione, di diritto canonico, di spiritualità sacerdotale, laicale e religiosa, di dottrina sociale, della comunicazione e dei suoi mezzi, di conoscenza delle sette e delle nuove religiosità, ecc. In pratica, l’opera di sintesi deve costituire la via sulla quale passa l’anno pastorale. Ogni elemento deve corrispondere al progetto fondamentale di maturazione della vita spirituale. La riuscita dell’anno pastorale è comunque e sempre condizionata dall’impegno personale dello stesso interessato che deve tendere ogni giorno alla santità, nella continua ricerca dei mezzi di santificazione che lo hanno aiutato fin dal seminario. Inoltre, quando in alcune diocesi esistano difficoltà pratiche – scarsità di sacerdoti, molto lavoro pastorale, ecc. – per organizzare un anno con le suddette caratteristiche, il Vescovo deve studiare come adattare alla situazione concreta le diverse proposte per l’anno pastorale, tenendo conto che esso risulta comunque di grande importanza per la formazione e la perseveranza nel ministero dei giovani sacerdoti. Tempi di riposo 101. Il pericolo dell’abitudine, la stanchezza fisica dovuta al superlavoro al quale, oggi soprattutto, sono sottoposti i presbiteri a causa del loro ministero, la stessa stanchezza psicologica causata dal dover lottare spesso contro l’incomprensione, il fraintendimento, i pregiudizi, l’andare contro forze organizzate e potenti che operano per accreditare pubblicamente l’opinione secondo la quale oggi il sacerdote appartiene ad una minoranza culturalmente obsoleta, sono altrettanti fattori che possono insinuare disagio nell’animo del pastore. Nonostante le urgenze pastorali, anzi proprio per far fronte ad esse in modo adeguato, è conveniente riconoscere i nostri limiti e «trovare e avere l’umiltà, il coraggio di riposare»[419]. Anche se normalmente sarà il riposo ordinario il mezzo più efficace per riprendere le forze e continuare a lavorare per il Regno di Dio, può essere utile che ai presbiteri siano concessi tempi più o meno lunghi per poter sostare più serenamente ed intensamente con il Signore Gesù, riprendendo forza e coraggio per continuare il cammino di santificazione. Per rispondere a questa particolare esigenza, in molti luoghi già sono state sperimentate, spesso con promettenti risultati, diverse iniziative. Queste esperienze sono valide e possono essere prese in considerazione, nonostante le difficoltà che si incontrano in alcune zone dove maggiormente si soffre la carenza numerica dei presbiteri. Allo scopo, potrebbero avere una funzione notevole i monasteri, i santuari o altri luoghi di spiritualità, possibilmente fuori dei grandi centri, lasciando il presbitero libero da responsabilità pastorali dirette per il periodo in cui vi si ritira. In alcuni casi potrà essere utile che queste soste abbiano finalità di studio o di approfondimento delle scienze sacre, senza dimenticare, nel contempo, lo scopo del rinvigorimento spirituale ed apostolico. In ogni caso, sia accuratamente evitato il pericolo di considerare questi periodi come un tempo di mera vacanza o di rivendicarli come un diritto; e più che mai il sacerdote senta il bisogno, nei giorni di riposo, di celebrare il Sacrificio eucaristico, centro e origine della sua vita. Casa del Clero 102. È da auspicare, dove possibile, la erezione di una “Casa del Clero” che potrebbe costituire anche luogo di ritrovo per tenere gli accennati incontri di formazione e di riferimento per numerose altre circostanze. Tale casa dovrebbe offrire tutte quelle strutture organizzative che possano renderla confortevole ed attraente. Laddove ancora tale centro non esistesse e le necessità lo suggerissero, è consigliabile creare, a livello nazionale o regionale, strutture adatte per il recupero fisico-psichico-spirituale di sacerdoti in particolari necessità. Ritiri ed Esercizi Spirituali 103. Come dimostra la lunga esperienza spirituale della Chiesa, i ritiri e gli esercizi spirituali sono uno strumento idoneo ed efficace per un’adeguata formazione permanente del clero. Essi conservano anche oggi tutta la loro necessità ed attualità. Contro una prassi che tende a svuotare l’uomo di tutto ciò che è interiorità, il sacerdote deve trovare Dio e se stesso facendo delle soste spirituali per immergersi nella meditazione e nella preghiera. Per questo la legislazione canonica stabilisce che i chierici: «sono tenuti a partecipare ai ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare»[420]. Le due modalità più usuali, che potrebbero essere prescritte dal Vescovo nella propria diocesi, sono il ritiro spirituale di un giorno, possibilmente mensile, ed i corsi annuali di ritiro, ad esempio di sei giorni. È molto opportuno che il Vescovo programmi ed organizzi i ritiri periodici e gli esercizi spirituali annuali in modo che ogni sacerdote abbia la possibilità di sceglierli tra quelli che normalmente vengono tenuti, nella diocesi o fuori, da sacerdoti esemplari, Associazioni sacerdotali[421] o da Istituti religiosi particolarmente sperimentati per il loro stesso carisma nella formazione spirituale, o presso monasteri. È anche consigliabile l’organizzazione di un ritiro speciale per sacerdoti ordinati negli ultimi anni, nel quale abbia parte attiva lo stesso Vescovo[422]. Durante tali incontri, è importante che si focalizzino temi spirituali, si offrano larghi spazi di silenzio e di preghiera e siano particolarmente curate le celebrazioni liturgiche, il sacramento della Penitenza, l’adorazione eucaristica, la direzione spirituale e gli atti di venerazione e di culto alla Beata Vergine Maria. Per conferire maggiore importanza ed efficacia a questi strumenti di formazione, il Vescovo potrebbe nominare appositamente un sacerdote col compito di organizzare i tempi e i modi del loro svolgimento. In ogni caso, bisogna che i ritiri, e specialmente gli esercizi spirituali annuali, siano vissuti come tempi di preghiera e non come corsi di aggiornamento teologico-pastorale. Necessità della programmazione 104. Pur riconoscendo le consuete difficoltà di una vera formazione permanente, a causa soprattutto dei numerosi e gravosi compiti a cui sono chiamati i sacerdoti, tutte le difficoltà sono superabili se esiste un vero e responsabile impegno. Per mantenersi all’altezza delle circostanze ed affrontare le esigenze dell’urgente lavoro di evangelizzazione, si rende necessaria – fra l’altro – una coraggiosa azione pastorale finalizzata a prendersi cura dei sacerdoti. È indispensabile che i Vescovi esigano, con la forza della carità, che i loro sacerdoti eseguano generosamente le legittime disposizioni emanate in questa materia. L’esistenza di un “piano di formazione permanente” comporta che esso sia, non solo concepito o programmato, ma anche realizzato. Per questo, è necessaria una chiara strutturazione del lavoro, con obiettivi, contenuti e strumenti per realizzarlo. «Questa responsabilità conduce il Vescovo, in comunione con il presbiterio, a delineare un progetto ed a stabilire una programmazione capaci di configurare la formazione permanente non come qualcosa di episodico, ma come una proposta sistematica di contenuti, che si snoda per tappe e si riveste di modalità precise»[423]. Il presbitero stesso 105. Il primo e principale responsabile della propria formazione permanente è il presbitero stesso. In realtà, su ciascun sacerdote incombe il dovere di essere fedele al dono di Dio e al dinamismo di conversione quotidiana che viene dal dono stesso[424]. Tale dovere deriva dal fatto che nessuno può sostituire il singolo presbitero nel vigilare su se stesso (cf. 1Tm 4,16). Egli, infatti, partecipando all’unico sacerdozio di Cristo, è chiamato a rivelarne ed attuarne, secondo una sua vocazione unica e irripetibile, qualche aspetto della straordinaria ricchezza di grazia che ha ricevuto. D’altra parte, le condizioni e le situazioni di vita di ogni singolo sacerdote sono tali che, anche dal punto di vista semplicemente umano, esigono che egli si coinvolga personalmente nella sua formazione, in modo da mettere a frutto le proprie capacità e possibilità. Pertanto, parteciperà volentieri agli incontri di formazione, dando il proprio contributo in base alle sue competenze e alle possibilità concrete e provvederà a fornirsi e a leggere libri e riviste che siano di sicura dottrina e di sperimentata utilità per la sua vita spirituale e per il fruttuoso svolgimento del suo ministero. Tra le letture, il primo posto dev’essere occupato dalla Sacra Scrittura; quindi dagli scritti dei Padri, dei Dottori della Chiesa, dei Maestri di spiritualità antichi e moderni, e dai Documenti del Magistero ecclesiastico, i quali costituiscono la fonte più autorevole e aggiornata della formazione permanente; inoltre, gli scritti e le biografie dei santi saranno anche di grande utilità. I presbiteri, pertanto, li studieranno ed approfondiranno in modo diretto e personale per poterli adeguatamente presentare ai fedeli laici. Aiuto dei confratelli 106. In tutti gli aspetti dell’esistenza sacerdotale emergeranno i «particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità»[425], sui quali si fonda l’aiuto reciproco che i presbiteri si presteranno[426]. È auspicabile che cresca e si sviluppi la cooperazione di tutti i presbiteri nella cura della loro vita spirituale ed umana, nonché del servizio ministeriale. L’aiuto che in questo campo deve essere fornito ai sacerdoti può trovare un solido sostegno nelle diverse Associazioni sacerdotali. Si tratta di realtà che «avendo gli statuti approvati dall’autorità competente, mediante una regola di vita adatta e convenientemente approvata e mediante l’aiuto fraterno, stimolano alla santità nell’esercizio del ministero e favoriscono l’unità dei chierici fra di loro e col proprio Vescovo»[427]. In quest’ottica, occorre rispettare, con ogni cura, il diritto di ciascun sacerdote diocesano ad impostare la propria vita spirituale nel modo che ritiene maggiormente opportuno, sempre conformemente − come è ovvio − alle caratteristiche della propria vocazione e dei vincoli che da essa derivano. Il lavoro che queste Associazioni, come anche i Movimenti e le nuove comunità approvati, compiono in favore dei sacerdoti è tenuto in grande considerazione dalla Chiesa[428], che lo riconosce oggi come un segno della vitalità con la quale lo Spirito Santo la rinnova continuamente. Il Vescovo 107. Per quanto ampia e bisognosa di cura pastorale possa essere la porzione del Popolo di Dio che gli è affidata, il Vescovo deve riservare una sollecitudine del tutto particolare nei riguardi della formazione permanente dei suoi presbiteri[429]. Esiste, infatti, un rapporto speciale tra questi e il Vescovo, dovuto al «fatto che i presbiteri ricevono attraverso di lui il loro sacerdozio e condividono con lui la sollecitudine pastorale verso il Popolo di Dio»[430]. Ciò determina anche specifiche responsabilità del Vescovo nel campo della formazione sacerdotale. Di fatto, il Vescovo deve avere un atteggiamento da Padre, rispetto dei propri sacerdoti, a cominciare dai seminaristi, evitando una lontananza o uno stile personale proprio di un semplice datore di lavoro. In virtù di questa sua funzione deve essere sempre vicino ai suoi presbiteri, facilmente accessibile: la sua prima preoccupazione devono essere i propri sacerdoti, vale a dire, i collaboratori nel suo ministero episcopale. Tali responsabilità si esprimono sia nei riguardi dei singoli presbiteri, per cui la formazione deve essere il più possibile personalizzata, sia nei riguardi di tutti, in quanto formanti il presbiterio diocesano. In tal senso, il Vescovo non mancherà di coltivare premurosamente la comunicazione e la comunione tra i presbiteri, avendo cura, in particolare, di custodire e promuovere la vera indole della formazione permanente, educare la loro coscienza circa la sua importanza e necessità e, infine, programmarla ed organizzarla stabilendo un piano di formazione, le strutture necessarie e le persone adatte per attuarlo[431]. Nel provvedere alla formazione dei suoi sacerdoti, bisogna che il Vescovo si coinvolga con la propria e personale formazione permanente. L’esperienza insegna che quanto più il Vescovo, per primo, è convinto e impegnato nella propria formazione, tanto più saprà stimolare e sostenere quella del suo presbiterio. In questa delicata opera, il Vescovo, pur svolgendo un ruolo insostituibile e indelegabile, saprà chiedere la collaborazione del consiglio presbiterale il quale, per la sua natura e le sue finalità, è l’organismo idoneo a coadiuvarlo specialmente per quanto riguarda, per esempio, l’elaborazione del piano di formazione. Ogni Vescovo, poi, si sentirà sostenuto ed aiutato nel suo compito dagli altri confratelli Vescovi, riuniti in Conferenza[432]. La formazione dei formatori 108. Nessuna formazione è possibile se non c’è, oltre al soggetto che si deve formare, anche il soggetto che forma, il formatore. La bontà e l’efficacia di un piano di formazione dipendono in parte dalle strutture ma, principalmente, dalle persone dei formatori. È evidente che nei riguardi di tali formatori si fa particolarmente imprescindibile la responsabilità del Vescovo, che ha in primo luogo il delicato compito di formare i formatori perché abbiano «quella ‘scienza dell’amore’ che si apprende solo nel ‘cuore a cuore’ con Cristo»[433]. Così, sotto la guida del Vescovo, questi presbiteri imparano a non avere altro desiderio che quello di servire i loro confratelli con questo lavoro di formazione. È necessario, pertanto, che lo stesso Vescovo nomini un “gruppo di formatori” e che le persone siano scelte tra quei sacerdoti altamente qualificati e stimati per la loro preparazione e maturità umana, spirituale, culturale e pastorale. I formatori, infatti, devono essere anzitutto uomini di preghiera, docenti con forte senso del soprannaturale, di profonda vita spirituale, di condotta esemplare, con adeguata esperienza nel ministero sacerdotale, capaci di coniugare, come i Padri della Chiesa e i santi maestri di tutti i tempi, le esigenze spirituali con quelle più propriamente umane del sacerdote. Essi possono essere scelti anche tra i membri dei seminari, dei centri o istituzioni accademiche approvate dall’Autorità ecclesiastica, nonché entro quegli Istituti Religiosi il cui carisma riguarda proprio la vita e la spiritualità sacerdotale. In ogni caso devono essere garantite l’ortodossia della dottrina e la fedeltà alla disciplina ecclesiastica. I formatori, inoltre, devono essere collaboratori di fiducia del Vescovo, che rimane l’ultimo responsabile della formazione dei presbiteri, che sono i suoi più preziosi collaboratori. È opportuno che si crei anche un gruppo di programmazione e di realizzazione, diverso da quello dei formatori, con lo scopo di aiutare il Vescovo a fissare i contenuti da sviluppare ogni anno in ciascuno degli ambiti della formazione permanente; preparare i sussidi necessari; predisporre i corsi, le sessioni, gli incontri e i ritiri; organizzare opportunamente i calendari, in modo da prevedere le assenze e le sostituzioni dei presbiteri, ecc. Per una buona programmazione si può anche utilizzare la consulenza di qualche specialista in temi particolari. Mentre è sufficiente un solo gruppo di formatori, è invece possibile che esistano, se le necessità lo richiedono, vari gruppi di programmazione e di realizzazione. Collaborazione tra le Chiese 109. Per quanto riguarda soprattutto i mezzi collettivi, la programmazione dei differenti mezzi di formazione permanente e dei loro contenuti concreti può essere stabilita – ferma restando la responsabilità del proprio Vescovo per la sua circoscrizione − di comune accordo tra varie Chiese particolari, sia a livello nazionale e regionale – tramite le rispettive Conferenze dei Vescovi – sia, principalmente, tra diocesi confinanti o più vicini. Così, per esempio, si potrebbero utilizzare, se ritenute adatte, le strutture interdiocesane, come le Facoltà e gli Istituti teologici e pastorali, nonché gli organismi o le federazioni impegnati nella formazione presbiterale. Tale unione di forze, oltre a realizzare un’autentica comunione tra le Chiese particolari, potrebbe offrire a tutti più qualificate e stimolanti possibilità per la formazione permanente[434]. Collaborazione di centri accademici e di spiritualità 110. Inoltre, gli istituti di studio e di ricerca, i centri di spiritualità, così come i monasteri di esemplare osservanza ed i santuari, costituiscono altrettanti punti di riferimento per l’aggiornamento teologico e pastorale nonché luoghi dove coltivare il silenzio, l’orazione, la pratica della confessione e della direzione spirituale, il salutare riposo anche fisico, i momenti di fraternità sacerdotale. In questo modo, anche le famiglie religiose potrebbero collaborare alla formazione permanente e contribuire a quel rinnovamento del clero che è esigito dalla nuova evangelizzazione del Terzo Millennio. 3.4 Necessità in ordine alle età e a speciali situazioni Primi anni di sacerdozio 111. Durante i primi anni dopo l’ordinazione, i sacerdoti dovrebbero essere sommamente favoriti nel trovare quelle condizioni di vita e di ministero che permettano loro di poter tradurre in prassi gli ideali appresi durante il periodo di formazione in seminario[435]. Questi primi anni, che costituiscono una necessaria verifica della formazione iniziale dopo il primo delicato impatto con la realtà, sono i più decisivi per il futuro. Essi richiedono, perciò, armonica maturazione per far fronte, con fede e fortezza, ai momenti di difficoltà. A questo scopo i giovani sacerdoti dovranno poter fruire del rapporto personale con il proprio Vescovo e con un saggio padre spirituale; di momenti di riposo, di meditazione, di ritiro mensile. Inoltre, sembra utile sottolineare la necessità che soprattutto i giovani presbiteri siano inseriti in un autentico cammino di fede nel presbiterio o nella comunità parrocchiale accompagnati dal Vescovo e dai fratelli sacerdoti a ciò deputati. Tenendo presente quanto già detto per l’anno pastorale, è necessario organizzare, nei primi anni di sacerdozio, incontri annuali di formazione nei quali si elaborano e si approfondiscono adeguati temi teologici, giuridici, spirituali e culturali, sessioni speciali dedicate a problemi di morale, di pastorale, di liturgia, ecc. Tali incontri possono essere anche l’occasione per rinnovare la facoltà di confessare, secondo quanto stabilito dal Codice di Diritto Canonico e dal Vescovo[436]. Sarebbe anche utile che nei giovani presbiteri fosse favorita la convivenza familiare tra loro e con quelli più maturi, in modo da consentire lo scambio di esperienze, la conoscenza reciproca ed anche la delicata pratica evangelica della correzione fraterna. È anche stata una buona esperienza in molti luoghi organizzare sotto la guida del Vescovo brevi incontri lungo l’anno per i sacerdoti giovani, per esempio, per quelli con meno di dieci anni di sacerdozio, con l’obiettivo di accompagnarli più da vicino in questi primi anni; senza dubbio, saranno anche occasioni per parlare della spiritualità sacerdotale, delle sfide per i ministri, della pratica pastorale, ecc. in un ambiente di fraterna e sacerdotale convivenza. Occorre, infine, che il giovane clero cresca in un ambiente spirituale di vera fraternità e delicatezza, che si manifesta nell’attenzione personale anche per quanto riguarda la salute fisica e i diversi aspetti materiali della vita. Dopo un certo numero di anni 112. Dopo un certo numero di anni di ministero, i presbiteri acquistano una forte esperienza ed il grande merito di spendere tutti se stessi per la dilatazione del Regno di Dio nel lavoro quotidiano. Questa fascia di sacerdoti costituisce una grande risorsa spirituale e pastorale. Essi hanno bisogno di incoraggiamento, di intelligente valorizzazione, di riapprofondimento della formazione in tutte le sue dimensioni, allo scopo di revisionare se stessi ed il proprio agire; di ravvivare le motivazioni del sacro ministero; di riflettere sulle metodologie pastorali alla luce dell’essenziale, nella comunionalità presbiterale e nell’amicizia col proprio Vescovo; di superare eventuali sensi di stanchezza, di frustrazione, di solitudine; di riscoprire, infine, le vene sorgive della spiritualità sacerdotale[437]. È importante, perciò, che questi presbiteri beneficino di speciali ed approfondite sessioni di formazione nelle quali, oltre ai contenuti teologico-pastorali, si esaminino tutte quelle difficoltà psicologiche ed affettive che possono nascere in tale periodo. È consigliabile, quindi, che a tali incontri prendano parte non solo il Vescovo ma anche quegli esperti che possono dare un valido e sicuro contributo alla soluzione dei problemi accennati. Età avanzata 113. I presbiteri anziani o di avanzata età, ai quali deve andare ogni delicato segno di considerazione, entrano pure nel circuito vitale della formazione permanente, non tanto come impegno di studio approfondito e di dibattito culturale, quanto per «la conferma serena e rassicurante del ruolo che ancora sono chiamati a svolgere nel Presbiterio»[438]. Oltre che alla formazione organizzata per i preti di mezza età, essi potranno convenientemente fruire di momenti, ambienti e incontri speciali per approfondire il senso contemplativo della vita sacerdotale, per riscoprire e gustare le ricchezze dottrinali di quanto già studiato, per sentirsi – come sono – utili, potendo essere valorizzati in adatte forme di vero e proprio ministero, soprattutto come esperti confessori e direttori spirituali. In modo particolare, essi potranno condividere con altri le proprie esperienze, dare incoraggiamento, accoglienza, ascolto e serenità ai confratelli, essere disponibili qualora si chieda ad essi il servizio di «diventare loro stessi, validi maestri e formatori di altri sacerdoti»[439]. Sacerdoti in situazioni speciali 114. Indipendentemente dall’età, i presbiteri si possono trovare in «una condizione di debilitazione fisica o di stanchezza morale»[440]. Essi, con l’offerta della loro sofferenza, contribuiscono in modo eminente all’opera della redenzione, dando «una testimonianza segnata dalla scelta della croce accolta nella speranza e nella gioia pasquale»[441]. A questi presbiteri, la formazione permanente deve offrire stimoli per «proseguire in modo sereno e forte il loro servizio alla Chiesa»[442] e per essere segno eloquente del primato dell’essere sull’agire, dei contenuti sulle tecniche, della grazia sull’efficienza esteriore. In questo modo, essi potranno vivere l’esperienza di san Paolo: «Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Il Vescovo ed i confratelli non dovranno mai far mancare visite periodiche a questi fratelli ammalati, che potranno essere informati, soprattutto, sugli avvenimenti della diocesi, in modo da farli sentire membra vive del presbiterio e della Chiesa universale, che edificano con la loro sofferenza. Di particolare ed affettuosa cura dovranno essere circondati i presbiteri prossimi a concludere la loro giornata terrena, spesa al servizio di Dio per la salvezza dei fratelli. Al continuo conforto della fede, alla premura nell’ammini-strazione dei sacramenti, farà seguito il suffragio da parte dell’intero presbiterio. Solitudine del sacerdote 115. Il sacerdote può sperimentare a qualsiasi età ed in qualsiasi situazione, il senso della solitudine[443]. Questa, lungi da intendersi come isolamento psicologico, può essere del tutto normale e conseguente alla sincera sequela evangelica e costituire una dimensione preziosa della propria vita. In alcuni casi, però, potrebbe essere dovuta a speciali difficoltà, quali emarginazioni, incomprensioni, deviazioni, abbandoni, imprudenze, limiti caratteriali propri e altrui, calunnie, umiliazioni, ecc. Ne può derivare un pungente senso di frustrazione che sarebbe estremamente deleterio. Tuttavia, anche questi momenti di difficoltà possono diventare, con l’aiuto del Signore, occasioni privilegiate per una crescita nel cammino della santità e dell’apostolato. In essi, infatti, il sacerdote può scoprire che «si tratta di una solitudine abitata dalla presenza del Signore»[444]. Ovviamente ciò non deve far dimenticare la grave responsabilità del Vescovo e dell’intero presbiterio di evitare ogni solitudine prodotta da trascuratezza nella comunione sacerdotale. È compito della diocesi stabilire come realizzare incontri tra sacerdoti affinché sperimentino lo stare insieme, imparino l’uno dall’altro, si correggano e si aiutino a vicenda, perché nessuno è sacerdote da solo ed esclusivamente in questa comunione con il Vescovo ognuno può rendere il suo servizio. Non bisogna dimenticarsi neanche di quei confratelli che hanno abbandonato l’esercizio del sacro ministero, al fine di offrire loro gli aiuti necessari, soprattutto della preghiera e della penitenza. Il doveroso atteggiamento di carità nei loro confronti non deve tuttavia indurre in alcun modo a prendere in considerazione un eventuale affidamento a loro di mansioni ecclesiali che potrebbero creare confusione e sconcerto, soprattutto tra i fedeli, proprio a ragione della loro situazione. Il Padrone della messe, che chiama e invia gli operai che devono lavorare nel suo campo (cf. Mt 9,38), ha promesso con fedeltà eterna: «vi darò pastori secondo il mio cuore» (Ger 3,15). Su questa fedeltà divina, sempre viva ed operante nella Chiesa[445], riposa la speranza di ricevere abbondanti e sante vocazioni sacerdotali, come peraltro già avviene in molti Paesi, così come la certezza che il Signore non farà mancare alla sua Chiesa la luce necessaria per affrontare l’appassionante avventura del gettare le reti al largo. Al dono di Dio la Chiesa risponde con il rendimento di grazie, la fedeltà, la docilità allo Spirito, l’umile ed insistente orazione. Per realizzare la sua missione apostolica, ogni sacerdote porterà scolpite nel proprio cuore le parole del Signore: Padre, io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai dato da fare, dare la vita eterna agli uomini (cf. Gv 17,1-4). Per questo, egli farà della propria vita dono di sé – radice e sintesi della carità pastorale – alla Chiesa, ad immagine del dono di Cristo[446]. In questo modo, spenderà con gioia e pace tutte le sue forze nell’aiuto dei fratelli, vivendo come segno di carità soprannaturale nell’obbedienza, nella castità celibataria, nella semplicità di vita e nel rispetto della disciplina comunionale della Chiesa. Nella sua opera evangelizzatrice il presbitero trascende l’ordine naturale per fissarsi «nelle cose che riguardano Dio» (Eb 5,1). Egli, infatti, è chiamato ad elevare l’uomo generandolo alla vita divina e facendolo crescere in essa fino alla pienezza di Cristo. È per questo che un autentico sacerdote, motivato nella sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa, costituisce, in realtà, un’impareggiabile forza di vero progresso per il mondo intero. «La nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a vivere il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità»[447]. Le opere di Dio le compiono gli uomini di Dio! Come Cristo, il sacerdote deve presentarsi al mondo quale modello di vita soprannaturale: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). La testimonianza resa con la vita qualifica il presbitero e ne costituisce la più convincente predicazione. La stessa disciplina ecclesiastica, vissuta con autentiche motivazioni interiori, si rivela come un provvido servizio per vivere la propria identità, per fomentare la carità e per far brillare la testimonianza senza la quale qualsiasi preparazione culturale o rigorosa programmazione sarebbe solo illusione. A nulla serve il fare se manca l’essere con Cristo. Qui sta l’orizzonte dell’identità, della vita, del ministero, della formazione permanente del sacerdote: un compito di lavoro immenso, aperto, coraggioso, illuminato dalla fede, sostenuto dalla speranza, radicato nella carità. In quest’opera tanto necessaria quanto urgente, nessuno è solo. È necessario che i presbiteri siano aiutati da una esemplare, autorevole e vigorosa azione di governo pastorale dei propri Vescovi, in trasparente comunione con la Sede Apostolica, nonché dalla fraterna collaborazione dell’intero presbiterio e da tutto il Popolo di Dio. A Maria, stella della nuova evangelizzazione, si affidi ogni sacerdote. In Lei, che «fu il modello di quell’amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini»[448], i sacerdoti troveranno costante protezione ed aiuto per il rinnovamento della loro vita e per far scaturire dal loro sacerdozio una più intensa e rinnovata spinta evangelizzatrice, in questo terzo millennio della Redenzione. Il 14 gennaio 2013, il Sommo Pontefice, Benedetto XVI, ha approvato il presente Direttorio e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dal Palazzo delle Congregazioni, l’11 febbraio, memoria della B. Maria Vergine di Lourdes, dell’anno 2013. Mauro Card. Piacenza + Celso Morga Iruzubieta Preghiera a Maria Santissima[449]
Maria, Madre di Cristo, Madre della fede, Madre della Chiesa, Madre di Gesù Cristo, Amen! [1] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium:AAS 57 (1965), 28; Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius:AAS 58 (1966), 22; Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus: AAS 58 (1966), 16; Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis: AAS 58 (1966), 991-1024 ; Paolo VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967): AAS 59 (1967), 657-697; Sacra Congregazione per il Clero, Lettera circolare Inter ea (4 novembre 1969): AAS 62 (1970), 123-134; Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (30 novembre 1971): AAS 63 (1971), 898-922; Codex Iuris Canonici (25 gennaio 1983), cann. 273-289; 232-264; 1008-1054; Sacra Congregazione per l'educazione cattolica, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101; Giovanni Paolo II, Lettere ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo; Catechesi sui presbiteri, nelle Udienze generali dal 31 marzo al 22 settembre 1993.
[2] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis (25 marzo 1992):
AAS 84 (1992), 657-804.
[3] Congregazione per il Clero,
Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri (31 marzo 1994), LEV, Città del Vaticano 1994.
[4] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 18.
[5] Cfr, per esempio, Giovanni Paolo II, Lett. ap. in forma di motu proprio
Misericordia Dei (7 aprile 2002):
AAS 94 (2002), 452-459; Lett. enc.
Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003):
AAS 95 (2003), 433-475; Esort. ap. post-sinodale
Pastores gregis (16 ottobre 2003):
AAS 96 (2004), 825-924;
Lettere ai Sacerdoti (1995-2002; 2004-2005); Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007):
AAS 99 (2007), 105-180;
Messaggio ai partecipanti alla XX edizione del Corso per il Foro interno, promosso dalla Penitenzieria Apostolica (12 marzo 2009):
Insegnamenti V/1 (2009), 374-377;
Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione del Clero (16 marzo 2009):
Insegnamenti V/1 (2009), 391-394;
Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale in occasione del 150º anniversario del “Dies natalis” di Giovanni Maria Vianney (16 giugno 2009):
AAS 101 (2009), 569-579;
Discorso ai partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica (11 marzo 2010):
Insegnamenti VI/1 (2010), 318-321;
Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010):
AAS 102 (2010), 240;
Veglia in occasione della Conclusione dell’Anno sacerdotale (10 giugno 2010):
AAS 102 (2010), 397-406;
Lettera ai seminaristi (18 ottobre 2010):
AAS 102 (2010), 793-798.
[6] Cfr Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di motu proprio
Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (21 settembre 2010):
AAS 102 (2010), 788-792.
[7] Benedetto XVI,
Atto di affidamento e consacrazione dei sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria (12 maggio 2010):
Insegnamenti VI/1 (2010), 690-691.
[8] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 15.
[9] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 2.
[10]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 1.
[11]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 2.
[12] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010):
l.c., 242.
[13] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 11.
[14]
Ibid., 15.
[15]
Ibid., 21; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 2; 12.
[16] Cf.
ibid., 12.
[17]
Ibid., 23.
[18]
Ibid., 18;
Messaggio dei Padri sinodali al Popolo di Dio (28 ottobre 1990), III: “L’Osservatore Romano”, 29-30 ottobre 1990.
[19]
Ibid., 16.
[20] Cf.
ibid., 12.
[21] Cf. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIII,
De sacramento Ordinis: DS, 1763-1778; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 11-18;
Udienza generale (31 marzo 1993):
Insegnamenti XVI/1, 784-797.
[22] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 2.
[23] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 18-31; Decr.
Presbyterorum Ordinis, 2;
C.I.C., can. 1008.
[25] Cf. Conc. Ecum. Vat. II., Decr.
Apostolicam actuositatem:
AAS 58 (1966), 3; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Christifideles laici (30 dicembre 1988), 14:
AAS 81 (1989), 409-413.
[26] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 13-14;
Udienza generale (31 marzo 1993).
[27] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010).
[28]
Ibid.
[29] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione del Clero (16 marzo 2009).
[30] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Gaudium et spes, 22:
AAS 58 (1966), 1042.
[31] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede,
Dichiarazione Dominus Iesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto 2000), 13-15:
AAS 92 (2000), 754-756.
[32] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 18.
[33] Cf.
ibid., 15.
[34] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 12.
[35] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Dei Verbum:
AAS 58 (1966), 10; Decr.
Presbyterorum Ordinis, 4.
[36] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5;
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1120.
[37] Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 13; 48:
l.c.114-115;142..
[38] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 6.
[39] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 16.
[40]
Cf.
ibid.
[41]
Institutio Generalis Missalis Romani (2002), 78.
[42] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 3.
[43] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr.
Presbyterorum Ordinis, 7; Decr.
Christus Dominus, 28; Decr.
Ad gentes, 19; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 17.
[44] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium 28;
Pontificale romanum, Ordinatio Episcoporum, Presbyterorum et Diaconorum, cap. I., n. 51, Ed. typica altera, 1990, 26.
[45]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 28.
[46] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 16.
[47] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede,
Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 10:
AAS 85 (1993), 844.
[48] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 23:
AAS 83 (1991), 269.
[49] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 10; cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 32.
[52] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 23; 26; S. Congregazione per il Clero, Note direttive
Postquam Apostoli (25 marzo 1980), 5; 14; 23:
AAS 72 (1980), 346-347; 353-354; 360-361; Tertulliano,
De praescriptione, 20, 5-9:
CCL 1, 201-202; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera
Communionis notio su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 10.
[53] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis, 85.
[54] Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio, 67.
[55] Cf. Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera (29 giugno 2010), 3.3.5, LEV, Città del Vaticano 2011, 307.
[56] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 23; Decr.
Presbyterorum Ordinis, 10; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 32; S. Congregazione per il Clero, Note direttive
Postquam Apostoli (25 marzo 1980); Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli,
Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (1 ottobre 1989), 4: LEV 11, 1588-1590;
C.I.C., can. 271.
[57] Congregazione per la Dottrina della Fede,
Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’Evangelizzazione (3 dicembre 2007), 3:
AAS 100 (2008), 491.
[58] Paolo VI, Esort. ap. post-sinodale
Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 80:
AAS 68 (1976), 74.
[59]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 13.
[60] Cf. Congregazione per l'evangelizzazione dei Popoli,
Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli:
l.c., 1580-1650; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio, 54; 67:
l.c., 301-302; 315-316.
[61] J. Ratzinger,
Conferenza per il Giubileo dei Catechisti (10 dicembre 2000)
[62] Congregazione per la Dottrina della Fede,
Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’Evangelizzazione (3 dicembre 2007), 12:
AAS 100 (2008), 501.
[63] Cf. Congregazione per il Clero,
Direttorio Generale per la Catechesi (15 agosto 1997), 53: LEV, Città del Vaticano 1997, 55-56.
[64] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Christifideles laici (30 dicembre 1988), 37.
[65] Congregazione per il Clero,
Direttorio Generale per la Catechesi (15 agosto 1997), 49.
[66] J. Ratzinger,
Conferenza per il Giubileo dei Catechisti (10 dicembre 2000).
[67] Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera (29 giugno 2010), 3.3.
[68] Paolo VI,
Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali (22 giugno 1973):
AAS 65, 1973, 383, citato nell’Esort. ap. post-sinodale
Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 3.
[69] Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 40:
AAS 93 (2001), 294-295.
[70] Giovanni Paolo II,
Discorso all’Assemblea del CELAM, Port-au-Prince (9 marzo 1983):
AAS 75 (1983), 771-779.
[71] Giovanni Paolo II,
Omelia della santa Messa nel santuario della Santa Croce di Mogila (9 giugno 1979):
AAS 71 (1979), 865.
[72] J. Ratzinger,
Conferenza per il Giubileo dei Catechisti (10 dicembre 2000).
[73] Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di Motu proprio
Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (21 settembre 2010):
l.c., 790-791.
[74] Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Africae munus (19 novembre 2011), LEV, Città del Vaticano 2011, 165.
[75] Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di motu proprio
Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (21 settembre 2010):
l.c., 790-791.
[76] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; cf. Congregazione per la Dottrina della Fede,
Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’Evangelizzazione (3 dicembre 2007), 12; Paolo VI, Esort. ap. post-sinodale
Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 52.
[77] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 4.
[78]
Ibid., 2.
[79]
Ibid., 4.
[80] Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 3:
AAS 83 (1991), 251-252.
[81]
Ibid.
[82] Giovanni Paolo II,
Discorso all’Assemblea del CELAM, Port-au-Prince (9 marzo 1983):
l.c., 771-779.
[83] Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 40.
[84]
Ibid.
[85] Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 11.
[86] Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di motu proprio
Ubicumque et semper, con la quale si istituisce il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (21 settembre 2010):
l.c., 790-791.
[87] Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera (29 giugno 2010), 3.3.1.
[88] Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 40.
[89] Cf. Giovanni Paolo II,
Omelia della santa Messa nel santuario della Santa Croce di Mogila (9 giugno 1979),
l.c.
[90] Congregazione per il Clero, Lett. circolare
L’identità missionaria del Presbitero nella Chiesa quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera (29 giugno 2010), conclusione:
l.c., 36.
[91]
Ibid., 11.
[92]
Ibid., 28.
[93] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores gregis (16 ottobre 2003), 37.
[94] Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di Motu proprio
Porta fidei (11 ottobre 2011), 9:
AAS 103 (2011), 728.
[95] Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Africae munus (19 novembre 2011):
l.c., 171.
[96] Paolo VI, Esort. ap. post-sinodale
Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 80.
[97] Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 2.
[98] Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Africae munus (19 novembre 2011):
l.c., 171.
[99] Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 40.
[100] Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Gaudium et spes, 44.
[101] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 40.
[102] Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo (8 aprile 1979), 8:
AAS 71 (1979), 393-417.
[103] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16; Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 56.
[104] S. Giovanni Maria Vianney, in B. Nodet,
Le curé d’Ars. Sa pensée - Son cœur, éd. Xavier Mappus, Foi Vivante, 1966, 98-99 (citato in Benedetto XVI,
Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale in occasione del 150º anniversario del “Dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, 16 giugno 2009:
l.c., 1009).
[105] Cf. S. Agostino,
In Iohannis Evangelium Tractatus, 123, 5:
CCL 36, 678; Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 14.
[106] Benedetto XVI,
Discorso ai membri dell’XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (1 giugno 2006):
Insegnamenti II/1 (2006), 746-748.
[110] Cf. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIII,
De sacramento Ordinis, cap. I e IV, cann. 3, 4, 6: DS, 1763-1776; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 10; Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il ministro dell'Eucaristia
Sacerdotium ministeriale (6 agosto 1983), 1:
AAS 75 (1983), 1001.
[112] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 7.
[113]
Cf.
ibid.
[114] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 10.
[115] Cf. Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli,
Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, 3.
[116] Cf.. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 11.
[117] Cf. Giovanni Paolo II,
Discorso all’Episcopato della Svizzera (15 giugno 1984):
Insegnamenti VII/1 (1984), 1784.
[118] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 23.
[119] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 12; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 1.
[120] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 8.
[121] Cf. S. Agostino,
Sermo 46, 30:
CCL 41, 555-557.
[122] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 28.
[123] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 27.
[124] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 22; Decr.
Christus Dominus, 4;
C.I.C., can. 336.
[125] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede,
Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio, 14.
[126]
Cf.
C.I.C., can. 902; S. Congregazione per i Sacramenti e il Culto divino, Decr. part.
Promulgato Codice (12 settembre 1983), II, I, 153:
Notitiae 19 (1983), 542.
[127] Cf. S. Tommaso d’Aquino,
Summa theol., III, q. 82, a. 2 ad 2;
Sent. IV, d. 13, q. 1, a 2, q 2; Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 41, 57.
[128] Cf. S. Congregazione dei Riti, Istruzione
Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967), 47:
AAS 59 (1967), 565-566.
[129] Cf.
C.I.C. can. 273.
[130] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 15; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 65; 79.
[131] S. Ignazio di Antiochia,
Ad Ephesios, XX, 1-2: «[...] Se il Signore mi rivelerà che, ognuno in proprio e tutti insieme [...] voi siete uniti con il cuore in una incrollabile sottomissione al Vescovo e al presbiterio, spezzando l'unico pane che è rimedio d'immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo»:
Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, II, 203-205.
[132] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 17; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8;
C.I.C., can. 275, § 1.
[133] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 74; Congregazione per l’evangelizzazione dei Popoli,
Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, 6.
[134] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8;
C.I.C., cann. 369; 498; 499.
[135] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 6; Benedetto XVI,
Angelus (19 giugno 2005):
Insegnamenti I (2005), 255-256; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Ecclesia in Africa (14 settembre 1995):
AAS 88 (1996), 63.
[136] Cf.
Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, cap. II, 105; 130; Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8.
[139] Cf. Giovanni Paolo II,
Discorso nella Cattedrale di Quito ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e ai Seminaristi (29 gennaio 1985):
Insegnamenti VIII/1 (1985), 247-253.
[140] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 31.
[141] Cf.
Ibid., 17; 74.
[143]
Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 31.
[144]
Cf.
ibid., 31; 41; 68.
[146] Cf.
C.I.C., can. 271.
[147] Cf. Benedetto XVI,
Messaggio per la Quaresima 2012 (3 novembre 2011):
AAS 104 (2012), 199-204.
[148] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 74.
[149] Giovanni Paolo II,
Udienza generale (4 agosto 1993)
, 4:
Insegnamenti XVI/2, 139-140.
[150] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 12-14.
[151] Cf.
ibid., 8.
[152]
Cf. S. Agostino,
Sermones 355, 356,
De vita et moribus clericorum:
PL 39, 1568-1581.
[153] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 28; Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8; Decr.
Christus Dominus, 30.
[154]
Cf. Sacra Congregazione per i Vescovi, Direttorio
Ecclesiae Imago (22 febbraio 1973), 112; Congregazione per i Vescovi,
Direttorio Apostolorum Successores
per il ministero pastorale dei Vescovi (22 febbraio 2004), LEV, Città del Vaticano 2004, 211;
C.I.C., cann. 280;
245, § 2;
550, § 1; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 81.
[155] Benedetto XVI,
Udienza privata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo in occasione del XXV di fondazione (12 febbraio 2011): “L’Osservatore Romano”, 13 febbraio 2011, 8.
[156] Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 80.
[157] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 26; 99;
Institutio generalis Liturgiae Horarum, 25.
[158] Cf.
C.I.C., can. 278, § 2; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 31; 68; 81.
[161] Cf..
ibid., can. 533, § 1.
[162] Cf.
ibid., cann. 1226; 1228.
[163] Benedetto XVI,
Udienza privata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo in occasione del XXV di fondazione (12 febbraio 2011):
l.c., 8.
[164] Benedetto XVI,
Omelia in occasione della celebrazione dei Vespri (Fatima, 12 maggio 2010):
Insegnamenti VI/1 (2010), 685-688.
[165] Benedetto XVI,
Udienza privata ai sacerdoti della Fraternità san Carlo in occasione del XXV di fondazione (12 febbraio 2011):
l.c., 8.
[166] S. Cipriano,
De Oratione Domini, 23:
PL 4, 553; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 4.
[167] Giovanni Paolo II,
Udienza generale (4 agosto 1993)
, 4:
Insegnamenti XVI/2, 139-140.
[168] Cf. Giovanni Paolo II,
Udienza generale (7 luglio 1993):
Insegnamenti XVI/2, 34-44; Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 15.
[169] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 15.
[171] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 74.
[173] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 31.
[174] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 74; Paolo VI, Lett. enc.
Ecclesiam suam (6 agosto 1964), III:
AAS 56 (1964), 647.
[175] Cf. Congregazione per il Clero,
Il sacerdote ministro della Misericordia Divina. Sussidio per Confessori e Direttori spirituali (9 marzo 2011): opuscolo, LEV, Città del Vaticano 2011.
[176] Cf. Giovanni Paolo II,
Udienza generale (7 luglio 1993):
l.c., 34-44.
[179]
Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 74.
[180] Cf.
C.I.C., can. 287, § 2; Sacra Congregazione per il Clero, Decr.
Quidam Episcopi (8 marzo 1982),
AAS 74 (1982), 642-645.
[181] Cf. Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli,
Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, 9:
l.c., 1604-1607; Sacra Congregazione per il Clero, Decr.
Quidam Episcopi (8 marzo 1982),
l.c., 642-645.
[182] Giovanni Paolo II,
Udienza generale (28 luglio 1993), 3:
Insegnamenti XVI/2, 109-110; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past.
Gaudium et spes, 43; Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale
Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 2:
l.c., 912-913;
C.I.C., cann. 285, § 3;
287, § 1.
[184] Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale
Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 2:
l.c., 913.
[185] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001):
AAS 93 (2001), 266-309; Benedetto XVI,
Udienza generale (13 aprile 2011), “L’Osservatore Romano”, 14 aprile 2011, 8.
[186] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 5.
[187] Giovanni Paolo II,
Udienza generale (26 maggio 1993):
Insegnamenti XVI/1 (1993), 1328-1340.
[188]
Cf. Giovanni Paolo II,
Discorso inaugurale alla IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (Santo Domingo, 12-28 ottobre 1992), 24:
AAS 85 (1993), 826.
[189]
Ibid., 1.
[190]
Ibid., 25.
[191]
Cf.
ibid.
[192] Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso, Documento
Gesù Cristo portatore dell'acqua viva. Una riflessione cristiana sulla “New Age”, § 6.2 (3 febbraio 2003):
EV 22, 54-137.
[193]
Ibid.
[194] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 14.
[195] Benedetto XVI,
Veglia in occasione della Conclusione dell’Anno sacerdotale (10 giugno 2010):
l.c., 397-406.
[196] Cf. Benedetto XVI,
Omelia nella Santa Messa del Crisma (9 aprile 2009):
Insegnamenti V/1 (2009), 578-583.
[197] Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo (13 aprile 1987):
AAS 79 (1987), 1285-1295.
[198] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 14.
[200] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5; 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 23; 26; 38; 46; 48;
C.I.C., cann. 246, § 1;
276, § 2, 2°.
[201] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5; 18;
C.I.C., cann. 246, § 4;
276, § 2, 5°; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26; 48.
[202] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18;
C.I.C., can. 239; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 40; 50; 81.
[203] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18;
C.I.C., cann. 246, § 2;
276, § 2, 3°; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26; 72; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Risposte
Celebratio integra a questioni circa l’obbligatorietà della recita della Liturgia delle Ore (15 novembre 2000), in
Notitiae 37 (2001), 190-194.
[205] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26; 37-38; 47; 51; 53; 72.
[207] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 4; 13; 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26; 47; 53; 70; 72.
[208] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18;
C.I.C., can. 276, § 2, 4°; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 80.
[209] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis 18;
C.I.C., cann. 246, § 3;
276, § 2, 5°. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 36; 38; 45; 82.
[210] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26; 37-38; 47; 51; 53; 72.
[211] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18.
[212] Cf. Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 (8 aprile 1979), 1:
l.c., 394; Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 80.
[213] Cf. Possidio,
Vita Sancti Aurelii Augustini, 31:
PL 32, 63-66.
[214] Benedetto XVI,
Omelia nella Santa Messa del Crisma (20 marzo 2008):
Insegnamenti IV/1 (2008), 442-446.
[215] Cf.
Institutio Generalis Liturgiae Horarum, 3-4;
Catechismo della Chiesa Cattolica, 2598-2606.
[217]
Ibid.
[219]
Ibid., 2599; cf.
Lc 2, 19.51.
[220]
Pontificale Romanum,
De ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, II, 151,
l.c., 87-88.
[221] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18; Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale
Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 3:
l.c., 913-915; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 46-47;
Udienza generale (2 giugno 1993), 3:
Insegnamenti XVI/1, 1389.
[222] «Numquam enim minus solus sum, quam cum solus esse videor»:
Epist. 33 (Maur. 49), 1:
CSEL 82, 229.
[223] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 14; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 23.
[224] Cf.
C.I.C., can. 279, § 1.
[225] Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 93:
l.c., 693-694.
[226] Cf.
Ibid., 15:
l.c., 662-663; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 27.
[227] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Veritatis splendor (6 agosto 1993), 31; 32; 106:
AAS 85 (1993), 1158-1159; 1159-1160; 1216.
[229] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 15.
[230]
Ibid.
[231] Cf.
C.I.C., can. 273.
[232] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 23.
[233] Cf.
ibid., 27;
C.I.C., can. 381, § 1.
[234] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Christus Dominus, 2; Cost. dogm.
Lumen gentium, 22;
C.I.C., can. 333, § 1.
[235] Cf. sulla
Professio fidei,
C.I.C, can. 833 e Congregazione per la Dottrina della Fede,
Formula da usarsi per la professione di fede e il giuramento di fedeltà nell’assumere un ufficio da esercitarsi a nome della Chiesa con Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei (29 giugno 1998):
AAS 90 (1998), 542-551.
[236] Cf. Benedetto XVI,
Omelia nella Santa Messa del Crisma (5 aprile 2012), “L'Osservatore Romano”, 6 aprile 2012, 7.
[237]
Ibid.
[238] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap.
Sacrae disciplinae leges (25 gennaio 1983):
AAS 75 (1983), Pars II, XIII;
Discorso ai partecipanti al Symposium internationale «Ius in vita et in missione Ecclesiae» (23 aprile 1993): “L'Osservatore Romano”, 25 aprile 1993, 4.
[239] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap.
Sacrae disciplinae leges (25 gennaio 1983):
l.c., Pars II, XIII
.
[241] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 7.
[242]
Ibid., 10.
[244] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 22.
[245] Cf.
C.I.C., can. 846, § 1
.
[246]
Cf. Sacra Congregazione per il Clero,
Lettera circolare Omnes Christifideles (25 gennaio 1973), 9:
EV 5, 1207-1208.
[247] Giovanni Paolo II,
Lettera al Card. Vicario di Roma (8 settembre 1982):
Insegnamenti V/2 (1982), 847-849.
[248]
Cf. Paolo VI,
Allocuzioni al clero (17 febbraio 1969;
17 febbraio 1972;
10 febbraio 1978):
AAS 61 (1969), 190; 64 (1972), 223; 70 (1978), 191; Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1979
(8 aprile 1979), 7:
l.c., 403-405;
Allocuzioni al clero (9 novembre 1978;
19 aprile 1979):
Insegnamenti I (1978), 116; II (1979), 929.
[249] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010):
l.c., 241.
[250] Cf. Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi,
Chiarimenti circa il valore vincolante dell’art. 66 del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri (22 ottobre 1994): “Communicationes” 27 (1995), 192-194.
[252] Cf.
Ibid., can. 24, § 2
.
[253]
Cf. Paolo VI, Motu Proprio
Ecclesiae Sanctae, I, 25, § 2:
AAS 58 (1966), 770; Sacra Congregazione per i Vescovi, Lettera circolare a tutti i rappresentanti pontifici
Per venire incontro (27 gennaio 1976):
EV 5, 1162-1163; Sacra Congregazione per l’Educazione cattolica,
Lettera circolare The document (6 gennaio 1980): “L’Osservatore Romano” suppl., 12 aprile 1980.
[254]
Cf. Paolo VI,
Udienza generale (17 settembre 1969);
Allocuzione al clero (1 marzo 1973):
Insegnamenti VII (1969), 1065; XI (1973), 176.
[255] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Dei Verbum, 5;
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1-2, 142.
[256] Cf.
ibid., 150-152, 185-187.
[257] Cf. Giovanni Paolo II,
Udienza generale (21 aprile 1993), 6:
Insegnamenti XVI/1 (1993), 936-947.
[258] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Dei Verbum, 25.
[259] Benedetto XVI,
Angelus (6 novembre 2005):
Insegnamenti I/1 (2005), 759-762.
[261] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 4.
[262]
Ibid.; cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26.
[263] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini (30 settembre 2010), 80:
AAS 102 (2010), 751-752.
[264] Cf. Giovanni Paolo II,
Udienza generale (12 maggio 1993):
Insegnamenti XVI/1 (1993), 1194-1204.
[265] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Dei Verbum, 10; Giovanni Paolo II,
Udienza generale (12 maggio 1993):
l.c., 1194-1204.
[266] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 46:
l.c., 141.
[267] Cf. S. Tommaso d'Aquino,
Summa theologiae, I, q. 43, a. 5.
[268] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini (30 settembre 2010), 82:
l.c., 753-754.
[269] Cf.
C.I.C., can. 769.
[270] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini (30 settembre 2010)
, 59:
l.c., 738-739.
[271] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), 18:
AAS 71 (1979), 1291-1292.
[272] Cf.
C.I.C., can. 768.
[274] Benedetto XVI,
Omelia nella Santa Messa del Crisma (5 aprile 2012):
l.c., 7.
[275] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 9.
[276] Cf.
ibid., 6.
[277] Cf.
C.I.C., can. 779.
[278] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap.
Fidei Depositum (11 ottobre 1992):
AAS 86 (1992), 113-118.
[279] Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di motu proprio
Porta fidei (11 ottobre 2011), 11:
AAS 103 (2011), 730.
[280]
Ibid.
[281] Cf. Giovanni Paolo II,
Udienza generale (12 maggio 1993), 3:
l.c., 1195-1196.
[282] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 78; 84-88:
l.c., 165; 169-173.
[283]
Ibid.
[284] «Sacerdos habet duos actus: unum principalem, supra corpus Christi verum; et alium secundarium, supra corpus Christi mysticum. Secundus autem actus dependet a primo, sed non convertitur» (San Tommaso,
Summa theologiae,
Suppl., q. 36, a. 2, ad 1).
[285] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 5; 13; S. Giustino,
Apologia I, 67:
PG 6, 429-432; S. Agostino,
In Iohannis Evangelium Tractatus, 26, 13-15:
CCL 36, 266-268; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 80:
l.c., 166-167; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), 110:
AAS 96 (2004), 581.
[286] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 11; cf. anche, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18.
[287] Cf.
C.I.C., can. 904.
[288] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 80:
l.c., 166-167.
[289] Cf.
ibid., 64:
l.c., 152-154.
[290] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 128; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 49-50:
l.c., 465-467; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 80:
l.c., 166-167.
[291] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 122-124; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 121-128:
l.c., 583-585.
[292] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 112, 114, 116; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 49:
l.c., 465-466; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 42:
l.c., 138-139.
[293] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 120.
[294] Cf.
ibid., 30; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 55:
l.c., 147-148.
[296] Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 52:
l.c., 467-468. Cf. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004):
l.c., 549-601.
[297] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 22;
C.I.C., can. 846, § 1; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 40:
l.c., 137-138.
[298] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 38:
l.c., 136.
[299] Cf.
C.I.C., can. 929;
Institutio Generalis Missalis Romani (2002)
, 81; 298; Sacra Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Liturgicae instaurationes (5 settembre 1970), 8:
AAS 62 (1970), 701; Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 121-128:
l.c., 583-585.
[300] Giovanni Paolo II,
Udienza generale (9 giugno 1993), 6:
Insegnamenti XVI/1 (1993), 1469-1461; cf. Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 48;
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1418; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 25:
l.c., 449-450; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione
Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 134:
l.c., 587; Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 67-68:
l.c., 156-157.
[301] Giovanni Paolo II,
Udienza generale (2 giugno 1993), 5:
l.c., 1390-1391; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 99-100.
[305] Paolo VI, Motu Proprio
Firma in Traditione (13 giugno 1974):
AAS 66 (1974), 308.
[306] Congregazione per il Clero,
Decreto Mos iugiter (22 febbraio 1991), art. 7:
AAS 83 (1991), 446.
[307] Paolo VI, Motu Proprio
Firma in Traditione (13 giugno 1974):
l.c., 308.
[308] Congregazione per il Clero, Decreto
Mos iugiter (22 febbraio 1991):
l.c., 443-446.
[312] Cf.
C.I.C., can. 952.
[315] Cf.
ibid., can. 953.
[316] Congregazione per il Clero, Decreto
Mos iugiter (22 febbraio 1991), art. 5, § 1:
l.c., 443-446.
[317]
Ibid., art. 2, §§ 1-2, 443-446.
[318] Cf.
ibid., art. 2, § 3, 443-446.
[319] Cf.
C.I.C., can. 951.
[321] Cf. Conc. Ecum. Trident., sess. VI,
De Iustificatione, c. 14; sess. XIV,
De Poenitentia, c. 1, 2, 5-7, can. 10; sess. XXIII,
De Ordine, c. 1; Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 2, 5;
C.I.C., can. 965.
[322] Cf.
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1443-1445.
[323] Cf.
C.I.C., cann. 966, § 1;
978, § 1;
981; Giovanni Paolo II,
Discorso alla Penitenzieria Apostolica (27 marzo 1993):
Insegnamenti XVI/1 (1993), 761-766.
[325] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. ap. in forma di motu proprio
Misericordia Dei (7 aprile 2002), 1-2:
l.c., 455.
[326] «Gli Ordinari del luogo, nonché i parroci e i rettori di chiese e santuari, devono verificare periodicamente che di fatto esistano le massime facilitazioni possibili per le confessioni dei fedeli. In particolare, si raccomanda la presenza visibile dei confessori nei luoghi di culto durante gli orari previsti, l’adeguamento di questi orari alla situazione reale dei penitenti, e la speciale disponibilità per confessare prima delle Messe e anche, per venire incontro alla necessità dei fedeli, durante la celebrazione delle SS. Messe, se sono disponibili altri sacerdoti»: Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Misericordia Dei (7 aprile 2002), 2:
l.c., 455.
[327] Cf.Congregazione per il Clero,
Lettera circolare ai Rettori dei Santuari (15 agosto 2011): “L’Osservatore Romano”, 12 agosto 2011, 7.
[328] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica (25 marzo 2011): “L’Osservatore Romano”, 26 marzo 2011, 7.
[329] Cf.
C.I.C., can. 960; Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Redemptor hominis, 20:
AAS 64 (1979), 257-324; Lett. ap.
Misericordia Dei (7 aprile 2002), 3:
l.c., 456.
[330] Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Misericordia Dei (7 aprile 2002), 1:
l.c., 455.
[331] Si riserva l'uso della confessione e della assoluzione comunitaria ai soli casi straordinari e con le condizioni richieste, contemplati dalle disposizioni vigenti: cf.
C.I.C., cann. 961-963; Paolo VI, Allocuzione (20 marzo 1978):
AAS 70 (1978), 328-332; Giovanni Paolo II,
Allocuzione (30 gennaio 1981):
AAS 73 (1981), 201-204; Esort. ap. post-sinodale
Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 33:
AAS 77 (1985), 270; Lett. ap.
Misericordia Dei (7 aprile 2002), 4-5:
l.c., 456-457.
[332]
C.I.C., can. 964, §2. Inoltre, il ministro del sacramento, per giusta causa ed escluso il caso di necessità, può legittimamente decidere, anche se il penitente eventualmente chieda diversamente, che la confessione sacramentale sia ricevuta in un confessionale provvisto di grata fissa (Cf. Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi,
Responsio ad propositum dubium: de loco excipiendi sacramentales confessiones:
AAS 90 [1998], 711).
[334]
Ibid., can. 964; cf.. Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Misericordia Dei (7 aprile 2002), 9:
l.c., 459.
[335] Benedetto XVI,
Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale in occasione del 150º anniversario del “Dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, 16 giugno 2009:
l.c., 569-579.
[337] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 31:
l.c., 257-266; Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 26.
[338] Cf. Benedetto XVI,
Messaggio al Card. James Francis Stafford, Penitenziere Maggiore, e ai partecipanti alla XX edizione del Corso per il Foro interno, promosso dalla Penitenzieria Apostolica (12 marzo 2009):
l.c., 374-377; Congregazione per il Clero,
Il sacerdote ministro della Misericordia Divina. Sussidio per Confessori e Direttori spirituali (9 marzo 2011), 64-134:
l.c., 28-53.
[339] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 32:
l.c., 257-266.
[340] Congregazione per il Clero,
Il sacerdote ministro della Misericordia Divina. Sussidio per Confessori e Direttori spirituali (9 marzo 2011), 98:
l.c., 39; cf.
ibid. 110-111:
l.c., 42-43.
[341] Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 85.
[342]
Ibid., 84.
[343] Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini (30 settembre 2010), 62:
l.c., 740-741; cf.
Institutio Generalis Liturgiae Horarum, 29;
C.I.C., cann. 276, §3;
1174, §1.
[344]
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1176, citando Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Sacrosanctum Concilium, 90.
[345] Benedetto XVI,
Incontro con i sacerdoti della Diocesi di Albano, Castel Gandolfo (31 agosto 2006):
Insegnamenti II/2 (2006), 163-179.
[346] Giovanni Paolo II, Lett. ap.
Spiritus et Sponsa, 13:
AAS 96 (2004), 425.
[347] Cf. Benedetto XVI, Esort. ap. post-sinodale
Verbum Domini, 66,
l.c.: 743-744.
[348]
Institutio Generalis Liturgiae Horarum, 202.
[349] Cf.
Catechismo della Chiesa Cattolica, 2634-2636.
[350] Giovanni Paolo II,
Discorso ai partecipanti al Simposio Internazionale in occasione del XXX anniversario della promulgazione del Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis, 27 ottobre 1995, n. 5.
[351] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 22-23; cf. Lett. ap.
Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 26:
AAS 80 (1988), 1715-1716.
[353] S. Giovanni Crisostomo,
De sacerdotio, III, 6:
PG 48, 643-644: «La nascita spirituale delle anime è privilegio dei sacerdoti: essi le fanno nascere alla vita della grazia per mezzo del battesimo; per mezzo loro noi ci rivestiamo di Cristo, siamo consepolti con il Figlio di Dio e diventiamo membra di quel beato corpo (cf.
Rm 6, 1;
Gal 3, 27). Quindi noi dobbiamo non solamente rispettarli più che principi e re, ma venerarli più dei nostri genitori. Questi infatti ci hanno generati dal sangue e dalla volontà della carne (cf.
Gv 1, 13); quelli invece ci fanno nascere figli di Dio; essi sono gli strumenti della nostra beata rigenerazione, della nostra libertà e della nostra adozione nell'ordine della grazia».
[354] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 29; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16; Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 14:
l.c., 662;
C.I.C., can. 277, § 1.
[355] Benedetto XVI,
Veglia in occasione della Conclusione dell’Anno sacerdotale (10 giugno 2010):
l.c., 397-406.
[356] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Veritatis splendor (6 agosto 1993), 22:
l.c., 1150-1151.
[357] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 29.
[358] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Optatam totius, 10;
C.I.C., can. 247, § 1; Sacra Congregazione per l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 48;
Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974), 16:
EV 5 (1974-1976), 200-201.
[359] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16; Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 (8 aprile 1979), 8:
l.c., 405-409; Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 29;
C.I.C., can. 277, § 1.
[360] Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 55:
l.c., 678-679.
[361] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16; Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 14:
l.c., 662.
[363] Cf.
Pontificale Romanum, De ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, III, 228,
l.c., 134; Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 (8 aprile 1979), 9:
l.c., 409-411.
[364] Cf. Sinodo dei Vescovi, Documento sul sacerdozio ministeriale
Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 4:
l.c., 916-917.
[365] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16.
[366] Cf.
ibid.
[367] Giovanni Paolo II,
Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 (8 aprile 1979), 8:
Insegnamenti II/1 (1979), 841-862.
[368] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 29.
[369] Per l’interpretazione di questi testi, cf. Conc. di Elvira (a. 305), cann. 27; 33: Bruns Herm.,
Canones Apostolorum et Conciliorum saec. IV-VI II, 5-6; Conc. di Neocesarea (a. 314), can. 1:
Pont. Commissio ad redigendum CIC Orientalis, IX, I/2, 74-82; Conc. Ecum. Niceno I (a. 325), can. 3:
Conc. Oecum. Decr., 6; Conc. di Cartagine (a. 390):
Concilia Africae a. 345-525,
CCL 149, 13. 133ss; Sinodo Romano (a. 386):
Conc. Oecum. Decr., 58-63; Conc. Trullano II (a. 691), cann. 3, 6, 12, 13, 26, 30, 48:
Pont. Commissio ad redigendum CIC Orientalis, IX, I/1, 125-186; Siricio, decretale
Directa (a. 386):
PL 13, 1131-1147; Innocenzo I, Lett.
Dominus inter (a. 405): Bruns cit. 274-277; S. Leone Magno, Lett.
a Rusticus (a. 456):
PL 54, 1191; Eusebio di Cesarea,
Demonstratio Evangelica, 1, 9:
PG, 22, 82; Epifanio di Salamina,
Panarion:
PG 41, 868. 1024;
Expositio Fidei,
PG 42, 823 ss.
[370] Cf. S. Congregazione per l'Educazione cattolica,
Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974), 16:
l.c., 200-201.
[371] Benedetto XVI,
Veglia in occasione della Conclusione dell’Anno sacerdotale (10 giugno 2010):
l.c., 397-406.
[372] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione del Clero (16 marzo 2009):
l.c., 393.
[373] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 29; 50; Congregazione per l'educazione Cattolica,
Istruzione In continuità sui criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (4 novembre 2005):
AAS 97 (2005), 1007-1013;
Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974):
EV 5 (1974-1976), 188-256.
[374] Cf. S. Giovanni Crisostomo,
De Sacerdotio, VI, 2:
PG 48, 679: «L'anima del sacerdote deve essere più pura dei raggi del sole, affinché lo Spirito Santo non lo abbandoni e affinché possa dire: «Vivo non già io, ma vive in me Cristo» (
Gal 2, 20). Se gli anacoreti del deserto, lontani dalla città e dai pubblici ritrovi e da ogni strepito proprio di quei luoghi, godendo pienamente il porto e la bonaccia, non s'inducono a confidare nella sicurezza di quella loro vita, ma aggiungono infinite altre attenzioni, munendosi da ogni parte e studiandosi di fare o dire ogni cosa con grande diligenza, per potersi presentare al cospetto di Dio con fiducia e intatta purezza, per quanto è possibile alle umane facoltà; qual forza e violenza ti pare che sarà necessaria al sacerdote, per sottrarre l'anima sua ad ogni macchia e serbarne intatta la spirituale bellezza? A lui occorre certamente purezza maggiore che ai monaci. E tuttavia, proprio lui, che ne ha maggior bisogno, è esposto a maggiori occasioni inevitabili, nelle quali può essere contaminato, se con assidua sobrietà e vigilanza non renda l'anima sua inaccessibile a quelle insidie».
[377] Cf. Giovanni Paolo II,
Litterae apostolicae Motu Proprio datae Sacramentorum sanctitatis tutela quibus Normae de gravioribus delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis promulgantur (30 aprile 2001): AAS 93 (2001), 737-739 (modificate da Benedetto XVI il 21 maggio 2010:
AAS 102 [2010] 419-430).
[378] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 16
.
[379] Cf. Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 79-81; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 29.
[380] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 17; 20-21.
[381] Cf.. Benedetto XVI,
Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2006):
AAS, 98 (2006).
[382]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 17; Giovanni Paolo II,
Udienza generale (21 luglio 1993), 3:
Insegnamenti XVI/2 (1993), 89-90.
[384] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 17.
[387] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 17.
[388] Cf.
ibid., 17.
[389] Cf. Giovanni Paolo II,
Udienza generale (30 giugno 1993):
Insegnamenti XVI/1 (1993), 1689-1699.
[390] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 18.
[391] Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003):
l.c., 53; 57.
[392] Benedetto XVI,
Udienza generale (12 agosto 2009):
Insegnamenti V/2 (2009), 94.
[393] Benedetto XVI,
Discorso ai partecipanti al Convegno Teologico promosso dalla Congregazione per il Clero (12 marzo 2010):
l.c., 323-326.
[394] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 16.
[395] Cf.
ibid., 70:
l.c., 778-782.
[396] Cf.
ibid.
[397] Cf.
ibid., 79:
l.c., 797.
[398]
Cf.
C.I.C., can. 279.
[399] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 76.
[400] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Inst.
Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo (24 maggio 1990), 21-41:
AAS 82 (1990), 1559-1569; Commissione Teologica Internazionale,
Theses Rationes magisterii cum theologia sul mutuo rapporto fra magistero ecclesiastico e teologia (6 giugno 1976), tesi n. 8: “Gregorianum” 57 (1976), 549-556.
[401] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 43; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Optatam totius, 11.
[402] Benedetto XVI,
Videomessaggio ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale (27 settembre - 3 ottobre 2009):
Insegnamenti V/2 (2009), 300-303.
[403] Benedetto XVI,
Lettera ai seminaristi (18 ottobre 2010), 6:
l.c., 797-798.
[404]
Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 3.
[405]
Ibid., 14.
[406] Cf. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti
Ogni vocazione per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio (29 giugno 2008), 5: “L’Osservatore Romano”, 31 ottobre 2008, 4s.
[407] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 19; Decr.
Optatam totius, 22;
C.I.C., can. 279, § 2; Sacra Congregazione per l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101.
[408]
C.I.C., can. 279, § 3; Congregazione per l’Educazione Cattolica,
Decreti di Riforma degli studi ecclesiastici di Filosofia (28 gennaio 2011), 8ss.:
AAS 103 (2011), 148ss.
[409] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus (1 maggio 1991), 57:
AAS 83 (1991), 862-863.
[410] Cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia,
Documento Cristo continua ossia “Vademecum” per i confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale (12 febbraio 1997): “L’Osservatore Romano”, 2 marzo 1997, suppl. inserito tabloid.
[411] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 79.
[412] Cf. Sacra Congregazione per l'educazione Cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 76ss.
[413] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 79
.
[414] Cf.
ibid.
[415] Cf.
ibid.
[417] Cf. Paolo VI, Lett. ap.
Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966), I, 7:
AAS 58 (1966), 761; Sacra Congregazione per il Clero,
Lett. circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali Inter ea (4 novembre 1969), 16:
l.c., 130-131; Sacra Congregazione per l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 63; 101;
C.I.C., can. 1032, § 2.
[418] Cf. Congregazione per l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 63.
[419] Benedetto XVI,
Veglia in occasione della Conclusione dell’Anno sacerdotale (10 giugno 2010):
l.c., 397-406.
[421] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8.
[422] Cf. Sacra Congregazione per l'educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101.
[423] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 79.
[424] Cf.
ibid., 70.
[425] Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8.
[426] Cf.
ibid.
[428] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum Ordinis, 8;
C.I.C., can. 278, § 2; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale
Pastores dabo vobis, 81.
[429] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Christus Dominus, 16; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores gregis (16 ottobre 2003), 47:
l.c., 887-888.
[430] Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 79.
[431] Cf.
ibid.:
l.c., 797-798.
[432] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Optatam totius, 22; Sacra Congregazione per l'Educazione cattolica,
Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101.
[433] Benedetto XVI,
Omelia. Apertura dell’Anno Sacerdotale con la celebrazione dei secondi Vespri (19 giugno 2009):
Insegnamenti V/1 (2009), 1036.
[434] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 79.
[435] Cf.
ibid., 76:
l.c., 793-794.
[437] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 77.
[438]
Ibid.: l.c., 794.
[439]
Ibid.
[440]
Ibid.
[441]
Ibid., 41:
l.c., 727.
[442]
Ibid., 77:
l.c., 794.
[443] Cf.
ibid., 74:
l.c., 791.
[444]
Ibid.
[445] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 82.
[446] Cf.
ibid., 23.
[447]
Ibid., 82.
[448] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 65.
[449]
Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale
Pastores dabo vobis, 82.
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